«Che vuoi, Stiles?»
Sette anni, sorriso storto, un unico ciuffo di capelli pasticciati di gelatina; il tono di Lydia è scocciato, come quello del papà quando gli chiede – saldamente ancorato a una manica del suo pigiama – di accompagnarlo al bagno: ha fatto un incubo e ha paura che un grosso lupo mannaro gli azzanni il sedere mentre fa la pipì.
«Cosa c’è, Stiles?»
Undici anni, occhiali squadrati e un gran sorriso; il tono di Lydia è esasperato, come quello della professoressa di matematica quando abbassa lo sguardo e si stringe nelle spalle: ha dimenticato i compiti a casa, per l’ennesima volta.
«Che cosa vuoi, Stiles?!»
Tredici anni, naso all’insù e un grosso brufolo sul mento; il tono di Lydia è rassegnato, come quello di Scott quando gli frega la bicicletta: ha sfracellato la sua contro il cancello di casa e vedere il suo migliore amico, goffo com’è, corrergli dietro mentre sfreccia lungo la strada, è uno spettacolo al quale non può rinunciare.
«Che c’è, Stiles?»
Sedici anni, guance arrossate e una grossa sciarpa di lana ad avvolgergli il collo; il tono di Lydia è stanco, come quello del professor Harris quando lo sorprende a scarabocchiare sul quaderno di chimica: assottiglia le palpebre e gli preme un indice contro il petto, in una muta e minacciosa esortazione a prestare attenzione.
«Cos’hai, Stiles?»
Diciassette anni e mezzo, le labbra gonfie e il fiato corto; il tono di Lydia è allarmato, come quello della mamma quando si accasciò sul pavimento – gli occhi lucidi e le guance bollenti. Preme le labbra contro le sue e un brivido gli attraversa la schiena, le mani che ancora tremano: sei a casa.
{272 words;}