Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    14/11/2008    2 recensioni
Due cuori diversamente spezzati che, insieme, tentano di ridare un senso alle proprie vite
Genere: Romantico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lo so, lo so, ho tante fic a capitoli in corso, ma vi assicuro che anche questa è un progetto piuttosto vecchio, la bozza attendeva da secoli di essere portata a termine e siccome ci tenevo a scriverla sotto ispirazione intensa non mi decidevo mai^^ Ques

Lo so, lo so, ho tante fic a capitoli in corso, ma vi assicuro che anche questa è un progetto piuttosto vecchio, la bozza attendeva da secoli di essere portata a termine e siccome ci tenevo a scriverla sotto ispirazione intensa non mi decidevo mai^^ Questa canzone di De Gregori mi ha sempre fatto pensare a Shun, quindi alla fine è venuta praticamente una songfic dato che ho, seppur liberamente, tratto ispirazione dalle bellissime immagini descritte nel brano. Ok, fatemi sapere che ne pensate.

HyogaXShun a tutti gli effetti, shonen-ai (non yaoi, perché il lato fisico è solo accennato), un po' angst e... melassa;PPP

 

 

 

 

 

TU CHE CONOSCI LE LACRIME E LE SAI CONSOLARE

 

 

 

 

Bellamore Bellamore non mi lasciare,

Bellamore Bellamore non mi dimenticare.

Rosa di Primavera, isola in mezzo al mare,

lampada nella sera, Stella Polare.

Bellamore Bellamore, fatti guardare,

nella luna e nel sole fatti guardare.

Briciola sulla neve, lucciola nel bicchiere,

Bellamore Bellamore, fatti vedere.

E vieniti a sedere, vieniti a riposare,

su questa poltroncina a forma di fiore.

Questa notte che viene non darà dolore,

questa notte passerà, senza farti del male.

Questa notte passerà, o la faremo passare.

Bellamore Bellamore, non te ne andare.

Tu che conosci le lacrime e le sai consolare.

Bellamore Bellamore non mi lasciare,

tu che non credi ai miracoli ma li sai fare.

Bellamore Bellamore fatti cantare,

nella pioggia e nel sole, fatti cantare.

Paradiso e veleno, zucchero e sale,

Bellamore Bellamore, fatti consumare.

E vieniti a coprire, vieniti a riscaldare,

su questa poltroncina a forma di fiore.

Questo tempo che viene non darà dolore,

questo tempo passerà, senza farci del male.

Questo tempo passerà o lo faremo passare.

 

(Bellamore – F. De Gregori)

 

Ancora lacrime, pensieri angosciosi che mi dilaniano; le battaglie non sono finite per noi, no, non per me che giornalmente combatto contro ricordi e rimpianti. Come fanno loro ad andare avanti così, come fanno a fingere una normalità che non potrà mai appartenerci? Come fanno a non comprendermi?

E tutto questo dolore mi rende egoista perché lo so, so di non essere l’unico che ha sofferto, so di non essere l’unico che deve continuare a lottare contro il proprio passato, contro la propria coscienza, so che non sono incompreso ma riesco a vedere solo la mia sofferenza pur sapendo quanto essi stessi soffrano, consapevole del medesimo destino che ha scritto per noi, nelle stelle, un dolore senza fine, dalla nascita all’istante in cui moriremo, senza scampo alcuno.

Me ne sto solitario e pensieroso nei luoghi più appartati che si possano trovare in una città caotica come questa, a volte isolandomi in riva al mare, passeggiando per i viali più verdi nelle ore in cui sono meno frequentati, soprattutto ricerco gli angolini più remoti del grande parco di Villa Kido, o addirittura mi rinchiudo nella mia stanza… e penso, un inutile rincorrersi di sentimenti ed emozioni privi di un coerente filo logico, che si aggrovigliano su se stessi lottando, spezzandosi, infliggendomi ferite sempre più profonde nelle quali mi crogiolo in un perverso gioco di masochistica ricerca del dolore. Perché questo?

Non si possono domandare motivazioni ad una mente come la mia, non c’è nulla di razionale nella mia testa, so che non posso e forse non voglio uscirne, perché io devo pensare e stare male, non posso permettermi di ricacciare tutto in un angolino… no, non lo so se non ci riesco o se non lo voglio fare, semplicemente non posso prendere in considerazione l’idea… o già per il fatto che ne sto parlando questa idea l’ho considerata?

Scuoto la testa, come a cacciare questo velo di follia che mi ottenebra ancor più di quanto faccia di solito. Le luci del mattino trasformano le gocce di rugiada in tante pietre preziose plasmate nel colore delle corolle variopinte; il giardino di Villa Kido riesce ad assumere le sembianze di un mondo incantato in alcuni momenti… eppure non è il mio posto; potrei fuggire realmente e trovarla la solitudine di cui avrei bisogno se solo mi decidessi a tornare in Siberia. Ma non me la sento… la mia sola ancora di salvezza è qui e semplicemente non ho il coraggio di abbandonarla, non più.

Anche questo rientra nel mio egoismo perché spero ogni istante che lui arrivi ad alleggerire il peso dei miei tormenti, accantonando i suoi che, io lo so, sono immani… e pur sapendolo mi appoggio a lui senza ricambiarlo in nulla. Quando mi sono accorto, per la prima volta, di essere tanto più fragile di lui? Forse l’ho sempre saputo ma è stato difficile doverlo ammettere a me stesso, dover ammettere la mia debolezza, la mia instabilità alla quale solo lui riesce a dare una parvenza di equilibrio. Lui non mi opprime con i suoi fardelli, è troppo impegnato a prendersi i miei sulle proprie spalle, io l’ho compreso, eppure non riesco a fare nulla per lui; è ancora egoistico vittimismo il mio, la linea tra il non potere e il non volere è molto sottile, lo so… ormai quasi ne faccio un alibi di questo mio stato d’animo e la volontà di venirne fuori è pressoché annullata… ed ogni istante lo attendo, attendo che la sua sublime presenza giunga a tirarmi fuori dal baratro allorché sono sul punto di precipitarvi dentro.

Neanche questa volta mi delude; durante la colazione deve essersi reso conto del mio malessere e, discreto come al solito, non mi ha detto nulla in presenza degli altri, sapendo benissimo che la cosa mi avrebbe messo a disagio. Come sempre ha atteso che mi isolassi, per poi raggiungermi, dopo pochi minuti e ora incede con passo leggiadro in mezzo alle rose e alle innumerevoli varietà di fiori che ravvivano queste siepi con la loro esplosione multicolore. Si ferma un po’ incerto a qualche passo da me e mi pone una flebile domanda, con un velo di timidezza:

"Ti disturbo, Hyoga-kun?"

Poverino, ha imparato a conoscermi meglio di chiunque altro; chi più di lui ha sopportato i miei malumori, i miei scatti di nervosismo, la mia instabile attitudine nei confronti del mondo, foss’anche nei suoi confronti, della persona di cui più mi fido nell’intero universo? L’unica che davvero riesco sempre a sopportare? Ogni volta non sa come reagirò ai suoi tentativi di confortarmi, più volte l’ho trattato male a parole o anche solo mostrandomi infastidito dalla sua vicinanza… falsamente infastidito o forse completamente incapace, nella mia stupidità, nei miei momenti di confusione mentale, di gioire nell’averlo accanto. E, nonostante tutto, mai si è stancato di venirmi a cercare, di venirmi ad offrire il suo sostegno, il suo calore, la sua tranquilla, saggia dolcezza.

E’ un bene che ora io sia abbastanza lucido da riflettere in questo modo, riuscendo così ad accoglierlo con un sorriso sincero ed affettuoso. Incoraggiato dalla mia reazione, ricambia il sorriso ed io non posso che esserne felice, perché il suo sorriso è già sufficiente a convertire al meglio una giornata cominciata male: ha in sé la radiosa morbidezza della primavera, egli stesso assume, nella mia immaginazione, la magnificenza di una rosa, sovrana di questo giardino.

Dopo pochi istanti è seduto accanto a me, la schiena appoggiata al medesimo albero al quale è poggiata la mia; raccoglie le ginocchia e intreccia le mani davanti ad esse, sollevando il viso ad accogliere la carezza gentile di un raggio di sole infiltratosi attraverso uno spiffero del tetto di foglie, un raggio di sole che prima non c’era, probabilmente anch’egli desideroso di porgere il suo saluto a colui che lo supera in splendore.

Perdendomi qualche istante a contemplare il profilo del mio fratellino, mi trattengo a stento dal ridere per queste assurdità da romanzo rosa che mi sono venute alla mente… e nonostante tutto non respingo ciò che ho pensato, non vi è nulla di artificioso in ciò che mi trasmette questo cucciolo di saint che ho al mio fianco.

"La primavera è in anticipo quest’anno…"

Profondamente assorto nel tepore di quel tocco solare, formula quasi distrattamente l’osservazione e la sua voce amabile come quella di un uccellino gentile si riempie di sfumature svariate, incrinandosi lievemente verso una commozione che non so esattamente a cosa sia dovuta. E subito mi accorgo di mentire a me stesso… non posso pensare che Shun sia sereno come sempre si mostra quando desidera sollevarmi il morale, lo conosco troppo bene per pensarlo. Come può essere sereno, povero ragazzo, dopo un’infanzia ed un’adolescenza passate a violentare la propria natura benevola, sacrificandola in nome della Giustizia? Non posso fingermi cieco fino a questo punto, non potrò chiudere costantemente gli occhi di fronte alla sua sofferenza così delicata e discreta come colui che la reca nell’anima.

Distoglie lo sguardo dalla corona di foglie per portarlo su di me e quel lampo nei suoi occhi che sembrava il riflesso di una lacrima svanisce per donarmi un nuovo sorriso. Non è che sta fingendo, lo so, semplicemente, il suo desiderio di essermi d’aiuto lo porta realmente a mettere da parte ogni suo problema, ogni sua ferita; quando si concentra su di me, allora davvero i dilemmi che gli spezzano il cuore passano in secondo piano. Shun è sincero, vero ed incapace di mentire, in ogni istante.

Nel momento stesso in cui realizzo questa realtà, capisco che oggi non lo voglio fare, che oggi non me la sento di sovraccaricarlo con i miei pesi; oggi saremo solo due amici, due fratelli, uniti dallo stesso, triste destino, uniti dalla profondità del nostro legame. Ci riuscirò, complicato ed egoista come sono? Riuscirò, prima o poi, a conferire un po’ di equilibrio al dare ed al ricevere che si instaura in ogni rapporto? Riuscirò a smettere di ricevere soltanto ed imparerò a dare qualcosa a questa creatura che dona tutta se stessa a me ed al mondo?

Tanto per cominciare, smettila di porti domande senza senso, dico a me stesso, e di darti risposte ancora più insane del tormento che tali domande portano! Ma quali risposte? Io non mi do alcuna risposta, formulo solo vane considerazioni che altro non sono se non il frutto di una mente malata ed autolesionista. Le mie labbra si inclinano verso l’alto, fino a dar vita ad una parvenza di sorriso, forse sfuggevole e sicuramente ironico ma è sempre meglio di niente. Se almeno bastasse a far pensare a Shun che mi trovo in una disposizione d’animo accondiscendente, sarebbe splendido.

In effetti mi sta guardando ed i suoi occhi brillano un po’; non riesco a sostenerli, so che mi sta leggendo dentro ed è in grado di capire al volo la realtà delle cose; potrei fingere quanto voglio ma non lo ingannerei mai, lui sa che sto male, lui è ben consapevole di quale sia la vera natura del mio sorriso. Tuttavia ad esso risponde, con uno dei suoi, tanto più limpidi, puri, esenti da ogni cervellotica tempesta mentale.

Mi alzo con una mossa fluida ed improvvisa, pulendomi con le mani il retro dei pantaloni neri per spazzare via la terra battuta del giardino e l’erba che sicuramente si è incollata ad essi. Ho percepito chiaramente il suo sguardo che seguiva il mio movimento e in effetti, quando ricerco nuovamente i suoi occhi, il suo volto è sollevato verso di me, tranquillo e vagamente interrogativo, le labbra schiuse e distese nella loro rilassata morbidezza.

"Andiamo a fare un giro!"

E’ una proposta istintiva, quasi allegra, la pronuncio ancor prima che la mia mente la formuli, almeno così credo dato che non mi sono assolutamente reso conto di averla pensata. Si alza anche lui, per mettersi prontamente al mio fianco: per un momento è come se una luce ultraterrena si impadronisse della sua persona, appare quasi radioso alla mia vista… è sufficiente così poco per renderlo felice? E’ bastata questa mia idea venuta fuori dal nulla ed è sembrato che Shun e il bagliore del sole si fossero fusi, riflessi l’uno dell’altro, esplodendo come un grido di gioia… che ragazzo strano… è straordinario e sono semplicemente orgoglioso di essere una delle persone che più ama al mondo!

Annuisce e spicca una corsetta leggera, fermandosi dopo pochi passi per poi voltarsi ancora a guardarmi, comunicando solo con quei suoi occhi eloquenti e sinceri, come a dirmi che mi sta aspettando; non posso fare a meno di sorridere ancora e questa volta il mio sorriso è diverso… un sorriso d’affetto, del tutto privo di cinismo… un sorriso da lui provocato e solo a lui rivolto. Siccome a parole sono del tutto incapace di dirgli quanto gli voglio bene, almeno questa piccola cosa, questo piccolo insignificante sorriso, voglio che sia tutto suo!

Lo raggiungo e ci incamminiamo verso il cancello che dà sulla strada; continuiamo a restare in silenzio, come se sapessimo entrambi che non c’è alcun bisogno di incrinare questo momento di grazia con parole che risulterebbero forse vuote ed insignificanti. E’ come essere sospesi in un paradisiaco istante e io so che, similmente a me, neanche lui vuole spezzare questa sorta di incantesimo, neanche lui vuole tornare bruscamente alla realtà.

E’ strano… a volte mi sembra che io e lui ci capiamo al volo, che i nostri cuori battano all’unisono e le nostre anime si fondano in una ma, a pensarci bene, non dovrei poi stupirmi… i miei fratelli ed io abbiamo unito i nostri cosmi tante di quelle volte ormai e questa sensazione è tutt’altro che nuova. Eppure, con Shun, c’è qualcosa di diverso, qualcosa di ancor più profondo… e di nuovo accantono lo stupore… parte della sua anima ardente me la donò davvero tempo fa, per salvarmi la vita… si stava privando del suo alito vitale perché io potessi vivere, anche se questo avrebbe significato, per lui, spegnersi per sempre. E se io non mi fossi svegliato in tempo, avrei un’altra persona amata sulla coscienza, un’altra creatura a me cara al di sopra di ogni limite si sarebbe sacrificata per la mia salvezza.

Probabilmente, all’epoca, Shun non realizzò che, con il suo gesto, se davvero non fossi riuscito ad impedirglielo, mi avrebbe aiutato a compiere un ulteriore passo sul percorso inesorabile della mia autodistruzione, mi avrebbe ucciso moralmente… sono terribilmente certo di questo e, in un impeto di follia, sento divampare una rabbia atroce verso me stesso: sono talmente bastardo da non riuscire ad essere grato per la generosità altrui? Invece di ricordare il suo sacrificio con tutta la dolcezza che esso merita, provo addirittura risentimento nei suoi confronti per quello che ha rischiato perché, morendo in quel modo, mi avrebbe fatto del male anziché aiutarmi? Ovvio, tutto in funzione di me stesso, non so considerare gli avvenimenti da altro punto di vista che non sia il mio, io e la mia maledetta oppressione al centro del mondo!

I miei pugni si stringono, indipendentemente dalla mia diretta volontà e mi mordo le labbra quasi a sangue: ma perché, ogni volta che sembra andare tutto bene, la mia mente deve continuamente intromettersi, come un instancabile computer fuori dal controllo umano e andarsene per i fatti suoi, costringendomi a scavare nel mio spirito, tirando fuori ogni minima, minuscola spina, per farne un fitto groviglio di rovi? Shun è qui, accanto a me, sono riuscito ad impedire che la sua vita si spegnesse per me, è quindi il caso di farsi tante paranoie su una cosa che non è accaduta?

E tuttavia siamo saints, la nostra vita è sempre appesa ad un filo, l’abnegazione di Shun è sempre al nostro servizio, sempre pronta a guardarci le spalle ed anche gli altri, lo so, sarebbero pronti a sacrificarsi in ogni istante per me… un giorno, quello che ho potuto evitare nella casa di Libra, potrebbe comunque accadere, il solo fatto di essere guerrieri rende la cosa altamente probabile.

Trattengo a stento un ruggito; no, smettila, mio cervello fermati, smettila di pensare, basta basta basta!

"Hyoga?"

Sussulto; non mi ero neanche accorto di essermi fermato, fremendo come un folle, fissando un punto che non riesco a vedere… per forza, solo il buio mi circondava ed è quella voce vellutata a rischiarare un po’ il mondo intorno a me, giungendo fino al mio cuore per ripescarlo dal baratro.

Shun mi sta fissando, gli occhi enormi, sgranati ed ansiosi, la bocca ancora aperta dopo aver pronunciato il mio nome; è in piedi davanti a me e mi interroga con quello sguardo che sa essere preoccupato e rassicurante al tempo stesso come se, vincendo ogni spavento che la mia improvvisa attitudine può avergli provocato, già si stesse preparando ad esorcizzare dal mio animo il fantasma che mi tormenta, qualunque esso sia, anche a costo di farlo entrare in lui per rendermi libero.

"Io… credo di essere prossimo ad impazzire, sai Shun?" rispondo, in un tono talmente assente che contrasta con il senso delle parole: non vi è stupore o paura nella mia voce, sono totalmente inespressivo, come credo sia anche il mio sguardo; chi mi vedesse ora, senza conoscermi, senza udire quello che ho detto, penserebbe che sono semplicemente un tipo freddo e pacato che sta conversando tranquillamente con chi gli sta di fronte.

Ma l’espressione di Shun rivelerebbe, senza lasciare adito a dubbi di alcun genere, l’autentica entità della chiacchierata. Mi fissa un po’, senza ribattere nulla, completamente spiazzato, come è logico; sfido chiunque ad affrontare con lungimirante raziocinio una personalità assurda come la mia: un attimo prima sorridevo gaio e camminavo al suo fianco godendomi la brezza e le tiepide carezze del sole e d’improvviso mi blocco, come se avessi visto un nemico, con l’inequivocabile espressione di chi è prossimo ad assalire qualcuno… in effetti lo stavo facendo… stavo aggredendo me stesso, non è così?

L’espressione di Shun cambia, la tensione si muta in un nuovo sorriso e una sua mano si solleva per stringersi sul mio polso; mi irrigidisco un attimo, non sono abituato a contatti fisici così diretti in campo affettivo. E’ capitato spesso, tra noi fratelli, di abbracciarci e sostenerci a vicenda durante quegli incubi senza fine che sono state le nostre battaglie ma, nella quotidianità, io tendo a non lasciarmi andare… non che non voglia, semplicemente non ci sono avvezzo ed ammetto che mi imbarazza… e tuttavia mi piace, mi sento sciogliere, l’istante immediatamente successivo, a quel tocco che non ha niente di invadente o appiccicoso… è semplicemente delicato, in un certo senso protettivo, assolutamente naturale.

Mi sta trascinando verso il cancello aperto e non vivo la situazione con disagio; mi lascio trasportare da lui, quasi fossi un cagnolino… so che questo solo pensiero dovrebbe rendermi furioso ed umiliato, eppure non posso mentire a me stesso… mi sto sentendo di nuovo bene e i miei sensi godono il contatto con le sue dita piccole e gentili ma al tempo stesso decise nel loro scopo di condurre in salvo questo naufrago quale io sono… e insieme al tocco, la carezza della sua voce che gareggia con quella degli uccellini tra gli alberi, tanto è fanciullesca e argentina, proprio come loro:

"Lascia da parte i cattivi pensieri, Hyokkun, è una bellissima giornata, andiamo a fare una corsa sulla spiaggia!"

 

Nonostante la primavera si faccia sentire, il mare sembra non essersene ancora accorto e si intestardisce a litigare con il vento, abbastanza forte, per quanto il sole scaldi la terra; i flutti si elevano come torri di schiuma ed acqua infrangendosi sulla spiaggia, spruzzando a distanza e non risparmiando gli incauti, che passeggiano nelle vicinanze, dall’attacco delle goccioline gelide e pungenti… incauti come noi, che ignoriamo del tutto il trattamento riservatoci dall’oceano, anzi quasi godiamo della furia selvaggia della natura che può esprimersi in tutta la sua potenzialità anche grazie a noi, che l’abbiamo protetta a rischio delle nostre vite.

Non abbiamo parlato molto nel tragitto che ci ha condotti qui e ancora non abbiamo mantenuto il proposito di correre lungo la costa, Shun si è fermato davanti a me, sembra immerso in un mondo tutto suo, quasi i nostri ruoli si fossero invertiti. Sta soffrendo, lo so e mi sento così inutile!

Non posso dire che le esperienze passate non ci abbiano, in qualche modo, cambiato; restano le stesse le nostre essenze ma qualcosa si è irrimediabilmente spezzato, abbiamo lottato troppo, versato troppo sangue, subito troppi traumi e troppe perdite. L’ultima guerra sacra ha seminato strage tra le fila dei sacri guerrieri, unicamente noi bronze siamo sopravvissuti, al Santuario resta solo qualche triste silver saint che ha, sulle proprie spalle, l’infelice compito di raccogliere i cocci di un eroico universo andato in frantumi. I gold, i nostri fratelli maggiori, non sono tornati insieme a noi che, seppur avevamo il sorriso sulle labbra mentre camminavamo verso il mondo della luce, al nostro risveglio sulla terra abbiamo percepito intorno a noi un vuoto nel quale la speranza non aveva più posto alcuno.

Razionalmente sappiamo tutti che non è così, che se la Terra che tanto amiamo ancora respira e risplende con le sue forme di vita, è perché abbiamo vinto, è perché i nostri compagni si sono sacrificati, sappiamo che nulla è stato invano ma siamo solo ragazzi che mai hanno conosciuto sollievo e riposo, che mai sono stati bambini, siamo adolescenti che, anziché trovarci, come tutti gli esseri umani, nella primavera della vita, nel momento culminante della nostra esistenza, ci sentiamo vecchi, nonostante la nostra giovane età. Sono passati due anni dalla battaglia in Ade, io ho solo sedici anni, Shun ne ha quindici ma abbiamo vissuto tutto, ne abbiamo passate troppe e non siamo bambini, non siamo neanche ragazzi… non so cosa siamo… di sicuro siamo stanchi, esausti, incerti di cosa ancora ci aspetti e di cosa fare delle nostre esistenze da questo momento in poi. Chi non ha affrontato un passato come il nostro, non lo potrebbe comprendere: il futuro appare senza senso, vuoto; essere saints ci ha fatto soffrire ma non sapremmo rivestire nessun altro ruolo in un mondo che non conosciamo e non comprendiamo, quel mondo definito dalle persone comuni, normale.

So che Shun condivide i miei stessi dolori, le mie medesime incertezze a riguardo e ora, mentre lo osservo, fermo sulla riva del mare, aggredito dalla sua ferocia eppure immobile ed indifferente ad essa, non posso fare a meno di provare tanta pena per lui, che accanto a me sembra tanto piccolo, le sue fattezze sono ancora così infantili e tenere… nessuno direbbe che, dietro quel guscio di ragazzino imberbe ed innocente, si celi un essere umano speciale, angosciato, che in quel petto pulsi un cuore la cui generosa saggezza ha una profondità ed una consapevolezza quasi millenarie.

E’perfettamente immobile, lo sguardo fisso sull’orizzonte, nei suoi occhi il mare si rispecchia ed essi lo assorbono in sé con la loro immensa consistenza smeraldina… un mare nel quale ardono stelle prossime a sciogliersi in lacrime. E’ come se si fosse dimenticato momentaneamente di me e, se non mi faccio notare, finirà per piangere; non voglio vederlo piangere, ora, ho bisogno della sua forza… ho ancora bisogno, in fin dei conti, di essere egoista, selvaggiamente egoista… non voglio che pianga perché ho bisogno di lui, non per semplice affetto nei suoi confronti, anche se gli voglio così bene da starne quasi male a volte.

Eppure, non ho bisogno di fare nulla, non si è dimenticato di me, sono stato uno sciocco a pensarlo, sa che io ci sono, sa che mi è necessaria la sua saldezza interiore e si riscuote, si passa due dita sugli occhi, si volta verso di me; non sorride, non ci riesce, non posso pretenderlo ma il suo sguardo è forte, vuole infondermi quell’integrità che non mi appartiene più o che, probabilmente, non mi è mai appartenuta… un’integrità che, dopotutto, è sempre stata unicamente sua.

Mentre lo osservo, adesso, non mi sembra più così piccolo ed indifeso; perfino con la sua altezza decisamente ridotta appare maestoso mentre sta così, eretto, fiero, accogliendo sul proprio corpo gli zampilli d’acqua che, probabilmente, infastidirebbero o respingerebbero qualunque normale essere umano. Ma nel corso della sua prova per ottenere il sacro cloth di Andromeda, il mio dolce fratellino ha spezzato le catene che lo tenevano avvinto alle rocce piegando l’oceano al proprio volere, lo stesso ha fatto nel regno dei mari quando abbiamo affrontato Poseidon, ci vuole ben altro per abbattere questa miracolosa creatura, è come uno scoglio percosso dalle onde che soffre ed agonizza nel lento logorio ma ad esso non si piega, non si spezza e non cede… questo è Shun, la mia isola immobile, calma, saggia, in mezzo al mare in tempesta di un mondo troppo crudele per lui.

E’ quanto di più bello io abbia mai visto ed improvvisamente so di amarlo; è sconvolgente come, per la prima volta, io riesca ad ammetterlo a me stesso senza rimanere scosso da tale consapevolezza. Ne sono felice, invece, perché ciò che sento per lui mi dà la forza di credere ancora in qualcosa; non possiamo lasciarci andare, mio Shun…

"Non ci lasceremo andare… perché non siamo soli… e ci amiamo troppo…"

Il pensiero e la parola si fondono in un’unica entità che raggiunge le sue orecchie pronte ad accogliere la mia confessione; ho parlato per entrambi, quasi fossi onnisciente… forse perché siamo talmente amalgamati in un’unica, spirituale realtà, che quasi posso leggergli dentro… ho parlato per entrambi e sono certo di avere detto il vero.

Sono così straordinari i suoi occhi che mi fissano increduli, è così bello vedere come la sua sofferenza venga, almeno un poco, mitigata da una suprema felicità che non si aspettava di poter provare! E’ vero, è la prima volta che gli parlo così, che dalle mie labbra fuoriesce, in tutte le sue implicazioni, il termine amore… e non ho fatto alcuna fatica a pronunciare quella frase, mi sento improvvisamente libero e vero come forse mai lo sono stato prima d’ora.

Tendo una mano verso di lui e aggiungo, con una semplicità che ha del bizzarro dopo la sacralità della mia precedente asserzione:

"Dai, vieni qui… ti stai bagnando tutto…"

Ed eccolo di nuovo, finalmente, quel sorriso, il più radioso che gli ho visto fare negli ultimi tempi, quanto lo aspettavo, se potessi vivere unicamente nutrendomi del suo sorriso, non avrei bisogno di pane e acqua per sostentarmi. Accetta l’invito, posa la sua manina, che ha la consistenza di una piuma gentile, nella mia e ho come la sensazione di sfiorare qualcosa di troppo prezioso e puro per essere toccato dalle mie dita così robuste, al confronto, da sembrarmi grossolane; sotto tanti aspetti, non mi ritengo degno della sua grazia che non svanirà mai. Le mie origini russe stanno influendo notevolmente sulla mia crescita, tra poco supererò Shiryu in altezza e sto diventando massiccio come Ikki; Shun, nella sua struttura decisamente giapponese, benché in parte i lineamenti del viso rivelino la sua identità di mezzosangue, come lo sono io, non sta invece cambiando per nulla e vicino a me è davvero minuscolo, come un gattino di fronte ad un leone. Nonostante tutto, io lo percepisco tanto grande, molto più di me, perché lui è grande dentro, anzi immenso e questa sua vastità spirituale non potrò mai eguagliarla neanche tra mille anni!

Non si limita a prendere la mia mano ma, con un leggiadro saltello che mi fa davvero tornare indietro nel tempo, a quando, da bambino, in tal modo ricercava le coccole altrui, si incolla a me, posandomi l’altra mano sulla spalla e nascondendo il volto sul mio petto. Una parte di me vorrebbe baciarlo, a suggello di quella che, dal mio punto di vista, è stata un’autentica dichiarazione ma è molto più forte la parte del mio animo che non ci riuscirebbe mai, è troppo presto, non posso mettere da parte, in un colpo solo, tutte le mie inibizioni, benché io sia convinto che lui non mi respingerebbe, non riesco a capire come posso ergermi in tal modo ad indovino delle sue emozioni, delle sue reazioni, dei moti del suo animo ma lo sento dentro di me come se al mio cuore stesso il suo cuore parlasse, come se vivesse, a tutti gli effetti, nel mio… è possibile che condividiamo, dopotutto, un unico cuore?

Non gli rifiuto l’abbraccio e lo stringo a me, desideroso di fermare quest’istante e di tenerlo così per sempre; adesso sì che vorrei proteggerlo, dalla crudeltà della nostra esistenza, dal nostro passato, dai ricordi… ma anche da me che non sono abbastanza forte per restituirgli, almeno equamente, ciò che lui mi dona con la sua sola, irrinunciabile presenza.

 

Non riesco a dormire; dopo quel che è accaduto oggi, ai miei soliti tormenti se ne aggiunge un ennesimo, tanto più dolce, tanto più positivo da assaporare tramite ogni senso con cui giungo a sfiorarlo soavemente, eppure è generatore di ulteriori inquietudini. Lo amo… già… e so che lui mi ama anche se mi è tanto difficile comprendere come può, come sia possibile che mi sia concesso un tale dono dagli Dei e dal Fato che con noi sono sempre stati ostili, crudeli.

Non posso credere che questa realtà implicante noi due possa mantenersi così bella e perfetta, il terrore che la sorte ci metta lo zampino è insopportabile; la conferma è nella mia storia passata… chiunque mi voglia bene, chiunque sia profondamente vicino al mio cuore è destinato a soffrire… no… è destinato a perdere la vita. Sarà questo anche il destino di Shun? Dovrei allontanarlo da me? Dovrei, immediatamente dopo avergli rivelato che lo amo, respingerlo causandogli, in tal modo, ne sono sicuro, un immenso dolore?

Mi rigiro da una parte all’altra sul letto, creando caos tra le lenzuola che restano inutilizzate sotto di me, dato che qui, a Tokyo, qualunque sia la situazione climatica, per me fa, sempre e comunque, troppo caldo… stanotte, tuttavia, ho caldo anche al cuore, mi sta bruciando nel petto come se fosse avvolto dalle fiamme, un calore non sgradevole, perché alimentato da un sentimento positivo… sofferenza e dolcezza soavemente fuse, che per me sia troppo difficile da sopportare, tutto questo?

Un lieve ticchettio alla porta mi fa sussultare, a dimostrazione di quanto siano palesemente tesi i miei nervi; il mio sguardo si sposta verso la fonte del suono, che ora si ripete, con la stessa, timida delicatezza. Qualcuno sta bussando, ma senza convinzione alcuna, come se non fosse sicuro di volerlo fare davvero. Istintivamente sorrido, so chi c’è dietro la porta chiusa; è una fortuna che io sia sveglio perché, con la poca convinzione che infonde nel suo bussare, non l’avrei udito assolutamente se il sonno mi avesse rapito e, conoscendolo, sarebbe stato capace di rimanere fermo oltre la soglia per tutta la notte, a torturare se stesso, incerto sul da farsi… il mio tesoro, sempre timoroso di apparire inopportuno con gli altri, quanto è saldo nel donare la propria vita alla nostra causa!

"Dai" parlo con voce abbastanza alta per essere certo che lui mi senta "Apri quella porta o finirai per mettere radici!"

Un movimento lieve, una cascata di capelli d’oro bruno e il visetto da cucciolo sperduto che fa capolino, quel tanto che basta per farmi scorgere i suoi occhi, il biancore quasi irreale della sua pelle accarezzata da un raggio di luna che, attraversando la finestra dietro al mio letto, lambisce dolcemente l’apparizione incantata. Ridacchio, voglio che il mio atteggiamento gli appaia rassicurante, voglio che venga qui, che mi resti vicino e mi salvi, una volta di più, dall’interminabile turbinio di pensieri sconnessi:

"Hai paura che qui dentro ci abiti un drago? Vuoi avvicinarti, in modo che io possa parlare a bassa voce, o preferisci costringermi a svegliare tutto il palazzo?"

Si abbandona anche lui ad un risolino delizioso e finalmente si fa più audace, trotterellando dentro e chiudendo la porta alle proprie spalle.

"Come hai fatto a indovinare che ero io?"

"Shiryu e Seiya sono alla yacht-house, Tatsumi e Saori-san, come d’altronde la servitù, non credo avrebbero alcun motivo per venire da me in piena notte ed Ikki non avrebbe accarezzato la porta con quella gentilezza, l’avrebbe molto più semplicemente abbattuta; non c’erano i presupposti per dover lavorare molto con l’immaginazione."

Rintana la testa tra le spalle ed il rossore che intravedo sulle sue gote mi fa sentire completamente nudo ed indifeso di fronte al suo disarmante splendore.

"La verità è che… percepisco la tua vicinanza come un benevolo fluido, anche se non ti vedo" aggiungo, sostituendo la precedente ironia con un tono serio che vorrei risuonasse amabile alle sue orecchie. Il suo rossore diventa autentico fuoco ed i suoi occhi straordinari vagano da una parte all’altra della stanza, senza che osino posarsi su di me; il mio corpo sta reagendo in modo strano e mi fa paura, l’atmosfera è in qualche modo sospesa, inquietante e sacra ad un tempo.

E’ forse desiderio, il mio? Adesso che ho confessato a me stesso ed a lui la reale entità dei miei sentimenti, il mio organismo non ha più freni, sia a livello conscio che inconscio? In un certo senso, è come se io avessi dato via libera persino alle reazioni fisiche. Però non riesco ancora ad accettare del tutto la situazione, mi spaventa, non per vergogna, per imbarazzo o per orgoglio… è solo, esclusivamente, spavento… io temo per lui, pur sapendomi sciocco, sono meri timori superstiziosi i miei. Perché dovrebbe accadere qualcosa anche a lui?

E perché no, d’altronde, se causare la morte dei miei affetti è il mio destino? E’ appurato che sia così, quali prove mi servono, ancora, per comprenderlo, per rendermi conto che sto mettendo in pericolo anche la sua preziosa esistenza? Che sarebbe in pericolo comunque, lo so, perché siamo guerrieri sempre in lotta contro il Fato e contro gli Dei ma, a maggior ragione, dovrei proteggerlo il più possibile anziché assecondare in tal modo la sorte.

Eppure dove posso trovare, ormai, il coraggio necessario per rinunciare a lui? E soprattutto per respingerlo e scorgere lacrime nei suoi occhi, lacrime causate da me, come potrei, io, proprio io, aprire un’ulteriore ferita nel suo cuore già lacerato da innumerevoli cicatrici?
Una mia mano, spontaneamente, si solleva e mi strofino gli occhi con una certa foga.

"Hyokkun…"

E lui, naturalmente, si accorge che qualcosa non va; devo stare attento a come mi comporto, se è venuto da me, forse, è perché cercava il mio sostegno, almeno per una volta devo assumere io il ruolo della sua spalla, desidererei così tanto avvolgerlo semplicemente nel mio abbraccio e tenerlo stretto a me, estirpando dal suo animo tutto il suo dolore e creare intorno a lui una barriera perché nessun trauma giunga ancora a pugnalare il suo spirito immacolato ma non ne sono capace, perché sono più fragile di lui, benché io tenti sempre di darmi una posa, che null’altro è se non una maschera… se solo fossi realmente forte come solitamente mi mostro in superficie per non farmi leggere dentro, se solo potessi trasmettere al mio Shun tutta quella forza che non ho!

"Non riuscivi a dormire, leprotto?" gli chiedo, morbido, nel disperato tentativo di distogliere le sue attenzioni dal mio malessere.

Scuote appena il capo, un po’ distrattamente, si vede che pensa ad altro, che al momento non gli importa nulla di se stesso e continua invece a scrutarmi con una certa ansia.

"Anche tu eri sveglio, mi sembra…"

Annuisco e gli sorrido ancora, vorrei tanto portare i nostri pensieri su qualcosa di positivo per entrambi.

"Oggi, per noi, è stata una giornata importante, non credi?"

Abbassa il volto, le palpebre schiuse lasciano intravedere un fugace luccichio, incrocia le mani davanti a sé, tormentandosi le dita le une con le altre:

"Sì… avevo bisogno di te anche per questo… per assicurarmi di non aver sognato… e queste tue parole sono la migliore rassicurazione…"

Caro, dolce, piccolo Shun, sembra impossibile che possa esistere una creatura come te e, solo ora che ho fatto luce istintivamente sui miei sentimenti mi rendo conto di quanto il mio amore per te sia talmente struggente da risultare angosciante, insopportabile per chi, come me, solo su una persona, fino ad ora, ha riversato emozioni così intense, una persona che dorme sotto i ghiacci di Siberia, la mia adorata mama, il cui cuore era così simile a quello che batte nel tuo petto, così altrettanto puri i suoi occhi. Ma non posso dire che ciò che sento per te sia uguale, no… altrettanto intenso ma profondamente diverso, perché tu sei l’altra metà del mio cuore.

"Andiamo a fare una passeggiata?"

La voce come un canto, mentre tende la mano verso di me ed io la accetto, con una solennità che mi fa quasi sembrare ridicolo a me stesso; non posso ignorare i fremiti che mi provoca il contatto con la sua pelle levigata, adesso che davvero non ho più freni. Però è freddo… perché è così freddo il suo corpo?

"Stai bene, Shun?"

Annuisce, semplicemente ma aggiunge in un soffio:

"Sto bene… ma se mi stringi la mano come stai facendo, sto ancora meglio… sai emanare calore, non gelo, se lo vuoi, sai, Hyoga?"

E tu sapresti far sciogliere un iceberg solo guardandolo con i tuoi bellissimi occhi, amore mio.

Mi mette tristezza non riuscire a palesargli a voce un tale pensiero, quando una parte di me vorrebbe gridarglielo con tutto il fiato che ho in gola.

Intanto abbiamo cominciato a camminare, senza smettere di fissarci l’un l’altro… di adorarci l’un l’altro, dovrei dire; chi avrebbe mai immaginato che il nostro legame, l’affetto, la simbiosi che da sempre ci unisce, si sarebbe evoluta in tal senso? Siamo fratelli per parte di padre ma non mi sfiora neanche l’idea che stiamo commettendo peccato, che sia malsano il modo in cui è progredito questo amalgama di anime e cuori che noi siamo. No… non lo ammetterò mai, non permetterò neanche a nessun altro di accusarci sotto questo punto di vista, perché amare lui come io lo amo non potrei mai ritenerlo sbagliato!

La notte ci accoglie con il suo abbraccio di tenebra ma io ho la mia luce a guidarmi nel buio qui, accanto a me, come una torcia che arde senza estinguersi ed in virtù della quale io non smarrirò mai la mia strada… ma deve restare al mio fianco per sempre, perché se accadesse qualcosa alla stella che illumina la mia eterna notte io la seguirei oltre la morte. Oh, Dei, ma potrebbe accadergli qualcosa, potrei essere io la causa della sua scomparsa, del suo annullamento, potrei provocargli la morte solo per il fatto che lo amo!

Si stacca da me in un momento in cui non me lo aspettavo affatto ed è come se i miei incubi divenissero realtà, questo suo allontanamento innocente ha un tale senso di predestinazione che una fitta al cuore mi aggredisce con violenza inaudita. Sono sciocco, è il buio che lo occulta alla mia vista, ma lui è ancora qui davanti a me, lo intravedo mentre spicca una corsetta leggera, con i suoi piedi nudi sull’erba.

Perché mi sfuggi? vorrei urlare, ma le parole restano strozzate nella mia gola e non posso fare altro che corrergli dietro, non con la sua momentaneamente spensierata monelleria ma con l’angoscia di un naufrago che ha perduto il proprio punto di riferimento in mezzo ad un mare in burrasca.

"Come sono belle le stelle, stanotte!"

Ha sollevato il volto verso il cielo ed io a malapena posso ammirare il suo profilo perfetto perso nella contemplazione dello spettacolo astrale; per me, invece, ha più attrattive lui che ha in sé lo stesso fulgore di una stella, la mia stella polare, per me che sono un marinaio sperduto tra i flutti in una notte priva di altri punti di riferimento se non la sua sfavillante aura di creatura plasmata unicamente in una luce più splendente di qualsiasi chiarore una mente umana possa concepire.

Forse mi sto comportando come un empio in questo momento, perché non alla costellazione di Cygnus, mio cosmico riflesso, mi aggrappo allo scopo di intraprendere la retta via… il mio cigno dalle candide ali è lui adesso, il mio Shun; riprenderò in mano la mia razionalità quando ce ne sarà bisogno, lo prometto, rinsavirò, ma almeno per questa notte, desidero che, alle mie percezioni, ai miei sensi ebbri di passionale esaltazione, esista solo il mio leprotto gentile, che tutto ruoti intorno a questo delizioso essere vivente che non sa rendersi conto di quanto sia speciale, non solo per me ma per l’intero universo. Ne è una prova la volta celeste che si rispecchia nei suoi occhi ed io sono certo che tutti gli astri, i pianeti, le galassie dello spazio sconfinato, fanno a gara per trovare posto nella limpida pace del suo sguardo sincero.

E così ho camminato fino a portarmi di fronte a lui senza neanche rendermene conto; anche se il suo viso è rivolto al cielo, io sono tanto più alto di lui e non ho difficoltà alcuna ad incontrare i suoi occhi abbassando il mio volto, celando alla sua vista il manto notturno di cui sono follemente geloso. Quando gli compaio davanti, i suoi lineamenti si atteggiano ad un tenero stupore dai connotati quasi infantili e schiude un po’ le labbra, mentre io sconvolgo me stesso sentendomi pronunciare parole delle quali non mi sarei ritenuto capace ed ancor di più mi sconvolge il tono intriso di languore che in esse infondo:

"Sono così belle, le stelle, da risultare tanto più interessanti di me?"

Sussulta e, nonostante il buio, percepisco il rossore che gli imporpora, lieve, le gote di bimbo… il mio bimbo… il mio fratellino… Oh, Athena, sto impazzendo a tal punto per lui da lasciarmi andare ad un sentimentalismo così sdolcinato nel quale non mi riconosco affatto? In questo momento mi annullerei per lui e forse lo sto già facendo.

Sollevo una mano, lentamente e gli sfioro una guancia ma sto tremando, è come se, con la rozza consistenza della mia materialità stessi rischiando di rovinare la fragile ala di una farfalla che poi non riuscirebbe più a spiccare il volo; e ad ogni mio approccio, mi assale l’idea che davvero il solo fatto di amarlo potrebbe condurre questa creatura dalla vellutata bellezza alla più completa rovina.

"Oh… Shun…"

Un sussurro che ha l’inflessione di un singhiozzo e lui china il capo di lato, una ciocca si adagia, morbida, sulla sua spalla flessuosa e compie un gesto che è miracolosamente speculare al mio ma in esso lui infonde un coraggio che io gli invidierò sempre: le sue braccia si muovono e le sue mani benevole cercano le mie guance, mi immobilizzano il viso, quasi temendo che il mio sguardo possa sfuggirgli. Ma ora no… al momento non voglio fuggire e la paura che mi aggredisce ad ondate costanti deve tacere e lasciarmi in pace!

"Perché sei così teso?"

La sua voce è come un coro angelico, sembra impossibile che una voce umana, la voce di un ragazzino di quindici anni, possa essere come la sua, possa risultare talmente gradevole alle orecchie da dare l’idea che le accarezzi, come le sue mani stanno accarezzando il mio viso.

"Rimpiangi quello che mi hai detto oggi?" adesso è una supplica la sua e la suadente soavità si tinge di una nota di pianto che, tuttavia, non ne incrina la perfezione "Dimmi di no… ti prego…"

Cosa rispondere? Io non so trattare simili argomenti senza sentirmi goffo ed inadeguato, non so come affrontare una conversazione di questo genere, sicuramente non troverei le parole adatte… ed inatteso pure a me, il mio corpo mi viene in aiuto, ringraziando la mancanza di lucidità che caratterizza questi istanti non provo minimamente a controllarmi; fortunatamente questa notte mi ha gettato in una dimensione alternativa nella quale le mie reazioni risultano alterate ed insolite… così posso sentirmi libero, contrariamente a quanto sono avvezzo, a lasciarmi andare all’istinto.

Niente parole quindi; afferrò il suo viso con una foga che mi spaventerebbe in altre occasioni, sfuggo alle sue mani che ancora erano posate sulle mie guance e mi chino, gettandomi come un assetato sulle sue labbra tra le quali trovo uno spiraglio nel quale la mia lingua può intrufolarsi ed intrecciarsi alla sua, che inizialmente rimane immobile, inerte, conseguentemente allo stupore di Shun. In un lampo intravedo le sue braccia che ricadono, abbandonate lungo i fianchi, i suoi occhi che, dopo essersi per un attimo sgranati in tutta la loro infinita immensità, si chiudono, percepisco la resa incondizionata delle sue membra, accompagnata da un sospiro lievemente esalato quando, finalmente, decide di assecondare il mio assalto e risponde attivamente al mio bacio.

Senza staccarmi dalle sue labbra, gli circondo le spalle con un braccio e, portandogli l’altro sotto le ginocchia, lo sollevo da terra; è leggero come una piuma, tanto da sembrare impalpabile nella sua inconsistenza; infine gli lascio riprendere fiato ma i nostri occhi si aprono all’unisono e si attraggono a vicenda come magneti che non vogliono saperne di separarsi l’uno dall’altro. Nei suoi leggo un’incredulità che sicuramente riflette la mia, perché non mi riconosco… ma conosco perfettamente lui ed è quanto di più importante stia solcando la mia esistenza, al di là del mio ruolo di sacro guerriero, lui è il mio presente, non posso fare altro che accettarlo. Vivo questa realtà come una sconfitta, perché avrei tanto voluto proteggerlo da ciò che lo aspetta se saremo in tal modo avvinti l’uno all’altro.

Continuando a reggerlo tra le mie braccia, estasiato dalle sensazioni che mi trasmette questo particolare contatto fisico, mi avvio verso la villa e non ho nessuna intenzione di lasciarlo camminare da solo finché non saremo al sicuro nella mia stanza; non voglio rischiare che, come ha fatto prima, si allontani nuovamente da me e le sue attenzioni vengano rapite da qualche altra attrattiva naturale che esuli dalla mia persona.

"Almeno finché non sorgerà il sole, voglio che tu sia mio… e voglio che tu esista unicamente per me, in funzione mia!"

Il mio tono prepotentemente imbronciato si scontra con la risatina sottile di Shun, che mi spinge a scrutarlo con più attenta e disarmata insistenza.

"E’ un onore, per me… proprio io ti ho reso così capriccioso e possessivo nei confronti di qualcosa che non siano i tuoi ricordi…"

Nonostante tenti di infondere ironia nella frase, essa esce in qualche modo seriosa, a dimostrazione che vuol essere molto più di una semplice battuta.

"Per me è un onore che tu ti conceda a me in questo modo" ribatto, a mia volta serio e devo apparirgli buffo, perché ridacchia di nuovo.

Intanto sto aprendo la porta della mia stanza, senza usare le mani perché non vorrei liberare neanche per un attimo il mio fardello, per questo i miei movimenti ne risultano impacciati; una volta abbassata faticosamente la maniglia, do uno spintone alla porta, abbastanza violento da mandarla a sbattere contro il muro e, ansioso al pensiero di aver svegliato qualcuno, mi immobilizzo, guardandomi nervosamente intorno. Anche i sensi di Shun sono evidentemente all’erta. Ammetto che il mio timore più grande, in questo momento, è che sia proprio Ikki, che dorme due stanze più in là, a destarsi e sinceramente non so come potrei giustificargli il fatto che sto entrando nella mia camera, portandovi dentro Shun, di peso, come se fossi un falco con la sua preda appena catturata. Nessuno mi toglierà dalla testa che, se io sono un perverso mosso da passioni incestuose, lui non è da meno.

Tutto è silenzio, sono ancora al sicuro, questa notte può proseguire nella sua singolare dilatazione temporale e sensoriale; mi dirigo verso il letto, lascio cadere Shun sulle coperte sfatte, senza troppa delicatezza ma è un morbido giaciglio ad accoglierlo e per questo posso permettermi, ancora, di non essere del tutto padrone di me. Ma forse, da questo momento in poi, un minimo di autocontrollo devo tentare di restaurarlo, perché non ho ben chiaro cosa stia effettivamente per accadere. Lo fisso con un cipiglio severo e gli punto un dito contro, mentre la mia voce si manifesta come un’autoritaria imposizione:

"Non muoverti da lì!"

Lui è palesemente colpito, ma non spaventato; ha dipinta sul volto la caratteristica curiosità del cucciolo che, tuttavia, si fida ciecamente del suo padrone, anche se questi stesse per bastonarlo. Io non ho ovviamente nessuna intenzione di bastonarlo e neanche di fargli del male ma tutto è nuovo e misterioso anche per me e non comprendo bene la situazione come non comprendo me stesso.

Gli do le spalle e vado a chiudere la porta, dando poi due giri di chiave; ma che sto facendo? Mi sto comportando come se dovessi custodire un prigioniero. Ricerco il suo sguardo, adesso sì che lo vedo inquieto e sento il dovere di giustificare il mio atto, così farfuglio, poco convinto:

"Non voglio che nessuno ci disturbi… che qualcuno rischi di aprire la porta mentre…"

Mi blocco. Mentre…? Cosa stavo per dire?

Vedo Shun deglutire, è nervoso, sto esagerando, adesso sì che ho bisogno di razionalizzare la situazione; sollevo una mano, la porto tra i miei capelli, li scompiglio, tremante e teso come una corda di violino.

"Scusami" balbetto, la mia voce è bassa ed insicura, non sono neanche certo che le parole escano chiare e coerenti "Probabilmente ti sto sembrando un folle… scusa, Shun… non volevo spaventarti… non voglio che tu abbia paura di me…"

"Ma io non ho paura!"

E’ convinto, molto più di quanto lo sia io, non avevo ancora sentito la sua voce così salda e sicura questa notte.

"Come puoi pensare che io abbia paura di te, Hyokkun?"

Lo guardo, dubbioso; la sua innocenza arriva al punto di non comprendere le implicazioni che mi hanno portato a comportarmi in tal modo o, anche in questo, è coraggioso e saggio come in ogni aspetto della vita? Non mi stupirebbe d’altronde, le nostre esperienze, fino ad ora, sono state orribili e quello che ci sta accadendo stanotte non può, in alcun modo, apparire più spaventoso dei nostri ricordi, non lo potrei accettare, perché è l’amore a sconvolgerci gli animi in tal modo, nulla di negativo, quindi, non è vero? O mi sto semplicemente giustificando, autoconvincendo per legittimare un impulso perverso che vorrei sfogare su chi accoglierebbe anche una cosa del genere con totale innocenza?

"Sono uno stupido" gemo, mio malgrado "Ma tu… tu mi porti alla follia, Shun!"

"Cosa vuoi dire?"

Ora è preoccupato, come se l’avessi apostrofato con un’osservazione negativa sulla sua persona. In pochi balzi percorro la distanza che ci separa e salgo sul letto, in ginocchio, sopra di lui, poggiando le mani sul cuscino, ai lati del suo viso dai lineamenti irresistibili:

"Non capisci? Ti desidero così tanto, stanotte, che mi sembra di impazzire!"

E lui sorride, riesce a sorridere anche di fronte alla mia manifesta, pericolosa irrazionalità; una sua mano sale verso il mio viso, scivola sulla mia fronte e si perde a giocare con una ciocca dei miei capelli, spostandomeli dietro all’orecchio:

"Tu non hai idea di quanto ti desideri io…"

Circondo con le mani il suo viso, le mie dita affondano nei suoi capelli di seta:

"Io non voglio farti del male… è di questo che ho paura, riesci a capirlo? Non voglio… essere causa del minimo dolore per te…"

Le sue labbra si inclinano in un’adorabile espressione imbronciata e la sua mano si ferma sulla mia guancia, i suoi occhi restano fissi nei miei:

"Non trattarmi come il tuo fratellino da proteggere, non ora, ti prego; non sono uno sciocco… forse è vero che sono ingenuo, ma non fino a questo punto. Io sono consapevole di ciò che tu vuoi da me… perché è quello che voglio anche io… so anche che siamo fratelli e che sarebbero in molti a giudicare orribile questa cosa ma solo noi possiamo e dobbiamo decidere, riguarda noi e nessun altro. Sono consapevole… d’accordo, Hyoga? Perfettamente… quanto lo sei tu e mi sento abbastanza maturo per questo, molto più di quanto me lo sia mai sentito nei riguardi delle nostre numerose battaglie, perciò cancella dalla tua mente ogni senso di colpa fuori luogo!"

E’ convincente, il mio cucciolo, quando sa quello che vuole e la sua disponibilità, la condivisione che mi mostra, paradossalmente mi rendono più tranquillo e controllato, perché non ho nulla da temere, non rovinerò nulla; mi chino su di lui, fino a seppellirlo completamente sotto al mio corpo ardente di desiderio. Lui mi accoglie, sistemandosi in modo da rendersi totalmente disponibile mentre cominciamo a spogliarci a vicenda. La sua stupefacente nudità, completamente in mia balia, mi fa girare la testa, la sua pelle così liscia e bianca mi chiama perché io la assapori da cima a fondo e la grazia di ogni sua forma, di ogni sua curva, di ogni frammento di lui, mi commuove fino alle lacrime. Eppure, proprio adesso che nulla dovrebbe fermarmi, proprio adesso che so di poter fare di lui tutto quello che desidero, perché me lo ha concesso, improvvisamente mi blocco, un dubbio ulteriore mi rende insicuro… sarò davvero in grado di donargli la gioia che merita, possedendolo ed amandolo, o prenderò unicamente il mio piacere, mentre in lui prevarrà l’inevitabile dolore, il disagio di ciò che sta per subire?

"Sei sicuro, Shun?" la mia voce è malferma, una lacrima attraversa la mia guancia e cade sulla sua, facendogli stringere un attimo gli occhi per la sorpresa "Ho paura… potrei farti troppo male… ed io… vorrei che tu non serbassi un brutto ricordo di questa notte…"

Sbuffa e mi strappa, con questo suo modo di fare che riesce a costituire un perfetto amalgama di maturità ed infantile monelleria, una risatina, contribuendo in tal modo ad alleggerire la mia pesante inquietudine. Poi mi getta le braccia al collo e mi attira verso di sé, con un ordine perentorio che non ammette repliche:

"Ma la vuoi smettere? Vieni qui!"

E da questo momento, le parole diventano superflue ed inutili.

 

Ci siamo amati per ore e per la prima volta, dopo tanto, non ho dubbi: questa è stata una delle più belle notti della mia intera esistenza. Gli ho donato gioia alla fine, perché da tempo non l’avevo visto così estasiato, da troppo non gli vedevo quell’espressione di pura felicità nello sguardo, forse non gliel’avevo mai vista prima e questo mi ha fatto stare bene, più ancora del piacere che io stesso mi sono preso, la consapevolezza di aver fatto qualcosa per lui, di essere stato io a procurargli una tale gioia, mi ha reso l’essere umano più appagato del mondo intero.

Quando, esausto, si è addormentato tra le mie braccia, rifugiandosi in esse come in un nido sicuro, con tutta la fiducia che lui è in grado di donare a coloro che ama, io non ho più osato muovermi, mi sembrava impensabile poter correre il rischio di turbare il sereno abbandono del suo sonno finalmente senza incubi, senza paure e tutto grazie a me… che mi sono sentito, dopo tanto tempo, realmente utile a qualcosa. Da quando il nostro servigio di saints non è più richiesto, il senso di vuoto e di nullità è diventato mio fedele compagno ma, grazie a questa notte, ho colmato un tale vuoto… io sono importante per qualcuno ed a questo qualcuno ho donato tutto me stesso.

Dal canto mio, non ho chiuso occhio, non sono riuscito, per un solo istante, a distogliere gli occhi dal mio bell’addormentato, prima accarezzato dalla luna, adesso dal sole che si sta levando alto nel cielo.

Quanto può essere perfetto, un corpo umano? Certo non come il suo che, io non riesco a togliermelo dalla testa, è molto di più… definirlo essere umano suona così banale, riduttivo. Mi sollevo su un gomito ed appoggio la testa sulla mano, mentre con l’indice dell’altra mano mi metto a percorrere, semplicemente sfiorandolo, attento a non svegliarlo, il corpo del mio… amante… è così strano chiamarlo così… quale magnificenza ha questa definizione, quale straordinario valore assume alle mie percezioni!

E quale magnificenza ha la sua pelle vellutata al semplice lambirla, la sento appena sotto il dito, che avanza con cautela; lui è sdraiato di fianco, il volto nascosto sul mio petto e, quando nel suo percorso, il mio dito raggiunge la curva sinuosa delle anche, lì si sofferma un poco, perché il mio organismo reagisce con una nuova ondata di eccitazione. Ma devo metterlo a tacere, perché il mio tesoro sta dormendo e, finché dorme, gli è concesso di non pensare, di non ricordare e, quindi, di non soffrire dei propri ricordi.

Così mi rassegno a distogliere le mie attenzioni da quel punto particolarmente provocante del suo corpo e mi scosto un poco, quel tanto che basta per vedere il suo viso, gli occhi addormentati sotto le lunghissime ciglia che tremolano appena, le labbra schiuse che esalano sulla mia pelle il suo inebriante respiro, il suo nasino dolcemente disegnato… e paradossalmente, in questa contemplazione molto più intrisa di innocenza, ogni mia resistenza cede. Il mio indice si posa con decisione sulla punta del suo naso e lo stuzzica, come se volessi tormentare monellescamente un cucciolo al fine di invitarlo al gioco.

La pelle del suo viso si arriccia, sembra stia per starnutire e odo la sua deliziosa voce da uccellino emettere un vago lamento; di fronte a questa sua disarmante reazione, non posso fare altro che ridacchiare, posandogli una mano sulla nuca ed attirando la sua testa ancor più contro di me, tenendolo stretto stretto, ignorando le sue proteste ed i piccoli colpetti che mi dà con le mani, tentando di divincolarsi per non soffocare.

Ormai l’ho svegliato, tanto vale approfittare della situazione, quindi gli lascio riprendere fiato e mi godo fino in fondo il suo adorabile cipiglio fintamente rabbioso; si solleva un poco e mi sovrasta, neanche mi rendo conto che sta afferrando un cuscino, solo quando me lo preme con una certa violenza sul viso sono costretto a prendere atto che ha appena dato corso alla propria vendetta. Impossibilitato nel compiere un qualunque atto respiratorio, tento di aggrapparmi alle sue braccia per respingerle ma lui mi precede, sposta il cuscino di lato e posso di nuovo incontrare il suo viso nel momento stesso in cui mi gratifica con una vivace linguaccia.

L’istante successivo, esplodiamo contemporaneamente in una sonora risata, lo catturo nel mio abbraccio, nel quale si crogiola con rinnovato abbandono; poi sono solo dolci parole appena sussurrate e nuovi baci. Nel passaggio dalla scorsa notte a questo nuovo giorno, siamo diventati più grandi e, al tempo stesso, abbiamo ritrovato la spensierata gioia dell’infanzia. Vorrei restare chiuso con lui, in questa stanza, per l’eternità.

 

La primavera ha lasciato il posto all’estate ed il caldo si è fatto torrido, insopportabile per me; parallelamente al riscaldarsi del clima, il mio animo si raffredda, il trasporto che avevo ritrovato nei confronti del mio cucciolo dagli occhi di smeraldo si è come congelato. Non l’amore, quello è intatto ma, quando il malessere, l’angoscia, i tormenti del mio animo prendono il sopravvento, i rapporti umani si fanno per me più difficili.

E’ accaduto in maniera graduale, tutto andava perfettamente, siamo stati così bene, per un po’, dopo quella notte, persino Ikki ha compreso la situazione, ne soffre, è geloso, ma veder finalmente un poco sollevato il cuoricino ferito del suo otooto gli ha permesso di accettare senza farcelo pesare troppo.

E invece, passato il primo fuoco del nostro rapporto che, per qualche giorno, ci ha isolato da tutto il resto, illudendoci che al mondo esistessimo solo noi, ho finito per tornare il solito Hyoga che annaspa fino ad affogare nella propria angoscia. Ed anche i suoi occhi grandi sono tornati ad ammantarsi della loro pacata malinconia, gli incubi hanno ricominciato a tormentarlo ogni notte, anche dopo che abbiamo fatto l’amore; tante volte, dopo che ci siamo donati felicemente l’un l’altro e lui si addormenta nella mia stanza, al mio fianco, lo odo lamentarsi nel sonno, il mio abbraccio non riesce più a proteggerlo, spesso si sveglia gridando e piangendo, respirando a fatica e si calma solo grazie alle mie insistenti carezze.

Ciò che più mi destabilizza è che ho fatto una cosa della quale credevo di non essere più in grado: l’ho ferito come facevo un tempo, gli ho dato il colpo di grazia, confessandogli che vorrei tornare in Siberia, che non riesco più a stare in Giappone e che la nostalgia per quei luoghi selvaggi… e per i miei ricordi… si sta facendo struggente. So che lui mi comprende e, se gli avessi promesso di tornare presto, avrebbe semplicemente accettato di buon grado rimanendo qui ad attendere il mio ritorno… ma io non ho potuto prometterglielo questo, anzi, gli ho rivelato, senza la minima delicatezza, senza riflettere sul fatto che avrei ferito la sua sensibilità, che non sono certo di voler tornare, che una parte di me, desidera partire per la Siberia e non tornare mai più. L’attimo dopo mi sono morso la lingua ma era troppo tardi, i suoi occhi, specchi del suo cuore, si erano già trasformati.

"Io… non ti mancherei, Hyokkun?"

Stava per piangere, non ha potuto fare a meno di chiedermelo, benché abbia sempre temuto di sentirsi un peso nei confronti degli altri, siamo diventati così intimi che, giustamente, un minimo di considerazione nei suoi confronti, da me, se la aspetta. Sono unicamente riuscito ad abbracciarlo ma non ho risposto nulla e so di non averlo rassicurato affatto.

Mi mancherebbe? Istintivamente sono certo di sì, tanto che ho ponderato l’idea di portarlo con me ma come posso chiederglielo? Soffrirebbe, quei luoghi non gli appartengono, la nostalgia per i nostri fratelli diventerebbe insostenibile dopo un po’, io sono molto più portato di lui ad isolarmi anche da coloro cui voglio bene, lui non riuscirebbe a farlo a lungo. E, dopotutto, sono io che non voglio portarlo, quelle memorie, quei ricordi, sono solo miei, forse non sono disposto a condividerli neanche con lui, è una parte di me che non voglio lasciar invadere neanche da lui.

Ma se davvero, poi, non volessi più tornare? Se davvero scoprissi che il mio malsano mondo interiore conta, per me, più ancora di ciò che ci unisce? Lui diventerebbe un ricordo doloroso unito a tutti gli altri e finirei per amarlo in quanto ricordo senza più riuscire a tornare da lui nella sua essenza concreta?

Mi conosco abbastanza da temere che la mia follia potrebbe giungere a tanto e si fa sempre più strada, in me, l’idea che tutto sia stato un terribile errore, che ho sbagliato ad illuderlo in tal modo, che non sono affatto degno di lui e che non avrei dovuto spingere il nostro legame fino a questo punto.

Cosa dovrei fare? Partire così, senza rivolgergli una parola o salutarlo, come se niente fosse, facendo finta di nulla? E’ per questo che lo sto cercando? Per dargli, definitivamente, il colpo di grazia? No… semplicemente perché, finché sono qui, a Tokyo, sapendo che lui si trova a poca distanza, io ho bisogno di lui, di cercarlo costantemente e mi chiedo come farei a resistere senza vederlo per più di una giornata intera. Sono davvero disposto a farlo?

Il sole è tramontato da un pezzo quando comincio ad aggirarmi per il parco che circonda Villa Kido, so che lo troverò, nascosto in qualche angolo di questo paradisiaco frammento di natura, immerso nella sua malinconia; a cena non ha mangiato quasi nulla, ci siamo parlati poco nel corso della giornata. La verità è che mi sento a disagio, nella mia consapevolezza di aver agito male nei suoi confronti e lui non osa starmi troppo vicino perché, a causa della mia decisione, teme di rivelarsi invadente, teme che io non desideri più averlo al mio fianco proprio perché sono in procinto di lasciarlo. E’ così facile leggergli dentro, intuire tutte le domande che si pone quella sua testolina sempre in fermento, le risposte che sicuramente si dà, risposte che, sempre e comunque, sono contro se stesso.

Mi manca la Siberia, è vero, ma non posso negare che questa serata estiva, qui dove il clima è mite, sia bellissima, lo spettacolo delle lucciole manca nelle mie terre del nord: è come se il cielo fosse disceso sulla terra con tutte le sue stelle… o come se tutta la terra fosse un grande albero di Natale con le sue lucine intermittenti che intrecciano variegate e gaie fantasie dorate. Mentre cammino, questi deliziosi animaletti mi danzano intorno ed istintivamente mi spingono a fare attenzione perché mi sembra di toccarli ad ogni passo: non voglio rischiare di spezzare ferocemente il loro volo leggiadro.

Nel frattempo mi guardo intorno, finché non scorgo, nel buio, un’elegante silhouette dalle incantate fattezze e, se non ne riconoscessi immediatamente il proprietario, sarei portato a scambiarla per un’apparizione evanescente discesa dal paradiso. Il suo viso è chino sulla mano aperta, le dita leggermente piegate ed emana una tristezza che mi provoca una fitta straziante al cuore. Attraverso quelle dita si diffonde un tenue bagliore: il mio Shun sta tenendo una stella nella propria mano tanto degna di accoglierla?

Mi avvicino, non è possibile che non mi senta, eppure continua a mantenere lo sguardo colmo di languore sul misterioso contenuto della sua mano; quando mi fermo al suo fianco, senza mutare assolutamente posizione ed atteggiamento, sussurra qualcosa e la sua voce impregnata di malinconia sembra provenire da un’altra dimensione, soffusa ed in qualche modo assente a se stessa:

"Mi si è posata sulla mano… temo stia morendo, non vuole saperne di riprendere il volo…"

Apro un poco le labbra, stupito ma, anziché rispondere, chino lo sguardo e finalmente comprendo: sul palmo delicato del mio leprotto si è adagiata una lucciola che adesso è ferma ed emette pulsazioni luminose sempre più deboli.

"Non è detto che stia male" ipotizzo, nel disperato tentativo di risollevare l’animo di Shun "Forse è solo un po’ spaesata…"

Nello stesso istante, Shun solleva il braccio verso l’alto, allarga più che può le sue dita sottili e, nel giro di qualche secondo, dalla sua mano la lucciola si leva, innalzando alle stelle il suo bagliore rinvigorito.

"Meno male" sorride il piccolo Andromeda ma è un sorriso dettato dal momentaneo sollievo, non felice, la tristezza non accenna ad abbandonare i suoi occhi.

"Secondo me è merito tuo… il contatto con la tua mano le ha restituito vitalità."

Sono convinto di quello che dico, non vuole essere una battuta e neanche un’artificiosa trovata per lodare le sue grazie ed il suo cuore immenso; del fatto che quel suo cuore sia in grado di compiere miracoli non ho mai dubitato.

"Ma no" mormora, abbassando il capo, rintanandolo tra le spalle e facendosi minuscolo "Sono talmente inutile, come potrei…"

Lo interrompo posandogli con foga le mani sulle spalle ed affondando nella tenera carne con vigore, perché voglio che la smetta, che guardi me e mi ascolti:

"Quella lucciola ha scelto di posarsi sulla tua mano proprio perché ogni creatura vivente sa quali miracoli tu sia in grado di compiere!"

Il suo sorriso si fa ancora più amaro mentre scuote mestamente il capo ed ancora non osa guardarmi in volto:

"Miracoli? Ne abbiamo fatti, un tempo, forse è vero… solo grazie alla vicinanza di voi tutti ho resistito fino ad ora, ho contribuito almeno un minimo all’immenso miracolo che tutti insieme abbiamo portato a termine, ma non ne sarei più in grado… è costato troppo… abbiamo perso troppo… io… non riesco a credere più a nulla, tanto meno in me stesso…"

No, questo non lo posso accettare: la maggior forza di Shun è sempre stata la speranza, la fiducia nel futuro, la sua capacità di credere e di andare avanti, se perde tutto questo, cosa ne sarà di lui?

"Non tu…" riesco solo a sussurrare, sentendomi sconfitto ed inerme di fronte alla sua angoscia che mi distrugge "Non rinnegare tutto quel che ti rende speciale, non far decadere così la straordinaria bellezza del tuo animo, ti scongiuro…"

"Sarei… anche meno gradevole ai tuoi occhi, non è vero, Hyoga? Non ti piacerei più e smetteresti di amarmi…"

In mezzo alle lucciole che gli volteggiano intorno, sembra una lucciola egli stesso, fragile, indifeso come loro di fronte alla minaccia immensa ed insormontabile della cattiveria che intrappola creature tanto belle, speciali, eppur troppo piccole per poter fuggire a chi le tiene prigioniere, a chi si illude, in tal modo, di poter conservare la loro luce che invece finirà per spegnersi, uccisa dalla sofferenza portata dalla tenebra. Ed io ho intrappolato Shun nelle mie mani, ho voluto chiuderlo in un contenitore di cristallo, pretendendo di tenerlo per me… per poi fare a pezzi il suo cuore; sono un mostro, sono un bambino crudele che si è divertito a giocare con qualcosa di puro e prezioso finendo per contaminarlo. Perché lui sta per fare la mia stessa fine, una povera anima smarrita nel tortuoso labirinto dei propri tormenti, senza riuscire ad aggrapparsi più a nulla, a trovare più alcuna via di uscita e nei suoi limpidi occhi, le scintille si stanno, lentamente, spegnendo.

Abbassa il capo così tanto che adesso non riesco più a scorgere il suo volto, completamente coperto dalla cascata dei suoi riccioli d’oro scuro ma la sua voce la odo, nonostante sia appena un sussurro, perché pronuncia parole che vogliono comunicare direttamente con la mia anima:

"Forse… hai già smesso di amarmi…"

Le mie mani sono ancora sulle sue spalle e si stringono in una morsa ferrea, per lo spasmo che attraversa dolorosamente i miei nervi; lui sussulta un poco perché probabilmente gli sto facendo male ma non sembra importargli e non accenna a volermi guardare.

"Io… non potrei mai smettere di amarti…"

E’ con una certa veemenza che tento di rassicurarlo ma lui reagisce in un modo che assolutamente non mi ero aspettato; lo sento fremere un attimo sotto le mie dita, poi si aggrappa a me, lasciandosi scivolare al suolo, le mani che si afferrano convulsamente alla mia maglietta leggera e, quando si trova in ginocchio, appoggia la fronte sul mio addome e comincia a singhiozzare, disperato.

"Come puoi amarmi e riuscire a pensare di poter vivere senza di me? Anche io ti amo e… morirei piuttosto che pensare di starti lontano… perché sei disposto a lasciarmi, Hyoga? Cos’è l’amore, per te? Perché io… non capisco! Provo ogni istante a comprendere gli altri, ho provato a comprenderti in tutto ma questa volta non ce la faccio, non ti capisco!"

Oh… caro Shun… se solo sapessi quanto poco mi capisco io stesso! Come posso spiegarti qualcosa che, effettivamente, non ha spiegazione alcuna?

Stringo le dita intorno alle sue mani, lo forzo a staccarsi da quell’appiglio ed oppone un po’ di resistenza, quasi volesse strapparmi gli abiti di dosso, ma poi cede e si lascia andare, i suoi muscoli sembrano sciogliersi sotto il contatto delle mie mani e si accascia del tutto, forse cadrebbe se non fossi io a costringerlo a restare in ginocchio, mentre mi chino a mia volta. Il suo volto è reclinato su una spalla e lo sguardo vacuo, se non lo sentissi respirare in modo quasi affannoso, se non percepissi i suoi tremiti, arriverei a pensare che ha perso conoscenza o che la sua anima l’ha completamente abbandonato.

Voglio lasciarlo?

Libero le sue mani dalle mie e gli accarezzo il viso, obbligandolo così a sollevarlo verso il mio… Oh Athena, i suoi occhi… quanto vorrei rivedere in essi quella luce… cosa sta succedendo al suo sguardo? Maledizione a me, sto contribuendo alla sua rovina, la sorte riservata a chiunque commetta l’errore di diventare fondamentale per me ha già intrapreso il suo corso… non la morte fisica forse ma a lui, al mio amore, sto provocando la morte dell’anima, lo sto portando all’autodistruzione, gli sto trasmettendo l’essenza malsana del mio spirito in perenne tempesta. Non l’avrei mai creduto, io pensavo che lui fosse molto più forte di ogni mia turba mentale… anzi, forse continuo a crederlo ma come posso pretendere che possa sopportare anche questo, povero tesoro, dopo tanta sofferenza? Come può reggere il suo cuore ad un ulteriore tradimento quando in uno come me aveva riposto la massima fiducia, quando io stesso l’avevo spinto ad affidarsi totalmente a me, gli avevo promesso che non avrebbe più avuto nulla da temere, perché avrei condiviso tutto con lui? Al suo posto impazzirei, al suo posto sarei furioso, arriverei a commettere qualche atto sconsiderato probabilmente e lui, invece, si limita a supplicarmi, a donarmi il suo cuore, a metterlo nelle mie mani, a chiedermi aiuto perché, nonostante tutto, lo sento nel mio spirito tanto in simbiosi con il suo, continua a credere in me.

Non me la sento di lasciarlo… no… ne sono improvvisamente consapevole, forse lo illuderò ancora, forse lo ferirò ancora ma, per il momento, non posso fare a meno di lui.

"Verresti con me, Shun-chan? Posso condurti in Siberia con me?"

E’ così bello rivedere di nuovo quegli occhi grandi accendersi almeno di una delle tante scintille perdute, mentre il suo sguardo riprende vitalità e mi fissa, con incredulo stupore; non è fugata del tutto la tristezza ed io so perché, venire con me significa, per contro, abbandonare gli altri nostri fratelli, sa che dovrà affrontare Ikki, non è sicuro di resistere a lungo separato da tutti loro. Finirà per sentirsi spezzato in due, ne sono consapevole… posso solo sperare che non lo costringerò a scegliere e che anche a me mancheranno tanto da decidermi, presto, a tornare. Dipende anche da me, è vero ma… non ho mai imparato ad impormi alcunché.

 

Siamo in Siberia da un mese e le cose non vanno in maniera così rosea come avevo sperato… per colpa mia ovviamente, al mio leprotto dagli occhi di smeraldo non potrei imputare nulla, se non una giustificabilissima tristezza, alla quale in ogni modo contribuisco io stesso. Lo lascio troppo spesso solo, tornare qui in Siberia ha significato, per me, rigettarmi in un passato nel quale la presenza del piccolo Andromeda non era contemplata, lui non appartiene a questi luoghi, per quanto mi ci impegni continuo a percepire la sua presenza qui come fuori luogo… di troppo? Penso davvero una cosa simile?

Ma lui non potrebbe mai essere di troppo dovunque io mi trovi, perché dovrei considerarlo estraneo quando mi immergo in nostalgici tormenti che mi impediscono di distogliere da essi la mente e di dedicarmi a quanto di bello, di straordinario possiedo adesso?

Lo sto trascurando per un egoistico rinchiudermi nel mio malessere esistenziale, lo so e, nonostante questo, non riesco a strappare la mia persona da questo stato di torpore nel quale sono precipitato da quando ho messo piede sul suolo dall’eterno, cristallino candore che ha visto la mia consacrazione a bronze saint di Cygnus.

Neanche fare l’amore con lui ha lo stesso sapore, lui è sempre se stesso, vive ogni volta come se fosse la prima, mettendo anche nell’atto della nostra unione corporale tutta la generosità e le dedizione di cui è capace… è triste rendermi conto come si sia trasformato, per me, in qualcosa di meccanico, che mi serve per liberarmi di fisiche pulsioni alle quali ormai sono troppo avvezzo per potervi rinunciare. Non dico che lo farei con chiunque, perché è del suo corpo che ho bisogno, non di quello di qualcun altro ma… sono freddo, mi percepisco freddo e sono sicuro che anche lui mi percepisca in tal modo: ciò che, fino a poco tempo fa, era unione sacrale di corpi, cuori ed anime, si è ridotto a materialistica routine. Mi sono mutato in una persona squallida e vuota e lui meriterebbe di meglio… nonostante tutto, non posso e non voglio rinunciare a lui, per quanto a volte desidererei implorarlo di smettere di amarmi, non perché io lo desideri, vorrei gli fosse chiaro questo… ma proprio perché lo amo troppo senza, tuttavia, essere in grado di amarlo come merita… perché io forse non sono davvero in grado di amare e ciò che definisco amore è solo un bisogno inestinguibile di sicurezza, di possesso, di un appiglio cui aggrapparmi per non precipitare nel vuoto della mia nullità esistenziale.

La notte passa così e, durante il giorno, io girovago per le lande ghiacciate, in un pellegrinaggio senza meta che spesso termina solo a sera, pregandolo di lasciarmi solo; e lui obbedisce, umile, paziente e sempre più spento e triste perché, alla delusione dovuta al mio comportamento, si unisce la nostalgia per i nostri fratelli, per la nostra Dea. So che vorrebbe tornare ma al tempo stesso si strugge alla sola idea di lasciarmi… e non osa chiedermi di andare con lui in Giappone… perché teme di chiedermi troppo… e forse teme anche un po’ che io gli dica di partire da solo e di lasciarmi stare qui, per sempre… teme di dovermi attendere troppo a lungo… forse in eterno se non ci verrà più richiesto il nostro servigio di sacri guerrieri.

Con i piedi che affondano nella neve, sto tornando verso la casetta che un tempo condividevo con Isaac ed i miei maestri e che adesso è il nido d’amore nel quale ho accolto Shun… dovrebbe essere un nido d’amore ed invece le sue pareti si impregnano sempre più della nostra disperazione. Non una volta mi sono chiesto, nelle mie lunghe camminate, come lui passi le ore, tutto solo, tra queste pareti, se esca o se resti chiuso dentro, a pensare… a star male ed a piangere. Oggi l’ho fatto, il mio pensiero è corso costantemente a lui, il velo di egocentrico vittimismo è momentaneamente calato dalle mie percezioni, sostituito dal senso di colpa che è diventato, all’improvviso, l’emozione più pregnante, come se una folgorazione fosse giunta a mettermi all’erta, a farmi aprire gli occhi, ad avvisarmi che sto rendendomi responsabile di un delitto: il lento logorio della creatura più preziosa dell’universo.

E’ stato come un urlo esploso nella mia mente, che mi ha immobilizzato in un blocco di ghiaccio, congelandomi nell’istantanea consapevolezza dello sbaglio senza scusanti nel quale mi stavo trascinando. Ho sbarrato gli occhi sul nulla e, dopo pochi istanti, mi sono ritrovato a camminare, il passo affrettato ed ansioso, verso casa, mosso da una paura, da un sospetto che mi si palesa in tutta la sua veridicità nel momento in cui apro la porta e… non trovo nessuno all’interno.

Mi ero aspettato di trovarlo seduto, su quella sedia accanto alla finestra che dà sulla bianca distesa, lo sguardo languido disperso nei suoi malinconici sogni… ed incubi… ad occhi aperti e invece… anche lui esce, anche lui vaga per questo deserto di ghiaccio alla ricerca di chissà quali risposte. O forse, proprio oggi che mi si è dischiusa una rinnovata visione delle cose, lui ha deciso di mutare le proprie abitudini? Forse, fino a ieri, se ne è davvero restato qui seduto ad attendermi, trascinando le lentissime ore che lo separavano dalla sera, quando io sarei tornato e l’avrei stretto tra le mie braccia, donandogli quel poco sentimento che sono in grado di esprimere ma che lui sa farsi bastare nella sua infinità umiltà.

Non è un caso che proprio oggi io mi sia svegliato dal mio di incubo, che proprio oggi sia tornato a casa prima del tempo; era forse un avviso? Lo stomaco ed il cuore mi si stringono in una morsa, mentre un presentimento mi fa sudare freddo ed un groppo inestricabile nella gola mi spingerebbe a piangere se non riuscissi a mantenere la saldezza che, bene o male, mi ha permesso di tirare avanti nel mio percorso di saint. La mia esperienza di guerriero mi ha insegnato che è inutile farsi prendere dal panico prima di trovarmi di fronte al fatto compiuto, prima di avere qualunque certezza, la cosa più urgente da fare è, sempre e comunque, cercare una soluzione prima che anticipi l’inevitabile.

Ma quale inevitabile? Perché i miei pensieri si fanno così drammatici? E’ semplicemente uscito, cosa credevo? Che se ne stesse sempre chiuso qui dentro come una sorta di prigioniero, in modo che io, imbrigliato dal mio egoismo, potessi controllarlo? Non è da lui, lui ama la vita, la natura, il richiamo di questa terra vergine e selvaggia dev’essere sicuramente stato più forte di ogni sua tristezza, deve sicuramente preferire l’aria aperta, nonostante il gelo inumano, che il claustrofobico rinchiudersi tra quattro mura strette, perché, per quanto la ami, questa abitazione è davvero minuscola ed angusta, me ne rendo conto. Come potevo pretendere di condurlo in Siberia con me, per lasciarlo tutto il giorno in completa solitudine rinchiuso come una principessa in un antro stregato? Devo ammetterlo, mi si addice il ruolo della strega che ha catturato l’anima di un’angelica creatura, sottraendo il mio Shun a tutto ciò che era importante per lui e costringendolo nella mia realtà che genera solo sofferenza.

Gli sforzi per autoconvincermi di quanto siano paranoiche le mie paure non mi aiutano, tuttavia, a tranquillizzarmi e mi bastano pochi secondi per ritrovarmi a correre con gli stivali che affondano nella neve, a grandi falcate, ignorando lo strato pesante nel suo biancore che tenta, invano, di trattenermi; sono avvezzo fin da bambino a sfidare condizioni così proibitive, ad addestrarmi in ambienti di questo genere ed è fin troppo facile, per me, affrontare e superare ostacoli di questo genere. Sarebbe bello se mi fosse altrettanto agevole districarmi tra le problematiche esistenziali con la stessa fermezza morale.

Più avanzo in questo nulla di ghiaccio e meno mi sento tranquillo, la paura si fa, ad ogni metro percorso, più acuta, anche se permane la sua misteriosa essenza; paura di cosa? Cos’è che mi rende talmente inquieto da farmi apparire ogni istante di questa giornata come un veicolo di predestinazione?

Quando finalmente lo scorgo, do un senso all’angoscia che in tal modo si è impadronita di me, per quanto accolga la visione con una bizzarra calma, in contrasto con la precedente agitazione; mi sento precipitare in una singolare atmosfera di sospensione, nella quale ogni reazione emotiva viene annullata, nella quale mi limito a prendere coscienza, come se mi fossi ad ogni attimo aspettato di trovare una cosa del genere, di ciò che vedo. Forse è un bene, perché l’assurda reazione del mio animo mi aiuta a non crollare ancor prima di poter fare qualcosa ma dura poco; man mano che mi avvicino il cuore comincia a pulsare in maniera insopportabile, sento il sangue scorrere nelle tempie e battere come se volesse lacerarmi la carne, la testa si mette a girare vorticosamente e cado in ginocchio non appena lo raggiungo. Pensavo che avrei urlato ed invece non lo faccio, anche se piango, come un bambino di fronte ad uno spettacolo troppo triste per poter essere interiorizzato con consapevole maturità.

Shun è una figurina piccola, una briciola di innocenza abbandonata come un cucciolo rifiutato in queste lande immense ed uguali a se stesse, troppo vaste per essere concepite e lui è troppo piccolo per avere un senso in questa immensità crudele e spietata che lo sta avvolgendo con il suo abbraccio di gelo. La pelle di Shun è rivestita dalla patina biancastra del ghiaccio che lo intrappola, la sua pelle è livida, prossima all’assideramento… ed è vestito leggerissimo, è uscito con addosso una maglia di stoffa quasi inconsistente, jeans e scarpe da ginnastica, perché è stato così sconsiderato? E perché, sentendosi invadere da questo intollerabile clima non è rientrato o, quantomeno, non ha richiamato la propria energia vitale, il proprio caldo cosmo per proteggersi, quello stesso cosmo che in passato aveva salvato me dalla medesima sorte?

"Volevi morire, piccolo stupido?" esclamo tra i singhiozzi, mentre lo sollevo, sfregando con forza il suo corpo gelato, per donargli tepore ed intanto, senza risparmiare le mie capacità di sacro guerriero, mi precipito verso casa. Devo portarlo al caldo, vicino ad un fuoco, i miei poteri ed il tepore di un camino lo salveranno, devono salvarlo!

La mia mente si interroga in maniera febbrile; perché è accaduto questo? Voleva davvero farlo? Voleva lasciarsi andare, privare se stesso della vita, rinunciare definitivamente al mondo? Ecco un altro comportamento che non gli è mai appartenuto, l’unico motivo che potrebbe spingerlo a spegnersi volontariamente sarebbe la consapevolezza di un sacrificio in nome di qualcosa di grande, di utile a qualcuno. A chi, a cosa è utile questa sua uscita di testa? La disperazione ha davvero spinto una persona saggia come lui a commettere una simile sciocchezza? Ed io ho ancora il coraggio di giudicarlo, quando è solo colpa mia? Io l’ho sempre ritenuto perfetto, lui è perfetto, nulla cambia ma, al tempo stesso, è un ragazzino di quindici anni la cui sensibilità va oltre ogni concezione umana… la sua forza è al tempo stesso la sua fragilità ed il suo povero cuore ha tutti i diritti di andare incontro a cedimenti di questo genere. Spero solo, con tutto me stesso, di essere arrivato in tempo… Oh, Dei! Cosa sarebbe accaduto se, oggi, avessi tardato come al solito? Avrei trovato un cadavere anziché un corpo nel quale la vita ancora pulsa come un flebile lumicino che supplica di venire alimentato.

Balzo oltre la soglia con folle trasporto, con un calcio violento chiudo la porta alle mie spalle, adagio il mio leprotto sulle coperte, getto legna nel fuoco sperando che cominci a crepitare ed a scaldare la stanza come si deve il più in fretta possibile, quindi ritorno da lui, lo spoglio, mi spoglio anche io e mi sdraio su di lui, avvinghiandomi al suo corpo, pregando ardentemente che percepisca la mia presenza, il mio abbraccio, il mio desiderio di donargli tutto me stesso, la mia vita se fosse necessario, come lui aveva fatto per me. E’ l’abbraccio più sincero, più intriso d’amore che gli abbia riservato negli ultimi mesi… forse dall’inizio del nostro rapporto.

L’impulso a ricambiare ciò che lui fece per me nella Casa di Libra è forte, tanto che il mio cosmo comincia a divampare ma mi fermo immediatamente, rendendomi conto che, anche in questo caso, sono completamente inutile, che non potrò mai essere quello che lui è stato per me… io sono il signore delle energie fredde… il mio flusso energetico concluderebbe l’opera del rigido clima siberiano dandogli definitivamente la morte… il mio cosmo non può, in alcun modo, generale calore. Tristemente ricordo cosa maggiormente mi aveva messo in difficoltà nello scontro con Hagen, il God Warrior che celava in sé il doppio potere del ghiaccio e del fuoco… io con il calore non ho nulla a che fare. La disperazione mi coglie in tutta la possibile intensità data dal terrore insopportabile di perderlo senza poter fare nulla per impedirlo. Potrò contare unicamente sul calore tutto umano del mio corpo ed è per questo che tento di aderire a lui più che posso, lo faccio letteralmente scomparire sotto di me, che sono tanto grande al suo confronto… se solo bastasse… deve bastare! Adesso fa caldo qui dentro, io ho troppo caldo ma per lui è necessario che sia così.

"Lo senti questo calore? Il calore del fuoco, il calore del mio abbraccio, tesoro mio, vorrei tanto dartene di più ma sono così inutile… ti prego, prendi tutto quello che io posso darti ed a questo aggiungi la forza che hai dentro, aiutami a donare calore al tuo corpo, ti scongiuro, Shun…"

Mi sollevo un poco, per poter guardare il suo volto; è sempre livido, il suo pallore solitamente appagante alla vista, caratteristica della sua avvenente perfezione si è mutato nel cinereo colorito messaggero di insanità, tutto in lui resta immutato, spaventosamente immobile e solo a fatica sento, come un lontano gemito d’agonia, il suo cuore che, ogni tanto, dà un battito, come a farmi notare la sua presenza, il suo desiderio di non spegnersi, nonostante tutto.

Un singhiozzo incredulo, attonito mi esplode nel petto, mentre mi aggrappo a lui con tutto l’impeto della mia disperazione, sorge in me lo strazio di chi si sta rendendo conto di una situazione che, fino ad un attimo prima, appariva assurda al solo immaginarla. Sto davvero per perderlo, in una maniera così stupida, così… dannatamente inutile? Il sacro guerriero di Andromeda se ne sta andando dal mondo nel più completo anonimato, così miseramente? E… come una pugnalata arriva la sentenza: ecco il destino che sta nuovamente per compiersi, quel destino che ha segnato la mia esistenza ed al quale non posso in alcun modo fuggire. Ho causato la morte della mamma, di Isaac, dei miei due maestri… e sto causando la morte di Shun, come avevo lucidamente previsto e come puntualmente è accaduto. Non ero pazzo quando lo temevo, non erano paranoiche considerazioni le mie… era tutto, perfettamente razionale, concepibile… e inderogabilmente vero.

"Perché?" urlo, sconfitto, terrorizzato come un bambino, come quel bambino che, una decina di anni fa, assisteva impotente alla morte della mamma e, se Shun mi lascia, io tornerò ad essere come quel bambino e non avrò più nulla, non mi resterà che raggiungerlo… se Shun morirà, io semplicemente lo seguirò, perché per me la vita senza di lui, adesso, non avrebbe alcun senso.

"Svegliati, Shun-chan, svegliati… Non ti deluderò mai più… l’ho capito… ho capito quanto tu sia indispensabile per me, non sono niente senza di te, la mia esistenza trova un significato solo in virtù della tua esistenza al mio fianco, se mi lasci… io non esisto… non esisterò più…"

Le mie grida si allentano in convulsi sussurri spezzati dal mio pianto, potrei piangere per sempre, il mio cuore non è più ghiaccio perché in esso vive il mio Shun, che con la sua dolcezza potrebbe far sciogliere un iceberg. Ma il mondo diverrà un inferno d’orrore se non sarà più solcato dai suoi passi che compiono miracoli, non accetto una cosa del genere, mi rifiuto di accettare che il destino avverso vinca un’altra volta, mi rifiuto di accettare che a me debba essere impedito di amare follemente qualcuno pena la morte di ogni mio affetto.

"Maledizione, non lo accetto!"

E’ l’urlo più lancinante che la mia voce abbia mai emesso, mentre mi sollevo in ginocchio sul letto, trascinando Shun con me, lo stringo con tale violenza da affondargli quasi le dita nella carne con una mano, mentre l’altra mano affonda nei suoi capelli aggrappandosi ad essi, premendo il suo volto contro la mia spalla.

"Non piangere… Hyokkun…"

Sussulto, trattengo il fiato e resto immobile sentendo cinque gelidi polpastrelli che mi accarezzano le pelle del braccio; guardo i suoi occhi… sono aperti ed una scintilla smeraldina suggerisce la loro ritrovata, anche se debole, vitalità. La sua pelle è ancora tanto fredda ma non più come prima ed io vorrei ancora urlare, l’incredulità dovuta alla paura di perderlo si muta nell’incredulità dettata dal sollievo sconfinato che mi fa balzare il cuore in gola fin quasi a soffocarmi.

Qualche istante dopo lo tengo ancora stretto a me ma siamo sdraiati fianco a fianco, lui sta perdendo il colorito malsano e si sta, gradualmente, riscaldando, io lo accarezzo e gli bacio ogni frammento di pelle nuda.

"Non vuoi proprio dirmi, esattamente, cosa è accaduto la fuori?" gli chiedo, dopo che siamo rimasti in silenzio a lungo "Cosa ti eri messo in testa?"

Non risponde subito, rivolge lo sguardo al soffitto di legno, i suoi occhi sono di nuovo grandi ed intensi ma ancora non vedo l’antica positività… ancora in essi manca la speranza che li rendeva speciali. La sua bella voce mi risponde, dopo quella che è sembrata una profonda riflessione:

"Io non volevo morire… vorrei che mi credessi…"

"Certo che ti credo, cucciolo… non mentiresti mai con questo trasporto ma… allora cosa…"

"Il mio corpo ha agito da solo trascinandomi con quei pochi abiti addosso all’esterno… il gelo mi ha aggredito… ma non sono riuscito a difendermi perché… non ero consapevole di me stesso… credo… Non volevo morire… ma non riuscivo a vivere… in realtà da un po’ non riesco a vivere…"

Sentirlo parlare così, come una creatura spaventata dalla vita stessa, proprio lui, il cuore palpitante e positivo del nostro composito gruppo, è straziante; questi farfugliamenti incerti tipici di chi si sente confuso ed incapace di reagire… è una sensazione che io conosco bene ma Shun non è mai stato così… sta diventando il riflesso di me stesso ed io non voglio o ci perderemo entrambi!

"Perché, quando ti sei reso conto di quanto ti stava succedendo, non hai tentato di riscaldarti con il tuo cosmo?"

Mi risponde con un sorriso che assomiglia di più ad una smorfia di amarezza… decisamente non il suo solito sorriso:

"Non credo di essermi reso conto di nulla, inoltre…"

Esita, il sorriso scompare, i suoi occhi, per un istante, si aprono immensi e subito dopo si stringono nuovamente, il suo corpo è scosso da un sospiro penoso.

"Inoltre?" insisto, perché voglio capire esattamente quello che ha dentro, voglio che lo tiri fuori e, se posso, per una volta, essere io a dargli sostegno morale e psicologico per tirarlo fuori dal baratro.

"Il mio cosmo… non ci ho neanche pensato… non mi è venuto istintivo come sempre accadeva in passato, forse non sono più degno di essere un saint perché… non ci credo più…"

Il suo sfogo si spegne in un singhiozzo soffocato dalle mani che salgono al volto, a tentare vanamente di arginare un’ondata di lacrime.

"Perché non riesco a credere più in nulla?" pigola la sua vocina ancora così giovanile, una voce che assume inflessioni infantili in grado di trasmettere una tenerezza struggente.

Con uno scatto istintivo abbandono la mia posizione e lo sommergo nuovamente sotto di me, afferrando i suoi polsi per costringerlo ad abbassare le mani, voglio vedere i suoi occhi, voglio essere certo che recepisca quello che sto per dirgli:

"E’ colpa mia, leprotto; io ti ho dato il colpo di grazia in un momento delicato e tu sei semplicemente troppo stanco…"

"Non dire che è colpa tua" tenta di intromettersi ma con un gesto gli impongo di lasciarmi continuare.

"Tu mi hai sempre dato tanto ed io non sono mai riuscito a farti realmente comprendere cosa significhi per me l’averti accanto a me costantemente… io ti amo tesoro mio e non voglio più commettere errori. Quello che serve ad entrambi è ritrovare la nostra forza insieme, per poterci ritrovare anche come saint ed io ti prometto, su quanto noi sacri guerrieri abbiamo di più caro che, se ti affiderai a me, io ti proteggerò anche dal tuo dolore, la mia sacra missione, da questo momento in poi, sarà quella di far tornare la luce della speranza nei tuoi occhi, credi in me mio Shun ed insieme ce la faremo!"

Bastava davvero così poco? Quella luce già si sta accendendo, un oceano di stelle luccica nello smeraldo prezioso dei due occhi più belli dell'universo. Gli era davvero sufficiente questo? Le mie frasi banali ma intrise di tutto l'amore che ho saputo scovare nell'aridità del mio animo?

Mi circonda il collo con le sue tenere braccia e mi attira contro di sé.

"E' così facile farti credere in me?" non posso fare a meno di chiedergli perché, anche se sono certo che mi impegnerò al massimo da questo momento in poi, non ho mai dimostrato di essere così degno di fiducia.

"Io credo in tutti coloro che amo" risponde dimostrandomi che, pian piano, sta realmente tornando se stesso e la sua voce, per me, è come un canto vellutato "e... se loro credono in me... io posso affrontare qualunque cosa... se tu credi in me... se credi di potermi amare, di..."

Gli chiudo la bocca con un bacio ma mi stacco quasi subito perché sento il bisogno di dirgli una cosa, il mio primo regalo, la prima dimostrazione che ho tutte le intenzioni di mantenere la mia promessa:

"Domani torniamo in Giappone..."

Ancora stelle che si accendono nei suoi occhi, insieme al sorriso che, adesso sì, è pienamente riconoscibile ma non posso non notare l'alone di incertezza che permea il suo sguardo sollevato.

"E' un sacrificio per te" mi dice, infatti, fissandomi intensamente.

Scuoto il capo, convinto:

"Per me è un sacrificio vederti star male e solo tornando dagli altri potrai guarire del tutto... solo se staremo tutti insieme... senza contare che anche a me mancano, sai?"

Un attimo di silenzio nel quale reprime un singhiozzo, poi si aggrappa a me con una foga tale che per poco non ci fa cadere entrambi dal letto.

"Oh, Hyoga!" esclama, nascondendo il volto nell'incavo della mia spalla.

Ora so che andrà tutto bene; sarà dura, la nostra esistenza non potrà che riservarci altri momenti difficili ma essi saranno mitigati dalla certezza del nostro reciproco conforto. E questa creatura straordinaria con la quale ho avuto il privilegio di incrociare il cammino non soffrirà mai più per causa mia, combatteremo fianco a fianco ed in questo modo potremo affrontare qualunque cosa, nella consapevolezza che ci proteggeremo a vicenda.

Questo momento difficile passerà e giungerà la rassegnazione di ciò che siamo stati e di ciò che forse ci aspetta, ma più niente potrà farci tanto male da spingerci ad annullarci perché, stando insieme, faremo passare ogni cosa.

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda