Otto giorni dopo, 12 settembre, ore 12.17.
Il tempo.
Era impressionante il tempo.
Prima sembrava scorrere ad una velocità supersonica e un
momento dopo le
lancette parevano quasi fermarsi.
Ben guardò annoiato l’orologio che portava al
polso ed entrò nell’ufficio
richiudendosi la porta alle spalle e posando il pacchetto che aveva tra
le mani
sulla scrivania, davanti al suo collega che però non
alzò nemmeno lo sguardo.
«Novità?» fece il più giovane
sedendosi davanti al computer.
Semir scosse il capo, guardandolo finalmente negli occhi ma senza
proferire
parola.
Ben alzò le spalle «In compenso io ho portato il
pranzo.» esclamò estraendo dal
pacchetto due panini incartati singolarmente.
Semir abbozzò un sorriso afferrando uno dei due panini per
poi però posarlo
nuovamente sulla scrivania.
«Semir...» cominciò il più
giovane con un lieve sospiro «Dovresti mangiare
qualcosa, sai?».
«Ben, non iniziare per favore.» fu il semplice
commento del turco, che tornò a
scorrere con lo sguardo i numerosi fogli che aveva tra le mani.
«Dico davvero, mangia qualcosa, non puoi andare avanti
così.».
«Non ho fame.».
«Semir, dammi retta...».
«Ben, dacci un taglio.».
Ben si ammutolì, tornando a fissare lo schermo del computer
e afferrando il
proprio panino, mentre nella stanza si creava un silenzio innaturale
che in
quegli ultimi giorni si era verificato fin troppo spesso. Per quanto il
più
giovane provasse a parlare con l’amico oppure a convincerlo a
fare altrettanto,
Semir non sembrava voler sentir ragioni di alcun tipo.
Si era totalmente chiuso in se stesso, non voleva farsi aiutare ma il
suo
silenzio era in realtà molto più forte di una
banale richiesta di aiuto.
Quella strana situazione di quiete venne tuttavia presto interrotta da
Susanne,
che fece capolino dalla porta dopo aver bussato leggermente sul vetro.
«Ragazzi, la Kruger vi vuole nel suo ufficio.»
comunicò la bionda segretaria
con un breve sorriso.
I poliziotti si alzarono all’istante e a Ben balzò
il cuore in gola: sapeva
benissimo quale sarebbe stato il discorso del commissario, era stato
rimandato
per troppo tempo. E già immaginava la reazione del suo
collega.
I due ispettori entrarono nell’ufficio del commissario e
rifiutarono l’invito
della donna a sedersi, preferendo invece rimanere in piedi, appoggiati
a
braccia conserte alla parete.
«Dunque» esordì Kim sedendosi alla
propria scrivania «Signori, vi ho chiamato
per parlarvi del caso Gehlen... del caso di Aida, insomma. Le indagini
sono di
competenza dell’LKA, ma questo già voi lo sapete.
Tuttavia noi abbiamo
continuato ad occuparcene fino ad oggi...».
La Kruger fece una breve pausa e scrutò attentamente i suoi
ispettori.
Semir pareva concentrato, mentre Ben non faceva altro che spiare il
collega
alla sua sinistra con la coda dell’occhio.
«Ma adesso sono passati diciassette giorni dalla scomparsa
della bambina e
ancora non abbiamo nemmeno un indizio che ci possa ricondurre in
qualche modo a
lei. L’LKA continuerà ovviamente ad occuparsi del
caso, ma noi dobbiamo
riprendere ad occuparci degli ambiti di nostra competenza.».
«Scusi?!» fece Semir staccandosi appena dalla
parete.
«Gerkhan, io capisco il suo coinvolgimento personale, ma il
nostro commissariato
deve tornare ad occuparsi di altri casi che abbiano come oggetto di
riferimento
le autostrade, il capo della polizia mi ha già ripreso per
l’andamento di
questi ultimi giorni.».
«Io me ne frego del capo della polizia, in gioco
c’è la vita di mia figlia!»
ribatté
Semir, mentre Ben si prendeva la testa tra le mani, pregando tra
sé e sé che
quella riunione si concludesse in fretta e senza causare ulteriori
danni.
«Gerkhan, sono passate più di due settimane e
Gehlen non si è ancora fatto
vivo.».
«E questo cosa vorrebbe dire? Quel bastardo non ha nessuna
fretta di farsi
vivo, non vuole chiedere un riscatto, vuole solo vendicarsi di
me.».
«Sì, ma cerchi di capire che io...».
«Lei cosa, commissario? Io non smetto di cercarla, passasse
anche un mese, un
anno, non smetterò mai di cercarla!».
«Gerkhan, abbiamo perquisito tutti i luoghi possibili
e...».
«Non so se è chiaro capo, io non mi
fermo!» gridò Semir, ormai rosso in volto.
Seguì un attimo di silenzio, poi Kim respirò
profondamente per riprendersi da
quel rapido scambio di battute e tentare di far ragionare il suo
sottoposto «Intanto
lei deve calmarsi. Vada a casa per favore, stacchi per un attimo il
cervello
dalle indagini, perché nello stato in cui si trova ora,
qualsiasi sforzo
sarebbe comunque inutile.».
«Il capo ha ragione, Semir.» intervenne Ben per la
prima volta, con voce
tranquilla «Vai a casa, non puoi lavorare ventiquattro ore su
ventiquattro
senza mangiare né dormire, è solo
controproducente.».
«Anche tu?!» riprese il turco ora rivolto verso
l’amico «Allora non capisci. Voi
non capite! Io troverò mia figlia
dovessi arrivare da solo in capo al mondo. E potete stare certi che non
appena
avrò davanti quel bastardo di Gehlen non lo
risparmierò come ho fatto con il
suo amico Hoffman, ma anzi rimpiangerà di non essere morto
quando gli avevo
sparato otto anni fa.».
Quindi Semir aprì la porta e, sbattendola alle sue spalle,
uscì dall’ufficio.
La Kruger si
appoggiò
allo schienale della propria sedia chiudendo per un attimo gli occhi e
lasciandosi andare ad un profondo sospiro.
Quando riaprì gli occhi, si trovò davanti a
quelli contrariati di Ben, che la
fissavano con aria di rimprovero.
«Jager, non mi guardi così per favore. Nemmeno io
so più da che parte girarmi,
crede che non sia dispiaciuta per questa situazione?».
«Capo, guardi che sta facendo tutto da sola, io non le ho
detto niente.».
«Sì, ma sta pensando.»
replicò la donna spingendosi leggermente col busto in
avanti e intrecciando le dita sulla scrivania «Non so davvero
come muovermi.».
«Si aspettava una reazione diversa da parte di
Semir?» domandò l’ispettore
alzando appena un sopracciglio.
«No, assolutamente.» fece Kim con un altro sospiro
«Anzi, credevo peggio
sinceramente. Al posto suo io probabilmente non avrei nemmeno la forza
di
continuare a cercare.».
Ben si avviò senza ribattere verso l’uscita.
«Dove va Jager?».
«A recuperare il mio collega.».
Ben corse dietro
all’amico e lo seguì fuori dal commissariato,
fermandosi a pochi metri di
distanza da lui.
«Semir, aspettami!» gridò, ma
l’altro poliziotto non sembrò nemmeno sentirlo e
non accennò a voltarsi.
Il più giovane scosse il capo, ricominciando a camminare
velocemente per
raggiungerlo.
Ma si fermò di nuovo, notando che Semir si era bloccato
improvvisamente davanti
a lui in mezzo al parcheggio e che non muoveva più nemmeno
un muscolo.
Corrucciò la fronte e strinse gli occhi, fino a vedere
ciò che sicuramente
aveva notato anche il suo collega.
Quindi aprì la bocca e rimase senza fiato.
Ed eccomi
qui con la
nuova storia, seguito di “Vittima Innocente”,
intitolata, se preferite, “Agonia
e Disperazione 2”, come direbbe ChiaraBJ ;)
Che
dire? Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e chi
vorrà
lasciare un commento e vi ricordo che non è necessario,
anche se consigliabile,
aver letto la prima parte per capire l’andamento della trama
(in caso di dubbi
potete chiedere a me se non volete cimentarvi nella lettura dei
trentadue capitoli
del racconto precedente).
Grazie
e al prossimo capitolo.
Sophie
:D