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Autore: Keila Stradlin    24/11/2014    0 recensioni
Ci sono Matt e Dom, quattordicenni che hanno iniziato a conoscersi, ma non ancora abbastanza da definirsi amici. C'è un invito a cena e un temporale, poi solo parole improvvisate e tic frenetici.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!

Parto col dire che sono una fan dei Muse da circa otto anni e che sono attualmente uno dei miei due gruppi preferiti. Non avevo mai scritto niente su di loro; ma qualche giorno fa sono capitata casualmente su questa sezione; ho trovato tanti spaccati di vita su Matthew e Dominic che ho adorato tantissimo, adorazione incrementata dal fatto che ho sempre amato quel rapporto di amicizia estrema che sembra legarli - che, peraltro, mi ha sempre ricordato quella fra J.D. E Turk ( chiunque abbia visto Scrubs penso possa capire bene a cosa mi riferisco! ). Li ho sempre immaginati come due persone impegnate a proteggersi, a coprirsi le spalle a vicenda in ogni occasione; perciò ho voluto provare a scrivere un brevissimo racconto che descriva quando questo esserci l'uno per l'altro sia iniziato. Non è niente di impegnativo, ma spero possa piacervi!


Ovviamente i Muse non mi appartengono, nessuno mi paga per scrivere su di loro, non conosco la loro vita e le loro emozioni e bla bla bla è tutto frutto della mia fantasia.




SILVER LINING

- Puoi restare, voglio dire... a cena. Se ti va -

Matthew scaturì in una risatina nervosa, soppesando quelle parole.

- Non ho intenzione di creare disturbo -

Dom roteò gli occhi al cielo, o meglio, al basso soffitto della sua camera.

- Tanto ormai. Pare che non riuscirò a sfuggire alla tua presenza – replicò con un'ironia che non si discostava poi molto dalla realtà.

Seguirono parecchi secondi di imbarazzante silenzio diluito solamente dalle pesanti gocce di pioggia che ticchettavano irruenti contro il vetro della finestra. Molte gocce e un cielo nero, nerissimo. Il volto di Matt esprimeva senso di colpa e una sorta di preoccupazione che l'altro non riuscì a definire. Ma, come colto da un'improvvisa folgorazione, biascicò – Scusami, non volevo intendere quello che pensi, cioè io... - ingollò una considerevole quantità di saliva prima di proseguire. Quella situazione era assurda. Assurda. Lui che tentava di giustificarsi con Matthew Bellamy, che provava a consolarlo. - Voglio dire, non mi dispiace che tu resti, ecco. -

Davvero non gli dispiaceva? Si stupì della sua stessa affermazione. E da quando? Non aveva forse passato le due settimane precedenti a lamentarsi di quanto fosse irritante l'inquietante presenza del ragazzetto moro che gli ronzava attorno?

- Beh, allora, se davvero non disturbo penso che vada bene – borbottò Matt intento a picchiettare le dita affusolate di una mano sul palmo dell'altra, lo sguardo piantato sulla moquette.

Silenzio. Pioggia, poi un flash nella notte.

Dom sospirò, prendendo tempo, del tempo per riflettere, per non sembrare abissalmente stupido e goffo. - Ci vorrà ancora un'ora prima che la cena sia pronta. Non so, vuoi ascoltare un po' di musica? Posso mett.. -

Un potente rombo di tuono soffocò il resto della frase. Un istante dopo Matthew balzò sul letto, addossato alla parete, strofinandosi forsennatamente gli occhi, tremando come una foglia.

- Cosa diavolo succede? - cacciò fuori Dom, a metà fra l'incredulo e il preoccupato. Osservava l'altro tremare e continuare a strofinarsi gli occhi con una maniacale insistenza, chiedendosi cosa avesse fatto di male per ritrovarsi ad aver a che fare con quel tizio che ogni secondo gli dava sempre più l'impressione di essere un perfetto schizzato.

Matt balbettò qualcosa di incomprensibile gettando occhiate di puro terrore alla finestra fuori dalla quale si susseguivano flash di lampi.

- Bellamy, cosa? E potresti smetterla di strusciarti gli occhi così? Te li caverai fuori! -

- Temporale, Dom. Io. - Si interruppe all'ennesimo scoppio di tuono, gemendo. Le mani avrebbero cominciato nuovamente a torturare i bulbi oculari se Dom non l'avesse afferrato saldamente per i polsi abbassandogli le braccia sulle ginocchia.

- Vuoi dirmi qual'è il tuo problema? Cristo, sembri impazzito. -

- Io ecco scusami. Io, ho paura... sì, insomma, del temporale. Cioè, so che suona ridicolo ma... -

- Oh, Gesù, sei serio? - Domandò. Una domanda che assunse ben presto un tono retorico quando il moro sobbalzò ad un altro tuono gemendo più forte di prima; le dita, se possibile ancor più bianche, grattavano nervosamente i jeans.

Dom si sentì perso. Non aveva idea. Non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi in quella situazione al limite dell'inverosimile. Afferrò ancora una volta i polsi di Matt sedendosi accanto a lui. - Sono solo, solo... è rumore. Solo rumore. Cosa c'è da aver paura? E vedi di stare un po' fermo con queste mani, cazzo. -

Matt ansimò, ispirò profondamente. Assomigliava ad una piccola bestiola indifesa; per qualche istante Dom si sentì invadere da una sensazione non molto definita; non era pietà, né compassione, ma guardando il quasi-ormai-amico non poté impedire a quell'emozione di impossessarsi di lui. Non sapeva darle un nome. D'improvviso, però, sentì il bisogno di trovare un modo per tranquillizzarlo; voleva fargli capire che lui era lì, che avrebbe trovato un modo per aiutarlo.

- Dom, mi dispiace, è una cosa stupida, e ti ho praticamente rovinato la serata, io non sarei dovuto rimanere, ecco. Non sarei dovuto rimanere – Ripeté stringendo i denti. L'essere lì, così disarmato di fronte a qualcuno; si trattava di qualcosa per cui non era pronto. Era la prima volta, la prima, che un altro essere umano veniva a conoscenza della sua stupida fobia. Si odiò per non essere tornato a casa il prima possibile. Non capiva perché. Sapeva del temporale, sapeva che sarebbe successo. E allora perché? L'idea di rimanere a casa di Dominic lo aveva, in qualche modo incomprensibile, rassicurato? Forse riusciva, per la prima volta in vita sua, a percepire uno straniante quanto piacevole senso di amicizia per un coetaneo? Queste domande si agitavano nella mente del ragazzo, confondendosi e perdendosi fra l'inquietudine e l'ansia. Perso com'era in tutti quei dubbi e sensazioni, la voce forte di Dom lo fece sussultare.

- Cosa stai dicendo? Non, non è un problema. Solo, non so cosa poter fare. - Continuava a tenergli ferme le mani, ormai con un gesto meccanico. - è solo rumore – ribadì ancora sentendosi terribilmente impotente.

La voce flebile di Matt gli fece eco – è solo rumore. -

- Già, esatto. Sono solo dei cazzo di tuoni, svitato. Se avessi avuto il tempo di accendere lo stereo nemmeno li avresti sentiti. Pensaci, se tu non li senti, se non sai che sono lì, o credi che non ci siano, bè, allora non ci sono, no? È semplice. - borbottò, riacquistando un po' della sua sfacciata sicurezza in quei discorsi campati in aria.

Matt si lasciò andare ad un risolino acuto, tentando di controllare i tremiti che ancora lo scuotevano. Percepiva la presenza di Dominic, una sorta di calore che lo sfiorava; le sue parole gli parvero improvvisamente sensate. Un altro tuono e Matt sospirò, cacciò fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni e si schiarì la voce. - D'accordo, Howard. Puoi lasciarmi le mani. Credo che mi stia passando, sì, mi passa se metti su qualcosa. -

Dom sbuffò, un po' sollevato e divertito, falsamente irritato. - Sicuro che poi non riprendi a scavarti la faccia? -

- Sicuro come la nebbia in questa cazzo di città – sbottò Matt scoppiando finalmente in una risata genuina, alla quale l'altro si unì, almeno fino a quando il moro non tornò serio ad una velocità disarmante. Gli occhi nuovamente puntati verso il basso. - E comunque, grazie – biascicò sfregandosi per un attimo il viso.

Dom, che si era già voltato verso la scrivania, dove stavano impilate tutte le sue preziosissime audiocassette, sorrise senza che l'altro potesse vederlo.

- I Rage Against The Machine dovrebbero piacerti, giusto? -

  
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