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Autore: workingclassheroine    11/12/2014    3 recensioni
D'altronde, “A domani”, era la promessa più bella che si fossero mai fatti.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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19th July 1958, 2.00 am.



Faceva caldo e faceva freddo, quella sera, a Liverpool.


Nessuno ricordava un Luglio così afoso, con le donne che sfoggiavano cappelli a tesa larga, abbinati a vestiti leggeri che frusciavano e ruotavano, e gli uomini che sudavano nelle loro camicie inamidate, rinunciando all'immancabile berretto.
Una figura esile prese rabbiosamente a calci un ciottolo fuori posto, facendolo schizzare via sull'ordinato asfalto di Menlove Avenue. Il ragazzo era uscito di casa per mettere in moto il pensiero, oltre al corpo, ma non aveva ottenuto i risultati sperati.
Certo, la parte in cui si era buttato giù dalla finestra di camera sua gli era piaciuta, gli era quasi sembrato di essere uno di quegli eroi dei film d'azione, che si calano dai tetti dei palazzi per salvare la solita donzella in pericolo.
Peccato che la sua fosse decisamente in pericolo ma molto poco donzella.
E soprattutto, avrebbe preferito tranciarsi di netto una gamba piuttosto che farsi aiutare.
Paul alzò distrattamente gli occhi al cielo, malinconico.
Per di più i suoi stupidi piedi lo avevano inconsciamente portato in quella strada, e lì faceva un freddo polare. Il ragazzo masticò qualche imprecazione, incrociando le braccia per trattenere almeno un po' di calore.
Si maledisse per non aver portato con sé il proprio giubbotto di pelle, pur sapendo che sarebbe stato del tutto superfluo.
Non era all'esterno, che faceva freddo, ma dentro di lui.

Erano passati tre giorni, tre giorni da quando una macchina aveva travolto il corpo di una giovane donna, spazzandolo via come lui aveva fatto con quel sassolino.
E sembrava che quel semplice ciottolo, franando, avesse compromesso la stabilità di un'intera montagna.
Arrivò davanti a un robusto cancello, che lasciava intravedere l'elegante struttura di una villa ampia e ben curata.
Mendips.
Da quel momento in poi i suoi piedi rifiutarono di muoversi.
"D'accordo" pensò, sfregandosi rassegnato le mani per iniziare l'arrampicata.
Si lasciò cadere sull'erba soffice del giardino, cercando di non pensare alle ingiurie che la padrona di casa gli avrebbe sicuramente rivolto non appena lo avesse scoperto. Alzò gli occhi verso una delle finestre del secondo piano, trovandola fortunatamente aperta.
"John?" chiamò, sperando di non svegliare Mimi.
Tentò altre due o tre volte, prima di guardarsi intorno per cercare un sassolino da tirare contro il vetro.
Era ancora chinato a terra a frugare fra l'erba quando sentì una voce chiamarlo stancamente.
"Perso qualcosa, McCartney?"
Per lo spavento Paul crollò a terra, una scena esilarante che una volta avrebbe fatto ridere John così forte da svegliare la povera zia.
Ma John non rideva.
Non quella volta.
"Torna a casa tua, è notte fonda" si limitò a commentare, allontanandosi dalla finestra.
"John, maledizione!" sbottò Paul, levandosi una scarpa e lanciandola nella camera al posto del tanto agognato sassolino, "Torna qui".
"Ma di' un po'" sibilò John, tornando nel suo campo visivo, "Sei impazzito?".
"Esci o inizio a cantare, e non vuoi davvero che io svegli Mimi alle due del mattino. Non la prenderebbe bene" lo minacciò Paul, ben deciso a far valere le proprie ragioni.
"Vattene" ribadì John, paralizzato dalla collera che lo consumava.
Paul si schiarì la voce, intonando una qualche canzonetta che doveva aver ascoltato in un bar di quart'ordine.
"Maledizione, Paul, chiudi il becco" sussurrò John, trattenendosi dall'alzare la voce per urlargli contro l'odio che provava in quel momento.
"Scendi?" chiese incurante il minore, con il naso in aria e un sorriso stampato sul volto.
Dannatissimo McCartney.
"Solo per ucciderti".
Paul ridacchiò contento, aspettandolo a braccia conserte.

2.18 am.

John si infilò cautamente in bagno, lavandosi più volte il viso per nascondere ogni traccia delle lacrime che aveva incessantemente versato da quando sua madre se ne era andata.
Perché era questo che aveva fatto.
Lo aveva abbandonato, di nuovo, e John non riusciva a perdonarglielo.
Una parte del suo essere gli ricordava che non era stata Julia a scegliere di lasciarlo solo, ma era solo una minima parte che lottava contro un gigantesco mostro interno, che rosicchiava via via quel piccolo spiraglio di speranza.
John si calcò gli occhiali sul naso -tanto chi lo avrebbe visto a quell'ora?- e scese le scale in punta di piedi, silenzioso come un gatto. Aveva ormai la mano sulla maniglia quando una voce lo bloccò, "John, sei tu?".
Imprecò, più per aver turbato il sonno della zia che per essere stato beccato per l'ennesima volta.
"Scusa Mimi, non volevo svegliarti" mormorò, nascondendo prontamente la scarpa di Paul dietro la schiena e osservando la figura elegante della zia sagomata nel buio.
"Non dormivo, ma tu dovresti" ribatté severamente Mimi, incrociando le braccia al petto.
"Ho capito, ho capito.
Torno di sopra, buonanotte" rinunciò John, rassegnato, alzando gli occhi al cielo.
Aveva appena iniziato a salire gli scalini quando la zia riprese a parlare, in un tono più dolce, "Dove vai? Paul ti sta aspettando qua fuori".
John si voltò, rivolgendole un timido e incredulo sorriso, "Dici sul serio?".
"Solo per stavolta, John. E non succederà mai più" gli urlò dietro Mimi mentre lui, dopo averle dato un rapido bacio sulla guancia, scappava verso la porta, chiudendola alle proprie spalle con un tonfo secco.
"Dovresti proprio vederli, Julia" mormorò Mimi, con un vago sorriso stampato sulle labbra, "Sembrano usciti da uno dei tuoi stupidi libri".

2.20 am.

"Ce l'hai fatta ad evadere" esultò Paul, guardando l'amico che si precipitava verso di lui.
"Mi spieghi che cosa vuoi?" chiese seccamente John, lanciandogli la scarpa dritta nello stomaco e tastandosi le tasche per cercare un pacchetto di sigarette.
Lo trovò, un po' acciaccato e malandato, nella tasca interna del giubbotto.
"Sono tre giorni che non esci da quella maledetta casa, se non per bere e fare a botte, ecco cosa voglio" ribatté Paul, improvvisamente serio, osservando John accendere distrattamente una sigaretta storta.
"Mia madre è morta, ragazzino. Non hai pensato che volessi semplicemente stare solo, senza averti fra i coglioni?".
Paul sentì il cuore pulsare dolorosamente al tono amaro di John.
"No" ammise, in tutta sincerità, rinfilandosi la scarpa con le mani che tremavano, "Non ci ho pensato".
L'espressione di John si addolcì impercettibilmente.
In effetti era stanco di stare da solo con i suoi mostri, e Paul era riuscito a capirlo prima di lui.
Nulla di nuovo, in effetti.
"Lascia perdere e andiamocene da qui" mormorò, con un buffetto affettuoso sulla guancia dell'amico.
Paul alzò gli occhi giusto in tempo per vederlo scavalcare agilmente il muro che separava Mendips da quel mondo con cui gli abitanti volevano, e a ragione, avere il meno possibile a che fare.
Si misero a correre, spintonandosi come bambini per arrivare per primi, riempiendo l'assonnata Menlove Avenue dell'eco delle loro risate. 
Gli occhiali di John volarono sull'asfalto, rimbalzando più volte fra le imprecazioni del proprietario. Paul si affrettò a raccoglierli e ad esaminarli attentamente per valutare i danni, "Come nuovi" lo rassicurò, mentre John li inforcava nuovamente. "E meno male, Mimi ci ha speso un occhio della testa" borbottò John sollevato, immaginando con un brivido la reazione della zia a un eventuale graffio sulle lenti.
"Ma non se ne regala un paio di solito? Ti costa così tanto accettare la carità della regina, signor Lennon?" lo prese in giro Paul, con un inchino beffardo.
"Prova tu a mettere quello schifo che regalo lo stato, McCartney. Avrei preferito andare a sbattere contro tutti i lampioni di Liverpool per il resto della mia vita" rispose John, accalorato, sistemandosi gli occhiali sul naso con più convinzione.
"Lo fai lo stesso" gli ricordò Paul ridacchiando, memore delle infinite cadute in cui John era solito esibirsi, per via della sua testardaggine nel non indossare le lenti. "Ma lo faccio di mia spontanea volontà. Andiamo, gli occhiali uccidono il mio sex appeal da rockstar" ribadì John, gesticolando vistosamente.
Paul scosse la testa, scompigliando dolcemente i capelli dell'amico, "Sei incredibile" mormorò con un sorriso.
"Paul, ti dispiace fare un salto al cimitero?"
Aveva imparato, con il tempo, ad aspettarsi qualunque cosa da John.
Sul serio.
Lo aveva ascoltato parlare timidamente con le stelle e urlare bestemmie nella navata di una chiesa, aveva visto le sue mani tremare nello stringere una nuova chitarra e coprirsi fermamente del sangue di qualcuno durante una rissa.
Credeva anche di aver imparato a conoscerlo abbastanza bene.
Sapeva cosa lo rendeva felice, e cosa lo feriva.

Ma una domanda del genere, no, davvero non se la sarebbe mai aspettata.
Neanche da Lennon.
"Intendi per-"
"No" lo interruppe John, impedendogli di pronunciare quel nome che, lo sapeva, avrebbe fatto crollare le sue difese.
"Okay" sospirò Paul, infilando le mani in tasca e chinando la testa.
Per un secondo aveva avuto l'impressione che facesse un po' meno freddo, ma ora la tempesta imperversava nuovamente sulle loro corazze di ferro, stringendo la carne in morsi dolorosi.
Camminarono in silenzio, l'uno accanto all'altro eppure distanti anni luce.
A Paul quella distanza non piaceva, per niente. Perché i chilometri in qualche modo poteva sconfiggerli: c'erano decine di pullman e aerei e treni, e magari una bella macchina compiuti i diciott'anni.
Ma avere qualcuno vicino e non riuscire a raggiungerlo in alcun modo, non riuscire ad abbattere i muri e sfilare le corazze, beh, quella è un'altra storia.
Quello è essere falliti.

2.45 am.

"Questa tomba mi piaceva un sacco, quando ero piccolo" mormorò a un tratto John, fermandosi davanti ad una lapide in pietra.
Paul si aggrappò disperatamente a quel fragile ponte gettato fra loro.
"Eri un bambino strano" lo prese dolcemente in giro, sedendosi accanto a lui, proprio davanti all'iscrizione funerea.
"Mi piacevano i giri di parole che la gente usa per parlare della morte" proseguì John, perso nel suo discorso, senza neanche ascoltarlo.
"Questo è perché le tombe sono per i vivi, non per i morti. A loro non interessa se si usano giri di parole o no. Non più, almeno" sussurrò amaramente Paul, sfiorandogli appena la spalla, in cerca di calore.
"Guarda" disse semplicemente John, allungando l'indice per mostrargli un'incisione a poche righe dalla fine.
"Eleanor Rigby", lesse Paul, strizzando gli occhi alla tenue luce lunare, "Addormentata".
"Suona così bene, addormentata. Fa pensare a qualcosa che non fa male, qualcosa di reversibile" sussurrò John, mentre le lacrime lottavano per uscire dai suoi occhi.
Un braccio gli circondò le spalle, tenendo insieme i suoi cocci, "Julia è morta, Johnny. Non c'è niente che tu possa fare per riportarla indietro".
"Vaffanculo", urlò John, scattando in piedi, pronto a correre via.
Perché è questo che fanno i vigliacchi, scappano.
I vigliacchi come lui, e come sua madre.
Paul gli afferrò prontamente una mano, stringendolo in un forte abbraccio, "Non serve scappare, puoi piangere se vuoi" sibilò all'orecchio dell'altro, sfiorandogli la schiena con ampi movimenti verticali.
Fu come se, avuto quel permesso, i freni di John si fossero frantumati in minuscoli pezzi, permettendogli di piangere apertamente sulla spalla di Paul.
Senza paura, senza vergogna.
Per una volta, John permise a se stesso di perdere, di essere maledettamente umano fra le braccia del suo migliore amico.
"Io ho bisogno di lei" singhiozzò, crollando a terra e coprendosi il viso con le mani, fragile quanto può esserlo un diciassettenne come tanti altri, senza nulla di speciale, quando si ritrova solo.
Irrimediabilmente solo.
"Sono qui" sussurrò Paul, accarezzandogli le braccia per imprimervi un po' di calore.

E non era una risposta, ma era quello che John aveva bisogno di sentire.
Si ritrovò a poggiare la testa sulle gambe di Paul, rannicchiato come a proteggersi dal mondo.
E le mani affusolate del compagno che vagavano fra i suoi capelli, lente, a testimoniargli che solo non era e non lo sarebbe stato mai.
"Fa freddo, Paul" mormorò, scosso da brividi continui e inclementi che gli scuotevano dolorosamente la spina dorsale.
"Lo so, John, ho freddo anch'io".
Rimasero in silenzio, ognuno con il proprio dolore, per minuti che parvero eterni.
"Non ho voluto vedere il corpo" disse John all'improvviso, con gli occhi fissi sulla lapide.
Paul rimase silenzioso, in attesa.
"E al funerale ho passato tutto il tempo con il viso sul grembo di Mimi" proseguì, rabbrividendo al pensiero di quell'orribile giornata.
"Non volevi credere che fosse vero, e con una bara e un corpo davanti tutto sarebbe diventato spaventosamente reale" completò Paul per lui, "È normale".
"Io non sono normale, McCartney" lo contraddisse John, amareggiato, "Sono solamente stato un vigliacco".
Paul lo afferrò per le spalle, costringendolo a mettersi a sedere e guardarlo negli occhi, "Non devi mai più ripetere una cosa del genere, mi hai capito?" sibilò ferocemente, scuotendo John come una bambola di pezza, "Mai più nella vita, John Lennon. Sei la persona più coraggiosa che conosca, sei fantastico e, e-"
E io ti amo.
"E tante altre cose che sei troppo cieco per vedere, ma se ti guardassi per un attimo con i miei occhi, John, tu-" si bloccò nuovamente, maledicendosi per la propria incapacità di portare a termine un discorso sensato, "Accidenti, non devi pensarlo e basta" terminò stancamente, lasciandolo finalmente andare.
"Sai che ho ragione, Paul. Sono un vigliacco" ribatté John, alzando inavvertitamente la voce, "Non volevo guardarla perché la odiavo. La odio perché mi ha lasciato solo, perché per l'ennesima volta mi ha abbandonato a me stesso e io non riesco a perdonarla. Chi penserebbe cose del genere della propria madre morta?".
Paul guardò gli occhi di John, due pozze di profondo e viscerale smarrimento, devastati dal dolore, e sentì il cuore accartocciarsi come una foglia secca.
"Lo ho pensato anche io quando mia madre-" prese un respiro profondo, cercando di calmarsi, "Insomma, lei aveva lasciato i vestiti per me e Mike sul letto, dicendo che tutto era pronto nel caso non fosse tornata, e mi sembrava tutto così organizzato, come se lo avesse voluto lei, come se lo avesse saputo fin dall'inizio, come se-".
Faceva male parlarne, anche se era passato del tempo.
Faceva male, ma Paul sapeva che era l'unico modo per far capire a John che con il dolore si poteva convivere senza impazzire.
Che altri avevano provato le sue stesse emozioni, e soprattuto che lui sarebbe sempre stato al suo fianco e non lo avrebbe lasciato per nulla al mondo.
"Come se fosse morta apposta" terminò John, passandogli un braccio intorno alla vita, non sapendo che altro fare per farlo stare meglio.
Paul sorrise, sereno.
Gli piaceva quando lui e John terminavano l'uno le frasi dell'altro, come se fossero stati un'unica persona, due facce della stessa medaglia.
Perché era così, erano maledettamente simili, e la vita lo stava dimostrando loro nel bene e nel male.
"Siamo tutti così uguali nel dolore" commentò John, proseguendo senza accorgersene il filo dei pensieri del compagno.
"Oh, Johnny" riuscì a mormorare Paul fra i singhiozzi, nascondendo il viso sulla sua spalla.
"Da quando Julia si è addor-" John si costrinse a rielaborare la frase, "Da quando Julia è morta, non ho fatto altro che bere e finire in qualche rissa, per sfogare su qualcosa quello che provo. Questo abbandono, Paul, non è giusto, ecco" balbettò, cercando di non guardare il quindicenne accanto a lui, che lo osservava attentamente mentre John elencava una per una le sue debolezze e le sue mancanze, come non lo aveva mai fatto con nessuno.
"Vieni, John" si limitò a dire Paul, prendendogli con dolcezza la mano e portandolo via dall'antica e malinconica lapide.
Lontano da Eleanor Rigby e dal suo sonno eterno.

 

4.00 am.

"Strawberry Fields? Dici sul serio?" chiese scettico John, guardando il bel cancello laccato di rosso che proteggeva l'immensa villa gotica.
"Hai paura che ci becchino, Johnny?" lo sfidò Paul con un sorriso, trascinandolo di peso fino al confine della proprietà.
"Io non ho paura di nulla, dolcezza. Stavo solo pensando che portare il tuo migliore amico, a cui è appena morta la madre, in un orfanotrofio non sia proprio l'idea più brillante che potessi avere".
Paul cercò di non rimanerci troppo male quando il ragazzo si liberò della sua stretta per iniziare ad arrampicarsi sul ferro battuto.
"Sto portando il mio migliore amico a cui è appena morta la madre in un posto sicuramente più allegro di un cimitero" ribatté piccato, seguendo John nella sua scalata.
Si rifugiarono nel piccolo bosco di Strawberry Fields, lasciandosi cadere sull'erba soffice e umida di rugiada.
"Dovremmo restare qui per sempre" suggerì John, la voce un po' distorta dalla sigaretta che aveva infilato fra le labbra, frugandosi nelle tasche, alla ricerca di qualcosa.
Paul si sfilò dalla tasca un accendino, leggendogli per l'ennesima volta nel pensiero, e rischiarò il bel viso dell'amico alla luce tenue della fiammella.
John gli rivolse un sorriso di ringraziamento, accendendo la sigaretta e stendendosi accanto a lui, con le braccia incrociate sotto la nuca, “No, davvero. Mi piace star qua”.
"Non è un posto troppo depresso per uno a cui è morta la madre da tre giorni?" lo punzecchiò Paul, godendosi la tranquillità di quegli istanti.
Sentiva il respiro rilassato di John accanto a lui, ed era oltremodo felice di avergli procurato quella piccola oasi di pace.
Di essere la sua oasi di pace.
"Forse da solo lo sarebbe" concordò John, rigirandosi la sigaretta fra le dita, "Ma per fortuna non lo sono, giusto?" chiese, con una gentilezza del tutto nuova, stringendo per un breve attimo il braccio dell'amico.
"Non lo sarai mai" promise Paul, arrossendo e fissando le stelle che facevano capolino fra le fronde sopra di loro.
"Non essere ridicolo" ribatté freddamente John, cambiando posizione accanto a lui.
"Fammi parlare" lo zittì Paul, tenendo gli occhi fissi sul cielo, "Lo so che non mi crederai, ma io sono qui e non credo che gli anni cambieranno le cose, fra di noi. Tu sei incredibile, John, sul serio, e nessuno può pensare di lasciarti solo. Se lo fanno, beh, vuol dire che non ti conoscono, perché per quel poco che ho potuto vedere io sei troppo" cercò un aggettivo adatto, senza trovarlo, "troppo tutto, ecco, anche nei tuoi difetti".

Sentì John sorridere, anche senza vederlo.
Lo sentiva fin nelle ossa.
"Se un giorno me ne andrò sarà perché me lo avrai chiesto tu" si voltò finalmente di lato, per incontrare il viso pensieroso dell'altro, "Questa è l'unica ragione per cui potrei lasciarti".
"Ogni volta che ti dirò sul serio queste cose, Paul" sussurrò John, guardandolo negli occhi come riusciva a fare solo lui, spogliandolo delle paure e delle incertezze, "Sai, queste stronzate che voglio essere lasciato solo e tutto il resto, non credermi neanche per un secondo. Ne dico un sacco di puttanate, lo avrai notato" ridacchiò a disagio, gettando nell'erba il mozzicone ormai spento, "Ma non potrei mai davvero volere che tu te ne vada via da me. Mai".
Paul a quel punto fu certo di avere le guance in fiamme e l'espressione più ebete del suo repertorio, ma non gli importava.
John aveva bisogno di lui, John lo voleva accanto a sé, e non c'era niente di meglio che Paul potesse desiderare.
"Dovremmo tornare a casa, o chi la sente Mimi" gli fece notare John all'improvviso, alzandosi in piedi e stirando le braccia intorpidite.
Probabilmente quell'eccesso di sentimentalismo lo aveva stancato.
Paul arricciò il naso, "Dobbiamo proprio?" chiese di malavoglia, socchiudendo gli occhi come chi, al mattino, cerca di non svegliarsi del tutto dal proprio sogno.
John si prese a schiaffi i pantaloni per scuotersi di dosso parte della terra e dell'erba che vi si erano coraggiosamente ancorate, "Direi proprio di sì, datti una mossa" lo esortò, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Paul osservò con un sorriso quella mano tesa fra di loro, prima di stringerla con forza per tirarsi in piedi.
John non lo lasciò andare neanche una volta assicuratosi che era in perfetto equilibrio, e da parte sua Paul lasciò che le sue dita si intrecciassero a quelle fredde e affusolate di John in una stretta dolce e complementare.
Camminarono in silenzio, troppo imbarazzati e felici per riuscire a scambiarsi una parola.

4.30 am.

"Io sono arrivato" mormorò John senza convinzione, fermandosi davanti a Mendips.
"Sì, abiti qui" confermò Paul, lasciandolo andare e torturandosi nervosamente le mani ormai orfane del tocco di John, alla ricerca di qualcosa da dire.
Si stava comportando come uno stupido, se ne rendeva conto, ma aveva la mente completamente svuotata e non riusciva a pensare a niente.
"Ah, ecco, mi sembrava familiare” rise John, inclinando dolcemente la testa, “Grazie, McCartney, per tutto".
Paul cercò in tutti i modi di rispondere con qualcosa di sensato, ma riuscì solo a gettarsi fra le braccia di John, stringendolo a sé e nascondendo il viso sul suo petto.
"Tutto bene?", chiese John, preoccupato, ricambiando l'abbraccio.
"Ho pensato che potessi avere ancora freddo" riuscì a dire Paul, staccandosi imbarazzato dal corpo caldo e rassicurante del maggiore.
"Non preoccuparti" lo rassicurò John, voltandosi per scavalcare l'ennesimo cancello di quella nottata.
Si rese conto in quel momento di non avere alcuna voglia di tornare a casa.
"Paul?" chiamò, voltandosi indietro e raggiungendo la figura esile dell'amico.
"Sì?" chiese sorpreso l'altro, spettinandosi nervosamente i capelli corvini.
"Come hai fatto a superare tutto questo?" chiese John, incerto, pentendosi all'istante di quella domanda scomoda e insensibile.
Era così intelligente e maturo che a volte John dimenticava i loro diciotto mesi di differenza, e che Paul aveva diritto ad avere la sua età.
Senza le infinite preoccupazioni che John era bravo a procurargli.
"Non si supera" ammise Paul, "Ma mi ripetevo che dopo una grande sconfitta di solito c'è una grande rivincita, sai, per pareggiare le cose".
John si inebetì a guardare i lineamenti ancora infantili di Paul, smentiti dalla grande forza che aveva dimostrato di possedere.
"Ed è arrivata? La rivincita, intendo" chiese, interessato, aggrappandosi all'ottimismo e alla luce che Paul sembrava emanare intorno a sé.
Le guance chiare del minore si colorarono tenuemente, "Ho avuto te, John, e sei valso tutte le mie sconfitte, quindi credo di sì" mormorò, attingendo al poco coraggio che riusciva a mantenere di fronte a quel ragazzo.
E forse fu il sorriso dolce che illuminò il volto di John a spingerlo a percorrere la distanza che li separava, sfiorando le sue labbra in un bacio casto e pulito, leggero come il battito d'ali di una farfalla.
"D'accordo, io devo proprio andare" balbettò un adorabile Paul con le guance paonazze, allontanandosi di scatto dal compagno, che restava immobile, totalmente impietrito.
Accidenti a lui e alla sua carenza di autocontrollo.
E vaffanculo anche a Lennon, perché.. perché sì.
Paul lo aveva voluto, ovviamente, lo desiderava da morire.
Ma aveva rovinato tutto.

Aveva rovinato la sua unica vittoria in una vita di sconfitte.

4.34 am.

"Maledizione! Dimentichiamoci questa-" Paul tirò un calcio frustrato a un sassolino, incapace di restar fermo, "-questa cosa, d'accordo? Buonanotte" lo pregò, scappando via per non mostrare a John le lacrime che gli percorrevano il viso arrossato.
L'altro lo afferrò con forza dall'avambraccio, impedendogli di continuare a correre .
"Ti prego, lasciami stare" singhiozzò Paul, mentre delle braccia lo circondavano e delle dita dolci gli asciugavano le guance ustionate.
"Guardami" ordinò John pacatamente, prendendogli il viso fra le mani.
Paul scosse debolmente la testa, serrando gli occhi con una disperazione che faceva male.

4.35 am.

"Hai ancora freddo, McCartney?"
L'interessato socchiuse appena gli occhi, preso in contropiede da quella domanda improvvisa.
"No" balbettò, confuso, alzando il viso per incontrare finalmente gli occhi brillanti del suo migliore amico.

4.36 am.

Le labbra di John si posarono gentilmente sulle sue, prima che potesse giustificarsi ancora, prima che potesse nuovamente chiedergli di dimenticare.
E in quel momento, pensò Paul, faceva fin troppo caldo.
"Neanche io" soffiò John sulle sue labbra, accarezzandogli la guancia con una delicatezza tale che le sue dita sembravano fluttuare nell'aria, senza sfiorare la pelle del minore.
Paul si abbandonò al tocco leggero dell'altro, rivolgendogli un piccolo sorriso incredulo.
"A domani, John" sussurrò, prendendo quella mano fra le sue, per poi posarvi un impercettibile bacio.
"A domani, Paul" confermò John, trattenendo per un ultimo istante le dita dell'altro, intrecciate alle sue. Si arrampicò agilmente sul muretto, sottraendosi alla visuale del compagno, che rimase lì per un po' ad osservare il punto in cui John era sparito, con un sorriso ebete stampato sul viso.
D'altronde, “A domani”, era la promessa più bella che si fossero mai fatti.

 

4.40 am.

Mimi, nel suo letto, sorrise nel sentire i passi concitati di John su per le scale, e si alzò per sbarazzarsi della pesante trapunta di lana: aveva improvvisamente caldo.
 

5.00 am.

Un po' più lontano, una donna con dei bellissimi capelli ramati, seppellita nella terra gelida, sorrise a sua volta.
Anche per lei, quella notte, faceva un po' meno freddo.

  
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