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Autore: ToscaSam    30/11/2014    2 recensioni
Questa è la storia di Elena da Travale, detta l’Incantatrice. Giovane donna realmente esistita, che visse in Toscana nel XV secolo. La fantasia vuole qui avviluppare quel che la storia ha lasciato a pezzi e bocconi, vuole ricucire una trama bucherellata dalla quale tuttavia si percepisce un disegno intrigante e misterioso.
Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Medioevo
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La vita negli accampamenti fu per Elena più breve di quel che in effetti si aspettasse.
Una mattina particolarmente fredda, quando la brina ancora ricopriva le foglie e l’aria entrava pungente dentro al naso, Nanni svegliò Elena con uno scossone non troppo  brusco ma neanche gentile.
Lei si era dunque alzata ancora assonnata con la schiena che le doleva per aver riposato al contatto diretto con le foglie umide e il terreno. Senza ben capire cosa stesse accadendo, aveva preso la mano di Nanni e l’aveva seguito attraverso il sentiero scivoloso dove lui la conduceva.
Aveva lanciato, così, per caso, un’occhiata alle sue spalle, verso l’accampamento ancora addormentato e non sapeva che sarebbe stata l’ultima volta per sempre. Si era immaginata una qualche gita temporanea, un qualche allontanamento momentaneo. Non le era entrata nemmeno lontanamente in quella rossa testolina l’idea che quella levataccia avrebbe segnato il suo eterno addio alla parte più bella della sua vita. Si, quegli anni confusi erano stati la miglior parte della vita di Elena: l’unico momento in cui tutti erano reietti al suo pari e nessuno osava giudicarla.
Quando le foglie umide e fredde che si schiacciavano sotto i piedi amalgamandosi con la terra fangosa cominciarono a diventare più rade per dare spazio ad acciottolati sempre più regolari, Elena iniziò a domandarsi che cosa stesse succedendo.
Strinse le sue piccole dita attorno alla mano di Nanni e lui la guardò. Elena non aveva mai capito quello sguardo. Nanni la guardava in maniera incomprensibile, quasi apatica, quasi lontana. Sembrava che la guardasse ma che stesse pensando completamente ad altro, eppure era l’espressione che assumeva esattamente quando la sua attenzione si posava su di lei.
 
« Che succede, Lena? Sei stanca?» Le chiese dopo averla scrutata al suo modo.
Elena sospirò. Si voltò indietro e guardò verso la foresta, ormai adeguatamente distante.
« Lena, lo sapevi che prima o poi bisognava arrivare. Abbiamo traccheggiato anche troppo. Sono quattro maledetti anni che vivo in quella accidenti di foresta. E non t’ho mai fatto mancare nulla, eh, guai a te!»
Si stava arrabbiando, lo faceva sempre quando qualcosa non gli tornava.
Elena aveva maturato un carattere piuttosto difensivo, ma sapeva ben graffiare e attaccare quando sapeva che aveva speranze di vittoria. Ribatté dunque con foga: « È vero, però non mi hai nemmeno fatto salutare nessuno! e non ho salutato nemmeno mamma Clorinda e mamma Giuseppina e neanche mamma Roberta!».
Nanni la guardò di nuovo e sembrò trattenersi dal colpirla. Certe volte l’aveva picchiata soprattutto in faccia, su quelle belle guance rosse e coperte di lentiggini marroni.
Stavolta si trattenne e si limitò a strattonarla verso le alte mura di pietra che circondavano il paese di Travale, dove erano diretti.
Nanni era diretto lì perché una sua zia dopo il matrimonio con un venditore di stoffe vi si era trasferita. Non sapeva nemmeno se fosse sempre viva, e anzi sperava quasi nella sua dipartita desiderando avere qualche diritto sulle proprietà della parente.
Il piccolo borgo si estendeva ai piedi delle Colline Metallifere grossetane. Appariva come immerso in un oceano verde dalle sfumature fredde siccome l’aria pungente che graffiava le guance della nuova arrivata.
Elena non voleva appartenere a quel luogo, non voleva che quei verdi mostri la attanagliassero.
La sua fantasia vide i lunghi cipressi abbassarsi come becchi di aquile malvagie, pronti ad inglobarla. Con sguardo di sfida puntò prima Nanni, poi nuovamente i becchi affilati; cercò con la mano nella tasca la sua boccetta contenente l’amuleto di lacrime e lo strinse forte, certa della sua utilità.
 
Non disse più una parola e si lasciò trascinare dal suo padrone nelle viscere di quel mostro che sarebbe diventato la sua casa. Elena aveva scoperto che gli alberi non erano aquile guardiane del paese, ma il paese stesso era un gigantesco essere demoniaco e quei becchi appuntiti erano le sue infinite teste. Seppe che non si sarebbe mai più liberata dallo sguardo di quel posto, perché quantunque si fosse allontanata, le punte dei cipressi l’avrebbero sempre raggiunta. Sentiva quasi l’immaginario fetore delle budella del mostro dentro cui si stava muovendo. Questo pensiero le provocò un improvviso brivido.
Fu felice che Nanni non se ne fosse accorto, perché non poteva parlare in quel momento. Era impegnata a mantenere il controllo dei nervi stringendo con forza la piccola boccetta all’interno della sua tasca. L’influsso benefico di quella magia le dava molto coraggio e d’ora in avanti, si disse Elena, non sarebbe mai uscita senza un amuleto che la proteggesse.
Subito Travale si trasformò nel Mostro e lo fu definitivamente. Dentro il Mostro non si poteva viaggiare senza protezione benevola, o si finiva per esserne inglobati, mangiati e digeriti. Questa fu la prima regola che Elena si infisse nella mente.
Sorrideva soddisfatta mentre fissava queste clausole ed era certa di essere l’unica a conoscenza di trovarsi dentro un Mostro.
Lanciò un’occhiata di sfida alle teste appuntite che si estendevano per tutte le alte colline nei dintorni, che speravano di averla imprigionata. Che stupido, questo Mostro. Pensava di potersi liberare così facilmente di lei?
Sarebbe stata una sfida e lei avrebbe vinto, perché era furba e più forte.
Aveva sempre amato i posti che gli altri evitavano, dunque qui sarebbe stata lei stessa il posto da evitare in mezzo a un grande intestino di Mostro che la gente amava.
 
I complicati tasselli che Elena forgiava con la sua fantasia furono interrotti bruscamente quando Nanni bussò forte a una porta.
« Chi è là?»  rispose qualcuno dall’interno.
« Un buon uomo vostro servitore e debitore » disse Nanni con una voce untuosa tanto da far storcere il naso a Elena. Ma quando mai Nanni si esprimeva in quel modo?
La bimba dai capelli rossi continuò il suo riluttante sguardo verso l’accompagnatore finché la porta alla quale avevano bussato non si aprì; allora posò i suoi occhi sulla figura dinoccolata e grinzosa che si era esposta alla luce mattutina.
« Servitore e debitore di Dio, vorrei sperare, forestiero. Io non sono che un Suo umile, devoto e contrito uomo»
« Ma certamente, buon uomo. Servus servorum dei».
Il chierico assottigliò i suoi occhi lattiginosi su Nanni. A detta di Elena sembrava una vecchia tartaruga, impolverata e rugosa.
A qualunque esame il reverendo stesse sottoponendo Nanni, il risultato parve essere positivo, poiché gli angoli di quella sua antica bocca si distorsero in una specie di sorriso cordiale.
« Siete il benvenuto a Travale, forestiero. Che non si dica di me che manco dei doveri di ospitalità nei confronti di un figlio di Dio. Che la mia casa sia la vostra per tutto il tempo che desiderate e che la mia parca mensa possa soddisfare il vostro stomaco … » mentre parlava con toni monotoni ma dall’aria importante, si accorse che nascosta dall’ombra di Nanni stava anche un’altra creatura. Il sorriso decrepito divenne un poco più tirato e gli occhi si fecero sdegnosi, quando alla sua vista giunsero gli intrecci rossi e le lentiggini di Elena.
« … Spero comunque » continuò, facendosi un po’ più di ingombro sulla soglia di casa, così da impedire il passaggio: « … che voi siate devoti al Dio uno e Trino, al Cristo Redentore e alla Santa Chiesa Cattolica»
« Sul mio onore, reverendo »
« E quella bambina?» disse dunque, più direttamente.
« È mia protetta, reverendo. Un’orfanella che ho accudito secondo la buona ispirazione del Cristo»
A Elena scappò una piccola risata che il reverendo notò all’istante. Lei serrò furtivamente le labbra e distolse gli occhi da Nanni, ma quel suo modo così falsamente cortese la faceva ridere.
Si ricordò di non mollare la presa dal suo amuleto, e immaginò che il reverendo dovesse essere parte integrante del Mostro. Si sforzò quindi di non farselo né amico né nemico, per adesso, ma di stare al gioco che Nanni le imponeva.
Assunse un’aria grave per quanto le fu possibile.
« Vedo bene.» concluse il reverendo, con estrema ritrosia. A stento fece passare Nanni per la porta di casa e non staccò per un solo istante gli occhi dalla figurina scompigliata di Elena, tanto che anche quand’era di spalle, alla bimba pareva di sentir prudere la nuca sotto l’influsso degli occhi indagatori del prete.
  
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