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Autore: hikachu    07/12/2014    1 recensioni
Il giorno in cui si piega in avanti per baciare finalmente Kaito, Christopher piega appena le dita, delicatamente, come se stesse sorreggendo una delle tazze di porcellana preferite di Mihael.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Christopher Arclight/ Five, Kaito Tenjo/Kite Tenjo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno in cui si piega in avanti per baciare finalmente Kaito, Christopher piega appena le dita, delicatamente, come se stesse sorreggendo una delle tazze di porcellana preferite di Mihael, e ravviva una ciocca di capelli dietro l'orecchio: non vorrebbe finisse aggrovigliata tra – nelle – le loro bocche, è questa l'unica ragione del gesto (oltre, forse, ad una vigliacca cura nel non invadere lo spazio personale dell'altro più del necessario, non quando sta già commettendo una simile trasgressione di limiti individuali e dell'etica che si è sempre imposto). Non è sua intenzione riuscire artificiosamente riservato, come se si trattasse di una mossa calcolata o il suo linguaggio corporeo fosse del tutto fuori fase perché si tratta di qualcosa che, di norma, non è da lui. Christopher vede, prima di chiudere gli occhi, Kaito inarcare un sopracciglio (in un atteggiamento di domanda o disappunto o chissà cosa, perché di questi tempi Kaito sembra esprimersi solo tramite una gamma di bronci) e sforza un sorriso che, ne è certo, non farà altro che accrescere la sfrontatezza delle sue azioni, non farà altro che rendere Kaito ancora più furioso; purtroppo, non può farne a meno se non vuol crollare, poiché qualsiasi cosa comparisse altrimenti sul suo viso non sarebbe qualcosa che può permettersi di mostrare a Kaito.

È un atto da codardi, niente più che uno stratagemma per metter Kaito con le spalle al muro e costringerlo a dare a Christopher l'unica cosa che voglia davvero: un qualsiasi tipo di certezza su di loro: il perdono o la punizione per mettersi il cuore in pace in un modo o nell'altro; una risposta, senza dover prima porre la domanda. È stato attento, alla maniera in cui solo un poco di buono o un traditore sa essere, a non lasciare a Kaito il tempo o lo spazio per indietreggiare, alzare una mano; la possibilità di dare una gomitata nello stomaco a Christopher facendogli vomitare le parole. Sta cominciando a comprendere che si tratta di una sua cattiva abitudine, il frutto naturale di una debolezza che affonda le radici in lui, in questo istante così come in passato, quando aveva cercato, aveva voluto, far del male a Kaito, essere cattivo e ferirlo perché il mondo era stato appena ribaltato sottosopra, derubandolo dell'ultima, dell'unica cosa buona rimastagli, e Christopher doveva vendicarsi del mondo in qualche modo, vendicarsi anche su Kaito per esserne parte e per essere una delle cause di quel dolore—per essere quella ferita finale. Aveva urlato e spinto e colpito, desiderando irrazionalmente che il male che stava infliggendo a Kaito si trasmettesse in qualche modo a suo padre e a tutte le persone che potevano ancora permettersi di esser felici e di condurre la loro vita quotidiana dando per scontato la loro noiosa normalità, mentre Christopher era tenuto sveglio di notte dal senso di colpa, dalla solitudine e l'ansia che i suoi fratelli potessero venire adottati e mai più tornare da lui se non fosse stato veloce, e se poi Faker si fosse sbagliato, e se loro padre fosse invece ancora vivo, ad invocare aiuto in un luogo dove nessuno l'avrebbe sentito, era già troppo tardi, cosa, in realtà, si poteva ancora recuperare e rimettere a posto.

Christopher avrebbe potuto baciare Kaito allora invece, quando sapeva che Kaito l'avrebbe voluto; l'avrebbe fatto, se fosse stato una persona migliore, ma era più facile giocare a fare l'adulto e il fratello maggiore, non permettersi di credere che c'erano davvero il supporto e l'affetto che Kaito gli prometteva silenziosamente, dentro quel ragazzino che a stento raggiungeva le spalle di Christopher se si alzava sulle punte. Era più facile rifiutare innanzitutto l'idea che Christopher, maturo e responsabile com'era, potesse aver bisogno di cose simili. Era più facile sorridere con affettuosa condiscendenza, ridere e respingere con arrogante benevolenza la mano che di volta in volta gli veniva presentata—in tal senso, perlomeno, si sarebbe potuto dire che Christopher fosse molto abile nel riprodurre quegli errori che gli adulti commettono a non finire, senza sforzo, come fosse per loro una seconda natura. Davvero adorabile, pensava allora, guardando Kaito, misurando i suoi sforzi come se fosse un suo diritto naturale, il suo ruolo. Che bravo ragazzo, pure se ancora tanto ingenuo, ed immaturo. Emanava queste sentenze spietate, annuiva tra sé e sé, soddisfatto, e dava un colpetto sulla spalla di Kaito o sulla sua testa, come se fosse un suo diritto naturale o il suo ruolo. Com'ero immaturo, quanto ancora lo sono, pensa ora Christopher, perché Kaito è una persona ed un fratello maggiore migliore di quanto potrà mai esserlo lui. Kaito, che aveva protetto Haruto con tutto ciò che aveva, che si era spappolato le viscere per lui, mentre Christopher aveva dato a Tron carta bianca, il diritto di consumare ogni cosa con il suo odio—persino i suoi bambini; i preziosissimi fratellini di Christopher. Li aveva abbandonati alla mercé di un dio crudele, li aveva lasciati a soffrire per cose orribili e a fare a loro volta cose orribili. La responsabilità per le loro cicatrici e i loro peccati pesava sulla schiena di suo padre tanto quanto la sua, egualmente.

La verità era che Christopher aveva sempre saputo, in fondo, che la vendetta non avrebbe portato a nulla. Assecondare il piano di Tron non avrebbe significato altro che continuare ciò che aveva cominciato nel colpire Kaito, ripeterlo infinite volte fino a che il suo cuore non si fosse saziato—una soddisfazione che sarebbe iniziata, e finita, nel momento prima che venisse costretto a fronteggiare la ferita aperta che lo tormentava, il vuoto che minacciava di emergere da essa per ingollarlo tutto intero, cancellando la persona che Christopher aveva disperatamente cercato di credere di essere. La verità era che, ad un certo punto, da qualche parte nel suo cuore, Christopher aveva guardato alla forma distorta di suo padre, all'odio e alla tristezza immensi nei suoi occhi, e aveva deciso (per sé; e implicitamente: per i suoi fratelli e l'estraneo che una volta era stato Byron) che non v'era nulla da fare, né per salvarlo né per tornare indietro nel tempo, né per rimettere assieme quel caloroso affare che era stata una volta la loro famiglia. Si era trattato di una realizzazione devastante e al contempo di una rassicurante, perché significava, in retrospettiva, che aveva fatto bene nel mettere da parte i dubbi come semplici paranoie; che lasciare i propri fratelli era stata la scelta giusta, l'unica cosa che avrebbe potuto fare. Affrontarli come V, piuttosto che Christopher, era liberatorio: una fredda lastra di marmo per coprire la tomba della loro infanzia, della loro famiglia e di tutta la felicità che era stata loro concessa e che avrebbero ancora potuto avere. Christopher si era detto che era quello l'unico modo per affrontare il futuro così com'erano, che Thomas e Mihael erano giovani, certo, ma che avevano bisogno di imparare, perché il mondo era crudele e non avrebbe risparmiato nessuno, non un padre con una famiglia da cui tornare, nemmeno dei bambini, e non erano questi affari di famiglia, dopotutto? La verità era, tuttavia, che per tutto quel tempo Christopher aveva pregato in silenzio, pregato i suoi fratelli di non guardare più a lui come al loro fratello maggiore, di non rimproverarlo per tutte le cose che aveva fatto male e quelle che non aveva fatto per nulla.

Christopher aveva deciso di uccidere la speranza che aveva in petto, ma non sarebbe mai davvero finita se non avesse ucciso anche quei frammenti che risiedevano nei suoi fratelli, e per questo li aveva traditi e aveva tradito il Byron che se n'era andato un giorno all'alba per seguire il suo futuro assassino, come Abele aveva fatto con Caino all'alba dei tempi e come le persone avrebbero continuato a fare ancora e ancora, ferendo e venendo feriti, fino a quando ogni cosa nell'universo si sarebbe azzerata, sorridendo un sorriso calmo, contando di certo che Christopher si sarebbe preso cura di tutto, dovesse accadere qualcosa di male, sebbene—sebbene, no, non aveva sospettato nulla; la faccenda non l'avrebbe cambiato così tanto, altrimenti.

Forse, Christopher sta tradendo – di nuovo – anche Kaito con questo bacio, per questo si sente un po' meglio quando Kaito gli afferra i capelli, i capelli che ha cresciuto perché Byron portava i propri lunghi, raccolti in una spessa treccia, e Christopher si sentiva come se sarebbe potuto scoppiare dalla felicità e l'orgoglio quando le persone gli lanciavano un'occhiata e dicevano, cielo, sei identico a tuo padre!, che probabilmente Kaito si sentiva dire con la stessa frequenza, perché la somiglianza con Faker è lì, chiara come il sole nei suoi capelli, nelle gote, negli occhi e nella forma del suo mento—è possibile che Haruto abbia preso dalla loro madre, Christopher non può saperlo, non c'era mai stata alcuna foto, di lei, in giro, neppure nella stanza personale di Kaito, il che l'aveva portato a credere che si trattasse di un'altra similitudine, l'unica scelta compiuta da Faker con cui Kaito concordi totalmente, ma Christopher si guarda dal far domande, sa di dover fare attenzione perché, in verità, è sempre stato alquanto maldestro con questo genere di cose e non in modo comico o adorabile, no, lo sa per esperienza, come quella volta che Thomas stava prendendo in giro Mihael per le sue guance paffute e Christopher l'aveva rassicurato che erano invece molto carine, perché la mamma le aveva anche lei, era stata quasi identica a Mihael, cosa che aveva fatto incupire gli occhi di Thomas, ché lui sapeva di non somigliare affatto a Chris, affatto a Byron, e affatto a Mihael dunque affatto alla loro madre allora qual era il suo posto, dove sarebbe dovuto essere, né il più giovane che ha diritto ad essere viziato e protetto, né il più grande cui vengono affidate le cose importanti, e quando Mihael esigé di vedere delle foto Thomas si alzò, spaventando il cane e facendo cadere la sua porzione di torta con tutto il delicato piattino sul tappeto costoso; beh, disse allora, la torta era asciutta e questo tè fa schifo, perché doveva far finta che era stata sua intenzione sin dall'inizio, essere cattivo e dispettoso dato che non gli importava nulla di nulla, sebbene si trattasse della torta che Christopher aveva preso alla loro pasticceria preferita dopo ore in fila, e il tè fosse il tè che Mihael aveva preparato con cura, già così delizioso nonostante fosse solo il suo terzo tentativo. Non sapeva forse Christopher, in quel momento, mentre Thomas saliva le scale e raggiungeva la sua stanza pestando i piedi, che avrebbe voluto essere fermato, forse sgridato un poco, tanto per sapere che le sue azioni avevano un peso, che non era ignorato e privo d'importanza, e non era rimasto in silenzio, invece, Christopher, accigliandosi con disapprovazione come ci si aspetta da un adulto—come faceva con Kaito quando Kaito soleva sollevare lo sguardo su di lui con il viso arrossato, gli occhi che brillavano, le parole pronte sulla lingua che aspettavano solo il momento giusto, ma Chris non faceva altro che sorridere, congratulandosi con se stesso per aver letto tra le righe e per aver saputo fare la cosa migliore, per aver risparmiato a Kaito un imbarazzamento superfluo, poiché era giovane (come i suoi fratelli) e bisognava di supporto a protezione, e non era fortunato, lui, che Christopher lo avesse a cuore (come faceva per i suoi fratelli, ovviamente)? E Kaito.

Kaito gli afferra i capelli, che Christopher ha cresciuto perché gli si gonfiava il cuore per la felicità e l'orgoglio quando gli dicevano, cielo, sei identico a tuo padre!, ma in questi giorni Christopher si sente più se stesso, più come il ragazzo-uomo che ha commesso errori ed è un codardo, che il fantasma immacolato di un padre che ha costruito per diluire la solitudine e la rabbia e l'impotenza nelle notti in cui osservava Byron riporre le sue cose in una valigia, sorridendo: sii bravo con i tuoi fratelli Christopher, e Christopher non era mai riuscito a chiedergli: e io, chi si prenderà cura di me. Scommette che Kaito non la penserebbe nemmeno per scherzo una cosa simile, Kaito che è davvero una persona buona, e coraggiosa, e il fratello maggiore perfetto.

Kaito, le cui spalle, un tempo, erano delicate come uccellini sotto le mani di Christopher, e la testa appena inclinata all'indietro, appena appena perché sembri che i suoi occhi freddi lo stiano squadrando dall'alto in basso anche se Christopher lo sovrasta in altezza; Kaito che non gli tira i capelli come avrebbe il diritto di fare, se solo lo volesse, e li spinge di nuovo dietro l'orecchio di Christopher, con una gentilezza che mal si abbina alla sua espressione corrucciata (quale è questa? cosa significa, non riesco più a capirti, no, non sono mai stato in grado di farlo è arrogante da parte mia vero che mi senta in colpa adesso come se fosse colpa mia se non sorridi più). Kaito che ora ha diciotto anni e non crescerà più in altezza, con i sui occhi freddi che fanno sentire Christopher giudicato, disprezzato, cose che, Christopher pensa, sono esattamente come dovrebbero essere.

“Cos'è quella faccia?” sputa Kaito. “Se vuoi dirmi qualcosa, non capirò a meno che tu non la dica chiaramente.”

Christopher ignora l'impulso di rispondere a tono, come avrebbe fatto in qualsiasi altro momento, e si raddrizza, sorride un sorriso che non può nascondere il tremore nella sua voce quando inizia: hai ragione, nel tentativo di credere di esser pronto a smettere di scappare e a confessare tutto, ma la verità è che sta perdendo tutte le parole che aveva raccolto a fatica in settimane, mesi, forse negli anni in cui ancora non sapeva di desiderare di essere in grado di dirle. Gli cadono dalla lingua, una dopo l'altra, come foglie morte. Forse, questa volta, sarà Kaito a porre fine a tutto.

Kaito fa schioccare la lingua, dice: “Mi pare che ti stia divertendo un po' troppo a commiserarti, e davanti al tuo allievo, per giunta. Non ti vergogni?”

“Hai ragione,” Christopher ripete come un nastro inceppato, per guadagnare tempo, quanto gliene serve per trovare una risposta che non sia una palese scusa.

Kaito si avvicina, è così vicino che potrebbe essere lui a baciare Christopher questa volta, invece distoglie lo sguardo, poi guarda in basso e “Haruto ha sentito la tua mancanza,” mormora, un po' troppo veloce, un po' troppo confuso per rispecchiare le emozioni, o l'assenza di queste, sul suo volto.

Christopher vorrebbe impedire alle proprie labbra di tremare in un sorriso goffo e vorrebbe dire qualcosa che sia coerente, ma poi Kaito si volta, chiamandolo stupido con una voce che gli ricorda i tempi in cui Kaito nascondeva il volto arrossato dopo aver ricevuto un complimento, cercando maldestramente di parlare con un tono austero senza riuscirci, ed allora Christopher sa di poter solo annuire ed aspettare il giorno in cui anche Kaito avrà trovato le parole che vuole fargli ascoltare.

   
 
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