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Autore: grandR    25/11/2014    3 recensioni
L'amore era una promessa. E lui aveva appena mantenuto l'ultima che doveva a sua moglie.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, Doctor - 12, River Song
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Chiedo scusa per aver utilizzato parole inglesi relative al Doctor Who 'originale', ma non ne ho proprio potuto fare a meno. Ho visto la serie per la prima volta in italiano, quindi generalmente ricordo come l'hanno tradotta, ma poi l'ho riguardata tutte le altre volte in inglese, e leggo fanfictions in inglese, quindi... sì, beh, ci sono termini inglesi. Sweetie, dolcezza. Bowties, cravattini. Always and completely, sempre e completamente. 
Attenzione! Non ci sono spoilers dall'ottava stagione, ma ci sono una piccola citazione e una scena dal season finale, che mi hanno portata a scrivere questa one shot. Comunque niente spoilers. 



 

The Time Traveler's Wife




River amava i libri. Li amava esattamente quanto li amava lui.
I libri erano i loro compagni più preziosi, i loro amici più fidati. I libri erano ciò che non li avrebbe mai lasciati, erano quelli che sarebbero vissuti per sempre. I libri li avrebbero sempre seguiti nei loro viaggi, presenze silenziose e discrete ma allo stesso tempo così piene. Piene di storie, di vita, di emozioni, di sapere.
Poi, certo, per loro c'era il libro. Il diario, quello che River aveva scritto e aggiornato ogni giorno, costruendo pian piano la loro vita insieme. Aveva scritto ogni cosa: l'amore, gli alti e bassi, il dolore, quegli attimi di felicità intensa e totalizzante, tutte le discussioni e tutte le volte che lei riusciva a trarle a proprio vantaggio, i pericoli, le corse a perdifiato, i giorni interi passati a esplorare insieme il TARDIS – e i giorni interi passati in certe zone del TARDIS, ricordò con un sorriso.

 

 

Lui indugia sulla soglia, indeciso. Si guarda intorno, passando il peso da un piede all'altro.
«Quindi... è questa?»
River fa un sospiro impaziente. «Sì, sweetie. Non credo che al mondo esista un'altra camera da letto con una collezione di bowties così ricca, onestamente». È al centro dell'ampia stanza, le mani sui fianchi e l'espressione esasperata, ma lui capisce che è divertita.
Non sa ancora chi o che cosa diventerà questa donna per lui nel suo futuro, o che cosa è stato lui per lei nel suo passato, ma lo sospetta. O forse lo sa e non lo vuole ammettere.
«Che ne dici?» chiede River. Poi si morde il labbro inferiore, come se fosse... insicura? A disagio?
E improvvisamente capisce che lui non è l'unico a sentirsi così. Così fuori posto, come se sapesse troppo o troppo poco, come se sapesse tutto e niente. La situazione è nuova anche per lei. Con un nodo in gola gli viene in mente che, probabilmente, un giorno sarà lui a mostrare a una giovanissima River Song la loro camera sul TARDIS, impacciato e timoroso della sua reazione.
«... certo, i miei libri sono ovunque e tu ti arrabbi sempre perché a volte trovi manuali di archeologia anche sotto al cuscino, e siamo entrambi così disordinati che non proviamo nemmeno a fare un po' d'ordine perché sappiamo che impazziremmo dopo tre minuti» sta dicendo lei, agitata, «E le lenzuola sono sempre macchiate d'inchiostro perché mi piace scrivere il diario a letto...»
«River»
«E a volte uso i tuoi bowties per legare i capelli, e tu mi odi per questo, ma...»
«River»
Lei si interrompe, affannata. Alza gli occhi e abbozza un sorriso quando vede quello di lui.
«La adoro»

 

 

In quel diario c'era tutto. Tutto ciò che aveva provato lei, le sue sensazioni, le sue emozioni. Anche lui in tutti quegli anni aveva tenuto un diario, ma non lo aveva riempito della loro storia come aveva fatto lei. A volte il Dottore trovava troppo difficile affidare i propri cuori alle parole. Non riusciva ad esprimere appieno ciò che provava. Né sulla carta, né a voce.

 

 

«River...»
«No!»
«Per favore...»
«No!»
«Lascia almeno che io...»
Lei si volta di scatto, gli occhi fiammeggianti, i capelli più selvaggi del solito. «Non ci provare, Dottore. Non pensare nemmeno di chiedermi scusa e credere che tutto tornerà alla normalità, perché se credi davvero che sarà così... beh, ti sbagli di grosso». La sua rabbia lo raggiunge a dolorose ondate, tenendolo lontano da lei.
«River. Ascoltami» riprova, appoggiando la fronte alle sbarre della sua cella. Lo ha chiuso fuori. «Non intendevo dire quello. Lo sai che non intendevo ciò che ho detto».
«Oh, e cosa intendevi allora, Dottore?» domanda lei. Le sue parole eccheggiano nel corridoio grigio di Stormcage.
«Lo sai che sei... che tu sei... insomma...» balbetta lui, sentendosi un completo idiota davanti al suo sorriso amaro. «Tu sei River Song!» cerca di spiegarsi.
River annuisce. «Quello è il mio nome».
«No, tu sei River, sei tutta... capelli magici e 'hello sweetie' e ti comporti sempre come se fossi piena di segreti e fossi sempre un passo avanti a me in ogni cosa». Il Dottore si sistema il bowtie, cercando di trovare le parole adatte. «E poi sei sempre così intelligente e così curvilinea e quando sono con te mi sento... felice e agitato e malinconico allo stesso tempo, e non riesco mai trovare le parole adatte e finisco sempre col dire la prima cosa che mi passa per la testa» continua, guardandola implorante. «River» mormora, allungando un braccio tra le sbarre, la mano in cerca della sua. Lei la prende sbuffando, ma ora la sua espressione è più morbida. «Lo sai che per me sei... importante. Molto importante. Davvero importante. E stai diventando... una delle cose più importanti».
River sospira, gli stringe la mano. Il Dottore ricambia la stretta, guardandola speranzoso.
«D'accordo» dice lei finalmente, «ma la prossima volta pensaci due volte, o magari dieci, prima di promettere a mio padre che non mi toccherai sicuramente perché per te sono come una sorella, okay?».

 

 

Era stato così impacciato e indeciso, all'inizio. Quando secoli prima aveva incontrato di nuovo River Song, aveva cercato di resistere. Aveva tentato di resistere a quella donna intelligente, coraggiosa, brillante e bellissima che si era dimostrata fin dall'inizio, avvertendo un vago senso di colpa perché nella Biblioteca le aveva promesso di non cambiare nulla della loro storia. Ma aveva cercato di resisterle. Un vano tentativo di cambiare la vita di entrambi. Sospirò, sorridendo amaramente. Si chiese se, dopo tutto ciò che lui e quella incantevole, pazza donna avevano vissuto, sarebbe stato capace di tornare indietro e rifare tutto daccapo, o se avrebbe cercato più ostinatamente di cambiare il corso degli avvenimenti.
Il TARDIS emise un basso cigolio, come a volerlo distogliere dai propri pensieri, ma il Dottore lo ignorò.
Sua moglie gli mancava. Gli mancava terribilmente, ogni giorno, ogni ora. Il pensiero di ciò che era stato e che non sarebbe stato più lo tormentava, ricordandogli a ogni battito di orologio che cosa aveva perso, e che era solo. Aveva amato River, ed era stato amato a sua volta da lei. Con lei era riuscito a essere la persona che non era da molto tempo. E ora... ora che cosa gli restava? Il nulla. Una costante sensazione di vuoto, ormai sua unica compagna di vita. Si strinse le braccia sul petto, avvertendo il battito martellante dei suoi cuori attraverso i vestiti scuri che aveva scelto di indossare, sentendo antiche, calde lacrime riempirgli gli occhi. Il Dottore piangeva raramente, soprattutto nella sua nuova incarnazione, ma non quando si trattava di River Song. L'espressione sul suo viso quando era felice, la gioia tranquilla nei suoi occhi quando, dopo aver fatto l'amore, la stringeva a sé, o il modo appassionato in cui spiegava alle sue classi all'università. Tutti avevano preso molto male la notizia della scomparsa della loro professoressa preferita: il rettore, i colleghi, gli alunni, persino il personale delle pulizie, i segretari, gli ex alunni. Tutti. River aveva toccato tutti, anche inconsapevolmente. Quando era andato a ritirare i suoi effetti personali dal suo ufficio aveva ricevuto migliaia di condoglianze. Ma anche lui ne aveva fatte. A ognuno che incontrava. Sapeva di non essere stato l'unico ad amarla, anche se nessuno l'aveva amata quanto lui. Always and completely.
River teneva una loro foto sulla scrivania, come una moglie qualunque, e non come quella di un viaggiatore del tempo millenario. L'aveva scattata Amy a tradimento durante una giornata in famiglia. “Una giornata per soli Pond!”, l'aveva chiamata nel suo accento scozzese, trascinandolo fuori dal TARDIS. Il Dottore sorrise tra le lacrime, nostalgico.
Avrebbe dovuto essere abituato alla morte. Così tanti lo avevano lasciato, e così tanti lo avrebbero fatto ancora in futuro.

 

 

La cucina è un disastro. Un completo disastro.
«Hai messo troppo lievito!»
«No, tu hai messo troppo lievito! Abbiamo distrutto la cucina!» urla il Dottore, tentando invano di fermare l'avanzata di quella strana pasta spessa e appiccicaticcia che non ha intenzione di cessare di riversarsi dalla pentola.
«A destra! No, a sinistra!»
«Se Clara ci sente e viene a vedere che cosa sta succedendo...» continua lui, fingendo di non sentirla «darò tutta la colpa a te! Sai quanto le piace cucinare!».
River ride. «Oh, stiamo per morire affogati a causa del troppo lievito che hai aggiunto e la colpa sarebbe mia?».
«Avevi detto che eri capace!»
«No, avevo detto che Rory una volta aveva tentato di insegnarmi» chiarisce sua moglie, alzando gli occhi al cielo. «Non è colpa mia se in realtà sei un dodicenne nel corpo di un...» si interrompe, affannata, e lo esamina dal capo ai piedi «Quanti anni dimostri, sedici?».
«Oi!»
Lavorano ancora un po', senza riuscire a trovare la fonte delle loro disgrazie.
«Aspetta» fa River a un certo punto, bloccandosi di colpo, «E se spegnessimo i fornelli?».
Lui fa una pausa. «Oh. Certo. Giusto.»
Gira la manopola. Qualche secondo e l'avanzata della pasta posseduta si arresta. «Ce l'abbiamo fatta! Sei un genio!».
River sorride con aria indulgente, scostandosi i riccioli dagli occhi distrattamente. «Oh, Dottore. Cosa farai quando non ci sarò più?».
Il Dottore alza la testa di scatto. «No» dice, cercando di mascherare il tremore della sua voce con un colpo di tosse. L'atmosfera scherzosa è sparita. «Non... non dirlo.»

 

 

Tra i suoi effetti personali aveva trovato poche cose. In ufficio non lasciava mai tanto di sé. Nello scatolone c'erano solo libri, quaderni, qualche molletta, penne, una foto con lui e una con i suoi genitori, le sue chiavi di casa con il portachiavi del TARDIS. Glielo aveva regalato lui quasi all'inizio della loro storia, prima ancora di sapere chi fosse lei in realtà. Lo aveva giudicato un regalo di poco conto, ma lei lo aveva apprezzato tantissimo.
Nello scatolone, naturalmente, il diario non c'era. River lo aveva portato con sé alla Biblioteca, e il Dottore più giovane lo aveva lasciato lì. Incurante. Curioso. Quasi spaventato. Era andato a riprenderlo dopo Darillium: lo aveva trovato ancora su quel davanzale, dall'aspetto antico, le pagine ingiallite e consumate, ma del blu più blu di sempre. Ora lo custodiva nella sua camera da letto, un cimelio di importanza vitale, necessaria. Non lo apriva da molto tempo. Erano passati così tanti anni. Quel diario era l'unica cosa che davvero gli restava di sua moglie.
Beh, il diario e l'altro libro.
Lo aveva trovato in quello scatolone. Era di una scrittrice terrestre, americana. River doveva averlo amato molto: le pagine erano stremate dalle troppe letture, l'inchiostro un po' sbiadito, la copertina piegata. C'erano annotazioni, frasi e a volte interi paragrafi sottolineati. Quando il Dottore aveva visto il titolo aveva sorriso. E poi lo aveva letto.

 

 

«Dottore?»
«Mmm?»
Nel buio della loro stanza, River si districa dal suo abbraccio, appoggiandosi su un gomito. Lo osserva, il volto illuminato dal chiarore della Luna che il TARDIS proietta alla loro finta finestra.
«Stavo pensando...» Con un dito disegna lettere in Gallifreyano sul suo petto, pensierosa. «C'è una ragione particolare per cui io non ho una chiave del TARDIS?».
Lui aggrotta la fronte, confuso. «Non ne hai bisogno».
«Tutte le tue ragazze l'hanno avuta»
«Oi, non sono le mie... le mie ragazze!» protesta il Dottore, allineando i loro corpi nudi come per chiarire il punto.
River ride, ed è la risata che fa quando si sente tranquilla e di buonumore. Anche il Dottore si innalza su un gomito, in modo da essere alla sua altezza e poterla guardare.
«Tu sei mia moglie. Conosci il mio nome. E sei la figlia del TARDIS. Non hai bisogno di una chiave per poter entrare nella nostra casa.»
River annuisce, ancora sovrappensiero.
«E poi...» continua lui «Tu non sei una delle mie compagne di avventure. Tu sei River Song» ripete la stessa cosa che le ha detto in passato, tanti, troppi anni fa. Le scosta i capelli dal viso, trattenendo qualche ricciolo tra le dita. «Sei la persona che più amo nell'intero universo». Le bacia la fronte, poi le guance, e infine le labbra. «Ma se mai vorrai una chiave, sarò felice di dartela» promette serenamente, «Oppure puoi chiedere direttamente ai piani alti» ammicca verso il soffitto, e la nave cigola quieta in assenso, «Sono sicuro che Sexy te ne farà avere una tutta per te».
River pare più sollevata, forse per le sue parole, forse per la promessa. «D'accordo» sorride maliziosamente «Ma ora magari... occupiamoci di altro».

 

 

Quel libro lo aveva devastato.
Era rimasto chiuso nella sua – loro – camera sul TARDIS per giorni, settimane, non ne aveva idea. Era stato come rivivere tutto dal principio. Era rimasto steso sul letto a fissare il soffitto, inerte.
Aveva creduto che, prima o poi, sarebbe riuscito a lasciarla andare. Lentamente, dolorosamente, lo avrebbe superato, come era riuscito a superare quasi tutto il resto. Aveva sperato che il dolore si sarebbe attenuato. Ma come poteva? Come poteva anche solo pensarci, quando tutto ciò che vedeva o sentiva gli ricordava di sua moglie? Ogni cosa era un pugno nello stomaco, sempre più forte.
Il libro di River era diventato anche il suo. Leggere la sua copia era stato un po' come tornare da lei, come averla ancora vicina.

 

 

Lei è ancora a bordo. Non è andata via. Non lo ha lasciato.
«River?» chiama incerto, esitando nella sala di controllo vuota. Segue il flusso della sua presenza, inoltrandosi silenziosamente nel TARDIS. Quando si arresta davanti alla porta di quella stanza si sente scuotere dall'ennesima ondata di senso di colpa misto a dolore sordo. Chiude gli occhi, fa un respiro profondo, e apre piano la porta.
Lei è sdraiata sul letto. Sembra addormentata, o forse finge di dormire nella speranza che lui vada via. Abbraccia uno dei cuscini e, avvicinandosi, il Dottore vede le ultime tracce di lacrime sulle sue guance pallide.
È stato così egoista oggi, così egocentrico. River aveva detto che non importava. Ma certo che importava. Sua moglie si sentiva in dovere di nascondere il dolore che lui le procurava, ma lui ne era più che consapevole.
«River?» mormora ancora, mentre si stende accanto a lei in quella camera buia e fredda. Si rannicchia vicino a lei, il viso a pochi centimetri dal suo, il profumo familiare dei Ponds che gli pervade la mente.
River apre piano gli occhi. Sono ancora arrossati. Tenta di fare un sorriso, ma ne risulta solo una smorfia tremula.
«Mi dispiace»
«Non...»
«Mi dispiace» ripete il Dottore, «Per tutto. Io... io sono solo...» Scuote la testa sbattendo freneticamente le palpebre, incapace di esprimere davvero ciò che pensa, confuso e addolorato, e non si accorge di star piangendo finché non sente le braccia di sua moglie intorno a lui, i suoi capelli che gli solleticano il viso, il cuscino di Amelia premuto tra loro. Il cuscino che Amelia non userà mai più.
«Shhh, sweetie» gli sussurra River all'orecchio, «Va tutto bene. Andrà tutto bene». Gli accarezza piano la schiena, mormorando parole di conforto che lui non merita. Dovrebbe essere lui a consolarla. Amy e Rory erano i suoi genitori, i genitori che lei aveva perso così tante volte, in così tanti modi. Ed ecco la loro figlia consolare colui che li aveva portati nelle braccia della morte.

 

 

Il Dottore si voltò verso la libreria. Il TARDIS aveva trasferito una parte dei libri nella sala di controllo, sempre un passo avanti a lui. Sempre consapevole di ciò di cui aveva bisogno ancora prima che lo realizzasse lui stesso. Cercò il libro tra le centinaia di volumi, facendo scorrere le dita sui dorsi rigidi, morbidi, neri, colorati, impolverati, e rilasciò un breve sospiro quando trovò ciò che cercava.
Dalla tasca interna della sua giacca prese una chiave del TARDIS. Era l'ultima chiave, quella che non donava mai a nessuno dei suoi companions. Loro avevano avuto – e avevano ancora – la propria copia. Quella era speciale. Non solo era l'ultima, ma era anche quella che avrebbe dato a River se le cose fossero andate diversamente. Nessuno dei due ne avrebbe mai avuto bisogno, ma quel giorno le aveva silenziosamente fatto una promessa che non aveva mai matenuto.
Aprì The Time Traveler's Wife proprio a metà e vi posò la chiave quasi con riverenza, accarezzando con gli occhi quelle pagine che erano state tanto amate da River.
L'amore era una promessa. E lui aveva appena mantenuto l'ultima che doveva a sua moglie.


 

   
 
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