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Autore: EvgeniaPsyche Rox    23/11/2014    6 recensioni
Contesto: Quarta Stagione; Freak Show.
Personaggi: Dandy, Twisty il clown.

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Doveva essere stata una cosa ereditaria; sua madre che riempiva il vuoto d'amore materno con i giocattoli, lui stesso che tentava di riempire il tempo con un'infinità di mezzi per spendere quelle giornate infinite...
Dandy si annoiava.
Si annoiava da morire, voleva morire, ma non aveva il coraggio di uccidersi perché aveva paura di sbattere il naso contro l'ennesimo vuoto.
(...)
C'era un clown in mezzo alla sua stanza.
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Horror Vacui


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C'era un clown in mezzo alla sua stanza. 
C'era una presenza, un ospite, a riempire il vuoto nascosto della sua stanza.
Vuoto nascosto perché in realtà la sua camera, oltre ad essere stata arredata a regola d'arte da sua madre, la quale aveva anche ordinato agli imbianchini di tingere le pareti di quel rosa cipria che tendeva al bianco -Dio, quanto odiava quel colore-, era piena di oggetti e giochi per passare il tempo in maniera sempre differente.
Un mini-golf, un cavallo di legno, biglie, palloni, birilli, pupazzi...
Dandy era un bambino, sua madre lo sapeva bene, nonostanse avesse l'aspetto di un ragazzo impeccabile dai capelli perennemente in ordine e laccati; lui invece si sentiva un vecchio di ottant'anni sul punto di morte, stanco della sua lunga, lunghissima vita.
E Dandy voleva morire. Voleva essere morto per poter fare tutto ciò che gli andava senza pensieri, preoccupazioni, sensi di colpa o altro.
Essere un umano lo disgustava. Con un cuore, i sentimenti, i polmoni, il fegato, e tutte quelle altre cose che gli facevano venire la nausea.
Voleva morire, ma non aveva il coraggio di uccidersi. Era terrorizzato da un possibile vuoto dopo la morte, temeva che fosse anche peggio del vuoto che provava nei confronti della propria esistenza, una noia insormontabile che aveva origine probabilmente già dalla sua nascita.
Era nato annoiato e già stanco della vita. 
Da bambino la prima cosa che aveva appreso era stata l'assenza e la violenza: non ricordava il volto di sua madre accanto a sé durante i suoi malanni o i suoi pianti, solo gli occhi distaccati e sconosciuti delle badanti e delle baby-sitter a cui spesso mordeva le mani per divertimento.
E quell'infinità di giocattoli nella sua stanza, quei costosissimi aggeggi che sua madre gli comprava per riempire il vuoto dovuto alla sua assenza.
Doveva essere stata una cosa ereditaria; sua madre che riempiva il vuoto d'amore materno con i giocattoli, lui stesso che tentava di riempire il tempo con un'infinità di mezzi per spendere quelle giornate infinite...
Dandy si annoiava.
Si annoiava da morire, voleva morire, ma non aveva il coraggio di uccidersi perché aveva paura di sbattere il naso contro l'ennesimo vuoto.

 

C'era un clown in mezzo alla sua stanza.
Indossava una buffa tuta bianca sporca e leggermente coperta di terra; aveva l'aria trasandata, con quel trucco malmesso che a Dandy sapeva in qualche modo di vita di strada, vita da artista, quella che tanto bramava; c'era poi un sorriso terrificante dipinto sulla faccia che di allegro non aveva proprio nulla, anzi. Probabilmente sarebbe apparso meno triste con un volto piangente e le gote bagnate.
Ma Dandy non lo trovava inquietante, né pensava che potesse trattarsi di un costume di Halloween cucito in anticipo.
Al contrario, era interessato da quella nuova presenza che riempiva il vuoto della sua stanza; gli si avvicinò, e la sua pelle pareva quella di un bambolotto perfetto messa a confronto con il volto del clown. «Mia madre deve averti pagato profumatamente. Perciò, se davvero sei un clown, fammi ridere. Avanti.»
Ma quel clown così imponente e particolare non si mosse: rimase ritto in mezzo alla stanza, a riempire il vuoto della sua giornata, pur non facendo nulla.
E quel suo silenzio, quel sorriso così triste e macabro, fecero nascere una scintilla negli occhi di Dandy. 
Tornò bambino, si mosse verso la manciata di giocattoli che teneva ancora accanto alla finestra, e li mostrò al clown che allora fece cadere con un tonfo il sacco sporco che stringeva con una mano.
Tornò bambino, Dandy, e il clown, dinnanzi a quei nuovi giocattoli rimasti intoccati per anni, si rivide nel vecchio circo, a rallegrare tutti i fanciulli di allora.
Dandy provò quell'irrefrenabile curiosità che da bambino gli era mancata nei confronti del mondo intorno a sé; di fronte alla distrazione del clown, si avvicinò furtivamente alla sacca e iniziò a toccare quei giocattoli malridotti che parevano quasi un cattivo scherzo di Halloween.
In pochi secondi parve annoiarsi di nuovo, e volle così intraprendere una qualche sorta di conversazione con l'ospite, quando quest'ultimo lo colpì alla nuca, e l'attenzione di Dandy si riaccese, questa volta definitivamente.




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Lo seguì di nascosto: non ne poté fare a meno.
Era divenuto un bambino che imitava le orme del padre, e gli occhi di Dandy scintillavano in mezzo al buio della notte, tra i sentieri del bosco in cui il clown si muoveva abilmente.
Passo dopo passo, Dandy si accese: si sentì vivo nel silenzio, sotto le tacite stelle e  il vento che muoveva appena le foglie creando fruscii sinistri.
Non riuscì più a trovare il clown, lo aveva perso; Dandy si guardò attorno con fare smarrito, quando una giovane donna si lanciò verso di lui in corsa, il fiato mozzato, l'aria sconvolta e gli abiti strappati.
«Aiuto! La prego, mi aiuti! C'è un pagliaccio pazzo, un maniaco, che ha tenuto me e un bambino, aiuto, mi aiuti! LA PREGO HO BISOGNO DI AIUTO!»
Dandy sbatté le palpebre, parve seriamente preoccupato, e le sue iridi si mossero da una parte all'altra del bosco, come se temesse davvero l'arrivo del clown, dello stesso clown che aveva appena scoperto essere più interessante che mai, l'unica presenza che stava riempiendo la sua vita.
«L'aiuterò io, non si preoccupi», disse piano, con calma eccessiva; poi caricò la donna sulla propria schiena e la sentì strillare, implorare pietà, e, passo dopo passo, Dandy si sentì vivo, più vivo che mai, e sorrise quando trovò il clown all'interno di una roulotte trasandata e vecchia.
Sorrise con sincerità, il sorriso di un bambino che aveva trovato il proprio padre.
«Inizia il divertimento.»

 




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Gli avevano rovinato la festa più bella.
Si era rovinato da solo la festa di Halloween.
Sua madre e quel patetico costume, sempre lo stesso, che indossava da anni. Quell'aborto di costume che gli faceva solo venire voglia di rigettare le viscere, lo detestava, lo detestava con tutto se stesso; e detestava sua madre che, invece di prenderlo a schiaffi per le sue urla isteriche, si scusava e si affrettava a correre in città per acquistarne un altro.
Quasi quasi preferiva Dora. Dora che gli dava motivi concreti per odiarla, con quelle sue battute aspre e pungenti.
E quando era nel bel mezzo del suo numero, nel bosco, di notte, il vento, il clown, suo padre, il suo maestro, che applaudiva, fiero di lui, lui che aveva la motosega in mano ed era pronto a tastare il suo primo giocattolo, bom.
Gli avevano rovinato lo show. Quel maledetto bastardo dalle mani malformate aveva rovinato il suo show perfetto a cui aveva lavorato tanto. Lo odiava, lo odiava, lo odiava!
E aveva odiato anche quando aveva trovato il corpo inerme del clown. Lì, sdraiato sul prato, il costume sporco, il solito sorriso triste stampato sul volto, non sembrava più così imponente.
Non sembrava nulla, era morto, svanito, scomparso.
Dandy aveva sentito qualcosa, all'altezza del petto, nella parte sinistra, dove avrebbe dovuto esserci il cuore. 
E aveva sentito qualcosa anche quando di notte aveva minacciato Dora di ucciderla. C'erano la rabbia e la frustrazione che montavano, mentre lei lo chiamava ''senza palle'', e si era odiato con tutto se stesso, si era odiato per essere stato così debole, così schifosamente umano da non aver avuto il coraggio di piantare quel dannato coltello nel petto della donna.
Si era odiato per aver provato compassione, tristezza forse, di fronte al corpo del clown.
Si era odiato. 
Avrebbe voluto vomitare via le viscere e il cuore.
Doveva abbracciare quel vuoto che tanto lo spaventava per poter trovare il coraggio. 
Doveva liberarsi di tutte quelle catene, dei sentimenti, dell'umanità, di se stesso, per fare ciò che preferiva.
Avrebbe vomitato via il proprio cuore per sempre. Lo avrebbe gettato in un angolo della sua stanza in mezzo a tutti quei giocattoli rimasti inutilizzati nel corso degli anni.

 




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E ci era riuscito. O almeno, era sulla strada buona per farcela.
Per abbracciare la sua più grande paura: il vuoto.
A torso nudo, la pelle perfetta e i muscoli tonici ricoperti di sangue, si era affacciato in cortile, come fosse pronto a festeggiare la propria vittoria con il mondo intero e con il cielo stesso, dinnanzi agli occhi di Dio e dei suoi apostoli.
Era ricoperto di sangue, e Dandy aveva chiamato sua madre come per incolparla di ciò che aveva partorito, dell'essere a cui non aveva degnato abbastanza attenzione da bambino.
Dandy si odiava, e siccome la vita, sua madre, gli avevano strappato a brandelli i sogni e la voglia di vivere, aveva deciso di elevarsi a Dio spargendo sangue. 
Come prezzo avrebbe dovuto strapparsi il cuore, l'umanità, ed era disposto a fare ciò, ad essere vuoto per sentirsi vivo.

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«Sarò un noto assassino negli Stati Uniti.
Nel mio corpo c'è un cuore che non è in grado di amare.
Quando Dora è morta, mi ha guardato negli occhi e io non ho sentito niente.»

 

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*Note di Ev'*
Stranamente sto infilando il naso in diversi fandom differenti da Kingdom Hearts. Anormalità.
Il fatto è che necessitavo veramente di staccare un po' da lì, nonostante io abbia un'infinità di storie da proseguire.
Non sono una grande fanatica delle serie Tv: l'unica che ho seguito per intero è Skins, mentre per quanto riguarda American Horror Story, ahimè, ho visto solo la prima serie e sto seguendo appunto la quarta che mi ha presa da morire.
Vorrei precisare che questa storia descrive il personaggio di Dandy fino alla fine del quinto episodio; il sesto e il settimo episodio non ho ancora avuto modo di vederli, quindi non so come si evolverà il personaggio successivamente.
Dandy non mi ha preso immediatamente; a primo impatto mi è sembrato un ragazzino viziato con una madre per la quale provavo tanta pietà, e una donna delle pulizie che stimavo un sacco, omg.
Pian piano però il personaggio ha iniziato a svilupparsi, e ho cominciato ad apprezzare assai i suoi pensieri folli e contorti; mi è piaciuta la sua curiosità nei confronti del Clown (Che non voglio nemmeno commentare, perché il suo passato mi ha fatto piangere come una triste fontanella), il suo modo eccentrico di agire, i suoi atteggiamenti da bambino, il fatto che da una parte diventi un killer e dall'altra continui ad avere reazioni amplificate -Appunto come un infante-, unite alla sua umanità che non riesce a dimenticare (La quale è emersa prima con Dora, che non riesce ad uccidere subito; poi con il ragazzo del night club gay a cui dice di morire in fretta perché stava iniziando a sentirsi in colpa).
E quindi nulla, ho voluto scrivere una storia che descrivesse più dettagliatamente la sua psicologia. Dal mio punto di vista, ovviamente. 
Se avete letto questa storia, mi raccomando di lasciare una recensione, che mi renderebbe tanto felice, uh c.c
See ya'-!
E.P.R.

   
 
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