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Autore: Orus93    24/11/2014    0 recensioni
[L\\\\\\\'antologia di Spoon River http://it.wikipedia.org/wiki/Antologia_di_Spoon_River]
Liberamente ispirata dalla poesia "Siegfried Iseman", pubblicata nella raccolta "L' Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters. Il racconto è narrato in prima persona dal Dott. Iseman, che racconta con un disperato sfogo la storia della sua vita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli ultimi scritti del Dott. Siegfried Iseman.

 

 

16 dicembre 1871

Ciarlatano, truffatore, imbroglione.

Così mi hanno additato.

Io sono il Dottor Siegfried Iseman.

Scrivo queste parole che temo saranno, ahimè, le mie ultime. Non credo che mi rimanga molto tempo, ma sono speranzoso che un giorno qualcuno possa trovare questi pochi fogli e poter finalmente sapere la Verità su di me, sul cialtrone del villaggio.

Non ho vissuto una lunga vita, ma ritengo di aver fatto tutto ciò che mi era possibile, non sono rammaricato. Ho seguito il mio scopo.

Fino a dove riesco a sospingere la memoria percepisco, in maniera chiara e inconfondibile, di aver sempre avuto una prerogativa, un chiodo fisso. Qualcuno la definirebbe una... Missione.

Io volevo vivere nell’Armonia.

Sono nato in una piovosa mattinata di marzo del 1838, nella tenuta di famiglia, sulle colline che costeggiano il villaggio. Mio padre era un commerciante benestante, una persona stimata e benvoluta. La mia cara madre era una brava massaia, attenta ai bisogni della famiglia, accudiva me, il suo terzo figlio e gli altri miei fratelli con tutto l'amore che era capace di dare.

Tuttavia, la persona più importante per me fu mio nonno paterno, il Signor Francis Iseman Junior.

Fin dai primi momenti della mia esistenza mi è stato particolarmente vicino, dedicandomi un affetto del tutto particolare. Io lo vedevo come una guida, un mentore, una figura esemplare.

Sicuramente è stato grazie anche a lui che ho deciso di intraprendere la carriera di medico.

E' il primo ricordo della mia vita. Dovevo avere circa quattro anni. Quel pomeriggio di primavera il mio amato nonno decise di portarmi a passeggiare in un posto particolare: la mia famiglia possedeva infatti un campo di ciliegi, situato nei dintorni del fiume.

Se qualcuno dovesse chiedermi di descrivere il Paradiso, credo che fornirei un immagine del tutto simile a quel posto magico.

Un ampio spazio verde si apriva improvvisamente, a valle della collina del cimitero, lasciando allo spettatore la vista di un paesaggio sublime. Maestosi alberi di ciliegio si stagliavano netti fino alla riva del fiume, ognuno di essi coronato da un esplosione di delicati fiori candidi e rosa. Pareva di addentrarsi in un oceano di colori. L’aria, permeata da una dolce fragranza di muschio, legno e erba bagnata, penetrava dolcemente nei polmoni donando freschezza e rinnovamento.

Il silenzio conferiva a quel luogo un atmosfera di sacralità, ed era soavemente cadenzato soltanto dal suono lieve delle acque del fiume.

Mai più, su questo mondo, i miei occhi avranno la gioia di mirare una lido sì magnifico, in cui l’Armonia sovrastava e allo stesso tempo era la linfa costitutrice e vitale di tutto.

Fu il giorno più felice della mia vita, trascorso a correre e ad arrampicarmi sui magnifici ciliegi.

Dopo qualche tempo, era ormai estate, in seguito a numerose insistenza da parte mia, mio nonno decise di riportarmi in visita di questo luogo magico.

Giungemmo sul posto. Ricordo che, nella mia spensieratezza puerile, cominciai a correre ridendo a gran voce.

Improvvisamente però, mi fermai spiazzato.

Qualcosa era cambiato.

I fiori…Erano spariti.

Al loro posto erano comparsi dei frutti rossi.

Ovviamente, era nell’ordine naturale delle cose, ma la mia mente infantile trovò ciò che era accaduto un fatto spaventoso e terrificante. Ero sicuro che gli alberi fossero feriti.

L’armonia era rotta. Non c’erano più fiori.

Mi avvicinai a uno dei ciliegi. Ne accarezzai la corteccia umida e ruvida. Ricordo che a stento  riuscivo a trattenere le lacrime.

In quel momento dentro di me avvenne qualcosa.

Feci un giuramento solenne.

Avrei riportato l’Armonia. Avrei curato gli alberi.

Promisi che avrei fatto il dottore.

Fu un momento fondamentale per la mia vita, un cardine della mia intera esistenza. Da quell’istante, concentrai tutti i miei sforzi e le mie energie per il mio obbiettivo.                                                                       Cominciai a studiare anatomia a 7 anni.  Fui uno studente modello fin dagli inizi della mia carriera scolastica, eccellevo in tutte le materie. Mi affannavo tanto sui libri solo per poter affrontare il futuro scoglio più difficile: la facoltà di medicina e chirurgia.

Dopo qualche anno, conclusi magnificamente e a pieni voti il college. Avrei voluto intraprendere subito gli studi universitari, ma la vita per me aveva in serbo altre sfide in quel periodo.

Alla veneranda e rispettabile età di 93 anni, il mio caro nonno morì, in un meriggio caldo e assolato d’estate. Fu un gran brutto colpo per me.

Come se non bastasse, gli affari per mio padre cominciarono ad andare male. Per poter sbarcare il lunario tutta la mia famiglia fu costretta per qualche anno a vivere di espedienti e a svolgere lavori di ogni genere. Feci lo stalliere, il guardiano notturno, il garzone nella bottega del falegname e in quella del calzolaio. Tutte esperienze che, col senno di poi, mi aiutarono a temprarmi nel corpo e nello spirito. All’epoca comunque ricordo che fu molto dura per me. Mi sentivo perso e scoraggiato, lontano dalla mia vera vocazione.

Tuttavia, grazie allo spirito di adattamento e all’incredibile forza d’animo che ha sempre caratterizzato la mia famiglia, dopo qualche anno la situazione migliorò. Mio padre riprese, con dei sostanziosi investimenti frutto di immense fatiche, la sua attività commerciale.

Finalmente all’età di 23 anni  potei iscrivermi alla facoltà di medicina.

Furono anni duri, trascorsi giorno e notte sui libri o effettuando praticantato, ma i miei sforzi non sarebbero stati vani.

Poco prima del mio trentesimo compleanno la mia vita fu coronata da due splendidi e incommensurabili successi: divenni Professore in medicina e chirurgia e conobbi una stupenda ragazza di nome Claire, figlia di un cliente di mio padre. Cominciammo a frequentarci.

Ci innamorammo l’uno dell’altro in una gelida notte invernale, alla pallida luce della luna.

Ci sposammo l’anno seguente, mi donò due meravigliosi gemelli, Francis e Julie.

Fu il periodo del mio apogeo. Avevo cominciato a esercitare la professione che amavo con tutto me stesso e per cui sentivo di essere fatto. Molta gente si recava da me, nel mio studio aperto nel centro del villaggio. Io li curavo.

Ero finalmente a pieno titolo il Dottor Siegfried Iseman.

 

 

Purtroppo però la vita, la fortuna, il destino, il caso, o come diavolo volete chiamarlo, non è sempre lusinghiera.

 

I primi tempi il rapporto con i mei colleghi risultò, almeno ai miei occhi, ottimo. Molto presto però, completamente a mie spese, mi venne rivelata la loro vera natura.

Era chiaro, lampante, quasi lapalissiano forse. Si capiva dal loro modo di atteggiarsi. Si intuiva dalle loro parole. Dal loro bieco cinismo.

Loro… Si esaltavano della loro professione, si inorgoglivano dei paramenti del camicie, sfruttavano la loro conoscenza della vita e del corpo umano. Millantavano di essere dei salvatori, messia mandati nel mondo, illuminati dall’arte medica. Benevole divinità compassionevoli dal potere sovrannaturale di sconfiggere la malattia. Ma in realtà erano… Malvagi. Non erano motivati dall’amore verso il prossimo, dalla prerogativa assoluta e indiscutibile di riportare l’Armonia dove non c’era più. Il loro vero e unico scopo era un altro.

IL DENARO!

Non erano dottori, ma fameliche belve, feroci avvoltoi ingordi di ingrassare campando, come miseri e spregevoli parassiti, sulle disgrazie e sui malanni altrui.

Loro capirono. Loro sapevano…Compresero che io non ero così. Lessero nel mio cuore la mia bontà, il mio amore per la medicina e per il prossimo. E agirono. Ne sono convinto.

Al mio studio cominciarono ad affluire sempre più persone, sempre più ammalati. Loro li mandavano da me, ma il vero male dei miei nuovi pazienti non era la tisi, la polmonite o la dissenteria. La loro malattia in fondo, era una sola. Incurabile.

La povertà.

Zingari, senzatetto, prostitute, mentecatti. Nessuno di loro poteva permettersi la parcella del dottore.

Io non avevo cuore…Non avevo cuore di non curarmi di loro. Vi prego, capitemi…Non era giusto.

Non lo era per me, per loro, per la medicina.

Non lo era per la mia promessa nel campo dei ciliegi.

Rapidamente, la mia situazione economica conobbe un inesorabile declino. Entro breve tempo ero completamente sul lastrico. Curavo e mi occupavo solo di poveracci. Nessun’altro veniva più al mio studio. Chi, del resto, voleva aver a che fare e men che meno essere visitato dal “dottore egli ubriaconi e delle puttane?”

Venni emarginato, non avevo più amici. Persino Claire -mia moglie capite? MIA MOGLIE!- che amavo tanto, non mi guardava più allo stesso modo. Ero un fallito ai suoi occhi. Mi disprezzava. Scappò con i bambini senza lasciare nulla, né una lettera, né un biglietto. Credo che abbia sedotto un uomo ricco e che sia fuggita con lui.

Perché l’hai fatto, Claire? Perché mi hai lasciato solo?

Dio…

 

Fu allora che capì. Il peso della verità mi era crollato addosso come un macigno, spaccando il mio essere e lacerando le mie certezze, spazzando via inesorabilmente tutto ciò a cui avevo creduto.La medicina, il benessere, l’Armonia… Fandonie… FANDONIE!!!Erano tutte illusioni.

Bocconi dal sapore dolce a un primo contatto con il palato, ma dal retrogusto amarissimo.                                                                             Fare il dottore altro non era che un mestiere.
Non erano importanti i pazienti, la loro salute, la loro famiglia.

Contavano solo il potere e i soldi.

Avevo scoperto il primo vero e fondamentale assioma. Più potente e regolare dei battiti cardiaci, più radicato dei nervi, più ritto della spina dorsale, più efficace degli impulsi nervosi.Il secondo assioma era facilmente deducibile, una diretta e logica conseguenza: “O ti adegui, o perisci.”  Le grandi fondamenta del Sistema.

 

Ero finito, o così credevo. Forse per i fatti che accaddero in seguito ero destinato ad altro, ancora.

In un uggiosa mattinata, triste come il mio animo, quando ormai la mia vita si era sbriciolata sotto le mie mani, venne da me l’ennesimo poveraccio. Non era la prima volta che si recava da me e che si sottoponeva a una visita. Aveva una grave forma di difterite cutanea, malattia caratterizzata dalla formazione di dolorosissime piaghe, nel suo caso molto estese. Sapevo bene che non c’era più nulla da fare. Il suo organismo era troppo debilitato per qualsiasi tipo di intervento o terapia.

Mi supplicava...Mi pregava di curarlo. Dovevo fare qualcosa!

                                                                                                                                                 

Tutt’a un tratto, prese piede nella mia mente un idea. Balzana, completamente folle. Priva di ogni tipo di logica, ma venne veloce come una folgore. La mia mente, impreparata a un simile pensiero, si bloccò. Fu la mia bocca a formulare le parole, senza che io ci potessi far nulla:

<"Fai lunghe passeggiate, ringrazia".>

Quel disperato mi guardò stranito. Credeva fossi un folle, senza dubbio. Più perplesso di lui, per non apparire un buffone idiota, mi girai verso la credenza, presi un flacone e glielo donai, raccomandando di assumerlo con regolarità due volte al giorno.

Quel disgraziato acquistò fiducia e se ne andò, contento per aver ricevuto una novella sì lieta.

Venni immediatamente perturbato dai rimorsi. Cosa mi era preso? Avevo mentito, spudoratamente. Quel farmaco che gli avevo dato… Non avevo più denaro nemmeno per comperare il minimo indispensabile per uno studio medico. Quel barattolo conteneva una semplicissima soluzione salina. Era come provare a uccidere un elefante con un bastone da passeggio. Acqua e sale non potevano fare nulla contro la sua malattia.

Spero che qualcuno possa comprendermi. Non ebbi il coraggio di pronunciare la sentenza di morte a quell’essere sofferente.

Pensai di aver toccato il fondo.

Passarono alcune settimane. Poi accadde l’inspiegabile. Il tale malato di difterite a cui avevo prescritto una cura fittizia tornò da me, voleva ringraziarmi. Era guarito!

Non potevo credere a quel che vedevo. Era completamente sano.

Io, Dott. Siegfried Iseman, forte della mia conoscenza e sapienza in ambito medico, sono pronto a giurare al cospetto di Dio e dell’universo intero (che possa la mia anima bruciare nelle Fiamme Eterne se mento) che la mai diagnosi era corretta e che le piaghe erano completamente sparite dal corpo di quell’uomo.

Sono consapevole che tutto ciò non ha alcun senso, che questi fatti sono al di là di ogni raziocinio.  

Quello stesso giorno, dato che per ovvi motivi necessitavo di riflettere a lungo, decisi di recarmi al campo dei ciliegi.

Il posto non era cambiato, era l’unica cosa nella mia vita che ancora era rimasta uguale, potevo tangibilmente toccare con mano che vi era ancora qualcosa per cui andare avanti. Mi sedetti sotto uno dei miei amati alberi e meditai a lungo. Trascorsi lì ore e ore, non saprei dire quanto. Mi arrovellavo per cercare una motivazione logica ad un simile prodigio.

D’un tratto, qualcosa mi sfiorò impercettibilmente quanto dolcemente la fronte. Era un fiore.

Una nuova potente idea esplose nella mia mente. Non avevo veramente più nulla da perdere ormai. Cos’altro poteva andare peggio?

Ora, anche alla luce dei fatti già narrati e di quello mi accingo a raccontare, sono certo che chiunque starà leggendo queste poche pagine sbiadite e malamente scritte mi riterrò un pazzo fuori di testa. In fondo…Pazienza.

Presi i fiori dei ciliegi, quanti più ne potei, tornai al mio studio e li immersi in alcune bottiglie di acqua.

Cominciai a sottoporre i mei pazienti a una nuova, miracolosa cura. Il  mio nuovo e innovativo preparato. 

Molte delle persone che assumevano tale “medicina” e che seguivano alla lettera le mie raccomandazioni erano sanati dai loro mali, anche se per onor del vero occorre precisare che non funzionava con tutti.                             Il mio approccio... Era vincolato. Sembrava aver successo solamente se il soggetto credeva fermamente e al di là di ogni ragionevole dubbio che sarebbe funzionato. Solo chi era mosso da un vigoroso e fermo desiderio di guarire riusciva nell’intento.

Folle…Vero?

Va contro a tutti i precetti che ho sempre saputo, studiato, compreso. E’ un paradosso che mina alle fondamenta stesse della medicina.  Non saprei affermare con esattezza quali forze erano in gioco. Forse l’Armonia stessa interveniva… Non lo so.

 Non ho avuto il tempo studiare a fondo il fenomeno. Sottoponevo alla cura chiunque, gratuitamente: non mi importava più niente. Morivo di fame ma ero felice, ero pervaso dalla gioia.

Non durò a lungo. Venni presto scoperto. Le accuse furono tremende e spietate. Il processo rapido e impietoso. Sono stato rinchiuso qui, nella prigione federale.  Qui sono inutile, la mia vita ha perso la sua ragion d’essere, non ho più uno scopo.

Sono io stesso malato ora. Ho la polmonite.

Io…Credo sia perché non voglio più vivere, non vi è più alcun senso.

Ritengo che la medicina abbia nuove e ben altre frontiere da oltrepassare, orizzonti lontani di conoscenze arcane e ancora ignote a noi. I fatti menzionati in queste pagine ne sono una prova che non si potrà per sempre sottacere. Un giorno che io non vedrò, forse potremmo dire di esserci arrivati.

In fede... Verso l’armonia

 

Dottor Siegfried Iseman


 

“Questo scritto è pervenuto a noi il 30 luglio 1915. Era accuratamente nascosto in una crepa dietro alla branda della cella n°33 della prigione federale di Lewistown. Per ironia della sorte, a rinvenire tale documento è stato un detenuto condannato all’ergastolo per l’omicidio di un medico”



   
 
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