Libri > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Adeia Di Elferas    28/11/2014    16 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Minchia_di_re]
Pina è la figlia del curatolo della cava di tufo dell'isola. Nella Sicilia di fine '800-inizio '900, questa giovane donna è costretta a nuotare contro corrente per poter essere se stessa e raggiungere la felicità. Pina diventa Pino e l'intera isola sembra dimenticare quello che è stato e accettare la nuova realtà. In questa breve ff ho cercato di immortalare alcuni momenti, tentando di essere fedele allo stile dell'opera originale (che consiglio moltissimo a tutti voi). Se vi va di leggere, anche senza conoscere la storia intera, ecco qui quello che ho scritto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Sono nata io, Pina.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~ Sto seduta in mezzo all'erba che mi pare un mare, come quello che tengo davanti, ma più caldo e più verde. Che l'acqua, laggiù in fondo, è così scura che sembra nera e non blu.
 In quel luccicare sotto al sole che sta morendo, io ci vedo gli occhi di Sara, che ormai li vedo ovunque, nemmeno ce li avessi disegnati nella mente.
 Ogni momento che aspetto, mi sembra di impazzire e so che alla fine ci esco pazza, da questa storia. Solo Sara mi può salvare, lo sappiamo tutti e due e io aspetto di essere salvata, anche se tra noi, vorrei essere io quella forte, quella che tutti ci devono guardare e dire che come ho amato io, non ha amato nessuno mai.
 Isola mia, tu sei una prigione senza pareti, la più sublime delle crudeltà, la più dolce delle agonie... Starei ore a guardare il tuo orizzonte, ma quello che devo fare è altro, e se non ne trovo il coraggio, io su quest'isola ci muoio mentre ancora respiro...

 *

 È notte, o almeno credo che lo sia... In questo schifio di bara fatta a cella, non capisco nemmeno più che tempo fa o che ore sono. Mi lasciassero morire di fame e di freddo, allora forse troverei la pace.
 Mi inganno. Senza Sara, io la pace non la posso avere. Anche adesso che l'unica cosa che vedo del mondo sono i fasci di luce sottile, quando c'è il sole, o il buio della sera, quando la zia suora mi porta qualcosa da mangiare... Anche adesso io vedo solo i suoi occhi. Non c'è stata volta in cui, quando ero libera, non pensavo a lei guardando la luna e il sole e anche adesso, anche mentre la luna e il sole cerco di immaginarmeli com'erano quando ero piccola, anche adesso ci vedo lei e solo lei.
 Mi stringo le gambe al petto e le trovo magre. Sono uno scheletro, faccio paura anche ai fantasmi ed è per quello che mi lasciano in pace.
 Mio padre mi ha messo sotto terra e mia madre non ha la forza di tirarmici fuori. Ma io la forza di sopravvivere ce l'ho, se non altro per dare dispiacere al padre mio, che comincia a rodersi l'anima, all'idea di aver chiuso sua figlia tra quattro mura di terra.
 Se dovrò morire qua sotto senza più rivedere a Sara, almeno spero che il mio spirito riesca a tormentare mio padre, lui e il suo orgoglio. Meschino, di tutti è quello che ci sta peggio, peggio ancora di me, che trovo nel desiderio di vendicarmi la forza, peggio anche di mia madre, che mi piange come se fossi morta.
 Se solo sapessi che Sara non mi aspetta, mi lascerei morire adesso, subito, e comincerei a infestare i sogni di mio padre, da oggi fino alle fine dei suoi giorni e anche dopo. E invece Sara c'è, è là fuori e chissà cosa pensa... Se guarda la luna, la mia Sara vede me come io vedo lei?

 *

 “Sei sicura di quello che fai, Pina?” mi chiede mia madre, che questa mattina sembra una bambina quanto si è fatta piccola piccola davanti alle mie parole.
 “Lo sono, lo sono...” rispondo io. Lei si stringe le mani sul petto che pare la zia suora quando prega in silenzio.
 Mi gratto la nuca, che i capelli corti mi danno ancora qualche fastidio. Non ci sono abituata, e il taglio fresco è fastidioso perchè mi ricorda quello che ho passato. Ho le braccia ancora deboli, come il resto del corpo, per via dei mesi di camurria che passai sotto terra per colpa delle decisioni di mio padre che una figlia come a me non l'ha mai voluta.
 “Ma, Pina...” insiste la povera donna, incerta. Quando siamo sole, ancora Pina mi chiama, ma è meglio che si fa l'abitudine pure lei. Ci manca solo che davanti agli uomini della cava ci scappa di chiamarmi Pina.
 “Madre, merito fiducia, no?” chiedo, senza guardarla. I suoi occhi si sono tinti di insicurezze, come non li vedevo da tanto.
 “Dico solo, bambina mia... Tu con un masculo mai sei stata. Come fai a dire che non ti piace? A Ventura ti sposa pure, se ci ripensi, tutte cose sistemiamo di nuovo...”
 “Non è questione di masculo o fimmina, madre...” dico io, mentre una fitta di dolore mi trafigge il petto, che nemmeno quando mia zia suora ha parlato del suo figlio mai nato mi è successo. La guardo un po', poi le dico quello che credevo avesse già capito: “Lo giuro davanti alla madonnuzza santa: il mio è amore vero. Io amo Sara, solo lei, non c'è nessun altro, nessuno.”
 Le afferro le mani e la guardo fisso fisso, mentre lei cerca di sfuggire il mio sguardo e in questo momento sento che anche il petto suo è trafitto dallo stesso dolore che attraversa il mio: “Madre, io solo a Sara amo e io Sara me la sposo.”

*

 “E saremo felici?” mi chiede Sara, passandosi tra le dita un filo d'erba e io vorrei essere quel filo d'erba solo per sentire il suo tocco e perdermi in lei.
 Ho le gambe molli, perchè ancora non mi pare vero che ci sposiamo e che possiamo farlo, e che nessuno poi potrà dirci che no, che è sbagliato, che dobbiamo disfare tutto.
 “Saremo le persone più felici della terra.” assicuro io, guardando l'orizzonte. Vorrei guardare lei, ma ho paura di non riuscire a trattenermi. La voglio baciare, la voglio sentire addosso e perdermi nel suo profumo. Quando c'è lei, la mia mente si spegne, mi lascia stordita e tutto quello che posso pensare è che vorrei essere sposata con lei già da anni, perchè lei è l'unica che voglio.
 “Non mi guardi?” chiede lei, con la voce sottile che pare leggera come la piuma di gabbiano che ho trovato ieri sera sulla spiaggia.
 Io la guardo e lei sorride e nel suo sorriso c'è l'origine del mondo, e tutte le stelle, e la luna e il sole, e io potrei morire dalla felicità che ho nel petto.

*

 “E allora io ci dissi – sta raccontando Sara, con le mani strette strette in grembo – che a te sposavo. Proprio così le ho detto a mia madre: a lei la sposo.”
 “E tua madre?” chiedo io, sulle spine, perchè un po' di paura ancora la tengo che Sara non mi voglia sposare per riguardo a sua madre che lo sa che io sono sempre Pina, anche se adesso tutti mi devono chiamare Pino.
 “Lei stava per piangere, meschina...” fa Sara, abbassando lo sguardo, ma sorridendo e mi permetto di respirare e tornare a sperare: “E lei mi disse: e se poi la vita è troppo dura e se poi vi allontanano tutti?” “E tu?” “E io ci dissi che tu la figlia del curatolo della cava sei, e che un giorno tutti questi uomini che lavorano sotto a tuo padre, lavoreranno per te e che dovranno chiamarti don Pino e che ci faranno pure la riverenza quando che t'incontrano per l'isola.”
 Le prendo una mano e la stringo forte tra le mie: “E quindi?” “E quindi pianse e mi disse di cuore che se con te ero felice, era l'unica cosa che importava.”
 Senza più riuscire a frenarmi, cerco le sue labbra e la bacio con lentezza, come se avessimo tutto il tempo del mondo, perchè adesso per me è così, abbiamo davanti tutta la vita e nessuno potrà portarmela via, mai...

*

 “Dimmi la verita, Pina! Con un'altra sei stata? Questo profumo di chi è?!” sta gridando Sara e io vorrei nascondermi e sparire.
 Mi tolgo in fretta la camicia da lavoro e prendo quella per dormire, mentre dico: “Ma che stai dicendo... Con gli uomini all'osteria ero...” “E si mettono il profumo, gli uomini che per te lavorano?” chiede lei, con la sua voce piena di rabbia e risentimento.
 Anche io sento una rabbia incredibile salirmi nella gola, e il motivo è che non posso darle torto, non posso difendermi.
 “A stare coi masculi, stai diventando come a loro. Oggi mi menti e mi tradisci e domani cosa farai? Quando sarai ancora più potente mi lasci per un'altra?” chiede Sara, fissandomi con gli occhi accesi come la brace che cova un fuoco nuovo: “Prima ti importava solo di me e della nostra felicità, ora vuoi il potere e questo ti sta mandando a schifio tutta la testa...”
 Credo, per un momento, che stia per piangere, ma mi sbaglio. Sara non piange, perchè è forte e perchè non mi vuole dare la soddisfazione di vederla gelosa quanto è.
 Non dico nulla e le si chiude nel silenzio che scende un freddo che mi pare di essere tornata nella cella sotto terra in cui mi rinchiuse quella buon anima di mio padre.
 Mi stendo sul letto e mi metto a guardare il soffitto, mentre lei al mio fianco se ne sta rigida e non mi dice nulla, nulla, nulla.
 “Mi tradirai ancora?” mi chiede quando ormai è notte fonda e nessuna di noi due dorme perchè siamo ancora troppo prese dal nostro litigio silenzioso.
 “No.” prometto: “Mai più, Sara. Lo giuro davanti al signoruzzo nostro. Per me solo tu esisti.” Con la sua mano cerca la mia e la stringe con forza: “Va bene.” cede: “Ma non giurare, porta male e non sta bene. Non si fa.”
 Sollevata, la bacio sulla guancia, ma lei mi allontana: “Stasera no. L'odore del profumo di quella mi dà la nausea.”
 Non me la prendo. È una punizione mite, per una colpa grande e mi sta bene così.

*

 Ci sono dei momenti in cui sono divorata dalla gelosia. Non mi importa se Centomogghi è come un toro da monta, come un animale che fa quello che gli dici di fare. Se penso che adesso sta con Sara, io vorrei ammazzarlo con queste mie mani.
 Lo sapevo che sarebbe stato difficile, perchè lo sapevo. Così, però, è troppo. Ho paura che le faccia del male e ho ancora più paura che a lei ci piaccia e non mi voglia più.
 Quanto bisogna patire per avere un figlio proprio? Se fossi nata masculo, non sarei stata così male per questo. Se fossi nata masculo, ci avrei pensato io a far restare incinta a Sara. E invece fimmina sono e m'è sempre stato bene così.
 “Don Pino...” mi dice un uomo della cava, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Che c'è?” chiedo io, infastidita. Non mi piace che mi interrompono mentre che sto pensando, perchè già è una brutta giornata, ci manca solo che mi fanno saltare i nervi.
 “Un problema con un pezzo di tufo c'è.” mi dice l'uomo, facendomi segno di seguirlo. Gli vado dietro, perchè non posso fare altro e quando mi porta davanti al problema, ci dico che potevano cavarsela anche da soli e gli dico cosa fare.
 Mentre torno all'aria aperta, perchè dentro mi ci manca il fiato dall'odore di chiuso che c'è, un lavoratore che conosco poco, si fa cadere un pezzo di tufo e i pezzetti si spargono ovunque.
 Non ragiono e prima che me ne renda conto, ho la cinghia in mano e lo sto colpendo con forza sulla schiena, mentre lui è chino a raccogliere quello che ha disseminato ovunque: “Bestia sei!” gli sto gridando, gli occhi accecati dall'odio: “Bestia, non uomo! Bestia!” davanti alla mia vista c'è Centomogghi, non il bracciante che cerca di ripararsi dai miei colpi senza trovare il coraggio di rimettermi al mio posto.
 Anzi, mentre si tira su, quando non ho più forza nel braccio, mi dice anche: “Avete ragione, don Pino, bestia sono, perdonate, don Pino...”
 Gli faccio segno di andarsene e quello quasi scappa, per paura che possa decidere di cacciarlo.
 Quando ritorno in possesso di me stessa, mi rendo conto che mi è arrivato accanto Nicolino. Mi fissa con uno sguardo di fuoco che in lui non l'avevo mai visto. Ci faccio schifo, lo si vede da come alza il labbro, mentre dice: “Come a tuo padre stai diventando: facile a menar le mani e niente palle nei pantaloni.”
 Alzo il braccio e lo colpisco con uno schiaffo in pieno volto. Non si muove nemmeno: “Schiaffo da fimmina è.”
 Sento il collo che mi si fa rosso e lui finalmente cambia espressione. Anche se ancora contrariato, c'è l'ombra di un sorriso sul suo volto e io mi ci sento ancora come quando avevo tredici anni. Con lui metà della mia vita ho diviso. Lui può capirmi, a lui ce lo posso dire cosa mi ha fatto alzare le mani sul manovale senza averne un vero motivo.
 E invece, quando mi chiede: “Tutto bene?” Io ci rispondo, alzando il mento: “Tutto come Dio comanda, tutto bene.”
 Nicolino sospira e mi dà una breve pacca sulla spalla: “Don Pino...” mi saluta e se ne torna al suo lavoro senza voler sapere altro.

*

 “Davvero c'è il figlio nostro qui dentro?” chiedo, sorridendo, mentre Sara mi fa appoggiare una mano sul suo ventre. Comincia appena a gonfiarsi e a sentire il dottore, siamo quasi a metà della strada.
 “Davvero c'è.” risponde Sara, accarezzandomi la fronte: “Ti stanno venendo le rughe, Pina...” “I masculi che travagliano devono avercele, le rughe, Sara.” le faccio notare.
 Le sue labbra dolci si incurvano ancora di più: “Ma ci pensi che tra qualche mese avremo un figlio?” “Un figlio nostro.” dico io, cercando di sondare l'arcano mistero del ventre di Sara tendendoci sopra la mia mano che trema appena all'idea di quello che capiterà.
 “Saremo dei bravi genitori.” dice Sara: “Ci impareremo le cose, ci spiegheremo come pregare alla madonnuzza nostra e al suo figlio Gesù e saremo felici.”
 La bacio sulla fronte: “Saremo felici.” le assicuro. Appoggia la sua mano morbida sul mio collo e si avvicina, per biaciarmi sulle labbra. L'universo e le stelle tutte mi compaiono davanti agli occhi e vorrei che il bacio non finisse mai.
 E invece finisce e quando riapro gli occhi Sara mi sta fissando con insistenza. “Cosa c'è?” le chiede, domandandomi se ho fatto qualcosa di sbagliato o di strano.
 “Sei stata l'amore della mia vita.” mi dice. Il tono che usa non mi piace, ha qualcosa di sinistro e oscuro, come se si portasse un presagio funesto.
 Allora mi sforzo di sorridere e le chiedo: “Perchè? Sono stata e ora non la sono più?” Ride: “La sei ancora. Sempre.” “Sempre.” le faccio eco e riprendo a baciarla, sentendo come se il tempo che avevo sempre pensato infinito fosse invece contato e sempre meno.
 “Tu l'amore mio sei...” le dico, mentre le mie mani scendono di nuovo sulla sua pancia che tiene dentro nostro figlio: “Sempre...”
 E la stringo forte a me, mentre la sento respirare contro di me, e vorrei che non se ne andasse mai, perchè lei è la mia unica sposa, il mio unico amore, la mia ossessione... Eterna mia ossessione...

   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas