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Autore: Lullaby 99    30/11/2014    6 recensioni
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«Se dovessi dire qualcosa di romantico, sì insomma, una di quelle frasi sdolcinate che piace a voi ragazzine, cosa diresti?» chiese beffardo con finta indifferenza, nonostante la curiosità lo stesse divorando.
«Il mondo per un cuore.» rispose lei facendo un passo in avanti, continuando la sua danza in mezzo alla sala, fissandolo intensamente negli occhi.
«E se ci fosse qualcosa di più intenso e romantico?» disse lui col suo solito tono.
«Impossibile.» rispose sicura atterrando in un elegante caschè tra le sue possenti braccia.
«Se tu puoi darmi il mondo per un cuore, io posso donarti la vita per un istante.»
{...}
Una volta intrecciato il filo rosso del destino non può più essere sciolto
BuOnA LeTTurA ^^
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Proposta

InuYasha
Capitolo: 8
 
Miroku sbuffò.
La sua vita era diventata talmente scombinata in così poco tempo che nemmeno riusciva a capacitarsene completamente. Non che avesse chissà che problemi esistenziali, sia chiaro, ma la sua esistenza da ‘spirito libero’ era stata drasticamente mutata in quella da ‘anima tormentata’. 
L’ingresso di Sango nella sua quotidianità era stato destabilizzante ma allo stesso tempo immensamente piacevole.
Era strano, molto strano.
Non era possibile che, dopo una semplice occhiata, lui avesse perso la testa per una perfetta sconosciuta. Eppure, era quel che era successo. 
L’aveva vista, e sì, c’era rimasto letteralmente secco.
Che dire, amore a prima vista? Pff, si sentiva come un adolescente alle prese con la sua prima cotta. E scoprì che era terribilmente meraviglioso.
Era bella, tremendamente affascinante ai suoi occhi. In aspetto, per quanto gli costasse ammetterlo, non aveva molto di più di tante altre ragazze che vi erano in giro. Era bella, ma nella norma. Ma ogni volta che la sua snella e slanciata figura si delineava dinanzi al suo sguardo oltremare, automaticamente, senza una spiegazione precisa e razionale, diventava la donna più incantevole di tutto il mondo intero. Se poi, accanto a ciò, si affiancava il suo carattere e i suoi modi di fare, subiva un’altra trasformazione: diventava una donna perfetta
Era diversa, molto differente da chiunque avesse mai incontrato.
Poi, il fatto che lei lo odiasse, era meglio lasciarlo in secondo piano, per non alimentare ulteriori depressioni.
Sembrava quasi sciocco, impossibile, che lui, già, proprio lui, si fosse innamorato - sempre se di amore si trattava, anche se ne era pressoché sicurissimo - così rapidamente della mora.
Dei suoi occhi violacei e penetranti, dello sguardo protervo che gli rivolgeva, ma che sotto malcelava un animo pacato e rilassato.
Era così pura e sincera, quasi da essere disarmante.
Eppure, osservandola con maggiore attenzione, era impossibile non notare quella nube oscura che la rendeva talvolta cupa e turbolenta al tempo stesso.
Il problema era un altro. Lei era convinta che fosse solo un ragazzo viziato e libertino — cosa fino ad un certo punto anche vera, fino ad un certo punto, eh — e perciò si rifiutava di aver anche solo un misero colloquio con lui. 
Che male c’era poi a fare l’idraulico improvvisato, non lo avrebbe mai capito.
E fu allora che, tornato a casa dopo la deludente conversazione avvenuta con la ragazza che ultimamente affollava i suoi pensieri, incontrò Koga, e proprio quello che all'apparenza pareva l’inutile e svogliato fratello, gli tornò più utile di quanto avrebbe mai immaginato. 
Certo, il fatto che, per arrivare all'illuminazione attuale, aveva dovuto sorbirsi i suoi scleri esistenziali, era cosa di ormai poco conto.
Si sarebbe appurato di non chiedergli mai consigli. 
In ogni caso, torniamo a noi. Dopo che il fratello gli aveva melodrammaticamente illustrato la sua ‘complessa e serissima’ condizione sentimentale, ovvero dopo avergli detto che aveva appena mollato la sua ragazza perché pretendeva una relazione seria, una piccola e luminosa lampadina si era accesa nella sua mente.
Una relazione seria.
Questo? Ma certo!
Sango non si sarebbe mai abbassata ad accettare la sua avance ma soprattuto di concedergli di provare a uscire con lui. 
Inoltre, non sembrava affatto propensa a lasciarsi incantare da romanticismo e robe simili.
Sì, doveva per forza avere qualche problema interiore, ne  era sempre più convinto ormai.
In ogni caso, quel che in poche parole stava frullando nella sua piccola ma astuta mente, era con ogni probabilità una delle mosse più azzardate e spericolate della sua inesperta vita. E medesime erano le possibilità che il suo simpatico tentativo di conquistare la ragazza degenerasse e affondasse in qualche angolo sconosciuto di un qualche oceano altrettanto anonimo. 
“Ma perché mai ho deciso di tornare in Giappone?” si chiese leggermente sconsolato.
Eppure, un piccolo, vano, anche se magari inutile tentativo, poteva farlo, così, se non altro, non avrebbe avuto più rimpianti. 
Andava bene anche una negazione, pur di non sentirsi dire costantemente da una qualche fastidiosa vocina nella sua mente, che poteva deliberatamente definire coscienza, che non aveva cercato di conquistarla fino all’ultimo. 
Fu con tutti questi pesanti e contorti pensieri che Miroku bussò alla stanza dei propri genitori. 
«Avanti.» borbottò una voce piuttosto seccata, che per un attimo fece balenare per la mente del moro l’idea di fare dietrofront. 
“Sii uomo!” si disse, inspirando come poche volte aveva fatto.
La porta s’aprì con un leggero cigolio sinistro, che lo fece sussultare. Le possibilità erano due, si disse: o la casa era arrugginita a tal punto che i cardini stavano iniziando a cedere miseramente — anche se aveva molti dubbi su questa teoria —, o lui era talmente agitato da sentir e veder tutto sotto i riflettori di un film horror. 
“E che vuoi che sia!” cercò di farsi forza. Ebbene sì, per quanto gli costasse ammetterlo, era leggermente terrorizzato dalla loro reazione, soprattutto di quella della sua ‘docile’ madre. Non che non lo fosse, almeno da come si era sempre comportata coi suoi figli, ma quando voleva sapeva incutere una certa agitazione.
Trovò la stanza avvolta in un surreale silenzio, quasi fosse ricoperta da uno stato di immobilità, tanta da bloccare anche l’aria che avrebbe dovuto circolare tra quelle quattro mura. Le tende erano semichiuse, diffondendo così una leggera luce calda ma intensa, di un arancio-giallo particolarmente brillante ma sfumato. Ai suoi piedi troneggiava un enorme tappeto color porpora — un colore che era gratificante per gli occhi altrettanto cremisi della madre — non troppo aggressivo. Sulla parete destra, la sua destra, spiccava un ampio quanto invitante letto a baldacchino, intonato perfettamente col resto dei colori che irradiavano la stanza. Le sottili tende del letto erano di un tenue color crema, i cuscini — gli infiniti cuscini — erano della medesima tonalità, mentre il lenzuolo sfoggiava lo stesso rosso carminio.
Lo affiancavano due comodini d’ebano, stesso materiale di cui era fatto lo schienale del letto.  Sul muro parallelo a lui invece vi erano ben altre cose. All’estremo destro, poco più in là dal letto per precisione, era posto un mobile pressoché basso con incorporato un grande specchio ovale bordato di un legno pregiato e sempre scuro. Yukiko era lì, che gli volgeva le spalle leggermente ricurve, intenta a passarsi instancabile il pettine tra le ciocche leggermente ricce e castane mentre ammirava la propria figura snella e slanciata nel riflesso. Gli scoccò un’occhiata, sorridendogli appena, in cenno di saluto, al quale ricambiò debolmente. Al centro di quella medesima parete, vi era un camino piuttosto antiquato, sul quale spiccava un quadro che raffigurava chissà quali figure astratte. Al centro della stanza invece, vi erano due poltroncine in pelle, di un pallido color crema — sempre abbinate col resto dell’arredamento —, disposte intorno ad un basso tavolino in legno scurissimo. E lì era seduto Mikado, senza dare le spalle alla moglie. Era concentratissimo in una partita a scacchi solitaria, tanto che probabilmente non si era accorto nemmeno della sua presenza. Gli occhi acquamarina si muovevano frenetici e pensosi lungo la superficie della scacchiera, mentre ogni tanto si batteva un dito sul mento, forse nel tentativo di farsi venire qualche colpo di genio e procedere col gioco. 
Infine, sulla parete sinistra, vi era un enorme armadio a sei ante, sempre di quel benedettissimo ebano scurissimo. Inoltre vi erano tanti quadri, di svariato genere, appesi lungo i muri. Una stanza oggettivamente abbastanza semplice, ma che trepidava di eleganza e classe da ogni più piccolo poro.
Inutile dire che, ovviamente, era tutto stato personalmente scelto dalla madre, in ogni più irrilevante e minuzioso dettaglio, dall’insolito color porpora fino ai mobili d’ebano. 
«Oh, figliolo, vieni entra, che ci fai lì impalato alla porta?» lo invitò Mikado, improvvisamente accortosi della presenza di qualcuno di troppo in quella stanza. 
«Ehm, certo.» bofonchiò il ragazzo, sentendosi sempre più nervoso. 
«Ecco, in realtà, dovrei parlarvi di una cosa molto importante, ad entrambi.» calcò accuratamente l'ultima parola, in modo che anche la donna, ancora intenta a pettinarsi, si avvicinasse a loro.
Infatti sembrò cogliere il messaggio e, con uno sbuffo che aveva ben poco di elegante, si alzò, per poi andare ad accomodarsi accanto al marito, sull'altra poltroncina disponibile. 
Mikado, però, non aveva smesso di dedicarsi alla sua partita, convinto forse di poter assolvere entrambe le cose contemporaneamente. Yukiko gli riservò un’occhiataccia contrariata, chiedendosi perché anche lui non fosse costretto ad interrompere la sua importantissima attività.
Miroku si limitò ad alzare gli occhi al cielo, per poi cominciare con una voce lievemente impacciata.
«Ehm ... come dire, volevo parlarvi di questa cosa ... molto importante, sì ... e volevo ... ehm, sì insom-»
«Pochi giri di parole, Miroku.» lo interruppe la madre, assottigliando le iridi cremisi, cercando comunque di non essere troppo fredda. 
«Eh? C-certo.» rispose risoluto, respirando a fondo. Riaprì gli occhi colmi di determinazione e convinzione. 
«E'chemisonoinnamoratodiunaragazzaevolevochiederviilpermessodichiederelasuamano!» le parole rotolarono sulla punta della sua lingua talmente velocemente che nemmeno lui stesso fu certo di quel che aveva detto. Si passò una mano tra i capelli, accennando ad una risatina nervosa di fronte al sopracciglio alzato di Yukiko e alla faccia perplessa di Mikado. 
«Stavo dicendo, mi sono innamorato di una ragazza e volevo avere il vostro consenso per chiederle la mano.» disse, infine, con risolutezza, scandendo bene parola per parola.
L'uomo si bloccò con la pedina a mezz'aria, mentre Yukiko rimase piacevolmente sorpresa.
Quante volte ne aveva fatto parola con quello scansafatiche del proprio marito, senza mai ricevere un cenno d'interessamento tra l'altro, affinché iniziassero a pensare seriamente al matrimonio di loro figlio? 
Adesso era lui che, su un piatto d'argento, le offriva quella possibilità, e non riuscì a trattenere l'euforia. 
«Ma è una notizia fantastica! Perché non ce l'hai mai menzionato prima? Dimmi, chi è la ragazza? La conosciamo?» chiese a raffica, accompagnando le parole gesticolando con le mani.
«Sono sicuro che non farete caso alla classe sociale, vero?» chiese accennando ad un sorrisino nervoso, trovando all’improvviso davvero molto interessante un angolino del soffitto.
«Chi è la ragazza, ho detto.» ripeté con più veemenza Yukiko, ma la sua voce uscì più simile ad un sibilo. Anche Mikado sembrò farsi un po’ più attento, o almeno, fu quello che dedusse Miroku quando l’uomo alzò un sopracciglio — senza mai distogliere lo sguardo dalla scacchiera — evidentemente perplesso.
«Ehm...la figlia del Signor Higurashi...S-Sango...» balbettò infine.
«Come scusa?» il dubbio avvelenato della donna lo raggiunse subito dopo.
«Hai sentito benissimo, mamma.» la rimbeccò, roteando gli occhi al cielo.
«Hai la minima idea di quel che stai dicendo? Che effetto avrà ciò sul tuo futuro? Come ne risentirà la nostra reput-»
«Ma è fantastico!» intervenne precipitoso Mikado, statosene in disparte pensieroso fino ad allora.
Yukiko lo fissò, sbigottita, rifilandogli un occhiataccia intrisa di saette.
«Ti è dato di volta il cervello?!» replicò, astiosa.
«Miroku, che splendida notizia! E’ ragazza di buona famiglia, parleremo col Signor Higurashi; ritieni questo matrimonio compiuto.» asserì, ambiguo.
Il ragazzo rimase di stucco, non aspettandosi di certo che fosse così semplice, mentre la moglie quasi scandalizzata. 
Ÿ͘Non tardò nemmeno a riprendersi, però, per paura che cambiassero idea. 
«Grazie, grazie mille!» esordì euforico, abbracciandoli entrambi. 
Fatto ciò, si alzò, con un sorriso a trentadue denti stampato in volto, e si diresse fino alla porta canticchiando un’allegra melodia, uscendo.
Nella stanza cadde un surreale silenzio, gelido e spaventoso per Mikado, nervoso e colmo di stizza per Yukiko. 
«Allora?!» sbottò, infine.
«Cosa?» chiese lui serafico, cosa che fece irritare ancor di più lei.
«Si può sapere, che diavolo stai facendo?!»


 
*
«Torno subito.» dichiarò Miroku scendendo dall'auto, rivolgendosi al proprio autista.
Purtroppo per lui, il fatto che fosse al settimo cielo, non implicava anche che non andasse più in ufficio. 
“Che seccatura.” pensò, sconsolato. Stava morendo di sete, nel vero senso della parola. Era dalla sera precedente che non aveva toccato cibo, troppo impegnato ad elaborare strane teorie, così concentrato che nemmeno la fame e la sete avevano avuto più importanza. 
«Una bottiglia d’acqua perfavore.» disse, raggiungendo la piccola bancarella, sperando seriamente di non star rischiando di ammalarsi. Non era abituato a bere acqua di strada, ma lo aveva fatto un paio di volte. Non era ancora uno snob montato come il suo migliore amico.
«Grazie.» prese la bottiglietta e si voltò pronto ad andarsene.
Non l'avesse mai fatto!
Si ritrovò, sconcertato, ma anche interiormente piacevolmente sorpreso, Sango e suo padre, nonché suo maestro un tempo, a pochi passi da lui.
Si voltò di scatto verso il lato, dando loro le spalle, comprendosi parte del viso con una mano, in parte per non farsi riconoscere, in parte sconsolato.
«Ma non è possibile, se Sango mi vede adesso, penserà che la sto pedinando, e l’unica cosa di cui necessito ora è avere ulteriori complicazioni.» borbottò a bassa voce, prendendo a fare qualche passo incerto.
«Signorino Miroku, ma dove sta andando?!» gridò l’autista sporgendosi dal finestrino, perplesso.
Il moro l’avrebbe impiccato.
«Maledetto, perché gridi ... razza di idiota, così mi noterà di sicuro.» 
Eppure non successe nulla, nessun urlo, nessun richiamo. 
Sospirò sollevato. Decise di andarsene, convinto che ormai i due se ne erano già andati, così si voltò, pronto per tornare indietro, ma ancora una volta rimase gelato. 
Davanti a lui, in tutta a loro maestosità, vi erano padre e figlia, che subito lo videro. 
Neanche bisogno di dirlo, Sango gli scoccò un’occhiata di fuoco, presumibilmente incenerendolo, storcendo le labbra in una smorfia contrariata. 
«Tu sei...Miroku, Miroku Kazana?» chiese l’uomo, fissandolo interessato. Il ragazzo in questione fu costretto ad avvicinarsi, in quanto gli sembrava ben poco carino parlare a distanza.
«Sì, sono io.» confermò, scompigliandosi la nuca, accennando ad una risatina nervosa. 
Vide l’uomo sorridere famelico, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
«Sango, lui è Miroku; devi sapere che è stato un mio studente all’accademia quando era più giovane.» esordì, palesemente felice di aver rivisto quel ragazzino impulsivo e particolarmente birichino al tempo.
La ragazza si limitò ad un sorriso di circostanza, mentre Miroku si sentiva insolitamente a disagio, contraccambiando con un cenno del volto.
«Mi è capitato spesso di leggere su di te sui giornali, sono davvero contento che tu abbia guadagnato tanta fama.» proseguì. Miroku si sentì per un attimo riempire di orgoglio, per essere così lodato dal proprio maestro - e quello che nelle sue più splendide fantasie sarebbe diventato anche suo futuro suocero.
«La ringrazio.» disse sincero, grattandosi una tempia con l’indice un po’ imbarazzato.
«Sei tornato ad Osaka da così tanti giorni, e non sei passato nemmeno una volta a salutarmi, disgraziato che sei.» disse ridacchiando, con finta accusa.
Non seppe però che Miroku sussultò.
«Ehm, ecco in realtà ero venuto, ma lei non era in casa...» automaticamente il suo sguardo si posò su Sango, che in cambio voltò la testa di lato, sfuggente. 
«Signor Higurashi!» lo richiamò un uomo da lontano, facendogli un cenno con la mano.
«Scusatemi un attimo ragazzi.» disse prima di congedarsi e stringere la mano al signore a loro sconosciuto. 
Rimasti soli, Miroku deglutì. 
Sarebbe morto, ne era sicuro. 
«Non...non ti stavo seguendo, davvero.» si giustificò lui, senza reale motivo, sentendosi in dovere di farlo.
«Non mi sembra di averti chiesto qualcosa.» lo freddò lei, sorpassandolo di gran fretta.
«Ehi, no aspetta...!» cercò invano di fermarla, ma senza troppi risultati.
Eppure non ne rimase però affatto deluso, anzi; in un modo o nell’altro, continuava a incontrarla, e la cosa gli piaceva da impazzire.

*
InuYasha sbatté le palpebre, visibilmente disorientato e frastornato. 
«Ma che cosa...?» si ritrovò a domandarsi, perplesso. Si alzò con uno scatto piuttosto agitato, tirandosi leggermente il colletto della camicia, divenuto all'improvviso troppo pressante e soffocante. Si diresse a passi lesti verso la propria scrivania,  lasciandosi letteralmente cadere sulla sedia in pelle, e, sorpreso di ritrovarla così fredda, arricciò debolmente il naso, in un'azione involontaria, accompagnato da uno sbuffo non molto elegante.  Si guardò un attimo intorno, con fare frenetico e nervoso, per poi poggiare il gomito destro sul bordo del tavolo e la guancia sulla mano. L'altra invece era immancabilmente occupata a riempire la stanza - che in quel momento gli risultava sinistramente troppo silenziosa - con un incessante ticchettio, anche se era il primo che lo trovava irritante quel veloce susseguirsi di piccoli rumori brevi, secchi ed insistenti.  Non seppe spiegarsi il reale motivo, ma gli sembrò di avere un'espressione imbronciata ed infantile stampata in viso, ma stranamente,  non trovò la cosa particolarmente fastidiosa.
Effettivamente, c'era qualcosa che non andava. 
In quel momento, il suo cuore, che aveva da poco scoperto di possedere, batteva furioso come un mare in tempesta.  Si sentiva così stordito, così confuso, eppure, gli era impossibile rinnegare quel strana sensazione di tepore all'altezza del petto, come se qualcuno, dopo anni ed anni di supplizio, gli avesse estratto un spina particolarmente dolorosa dal corpo. 
Leggero.
Si sentiva sereno, come poche volte era stato - ammesso che ce ne fossero -, e rilassato. 
Eppure il suo sguardò si offuscò, mentre si fissava nel vuoto. Guardava, ma non vedeva. Per un attimo quell'unico sentimento che era appena nato in lui, vacillò, bruciandolo da dentro, come una fiamma avvelenata che danzava sin dalle viscere del suo corpo.
Si sentiva così strano, così perso. Sentiva tutto il suo corpo echeggiare come impazzito, mosso da una nuova, mai provata, scintilla di vita.
Abbassò lo sguardo, disorientato e quasi, avrebbe potuto dire, terrorizzato da quelle sensazioni così diverse, così nuove.  Eppure, per la prima volta, non sentiva il bisogno di trovare un perchè, una motivazione ai cambiamenti che lentamente stavano trasformando e sgretolando un guscio durato quindici anni. 
Si sentiva, finalmente, libero.
Rinato. 
Si guardò i palmi delle mani, forse per controllare se fosse ancora lui, o qualcosa stesse cambiando.
Una parte di lui, quella taciturna, sofferente e indifferente, era come se si fosse spezzata da suo vero io, andando per qualche attimo a nascondersi nei meandri più profondi della suo corpo, lontano dai suoi pensieri. Non sapeva di preciso cosa gli avesse fatto quell’effetto - o forse, non voleva saperlo -, ma un punto era certo: era stato merito - o colpa, s’intende - di quella ragazzina, Kagome - anche se forse, non era così “ragazzina” quanto credeva -; voleva essere furioso, arrabbiato e frustrato, ma qualcosa lo bloccava. 
Era l’immagine pressante di lei.
Ed era un affronto per il suo ego.
Continuava, con quella serafica risatina cristallina, ad occupare la sua mente, mentre la sua figura si mostrava davanti ai suoi occhi.  Per la prima volta fece caso ad un particolare a cui non aveva mai dato peso: quella ragazza era furba, intelligente, ribelle e con un caratteraccio invidiabile - anche se non credette di doverlo invidiare a qualcuno, lui - sì, ma aveva anche un lato gentile, ingenuo e ... affascinante? Eppure, era qualcosa di ignoto, perchè non gli ispirava alcuna malizia la sua persona. Piuttosto, avrebbe potuto definirla ... no, effettivamente non vi era un aggettivo che riuscisse a descriverla, o almeno, non nella sua testa, dato che Kagome gli risultava una figura parecchio offuscata, nonostante la conoscesse ormai da un buon numero di giorni.  

“Ehi, aspetta un attimo.” fu il primo fermo pensiero.  
“Che cosa diavolo sto facendo?!” il secondo fu alquanto disgustato e terrorizzato dalle sue stesse riflessioni.
Aveva ipotizzato che stare ad eccessivo contatto con quella psicopatica lo avrebbe portato all’esasperazione, ma non immaginava ci fossero effetti collaterali, tra cui il delirio. 
«Tzé.» fu il magro commento che riuscì ad elaborare, sentendosi improvvisamente a disagio.  Se prima non aveva dato peso all'insolito broncio che gli delineava il volto, adesso lo infastidì oltremodo. Infatti, si riscosse subito, portando entrambe le mani ad intrecciarsi sotto il mento, il quale vi si appoggiò fermamente sopra, ed assumendo una postura più eretta, scoccando uno sguardo piuttosto seccato a nessuno in particolare.  Alla fine, si era lasciato abbindolare.  Era finito per fare ciò che voleva lei, ed era un serio affronto per lui.  Storse le labbra in una smorfia, parecchio infantile, e socchiuse gli occhi.  

Indispettito.  
Ecco come si sentiva.  
Ebbene, aveva vinto una battaglia, ma non la guerra. 
Il cammino verso il trionfo era ancora lungo, o almeno sperava. 

*
«Oh.» l’espressione sorpresa del Signor Higurashi non sfuggì a nessuno dei presenti. 
Effettivamente, nessuno si aspettava di ritrovarsi davanti il Signor No Taisho, il Signor e la Signora Kazana, quando avevano suonato al campanello. 
Li fece entrare ed accomodare in salotto, sul divano più ampio, mentre lui si sedette di fronte a loro. Shizuka, la sorella, si posizionò accanto a lui; Sango ed Ayame, invece, rimasero in piedi dietro di loro. 
«Ragazze, perchè non portate  qualcosa ai nostri ospiti?» disse rivolto alle due figlie, che annuirono.
«No, stia tranquillo, non ce ne è bisogno; siamo leggermente di fretta.» le fermò il Signor Taisho, riservando loro un sorriso di circostanza, talmente ben mascherato da celarne la freddezza.
«Non era neccessario che vi disturbaste così, se volevate parlarmi di qualcosa, sarei venuto io personalmente.» esordì l’uomo, stendendo le labbra ormai un po’ screpolate dal tempo in un flebile sorriso di ricambio.
«Oh, no; veramente volevamo discutere con lei di un argomento che non ha niente a che vedere col lavoro.» proferì mellifluo, appoggiando una mano al bracciolo che aveva a sua disposizione. Mikado, seduto al suo fianco, lanciò un’occhiata a Yukiko, seduta “leggermente” distaccata da lui, con il gomito sul poggia braccio destro e il mento poggiato con fare altezzoso sopra il pugno chiuso, mentre l’altra mano era posata sull’unico ginocchio disponibile, date le gambe accavallate. 
Ribolliva.
Gli occhi scarlatti non facevano altro che scoccare occhiatacce velenose e mortali, mentre si muovevano frenetici come un’anima in pena. 
Era furiosa. 
Tre giorni prima, dopo la discussione con Miroku e l’inaspettata e decisamente poco gradita approvazione di Mikado, lo aveva trascinato da Inu, convinta che, almeno lui, avrebbe fatto ragionare quel povero stolto di suo marito; e invece, lui aveva acconsentito più che rallegrato, come se non aspettasse altro da tempi immemori. Le avevano detto, loro, che era solo una questione di tempo, che era necessario, di vitale importanza, perché era l’unico modo concreto per avvicinarsi oltremodo al Signor Higurashi ed ottenere quella benedetta firma da parte sua. Già, così sarebbero diventati possessori della SenGoku Art Accademy, la scuola multimediale - ovvero il campo in cui esercitavano le loro Aziende “T&K” - più influente del Giappone. Bell’idea, davvero, peccato che lei non fosse affatto favorevole. Insomma, era di suo figlio che si stava parlando, una cosa del genere non era ammissibile! 
Non avrebbe mai permesso che una ragazza così in basso nella scala sociale - almeno dal suo punto di vista - e che non era minimamente paragonabile ai loro standard, sposasse suo figlio. E quei due, non avevano nemmeno ritenuto opportuno chiederle un parere a riguardo! 
«Tesoro, sorridi.» disse a denti stretti Mikado, mentre continuava a sorridere  a sua volta verso coloro che aveva davanti. Inutile dire che si guadagnò l’ennesima occhiata di fuoco della giornata. 
Il Signor Higurashi sbatté le palpebre, visibilmente sorpreso. 
«Abbiamo pensato che fosse il caso di conoscere anche il resto della sua famiglia, non crede? Siamo partiti col piede sbagliato, Signor Higurashi, quindi pensavo fosse il caso di rimediare.» 
Di certo, i rapporti tra le due famiglie non erano iniziati nel migliore dei modi, ma tutto sommato andavano d’accordo, adesso. Dopotutto, erano proprio loro che avevano dato la possibilità a Kagome di lavorare nella loro azienda. Eppure, le poche volte che avevano avuto l’occasione di incontrarsi, era stato a puro scopo lavorativo; forse fu per questo che il Signor Higurashi rimase perplesso a quell’inattesa visita di cortesia.
«Mi dica, l’ascolto.» lo incitò, dunque, probabilmente impaziente, malgrado cercasse di ostentare una certa calma.
L’uomo piegò debolmente le labbra, lusinghiero. 
«So che potrebbe sembrare avventato, ma vede, è una questione molto importante.» prese parola Mikado, sentendosi, comunque, il dovere di parlare. Dopotutto, era pur sempre lui il padre, e la cosa lo rese vagamento orgoglioso.
«Ecco, sono qui per chiederle la mano di sua figlia per Miroku.» concluse infine, sentendosi molto più leggero. 
«Sango.» si affrettò ad aggiungere, poi, il Signor Taisho, vedendo la perplessità, mischia a un velo di stupore, sul volto dell’uomo.
Le reazioni furono varie.
Il Signor Higurashi sbatté le palpebre numerose volte, probabilmente colto di sorpresa dinanzi a quella richiesta senza preavvisi;
Shizuka, accanto a lui, superato lo stupore iniziale, spostò lo sguardo sulla ragazza in questione;
Sango era rimasta immobile, con gli occhi sgranati, mentre boccheggiava, più per mancanza d’aria che di parole.
Una proposta di matrimonio ... a lei?
«Io ... scusatemi ...» e senza aggiungere altro se ne andò, quasi fuggendo, e sentirono i suoi passi finché non udirono lo sbattere, anche se debole, di una porta. 
Ayame e Rin si lanciarono un’occhiata preoccupata, intente a seguire la ragazza, ma vennero fermate da Shizuka che scosse la testa rassegnata, intimando di lasciar perdere.
Anche gli altri tre si scambiarono uno sguardo perplesso e confuso, pieno di interrogativi.
L’uomo sembrò riprendersi, perciò prese la parola, abbozzando un sorriso.
«E’ che ... è stata una notizia così improvvisa che non ce l’aspettavamo.» disse, accennando ad una debole risata.
Il trio non riuscì a comprendere se stesse cercando in qualche modo di mascherare la reazione della figlia o stesse davvero dicendo la verità.
«Oh, la capisco, nemmeno noi potevamo crederci quando Miroku ce ne ha parlato, ma dopotutto, la sua scelta è anche la nostra.» cercò di rassicurarlo Mikado, stendendo le labbra amichevolmente.
«Io ... non so cosa dire ... dovrei prima parlarne con lei.» 
«Ma certamente, non si preoccupi, si prenda pure tutto il tempo di cui ha bisogno.» gli disse nuovamente il moro.
«Sarà meglio andare adesso.» lo interruppe l’albino, alzandosi in piedi e stringendo la mano al Signor Higurashi, che ricambiò cordiale.



«Perchè quella ragazza è scappata?» chiese tagliente Yukiko, arricciando il naso, una volta che furono giunti in macchina.
«Non saprei, forse era semplicemente imbarazzata.» rispose Mikado con un vago cenno.
«E il resto della famiglia? Vuoi forse dirmi che anche loro erano imbarazzati?» disse, roteando gli occhi al cielo, stizzita dalla sua noncuranza.
«Forse erano a disagio dato che hanno ricevuto una proposta da una famiglia ricca come la nostra, allora.»
«No, Mikado ... la faccenda non mi torna. Ho il forte presentimento che cistiano nascondendo qualcosa, e ho tutta l’intenzione di scoprire di che si 
tratta.» concluse, assottigliando le iridi cremisi.
Il marito sbuffò, lanciando un’occhiata ad Inu che a sua volta sorrise serafico in sua direzione.

 

*
Sango era rannicchiata in un angolo del suo letto.
Il suo corpo era scosso dai singhiozzi, mentre la vista era appannata dalle lacrime che non volevano saperne di fermarsi.
Fu in questo stato che il Signor Higurashi la trovò quando entrò nella sua stanza.
Il suo sguardo si velò per un attimo di tristezza incontrando il suo 
smarrito ed arrossato.
Con lentezza si sedette al suo fianco, sospirando, passandole un braccio intorno alle spalle e lei si lasciò andare contro il suo petto, stringendolo.
«Come ... come possono fare una cosa del genere? Non possono farmi una proposta di matrimonio, non a me.» riuscì a dire, in un mormorio appena accennato ma che l’uomo sentì benissimo.
«Probabilmente perchè non conosco la tua storia, figliola.» rispose lui, rassegnato.
«E allora raccontagliela!» disse a voce forse un po’ troppo altra, staccandosi dal suo torace e puntando il proprio sguardo in quello del padre.
«Diglielo che in realtà non sono tua figlia! Diglielo che sono soltanto la misera vedova di tuo figlio che tu hai scelto di considerare come figlia!» gridò, comprendosi il volto con entrambe le mani. 
Il padre, o forse sarebbe meglio dire il suocero, la lasciò sfogare, senza interromperla. Le posò una mano sulla testa, cercando di tranquillizzarla.
Ad un certo punto, lei, alzò il viso e si asciugò le lacrime col dorso delle mani, forse con fin troppa forza, dato che lasciò un segno rosato. 
«Non accetterò mai quella proposta.» disse poi, con fermezza.
«Piuttosto che sposare Miroku, preferisco rimanere la vedova di tuo figlio.» concluse, alzandosi e uscendo dalla stanza.
L’uomo chiuse gli occhi, sospirando.
Aveva davvero sperato che, dopo tutto quel tempo, almeno qualcosa per lei fosse cambiato, ma a quanto pareva era ancora troppo legata al passato per pensare al presente o al futuro.

 

*
 
Quando Miroku giunse nell’ufficio di InuYasha, dire che rimase scioccato era dir poco.
Il suo amico, proprio quell’InuYasha, stava forse stirando la bocca, le labbra e mostrando eventualmente i suoi denti in quello che si potrebbe comunemente definire ... un sorriso?
Lui?
Sul suo volto si stampò un’espressione ebete e diverita allo stesso tempo, mentre tirava fuori dalla tasca il telefono in silenzio.
InuYasha, che non si era minimamente accorto della sua presenza, dal canto suo era intento ad osservare qualcosa di non definito sul muro - forse l’intonaco? - in quello che si potrebbe vagamente dire spenzieratezza.
Venne bruscamente riscosso da un flash che catturò la sua attenzione, facendogli assumere un’espressione infastidita.
«Tu? Che ci fai qui? E poi, si può sapere perchè mi hai appena scattato una fotografia?!» sbraitò nella sua solita cordialità.
Gli occhi del ragazzo brillarono, furbeschi.
«Oh, caro.» disse mellifluo, facendo alzare un sopracciglio all'altro, che lo guardò malissimo.
«Non fare quella faccia, chissà quando avrò di nuovo l’occasione di rivedere un panorama del genere!» ridacchiò, sedendosi di fronte a lui, dall’altra parte della scrivania.
«Panorama? Quale panorama?» chiese InuYasha, perplesso e stizzito.
Miroku gli mostrò trionfante l’immagine che aveva appena scattato, senza perdere quel cipiglio divertito. 
Il ragazzo l’osservò, strappandogliela praticamente dalle mani.
Alzò nuovamente un sopracciglio, non seppe dire se inorridito o imbestialito, per poi sbattere le palpebre forse scioccato, o forse confuso. 
Accidenti, quel ragazzo era difficile da decifrare anche per lui che era il suo migliore amico.
Purtroppo per l’albino, però, fu sicurissimo di ciò che vide alla fine.
InuYasha No Taisho era arrossito.
Impensabile.
Ovviamente, nemmeno bisogno di dirlo, si era voltato di lato, borbottando qualcosa di incomprensibile mentre sbatteva leggermente una mano sulla supeficie opaca della scrivania, lanciando chissà quali imprecazioni. Forse a lui, o forse no.
Il ragazzo in questione, intanto, stava andando in escandescenze.
Come era possibile? Come era possibile?!
Come diavolo aveva potuto farlo un’altra volta?
E perchè poi? Lui stava lavorando, che motivo c’era di mettersi a sorridere in un momento simile?
La cosa più tragica forse, poi, era che non se ne era nemmeno reso conto.
E ovviamente, di chi era la colpa?
Di quella maledetta ragazzina!
Se solo l'avesse riavuta tra le mani ...
«Ehm ... InuYasha?»
La voce di Miroku lo strappò all’improvviso dal limbo di corruzione in cui stava sprofondando, e si ritrovò a fissarlo perplesso.
«Tutto bene? Ti stavi comportando in modo assai ambiguo.» gli disse, guardandolo stranito.
«Certo.» biascicò, tossicchiando, sotto lo sguardo compiaciuto del moro. Lo fissò per qualche secondo, per poi scoppiare ancora in una risatina di scherno.
«Incredibile ... vorrei proprio sapere chi è che è stato di capace di compiere un tale miracolo, anzi, bisognerebbe dare un premio al soggetto!» 
Senza nemmeno accorgersene, il suo pensiero scivolò a Kagome ...
Alt!
Da quand’è che aveva iniziato a chiamarla per nome?
E, sopratutto, perchè diavolo stava di nuovo pensando a lei?
“No, aspetta ... ho detto di nuovo?”
«Comunque, che sei venuto a fare?» chiese poi, cercando di sviare il discorso.
«Oh, già!» si illuminò, nuovamente.
«Ti ricordi di quella ragazza di cui ti ho parlato un po’ di tempo fa?» domandò, quasi emozionato. 
InuYasha annuì vago, cercando di riassemblare le sue parole con fatti realmente accaduti.
«Oggi i miei genitori sono andati a farle la proposta di cui ti avevo accennato, e spero davvero che la risposta sia affermativa ... in ogni caso, mi 
avevi chiesto chi era no? Ebbene, è figlia del Signor Higurashi, ma sì, hai presente la ragazza che lavora nel tuo ufficio, Kagom-»
«Kagome?!» lo interruppè con una voce che gli uscì più stridula di quanto avrebbe voluto.
«Sì sì, lei! E’ sua sor...» questa volta, invece, venne fermato dallo squillo del suo cellulare, che prese a suonare insistente.
«Scusami, devo andare, parliamo dopo.» disse infine, alzandosi e salutandolo con una mano mentre rispondeva alla chiamata.
Non sapeva che in realtà, aveva lasciato in quella stanza un’ InuYasha più scosso di quanto avrebbe dovuto.
Aggrottò le sopracciglia, alzandosi in piedi adesso seriamente irritato, senza nemmeno saperne il motivo. 
Aveva forse detto Kagome?
“E questa ...”
Il suo viso assunse un cipiglio sorpreso ma furioso.
“...da dove salta fuori?







 

Angolo Autrice
Ehm ... ehilà! :D
Se vi stavate domandando se fossi morta, la risposta è: purtroppo per voi, no xD
e se vi state invece chiedendo se sono scomparsa per tutto questo tempo per ricomparire con ... questo ... ebbene, esattamente u.u
Adesso cercherò seriamente di aggiornare con coerenza, di scrivere contro la mia ispirazione, se necessario e.e
Scusatemi davvero tantissimo per l'attesa >.<
Spero ci sia ancora qualcuno disposto a reggermi xD 
Beh, non ho molto da dire, quindi alla prossima :)

Lullaby 99 









 
  
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