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Autore: itsrigel    24/11/2014    2 recensioni
Non immaginavo che mio padre fosse così. La mamma non ne parlava mai bene: diceva che ci aveva abbandonate, che era partito per mare e non era più tornato, che non aveva più potuto parlargli perché non sapeva mai dove fosse. Diceva che era un immaturo, un bambino che pensava solo ai soldi e al rum.
L'uomo che ho di fronte non sembra così.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Kenway, Jenny Kenway
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Of all the money that e'er I had
I've spent it in good company
And all the harm that e'er I've done
Alas it was to none but me
And all I've done for want of wit
To memory I can't recall
So fill to me the parting glass
Good night and joy be with you all”

Mi affaccio al parapetto della barca, stringendo una mano sul vestitino bianco della mia bambola di pezza, dello stesso colore della spuma del mare che stiamo solcando. La terra verso cui ci stiamo dirigendo è strana, non ne ho mai viste di simili. Ma è bella. È uno spettacolo fantastico, e non posso far altro che rimanere a bocca aperta. 
La spiaggia alla quale ci stiamo avvicinando è raccolta in un golfo non troppo grande, circondata da montagne che si gettano a capofitto nell'acqua appena increspata dal vento. Alle spalle dj poche capanne in legno, lo sguardo si perde in un enorme spazio verde, una foresta che sembra immensa. Alla nostra sinistra, appollaiata in alto, intravedo una villa. È grande. Anche quella è in legno, rovinato dal vento e dalla salsedine.
Chiudo gli occhi, inspirando a pieni polmoni l'aria del mare. 
È tutto molto differente dal mio Galles. Lì le case sono in mattoni, la gente gira per strada in eleganti carrozze, stretta in abiti estremamente costosi in certi casi. 
Qui ci accoglie un piccolo molo, decisamente più modesto di quello da dove sono partita. È coperto da un esiguo numero di persone e baracche. 
Un uomo mi si avvicina da dietro. Ha dei vestiti in tela grezza: un paio di pantaloni ingialliti e una maglia blu, tenuta stretta in vita da una fascia rossa. Sulle braccia scoperte si intravedono i segni scuri di tatuaggi, mentre la testa è circondata da una bandana per proteggersi dai raggi del sole. Mi poggia con delicatezza una mano sulla spalla, come se avesse paura di rompermi o cose simili.
«Dobbiamo scendere» annuncia. Annuisco, mordicchiando per l'ansia l'interno di una guancia. 
L'uomo mi prende la mano. La sua è callosa, dura; è la mano di qualcuno che ha passato la vita a issare vele, trasportare casse, tirare corde. 
Mi accompagna verso il lato della barca, dove qualcuno abbassa una tavola per aiutarmi a scendere. 
A terra, un altro uomo si avvicina. Ha dei bei capelli biondi, magari un po' trascurati, raccolti in un codino dietro alle spalle. Due cicatrici pallide gli attraversano la pelle abbronzata del viso. Gli occhi grigi spuntano come stelle nel cielo notturno del suo volto increspato dai segni del sole. Una barba appena sfatta gli copre le guance.
Sta sorridendo. Penso che in questo momento lo stia facendo anche io: ha un sorriso contagioso.
Si dirige verso di noi, senza smettere di guardarmi. Sento i suoi occhi sui miei vestiti, sui miei capelli, sul mio viso. 
Mi hanno detto spesso che assomiglio alla mamma. Starà pensando a lei? La amerà ancora? Rivedrà in me un'altra Caroline Scott?
L'uomo che mi tiene per mano mi aiuta a scendere sulla terraferma, mentre cerco di tenermi in equilibrio sulla tavola.
Quando sono a terra, mio padre si inginocchia ai miei piedi e mi porge qualche fiore di un bel rosso vermiglio. Il sorriso sul mio viso si allarga. 
Non mi immaginavo che mio padre fosse così. La mamma non e parlava mai troppo bene: diceva che ci aveva abbandonate, che era partito per mare e non era più tornato, che non aveva più potuto parlargli perché non sapeva mai dove fosse. Diceva che era un immaturo, un bambino che pensava solo ai soldi e al rum. 
L'uomo che ho di fronte non sembra così. Piuttosto, dai suoi occhi mi pare di capire che sia un uomo capace di amare, molto.
Raccolgo i fiori tra due dita, mentre mio padre si alza.
«Ciao» dice. Abbasso lo sguardo. Non so esattamente come dovrei comportarmi. È un perfetto sconosciuto per me, e io lo sono per lui. Dovrei avere lo stesso atteggiamento che avevo con la mamma? O dovrei portargli lo stesso rispetto che porto alle persone comuni?
«È stata la tua prima volta per mare?» chiede, spezzando l'imbarazzo. Annuisco. Sembra che la voce mi sia scomparsa.
«Va tutto bene?»
Alzo nuovamente lo sguardo. Accenno un altro segno di assenso con la testa. «La barca mi ha dato un po' di nausea» dico. «Ma ora sto meglio.»
Intravedo un filo di ironia nelle sue labbra arricciate. «Barca? Quale barca? Non vedo nessuna barca.»
Ricambio per l'ennesima volta il sorriso. 
Nave. Quella da cui sono appena scesa è una nave, non una barca. 
Inizio a pensare che, hey, forse ho trovato qualcosa che riuscirà a colmare il vuoto che la morte della mamma ha lasciato tra lo stomaco e il cuore. Mio padre sembra simpatico. 
Mi allunga una mano, facendomi segno di seguirlo. Faccio passare i fiori alla mano che tiene ancora stretta la mia bambolina e, con la destra, afferro quella di mio padre. «Andiamo» mi esorta. «Ti faccio conoscere la ciurma del capitano Edward Kenway.»

“Of all the comrades that e'er I had
They are sorry for my going away
And all the sweethearts that e'er I had
They would wish me one more day to stay
But since it falls unto my lot
That I should rise and you should fall
I'll gently rise and I'll softly call
Good night and joy be with you all”


 
.::Angolo dell'autrice::.
Finendo di giocare ad AC Black Flag mi è rimasto particolarmente impresso questo momento, quindi ho semplicemente deciso di mettere tuto nero su bianco. Non è esattamente un'opera d'arte, ma spero vi sia piaciuta <3
PietraGhiaccio0608
   
 
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