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Autore: SakiJune    19/12/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Vansell è un personaggio odioso, in Divided Loyalties, ancora più del Giocattolaio il che è tutto dire. Negli audio (Neverland, per la precisione) finisce molto male e ne godo parecchio, ma in questo verse è vivo e vegeto e ancora più detestabile. I motivi per cui l'ho ripescato sono principalmente due: avevo bisogno di un nuovo villain che avesse dei trascorsi con Jelpax, e non volevo scomodare Narvin (uno dei protagonisti della serie "Gallifrey", a cui pure mi sono in parte ispirata) perché non lo conosco abbastanza da muoverlo ed è persino troppo puccioso per essere bashato come voglio fare qui :)
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Il Castellano Spandrell si sentì improvvisamente molto stanco. - Sono troppo vecchio per questo lavoro - mormorò, mentre aiutava la compagna del Dottore a rimettersi in piedi. Era mortalmente pallida, e il suo bel vestito da ballo si era spiegazzato. Alla sua età si notavano così tanti particolari inutili.

La sentì emettere un lamento quando vide le guardie che portavano via Kedred, ma la rassicurò. - Non gli faranno del male, signora. Non sono ancora state definite accuse formali… tutto dipenderà dalle informazioni estratte dalla Matrice.

Proprio in quel momento vide arrivare un emissario dagli Archivi, che subito si scusò e riferì che la ricostruzione non era ancora completa. Ada quasi non riconobbe la voce del Signore del Tempo con cui tanti anni prima aveva avuto una relazione, e che non più tardi dell’estate precedente le aveva fatto capire di essere pronto a ricominciare.

- Beh, dì al tuo capo di sbrigarsi, non posso fare rapporto al Consiglio con le testimonianze che ho al momento.

- Avete dei motivi per trattenerla?

- No. No, naturalmente, stavo per farla riaccompagnare a casa.

Damon sospirò di sollievo, allungando un braccio a circondare le spalle di Ada e stringerla a sé: non vi fu nessuna reazione. - Lord Jelpax ha bisogno di parlarle con urgenza.

- Oh. Se può essere utile… Basta che faccia alla svelta. - Guardò la compagna del Dottore e i suoi occhi si velarono di compassione. - Mia povera signora, si risolverà tutto. Di solito lui ci riesce, giusto?

- Non questa volta.

Ada aveva appena mosso le labbra, ma Spandrell comprese ugualmente e rabbrividì, voltando loro le spalle: - Avete finito con i rilevamenti? - grugnì nel trasmettitore. - Come sarebbe a dire che non ci sono tracce?

Lei si lasciò guidare senza capire dove andassero, mentre l’orrore l’assaliva ad ondate.

- Non era una scusa, il mio capo vuole vederti davvero. Oh, Ada, devi essere molto forte. Devi… - Damon digitò il codice e richiuse la cabina di teletrasporto, poi le fece segno di premere il pulsante. Ada impiegò qualche secondo per capire, ma alla fine si ritrovarono alla Cittadella, nell’ala della Rete.

Il Coordinatore li attendeva, con il consueto sguardo impenetrabile.

 

*

ESTRATTO DALL’UDIENZA PRELIMINARE DEL CASO ΔΚΒ#102-χ-23

SECONDA SESSIONE, prima parte.

 

- Coordinatore Jelpax, a lei la parola.

- Come avete appreso dai dati che vi ho fornito, la TARDIS del Dottore ha seguito la traccia del link fino ad una colonia terrestre chiamata Penisola di Boeshane, se pure in un’epoca posteriore all’arrivo di… del soggetto B.

- E ha recuperato l’arco camaleonte che apparteneva al Rinnegato Δ.

- Sì, esatto. Ma non ha cercato in alcun modo di interferire con il punto fisso. Dopo aver lasciato quel pianeta, si è diretto sulla quattordicesima versione della Terra, nell’anno 5.000.000.053. Solo allora ha… tentato di…

*



Il Dottore impostò le coordinate e prese la precauzione di non sovrapporsi alla propria linea temporale. Forse il Decimo e Martha Jones erano ancora sul pianeta, ma non si erano voltati indietro. Non erano

(non sarebbero)

tornati in quella stanza. Non sapevano.

Frammenti di vetro scricchiolarono sotto i suoi passi. La creatura più antica dell’Universo era là, nulla più che una massa informe di carne, la sua saggezza spenta per sempre.

La Novizia Hame lo fissò con uno sguardo stupito, ma non fece nulla per fermarlo.

 

Lui fece scivolare l’orologio fuori dalla tasca, lentissimamente, quasi inconsapevole di ciò che stava facendo.

Si avvicinò e lo aprì. Le sue mani non gli appartenevano.

La polvere dorata volò a posarsi sulla Faccia di Boe, trasformando quella carne inanimata in una statua risplendente.

Poi essa cominciò a mutare sotto i suoi occhi, ferendoli di luce.

Due passi.
La luce sfumò.
Ora sul pavimento della stanza stava il corpo di Jack Harkness, solo che non era mai stato davvero Jack Harkness, perché era il suo Jack, il suo bambino, ora ne aveva la certezza e gli sembrò di non poterlo sopportare.

Anche quando lo vide riprendere i sensi e tossire.

Anche quando i suoi occhi si schiusero.

Sentiva la fragilità di quella vita e capì di non poterlo trattenere a lungo. A meno che non avesse deciso di lasciarsi salvare. A meno che...

 

Una risata colmò l’aria di tenebre e i suoi cuori di rabbia. Il Guardiano Nero era comparso davanti a loro, gongolante e minaccioso.

Il Dottore digrignò i denti in una smorfia altrettanto ferina, mentre si sfilava la giacca e copriva Jack, che iniziava a balbettare qualcosa e ad unire passato e presente in quell’immensa marea di ricordi.

- Non- non è assurdo? La vita di un Signore del Tempo mi sembrava un fardello troppo grande. Oh, se avessi saputo… se…

- Che tentando di sfuggire a me saresti andato incontro ad un destino molto, molto più lungo e doloroso? - Il Guardiano rise ancora, divertito all’inverosimile da quel paradosso. Il crollo dei suoi piani non era nulla di fronte all’inebriante spettacolo di quel dolore.

Jack afferrò la manica di suo padre, costringendolo dolcemente a guardarlo.

- Dovevo capire cosa mi fosse rimasto, cosa sarei diventato… e ora so che non c’è più niente. Per fortuna. È finita.

- Non è finita. Lui non vincerà. - Tornò a posare gli occhi con disprezzo sul Guardiano  sogghignante. - Tu non hai vinto. E ora ti spiego perché.

L’Eterno si predispose ad ascoltare i vaneggiamenti del Signore del Tempo, come un ragazzino che si sistema sul divano per guardare la partita.

- Qualsiasi cosa tu gli abbia fatto, è riuscito a liberarsi di te. Ammettilo, non è mai più stato sotto il tuo controllo da quando è fuggito da Gallifrey.

- Né sotto il tuo amorevole sguardo - replicò il Guardiano.

- Qui ti sbagli. Conosco soltanto una piccola parte delle meraviglie che è stato in grado di compiere, ma mi basta per colmarmi di orgoglio. Ha combattuto contro i Dalek, ha protetto la Terra dai pericoli della Fessura, ha sacrificato il suo stesso sangue per salvare i bambini di un pianeta che in fondo non era il suo… e si è trasformato in qualcosa di diverso, tornando agli albori del tempo ed osservando il suo scorrere lento, crescendo in saggezza e abnegazione, fino a giungere qui per il suo canto del cigno. Ed è stato melodioso come non mai… Novizia Hame?

- Supremo, Dottore - rispose l’infermiera, la voce rotta. La sacralità degli ultimi avvenimenti le impediva di stupirsi o provare timore di fronte all’ignoto, o di basarsi sull’apparenza nel riconoscere le multiformi identità che aveva davanti.

- Questo voglio dirti, Guardiano del Caos, solo questo. Non puoi aver vinto, se al di sopra di questo dolore, più di tutto, mi sento onorato di essere il padre di una creatura tanto splendida. Io, il Dottore, sono fiero di mio figlio e di ogni passo del suo cammino in questo universo.

Il Guardiano Nero ringhiò, il disgusto che gli sfigurava i lineamenti già feroci.

- Ora basta - risuonò una voce pacata ma ferma. Il Guardiano Bianco era apparso dal lato opposto della stanza, costringendo il suo rivale ad indietreggiare e dissolversi, il disappunto ancora impresso sul volto.

Il Dottore lo guardò appena.

- Andiamo. Devi tornare con me, ora. Non c’è nessun motivo per cui tu non debba farlo. Tua madre… cosa mai potrei dirle se non ti riportassi a casa?

- L’ho incontrata, sai? A Swansea. Non sapevo chi fosse, allora, ma ora so che era lei…

Una sofferenza più forte esplose nei suoi cuori già allo stremo.

Non era più un segreto, era passato da troppe bocche per essere considerato tale, ma era lo stesso un’altra ferita che andava a dissanguare ulteriormente la sua capacità di guardare le cose con distacco e ragionevolezza.

- Non chiedermelo più. Lasciami andare. Basta. È stato… un lungo viaggio… papà. Lo sai. Lo sai bene.

Sì, lo sapeva.

Non aveva tempo, ora, di ricostruire ogni singolo incontro, ogni frase, ogni prezioso momento - l’avrebbe fatto più tardi, nel Vortice, nel vuoto, nell’urlo cieco di ogni sua cellula.

-  Jack, tesoro…

Ma non bastava, dopo miliardi di anni non bastava.

Era solo un nome su una lista battuta a macchina in inchiostro verde, ufficiali dispersi nella seconda guerra mondiale… un assottigliarsi della coscienza per attingere ad un ricordo più profondo e risentire un’eco…

- Jackjamin…

Ecco.

Tutto ciò che mancava.

 

La pace.

Finalmente, la pace.

 

- L’ordine delle cose plaude alla tua scelta, Dottore - dichiarò il Guardiano Bianco.

 

Ma il Dottore ormai non lo ascoltava più, perso a confondere John Denver con una nenia venusiana, cantando piano tra i singhiozzi, mentre cullava gli ultimi istanti di vita del suo ragazzo.

 

Le foglie s’inchineranno ai tuoi passi

e suoneranno le campane del mattino...

Klokleda partha menin klatch

haroon haroon haroon,

haroon haroon haroon.

 

Il Guardiano della Luce si voltò e scomparve a sua volta. L’ordine era ristabilito. Permaneva un equilibrio soddisfacente, bianco e nero tornavano a fondersi in una parvenza di quiete, e le grida dei singoli Effimeri non contavano in quel tutto...



Questo vide Romana, riflesso dalla Fiamma sulle pareti della grotta. Le Sacerdotesse avevano preso a mormorare, turbate: quel doppio finale non era previsto.

Ma tutto il resto, quel percorso tortuoso e incredibile, era stato scritto dal principio dei tempi. Da quando l’incarnazione della Giustizia aveva abbandonato i suoi ranghi per amore della moglie di Omega, si era creato un vuoto che andava almeno parzialmente colmato. L’Universo aveva bisogno di una speranza, di un esempio, di un punto di riferimento… persino il Guardiano Nero, in tutta la sua crudeltà e presunzione, era stato solo una pedina inconsapevole del destino.

 

Questo vide Ada, nelle registrazioni della Matrice, finché Jelpax non spense lo schermo, rendendosi finalmente conto che era troppo per lei.

- Ce n’era davvero bisogno?

- Damon, il minimo che devo a questa famiglia è la verità. Prima che venga contraffatta e messa a tacere, prima che io stesso sia costretto a mentire.

Un’ombra era tornata nella sua vita, la sua nemesi - ciò che per il Dottore era stato Koschei, per lui era Vansell. La spia. Il traditore.

Il governo stava riportando in vita l’Agenzia Interventista, l’oscura fenice, la piovra i cui tentacoli ricrescevano e si moltiplicavano e che puntualmente sarebbe sfuggita al suo controllo. Non si era mai opposto platealmente alla sua autorità, per due ragioni: era giovane, desideroso di servire, ancora inconsapevole di quanto l’organizzazione fosse deviata, di come le sue intenzioni fossero maligne; e in secondo luogo, anche quando si era reso conto di ciò, aveva compreso che ribellarsi non era saggio e avrebbe solo messo in pericolo la propria posizione. Cautela inutile, visto lo scandalo che l’avrebbe gettato nel fango in seguito alla faccenda della Zona della Morte. Dopo un lungo periodo trascorso nell’ombra, dopo la guerra e la rinascita, era finalmente tornato al suo ruolo e l’aveva mantenuto per un secolo ormai, ma adesso la minaccia dell’Agenzia era tornata a incombere sul suo operato. Non vi era apparentemente nulla di ufficiale, solo velate allusioni durante le riunioni con l’Alto Consiglio e messaggi autoeliminanti con amichevoli suggerimenti. Ma c’era Vansell dietro tutto questo. Quando lo incontrava di sfuggita, per lui aveva sempre un sorrisino indefinibile e un cenno beffardo.

Si era finto loro amico.

Per tutto quel tempo.

Menzogne, solo menzogne.

E ora lui si ritrovava avviluppato in quella tela, di nuovo. Costretto a lasciare che quei manipolatori usassero le preziose informazioni della Matrice per i loro intrighi. Costretto a rivelare proiezioni ipotetiche che sarebbero state cancellate dalle possibilità per il bene superiore, senza che l’Alto Consiglio si sporcasse le mani direttamente.

Li odiava, quanto li odiava! E odiava Vansell più di tutti. Ma se c’era una speranza di conservare il suo posto in quei tempi difficili, di assicurarsi la fiducia dell’attuale Consiglio e aprire uno spiraglio in quel blocco di potere, allora…

Ma senza il Dottore tutto questo gli sembrava insormontabile.

Senza lui e Romana, forse non avrebbe mai trovato la forza di tentare davvero, di pianificare la rinascita di Prydon.

- Dovete raggiungerlo, Damon. Non posso permettere che il Dottore lasci Gallifrey per sempre.



Il Dottore si allontanò dai resti della pira con passi misurati, calcolati, quasi militareschi. Non aveva quasi coscienza del proprio corpo, perciò doveva calcolare le distanze, i movimenti. Le scarpe sembravano affondare troppo nell’erba morbida, eppure non sentiva la gravità. Era un controsenso che lo sconvolgeva insieme a tutti gli altri dettagli fisici di quel dolore.

 

Alzò lo sguardo e la vide. Lo stesso vestito, la stessa acconciatura ormai disfatta.

Si fermò, come se oltrepassare quella distanza l’avrebbe sporcata di ciò che aveva appena fatto.

- Perché, Thete? Questo non era un punto fisso.

- Dovevo tentare.- Aveva gli occhi e il volto arrossati dalle fiamme e dal pianto, ma lei non sembrava intenerita.

- Non avevi il diritto di decidere senza di me. Sei stato egoista.

- Lo so. Me ne sono reso conto fin troppo presto, ma ormai era tardi per rimediare… Ha vissuto molto, molto a lungo. Più a lungo di qualsiasi essere in qualsiasi universo. Non potevo obbligarlo a restare. Non potevo.

Ada sembrava capire. Come su Freon, sembrava reagire quasi freddamente all’ineluttabile. Certo che capiva, lei conosceva tutta la storia… anche alla fine? Sì, sapeva tutto, tutto quanto, e più di lui. Boeshane, il Big Ben, Satellite 5, Torchwood, Malcassairo… e molto altro ancora...

Il Dottore provò a sfiorarla, ma lei si ritrasse e gli bastò un respiro per capire perché.

Le sue mani odoravano ancora di erba-mela bruciata.

- Scusami.

Lei fece il gesto di voltarsi e portarsi le mani al viso, ma erano così vicini che con un braccio urtò l’orologio nascosto nella tasca interna della giacca di lui. Tastò, intuì di che si trattava, cercò di tirarlo fuori. Per un folle istante il Dottore ripensò alla notte in cui Jack era stato concepito, come lei l’aveva spogliato a metà e si era tuffata sotto la sua camicia… Ma questa volta non era la passione a spingerla, era la sua disperazione di madre. Lui estrasse l’orologio e glielo porse come una debole offerta di pace, come lo scrigno di un pirata sfortunato.

Ada lo afferrò con un rantolo d’impazienza, rischiò di spezzarsi le unghie per aprirlo, ci riuscì, pur sapendo che era vuoto, vuoto come lei, come New New York, come Lungbarrow, come le galassie e tutto ciò che esisteva e che avrebbe potuto anche non esistere, per ciò che le importava.

Lo strofinò contro il seno, gelosa del proprio dolore, furiosa con quel destino che avrebbe preferito non comprendere, eppure le si era svelato in tutta la sua terribile semplicità.

Il nickname con cui si era presentata a Clara, quel giorno di un’altra vita -

Ada Harkness.

E chi altri poteva essere?

Che cos’altro era stata, era, e sarebbe stata sempre, se non la madre di Jack?

La madre di un Signore del Tempo, di un essere umano, di una creatura leggendaria.

Quel vuoto si colmò di lacrime e orgoglio e finalmente lasciò che il Dottore la prendesse tra le braccia, trattenendo il respiro per non sentire quell’odore di morte.

 

Lui temeva la domanda. Avrebbe fondato un nuovo Ordine del Silenzio per impedirla, e allo stesso tempo sapeva quanto fosse legittima e naturale e già scritta nel dipanarsi degli eventi. Tutto ciò che riguardava Jack era un punto fisso, ma anche se non lo fosse stato non avrebbe fatto nulla per cambiarlo - non era così meschino, no, non lo era…

- Tu sai della sfera. So che lo sai. Si è aperta, devo andare adesso. Tornerò sulla Terra e lo incontrerò. So che non devo rivelargli nulla, so cosa rischierebbe l’universo se cambiassi il futuro, ma lui ci sarà.

Il Dottore esitò, ma non fu a lungo. Le sue labbra si dischiusero lentamente, e in quei secondi la sofferenza tornò a ribollire nelle sue vene come pece. Era Clara, il suo ultimo grido mentre si lasciava andare nell’oscurità del loro mondo distrutto; era River, nella Libreria e alle Torri Cantanti e a Trenzalore; era Astrid, polvere di stelle; era Joan, era Reinette, erano Rose e Grace e Cameca e

(Patience)

chiunque l’Altro avesse amato.

Era Ada Markham, e con quelle parole la stava lasciando andare.

L’ho incontrata, sai? A Swansea. Non sapevo chi fosse, allora, ma ora so che era lei…

- Sì, sono sicuro di sì.

Ada fu sorpresa dall’intonazione della sua risposta, le parve tanto calda e musicale da farle sospettare che per lui fosse semplice separarsi da lei:

- Tu l’hai visto morire, Thete. Con questi occhi. E con gli occhi del Decimo hai visto spegnersi la Faccia di Boe. Ma Jack Harkness vive ancora, lontano da qui. Io non gli ho detto addio. Lasciami essere egoista a mia volta. Io non l’ho perduto. Tutto ciò che ho visto è una registrazione sulla Matrice, una sequenza di immagini, un insieme di dati che per me non hanno alcun senso. È stata la tua scelta, non la mia.

- Dovevo farlo.

- No, non dovevi, amore mio. Posso capirlo, e non vorrei capirlo, preferirei davvero essere arrabbiata! Incolparti! Odiarti, Thete, odiarti nel profondo del cuore, ma non è così! Non voglio impazzire… è stata sempre la mia paura più grande.

Occhieggiò la TARDIS di Damon, che non aveva osato uscire.

- Non cercarmi mai più. Invecchierò in fretta. Non desidero altro, veramente.

Ripensò a Leela, ma non ebbe nemmeno un brivido. Era determinata, ormai; solo, l’indifferenza del Dottore la sconcertava. Lo sguardo di lui però non voleva essere per nulla indifferente. L’amava ancora. L’amava e le diceva addio.

Ada non poteva attendere, non poteva restare con lui altri cinque o cinquanta o cinquecento anni, e nemmeno un giorno di più. Non poteva fare l’amore con lui e lasciarsi tutto alle spalle, non poteva tornare a Gallifrey e rivedere la valle, la Cittadella, le lune in cielo e capire che nulla era mutato, perché tutto era completamente diverso e non voleva permettere agli occhi di dimostrarle il contrario. - Ma tu… tu devi tornare a casa. Gallifrey ha ancora bisogno di te. Thistle ha ancora bisogno di te. Io sarei soltanto un peso, ormai… dille che mi dispiace! Io… io la amo! Ma sono solo una cosa piccola nella sua vita...ora lo sento… e anche nella tua. Anche...

Non lasciò nemmeno che lui l’accompagnasse. Non che temesse un suo inganno, ma non si fidava della TARDIS del Dottore. Lei non li avrebbe mai condotti a destinazione, perché il suo solo obiettivo era la felicità del suo amato ladro. E poteva darle torto, forse?

Ma Damon, che pure tre anni prima le aveva promesso che l’avrebbe fatto, non volle accontentarla, così lo ingannò come soltanto una donna sa fare, chiudendolo fuori dalla sua nave e lasciando che i circuiti telepatici la portassero a destinazione. Quando lui riuscì ad usare lo Stattenheim e richiamarla indietro, non trovò che il vuoto nella stanza della console. Nessuna registrazione del percorso. Più nulla di lei...

 

*

SENTENZA DEFINITIVA DEL CASO ΔΚΒ#102-χ-23

Nonostante le attenuanti, il Rinnegato Δ è condannato in contumacia all’esilio perpetuo.

L’imputato Kedredaselus è sollevato dai propri incarichi all’Accademia di Prydon, e assegnato ad una mansione più umile, ancora da definire.

 

 

   
 
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