Dedicata a Sarajane,
senza la quale,
questa raccolta
non esisterebbe.
Grazie di cuore, musa.
Il
suo primo ricordo era un fazzoletto di cielo, una linea sottile
schiacciata tra due alti palazzi. Azzurro e luminoso, e
benché
limitato nella sua forma, gli aveva dato la sensazione di infinito e
libertà.
A
volte, se strizzava gli occhi con forza, il negativo di
quell'immagine si formava dietro le palpebre, e rimaneva per alcuni
istanti a osservare dettagli che non sapeva nemmeno di aver
assimilato, come una maglia rossa messa a stendere nel filo che
correva tra i due palazzi, che garriva nel vento, comparendo nella
porzione di cielo con arroganza e impedendogli di ammirare per bene
quella meraviglia.
Però quel colore gli era istintivamente piaciuto.
Si
acquattò dietro il cassonetto, scrutando da dietro il suo
riparo con
paura, le orecchie tese: doveva tenere d'occhio quel piccolo gruppo
che si era infilato in fretta e di sorpresa nel vicolo dove lui si
trovava in cerca di cibo; aveva avuto appena il tempo di nascondersi,
non ce n'era stato abbastanza per scappare.
Erano
quattro ragazzi, con piercing e creste colorate, che trascinavano un
quinto al riparo da occhi indiscreti, strattonandolo con poca grazia.
Quello tremava tantissimo, incapace di reagire alle angherie subite.
Uno
dei quattro lo afferrò per il bavero della giacca e lo
sbatté
contro il muro, sovrastandolo come un predatore in piena caccia,
alitandogli contro con astio.
“Come
sarebbe a dire che non ci darai più soldi? Papino ti ha
tagliato i
fondi? O tutt'un tratto ti sei fatto coraggioso, stronzetto?”
gridò, facendo ridere il resto del suo gruppo.
Lui
si contorse dalla rabbia, lì nascosto dietro il cassonetto.
Una
delle cose che aveva fatto più fatica ad imparare, era stato
parlare
e capire il linguaggio umano. Le parole non avevano avuto senso
all'inizio, erano suoni e rumori che si intersecavano e si univano,
ma che non gli trasmettevano niente; era stato più il modo
in cui
venivano pronunciate, che gli aveva fatto capire cosa l'interlocutore
volesse dire.
E
quelli lì non volevano solo spaventare il ragazzino, ma
anche
ripassarlo e umiliarlo, se non avesse dato loro ciò che
volevano;
c'era poco da scherzare.
Saltò
fuori dal suo riparo con rabbia, con i pugni in alto per affrontare
quei quattro bastardi, ma bastò la sua sola vista a decidere
l'esito
dello scontro: i quattro urlarono di paura con gli occhi sbarrati,
poi scapparono a rotta di collo, sparendo dal vicolo in un lampo.
Rimase
un attimo attonito con lo sguardo sulla luce tra i due palazzi, sulla
piccola fessura che portava alla via principale dove lui non osava
avventurarsi, mentre la rabbia sembrava in un certo senso
affievolirsi e al contempo rinascere, per un motivo differente.
Si
riscosse, girando il capo verso destra.
“Stai
bene?” chiese con voce stentata al ragazzino. Non era ancora
bravo
a parlare, non rivolgeva mai la parola a nessuno.
Al
sentire la sua voce rauca, quello spalancò ancora
più gli occhi e
si rialzò tremante tenendosi contro il muro.
Lui
gli si avvicinò, temendo che cadesse, ma il ragazzino
scartò a
destra, allontanandosi con paura.
“No-non
mi toccare, mostro!” urlò con l'orrore nello
sguardo e la voce,
spronando le gambe malferme ad allontanarsi da lui, senza voltarsi
indietro.
Il
rumore dei suoi passi frettolosi che rimbombava in quello stretto
viottolo scomparve, e gli rimase solo il silenzio.
Rimase
a guardare il vuoto, con quella rabbia graffiante nel petto, che gli
faceva tremare il corpo, di disgusto. Si accorse di aver stretto le
mani a pugno forte, dalla rabbia, e che si stava facendo del male con
le sue stesse unghie. Le aprì e osservò il palmo
arrossato e i
segni dei due solchi, gonfi e pulsanti, ma senza farci caso davvero.
Mostro.
Quella
parola la conosceva benissimo. Era stata la sua prima parola.
Ricordava
bene quel fazzoletto di cielo, la prima volta che aveva aperto gli
occhi alla vita. Tutto il suo mondo allora era un vicolo oscuro e
puzzolente e uno straccio di azzurro lassù.
E
suoni spaventosi. E cose che non capiva. E fame, anche se non sapeva
cosa fossero quel vuoto e quel rombo dentro di sé, allora.
Tutto
intorno a lui era nuovo e spaventoso, ma mai come quel grido che lo
terrorizzò al punto di fuggire: una donna che si era
affacciata per
ritirare i panni stesi lo aveva scorto e aveva gridato come se la
morte l'avesse presa, urlando quella parola come se fosse una
maledizione.
Mostro. Mostro. Mostro.
Le
sue grida sempre più alte e terrorizzate lo avevano
inseguito per
tutta la fuga, oltre il viottolo, oltre la recinzione in metallo,
oltre le persone che aveva superato con tutta la sua
velocità mentre
cercava un riparo da tutti quegli occhi crudeli e spaventati da lui,
che non aveva fatto loro niente, che non capiva.
Si
era fermato solo quando era stato sicuro di essere solo, quando tutto
ciò che lo circondava fu solo spazzatura e piccoli topolini
innocui,
che pure erano fuggiti quando lui si era lasciato cadere al suolo,
riprendendo fiato con disperazione, con fitte lancinanti per tutto il
corpo.
Aveva
artigliato il terreno polveroso con disperazione e rabbia e le aveva
viste, le sue mani: verdi, a tre dita. Ancora non sapeva cosa
fossero, ma era certo che non dovessero avere quell'aspetto.
Come
se in qualche modo sapesse o ricordasse che un tempo non aveva avuto
mani come quelle.
Si
era alzato con fatica e il suo sguardo era stato catturato da un
manifesto consunto appiccicato secoli prima alla vetrina di un
negozio abbandonato, con i vetri così pieni di sporco che
non si
poteva vedere l'interno: due ballerini stinti compivano una presa al
volo, statici nella loro posa.
Aveva
guardato con attenzione la loro carnagione pallida, le loro mani a
cinque dita, i loro sorrisi patinati, ma perfetti, le acconciature
impeccabili. Poi aveva poggiato la sua strana mano verde contro il
vetro della vetrina e con una strofinata poderosa aveva scrostato uno
strato di sporco, rivelando la superficie riflettente sepolta al di
sotto.
E
li aveva visti. I sui occhi scuri ricolmi di paura e meraviglia, che
rimandavano il suo sguardo sorpreso. La mano era scivolata sulla
superficie ancora, portandosi via altro sporco, e poi di nuovo,
scoprendo pezzo per pezzo la sua figura: carnagione verde, piedi con
due dita, uno spesso piastrone sul davanti e un durissimo guscio
sulla schiena, appena visibile oltre le sue spalle; e quella testa
dalla forma strana.
Non
ricordava nemmeno quanto tempo era rimasto a guardare la sua immagine
riflessa nel vetro pieno di strisciate di sporco e poi il manifesto,
e poi di nuovo sé stesso e il manifesto, in circolo.
Perché
lui non era per niente come quelle persone ritratte sopra e lo aveva
capito, istintivamente, che non era giusto. E quella parola gli era
saltata in mente, benché non ne avesse capito il
significato,
allora. Ma il suono con cui la donna lo aveva pronunciato era stato
peggio che una coltellata nel cuore, peggio della sensazione di fame
che lo attanagliava.
“M-mostro” aveva balbettato incerto alla sua figura, piena di confusione e ferita.
Persino
col suo tono malfermo, quella parola gli aveva fatto rabbia e
terrore, tanto da fargli perdere il controllo e battere i pugni
contro il vetro finché le sue mani non avevano preso a
sanguinare e
la vetrina non si era rotta, mandando in pezzi anche il suo riflesso.
Era
stato il suo primo giorno sul mondo e aveva sperimentato sia il
dolore fisico che quello dell'anima, e nessuno dei due gli era
piaciuto.
Da
allora aveva ascoltato e ripetuto centinaia e poi migliaia di parole,
nascosto nelle ombre, affamato di conoscenza, eppure spaventato dal
chiederla o cercarla presso quelli che aveva capito essere umani,
diversi da lui.
Si
riscosse e sollevò le spalle con nonchalance, per far finta
che quei
ricordi e quelle sensazioni non gli importassero, anche se in
realtà
gli ferivano il cuore e la mente ogni istante. Fare finta era l'unico
modo che aveva e conosceva per andare avanti.
Si
allontanò a grandi passi, diretto verso il cassonetto dove
stava
cercando da mangiare prima di venire interrotto, e prese a frugare
tra gli scarti della cucina della pizzeria del quartiere: riusciva a
trovare sempre qualcosa, da quelle parti.
Agguantò
una scatola mezza acciaccata dal fondo e la aprì, senza
molta
speranza: gli scappò un sospiro al vedere due fette di pizza
un po'
bruciacchiate, gettate come se fossero spazzatura. Le
trangugiò in
un secondo, divorato dalla fame, con gli occhi fissi sul cielo
già
scuro sopra di sé.
Le
giornate si stavano accorciando e sentiva freddo sempre più
spesso
negli ultimi tempi, avrebbe fatto meglio a cercare un riparo al
più
presto.
Se
avesse poi trovato altri come lui o una spiegazione di cosa fosse non
sarebbe stato male, ma in quei mesi in cui aveva vagato senza tregua
in ogni parte della città, non si era mai imbattuto in niente
del
genere, perciò forse non esistevano altri come lui. Aveva
scoperto
che c'erano umani di molti colori diversi, che coesistevano
più o
meno pacificamente, ma in quella tavola variopinta non c'era il
verde. Nessuno era verde come lui.
Forse
era unico al mondo. Solo al mondo.
Ma
allora cosa era e perché era nato? A volte se lo chiedeva,
nelle
sue scorribande solitarie per cercare di sopravvivere, per cercare
cibo e riparo dagli occhi che lo guardavano con disgusto. E allora
sollevava lo sguardo al cielo e ricordava quello stralcio azzurro che
aveva visto, il suo primo ricordo, quella sensazione di paura eppure
eccitazione, per essere vivo.
Il
suo primo ricordo era un fazzoletto di cielo, una linea sottile
schiacciata tra due alti palazzi.
E
se era nato sotto quel cielo, come chiunque altro, doveva pur esserci
una ragione.
Note:
Buona
sera!
Eccoci ad un nuovo progetto, una raccolta di OS ispirate dai nuovi comics IDW. Ne sono entrata in contatto da poco, sono solo al quarto, eppure mi hanno ispirata moltissimo, ho già prodotto cinque OS e spero che continuino a darmi idee.
Le Os non sono lineari, sono nell'ordine in cui mi sono venute in mente o in cui le ho scritte.
Questa
è ispirata al periodo in cui Raphael vaga da solo, senza
sapere cosa
sia in realtà, prima ancora del numero 1, quindi.
Voglio
giocare con questa raccolta, perciò non assicuro che nel
futuro io
non decida di sperimentare in prima persona o anche con altre forme
narrative. Chissà, vedremo.
Per
questa Os in particolare, non ho mai messo il nome di Raphael,
perché
lui non sa il suo nome, ancora, e noi siamo con lui nella sua
ignoranza.
Spero
vi piaccia!
Un
uragano di abbracci!
Un disegno della bravissima Sarajane92, dedicato al capitolo! Grazie, tesoro! E' stupendo!