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Autore: FeLisbon    25/11/2014    6 recensioni
Chi non ricorda le parole che Jane usa per descrivere la sua donna ideale? (3x19)
E chi non ha sempre pensato a Lisbon nell'ascoltare quella descrizione?
Ecco, ora che si sono finalmente trovati, tutto sembra essere al posto giusto e Teresa sembra avere tutto ciò che Patrick ha sempre cercato. Ma questo può bastare?
I due partner sono alle prese con un nuovo caso, che tirerà fuori il meglio ed il peggio di loro..
Sulle orme di queste parole, vi auguro una buona lettura.
Genere: Azione, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOMEONE I CAN TRUST


Il sole cominciava a tramontare su un'altra giornata di lavoro. Patrick era sdraiato sul suo comodo divano logoro mentre Lisbon, a soli pochi centimetri di distanza, compilava le scartoffie dell'ultimo caso seduta alla sua scrivania.
“Dai, riproviamo.”
“Jane, fammi finire questo lavoro, quando siamo a casa continuiamo. È già abbastanza lungo e noioso. Se mi distrai ogni secondo non mi passa più.”
“Fammi contento...un'ultima volta!”
In realtà anche rimanere in ufficio sommersa dalle cartacce era divertente ora che il suo consulente rimaneva nei paraggi. Era sempre stata abituata a svolgere la parte burocratica da sola: quando si trattava di compilare, scrivere, archiviare, Jane spariva magicamente. Ma ora aveva preso l'abitudine di rimanere al suo fianco. Certo, non si poteva dire che si rendesse utile, ma la sua compagnia era già un grande incentivo.
Quella sera Patrick si era messo in testa di trasformare la sua agente preferita in una mentalista, versione tascabile.
“Forza, sto pensando ad un oggetto. Hai tre domande a tua disposizione, poi devi indovinare.”
“Ma Jane è la millesima volta che ci proviamo, non è possibile indovinare con così poche informazioni... È un oggetto di tua proprietà?”
“No, non sto pensando al mio divano.”
“Ma... come hai fatto? Sono io quella che deve indovinare, non tu!”
Mentre Teresa si voltava a guardarlo stupita l'uomo sfoderò uno sei suoi meravigliosi sorrisi e ridacchiò soddisfatto.
Quando i loro sguardi si incrociarono rimasero fissi l'uno sull'altra, in pura contemplazione. Per una frazione di secondo Lisbon avrebbe voluto raggiungerlo su quel divano, ma quel momento di scherzosa tenerezza fu interrotto da dei precipitosi passi che si avvicinavano. Erano convinti di essere ormai soli, invece Abbott li raggiunse trafelato.
“Ragazzi, abbiamo un nuovo caso.”
Jane riconobbe subito qualcosa di strano nel tono della sua voce: acuto e con un tocco di preoccupazione. Poi notò che aveva ancora il cellulare in mano, come se si fosse precipitato da loro ancor prima di terminare la chiamata. Però l'espressione del suo viso non lasciava trapelare emozioni di particolare sconforto, quindi tutta quella premura non poteva di certo essere dovuta ad una tragedia enorme. Rimaneva solo un'ipotesi.
“Meh, non mi interessa questo caso. Lisbon, buon lavoro.”
Si alzò, le sfiorò una spalla con la mano e cominciò ad allontanarsi.
“Jane! Dove diavolo stai andando? Non ci ha ancora detto niente. Resta qui.”
Lui non si voltò neanche e proseguì lentamente verso l'ascensore.
“È ovviamente una questione politica. Qualche pezzo grosso ha appena chiamato il nostro caro Dennis facendo pressione perché lavorassimo su questo caso, che per giunta non è neppure un omicidio. Ergo non mi interessa. Sai che non sopporto queste cose.”
Poi si voltò appena un poco per accertarsi che la sua amata partner non fosse del tutto offesa dal suo comportamento e le sorrise dolcemente.
Abbott doveva ancora abituarsi alla perspicacia di quell'uomo così irritante quanto intelligente: ci aveva preso in pieno. Il senatore Holland lo aveva appena chiamato personalmente per chiedergli aiuto. La figlia diciassettenne non tornava a casa da due giorni e i genitori cominciavano ad essere preoccupati. Gli agenti a cui avevano denunciato la scomparsa stavano svolgendo il loro lavoro, ma Andrew e moglie erano convinti che non fosse abbastanza. Volevano i migliori investigatori e, grazie al loro prestigio e alle loro conoscenze, li avevano ottenuti.
“Jane resta qui, hanno richiesto espressamente della squadra al completo, sensitivo incluso.”
“I sensitivi non esistono.”
“Non mi interessa. Tu seguirai questo caso.”
L'uomo cominciava ad irritarsi. Non gli importava proprio un bel niente di quello che preferiva quel consulente da strapazzo. Avrebbe svolto il suo compito, che gli facesse piacere o meno. Bastò un rapido sguardo al volto corrucciato e severo di lui per capire che non avrebbe ammesso un no come risposta. Jane tornò lentamente sui suoi passi per andarsi a stravaccare nuovamente sul divano, fingendo però di non lasciarsi coinvolgere. Mentre Lisbon ascoltava i dettagli si fece passare distrattamente i documenti relativi alla ragazza.
Carol Holland, 17 anni. L'ultima ad averla vista era stata la sua migliore amica Sally Pierce, con cui si era imbucata ad una festa di collegiali – a cui le era proibito andare – due sere prima.
Sbuffò rumorosamente ma i due agenti lo ignorarono alzando gli occhi al cielo e continuando a discutere. Con tutta probabilità era scappata di proposito dalla famiglia per staccare da quell'oppressione costante di cui era vittima, ma presto, finiti i soldi prelevati dalla carta di credito regalatale dal paparino, sarebbe tornata a casa.
Chiuse il fascicolo per appoggiarlo a terra e tentare di schiacciare un pisolino, ma facendo questo cadde una fotografia sul pavimento. La raccolse distrattamente, ma non poté fare a meno di rimane folgorato. Due occhi azzurro cielo lo fissavano con insistenza. Erano vispi, intelligenti e penetranti. Il volto non era familiare, non aveva mai visto quella ragazza prima d'allora, ma quegli occhi... erano i suoi occhi. Occhi di un passato lontano, ma che aveva incrociato nuovamente qualche anno prima nel delirio di un'intossicazione da Belladonna. Erano gli occhi della sua Charlotte.
Improvvisamente non aveva più voglia di dormire o di ignorare il caso. Dovevano trovare quella ragazza. Si sentì stupido: solo perché Carol le ricordava la sua bambina non voleva dire che fosse realmente in pericolo. Era più probabile la sua prima ipotesi di una fuga volontaria, ma adesso aveva bisogno di esserne certo.
Senza accorgersene era saltato in piedi con la foto tra le mani. Teresa lo guardava sospettosa e stupita: che cosa stava facendo? Adesso avrebbe dato qualsiasi cosa per aver imparato quel trucco da mentalista che Jane poco prima tentava di insegnarle. Le sarebbe stato comodo capire a cosa stesse pensando il suo partner.
In tutto questo Abbott si congedò, informandoli che dal giorno seguente avrebbero cominciato delle scrupolose indagini.
Rimasti soli Lisbon tentò di capire cosa fosse successo. Lo aveva visto trasformarsi in qualche secondo dalla sua versione arrogante e annoiata a quella interessata e...coinvolta?
“Patrick, va tutto bene?”
Lui si riscosse tentando di rassicurare la sua piccola Lisbon con un sorriso sincero, ma con scarsi risultati. Se le labbra si inclinavano in una debole smorfia di felicità, gli occhi rimanevano affranti.
“Dimmi quello che pensi. Hai quell'espressione...insomma la tua espressione...l'espressione del passato.”
Era stato così difficile pronunciare quelle parole! Forse non era brava a leggere le persone, ma conosceva bene il suo compagno, e, purtroppo, conosceva bene anche quel sorriso colmo di tristezza. L'aveva sempre e solo dedicato al suo passato. Alla sua vecchia vita.
“Quale espressione? Non è niente, andiamo a casa Lisbon?”
Teresa rimase interdetta, era tornato il Jane di una volta che evitava gli argomenti scomodi e le nascondeva la verità. Questo non andava affatto bene, non più.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee prima di affrontare quella che si prospettava una lunga discussione sulla fiducia, così non rispose immediatamente. Gli sorrise e si avviò verso l'ascensore.
L'uomo apparì sollevato e la seguì prendendola per mano. Era contento di non dover dare spiegazioni in quel preciso istante, ma gli era bastato un rapido sguardo agli occhi di Lisbon per capire che era rimasta delusa. Delusa per cosa? Perché non poteva accontentarsi della sua mezza verità per una volta? Non gli andava di ammettere i suoi sentimenti in quel momento. Cosa avrebbe potuto dire poi? Che quella ragazza le aveva gli occhi di sua figlia e che solo per questa ragione si era accesa in lui la voglia di risolvere il caso? Si sentiva una persona meschina: finché Carol era rimasta un'anonima figlia di papà non le aveva dedicato la men che minima attenzione, ma appena quella stessa ragazza le aveva ricordato una persona importante, sentiva l'urgenza di trovarla ed accertarsi che fosse al sicuro. Questo non era un comportamento da brav'uomo. E da quando Jane era l'uomo di Teresa, voleva essere il miglior uomo. Ancora una volta non lo era stato e ammetterlo ad alta voce sarebbe stato fastidioso. In più parlare di Charlotte con Lisbon lo metteva sempre in difficoltà. Lei si dimostrava aperta e pronta all'ascolto, ma Jane aveva paura di dire troppo, o troppo poco e di ferirla.
Non avrebbero potuto non parlarne, solo per questa volta?

Il breve viaggio verso casa fu silenzioso, ma pieno di pensieri. Patrick non riusciva davvero a mettersi il cuore in pace. Pensava agli occhi di quella ragazza che chissà in quale guaio si era cacciata; agli occhi di sua figlia che ricordava come se lei fosse sempre accanto a lui; agli occhi di Lisbon che volevano una sincerità che non ottenevano. E quest'ultimi occhi più di tutti lo tormentavano. Teresa si meritava la sua completa sincerità. Tanto tempo prima le aveva ammesso di raccontarle solo il trenta per cento delle cose e si era ripromesso che non sarebbe stato mai più così, ma adesso ecco di nuovo il vecchio Jane.
Si voltò a guardare la meravigliosa creatura seduta di fianco a lui alla guida dell'auto. Quanto era fortunato ad averla con sé, quanto ne era innamorato! Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Così decise di farlo davvero, cominciando da quel piccolo passo.
Entrati in casa la prese per mano e la portò verso il divano. La fece sedere al suo fianco.
Teresa era perplessa da quel comportamento. Per tutto il tragitto aveva cercato un modo per intavolare una discussione con lui: la fiducia e la sincerità erano fondamentali per lei, erano pilastri importanti su cui si fondava qualsiasi relazione. Voleva essere chiara su questo, ma nello stesso tempo non voleva affrontare la questione in modo autoritario e non voleva finire con un litigio. Adesso lui appariva così mesto e triste che lei non ebbe il coraggio di rompere per prima il silenzio.
E non ce ne fu bisogno.
“Mi dispiace Teresa, lascia che mi scusi.”
Beh, questa si che era una sorpresa! Jane si stava scusando ancor prima che lei le facesse notare i suoi errori. Non poteva che rimanerne piacevolmente colpita. Ma non furono queste le parole più liete da ascoltare.
“Io voglio dirti che... Insomma... La verità è che mi fido di te Teresa, mi fido ciecamente e tu meriti di sentire sempre la verità su ciò che penso e su ciò che provo. Mi dispiace di essere stato così schivo, so che non deve essere così. Tra noi non deve essere così e ti prometto che non lo sarà mai più. Avrai il mio cento per cento, sempre. Io mi fido di te.”







- Angolo dell'autrice -
Questa è la prima volta che provo a scrivere una storia con più capitoli, ed è anche la prima volta che mi cimento con il racconto di un vero e proprio caso. Quindi spero che fili tutto liscio e che vi piaccia! Soprattutto per queste ragioni sarei molto contenta di ricevere vostre recensioni con eventuali commenti e consigli poiché sicuramente siete dei lettori-scrittori più esperti di me, ed il vostro parere mi sta molto a cuore.
Spero di riuscire ad aggiornare regolarmente ogni 7-10 giorni.
ps: chi indovina il titolo del prossimo capitolo? ;)

   
 
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