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Autore: lapoetastra    14/12/2014    2 recensioni
La storia di Paul, un boia, e di Jennifer, una carcerata condannata alla pena di morte, i cui destini si incroceranno inevitabilmente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Jennifer...
Mi ripeto il suo nome nella mente, e non riesco a smettere di pensare a lei.
Ho in mano il suo fascicolo e continuo al leggere la parte dove è indicato il crimine che ha commesso e per la quale è stata condannata alla sedia elettrica.
Non me ne dò pace.
Non capisco come una ragazzina così minuta e giovane possa aver rapinato da sola una banca ed ucciso a sangue freddo cinque persone.
Mi sembra impossibile, e sono convinto che ci sia stato un errore da parte del giudice.
Ma tanto so che ormai la sentenza è stata fatta e che io non posso fare niente per modificarla.
Chiudo gli occhi, cercando di far vagare la mente, ma mi appare davanti soltanto il suo viso, dolce, emaciato, tirato dalla lunga prigionia.
Per quanto si sia sforzata di non darlo a vedere, ho notato nei suoi occhi lo sguardo terrorizzato di una preda che sta attendendo di essere sbranata.
L'ho riconosciuto benissimo.
In fondo, sono cinque anni che faccio questo lavoro.
In fondo, è lo stesso che vedo ogni giorno riflesso nel mio specchio.
Passa il tempo, ed io attendo con timore il momento dell'esecuzione, sapendo che non potrò mai dimenticarla, non importa quanto ci proverò, in futuro.
La sveglia suona.
Capisco che ormai non si può più rimandare l'inevitabile.
Mi alzo come fossi in uno stato di trance e con passo lento e malfermo mi dirigo verso la sua cella.
È l'ultima del corridoio.
E io mi odio.
E odio il mio lavoro.
Apro la porta.





Lo guardo venire verso di me, ancora più cupo, ancora più disperato di prima.
Alla sua vista ogni mio tentativo di non aver paura si vanifica, dissolvendosi come fumo nel vento.
Non posso fare altro che accettare la sorte, adesso.
Devo...
< Non sei stata tu, vero? >
La sua domanda mi distoglie dai miei pensieri.
< Cosa vuoi dire? >, chiedo a mia volta, confusa.
< Quelle persone.. non le hai uccise tu, non è così? >
Oh.
< No. Mi hanno incastrato. Io non c'entravo nulla. Ero solo.. come dire, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma il giudice non ha voluto sentire ragioni, dicendo che c'erano tutte le prove della mia colpevolezza, anche se io non le ho mai viste. Comunque non importa, adesso >, rispondo, e di colpo la rabbia riemerge tutta insieme, trasformandosi in calde lacrime che non riesco a trattenere.
< Come pensavo >, mormora Percy.
Chiudo gli occhi, e percepisco la sua figura che mi si avvicina e mi stringe forte.
Mi aggrappo a lui con necessità, con bisogno.
È da tanto che qualcuno non mi dimostra un affetto così sincero, una vicinanza così profonda, e mi sembra assurdo che adesso ciò avvenga per mano dell'uomo che tra poco mi ucciderà.
Però non mi ritraggo al suo calore, e desidero con tutta me stessa che non finisca mai.
Di colpo però Percy si stacca da me, e noto che anche lui sta piangendo, piano, cercando di non spaventarmi.
Vorrei che non l'avesse fatto.
Mi sento solo più giù, adesso.
< Dobbiamo...dobbiamo andare >, sussurra, ed un singhiozzo scappa al suo controllo.
Ci guardiamo negli occhi ed io mi annullo in quello sguardo, in cui non c'è odio nè compassione, ma solo dispiacere.
Desidero che non finisca così, ma non mi posso opporre alla giustizia, nonostante questa volta abbia commesso un errore.
Percy mi prende la mano, me la stringe dolcemente, e insieme ci avviamo verso quella sala che ho sempre temuto.
Mi viene quasi da ridere, perchè sembriamo due fidanzati che fanno una passeggiata, e non una condannata a morte e il suo giustiziere.
Siamo arrivati.
La vedo lì, che mi attende. La "Vecchia scintillante", come la chiamano gli altri detenuti.
Entro nella stanza, e subito il calore mi soffoca, ma so che è niente, adesso.
Mi siedo tremando per il contatto freddo con la sedia.
Percy mi sistema la spugna bagnata sulla testa, mi mette la colotta, mi stringe le cinghie sui polsi e sulle caviglie.
Vedo il luccicare delle lacrime nei suoi occhi, e provo tanta pena per lui.
Vorrei che non fosse testimone di tale atrocità, perchè sono sicura che che è quasi più doloroso per lui che per me.
< Non fai questo lavoro perchè ti piace, vero? >, sussurro, ma tanto non mi ha udito.
< No. È solo per sostenere economicamente la mia famiglia >, risponde invece.
< Come pensavo. >
Vedo per un secondo un sorriso illuminargli il volto e penso che sia davvero bello, e che forse mi sarei potuta innamorare di lui, se solo ci fossimo incontrati in altre circostanze.
Poi, di colpo, non vedo più niente.
   
 
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