Lo
so, lo so, ho tante fic a capitoli in corso, ma vi assicuro che anche questa è
un progetto piuttosto vecchio, la bozza attendeva da secoli di essere portata a
termine e siccome ci tenevo a scriverla sotto ispirazione intensa non mi
decidevo mai^^ Questa canzone di De Gregori mi ha sempre fatto pensare a Shun,
quindi alla fine è venuta praticamente una songfic dato che ho, seppur
liberamente, tratto ispirazione dalle bellissime immagini descritte nel brano.
Ok, fatemi sapere che ne pensate.
HyogaXShun
a tutti gli effetti, shonen-ai (non yaoi, perché il lato fisico è solo
accennato), un po' angst e... melassa;PPP
TU CHE CONOSCI LE LACRIME E LE SAI
CONSOLARE
Bellamore Bellamore non mi lasciare,
Bellamore Bellamore non mi dimenticare.
Rosa di Primavera, isola in mezzo al mare,
lampada nella sera, Stella Polare.
Bellamore Bellamore, fatti guardare,
nella luna e nel sole fatti guardare.
Briciola sulla neve, lucciola nel bicchiere,
Bellamore Bellamore, fatti vedere.
E vieniti a sedere, vieniti a riposare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questa notte che viene non darà dolore,
questa notte passerà, senza farti del male.
Questa notte passerà, o la faremo passare.
Bellamore Bellamore, non te ne andare.
Tu che conosci le lacrime e le sai consolare.
Bellamore Bellamore non mi lasciare,
tu che non credi ai miracoli ma li sai fare.
Bellamore Bellamore fatti cantare,
nella pioggia e nel sole, fatti cantare.
Paradiso e veleno, zucchero e sale,
Bellamore Bellamore, fatti consumare.
E vieniti a coprire, vieniti a riscaldare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questo tempo che viene non darà dolore,
questo tempo passerà, senza farci del male.
Questo tempo passerà o lo faremo passare.
(Bellamore – F. De Gregori)
Ancora lacrime, pensieri angosciosi
che mi dilaniano; le battaglie non sono finite per noi, no, non per me che
giornalmente combatto contro ricordi e rimpianti. Come fanno loro ad andare
avanti così, come fanno a fingere una normalità che non potrà mai appartenerci?
Come fanno a non comprendermi?
E tutto questo dolore mi rende
egoista perché lo so, so di non essere l’unico che ha sofferto, so di non
essere l’unico che deve continuare a lottare contro il proprio passato, contro
la propria coscienza, so che non sono incompreso ma riesco a vedere solo la mia
sofferenza pur sapendo quanto essi stessi soffrano, consapevole del medesimo
destino che ha scritto per noi, nelle stelle, un dolore senza fine, dalla
nascita all’istante in cui moriremo, senza scampo alcuno.
Me ne sto solitario e pensieroso
nei luoghi più appartati che si possano trovare in una città caotica come
questa, a volte isolandomi in riva al mare, passeggiando per i viali più verdi
nelle ore in cui sono meno frequentati, soprattutto ricerco gli angolini più remoti
del grande parco di Villa Kido, o addirittura mi rinchiudo nella mia stanza… e
penso, un inutile rincorrersi di sentimenti ed emozioni privi di un coerente
filo logico, che si aggrovigliano su se stessi lottando, spezzandosi,
infliggendomi ferite sempre più profonde nelle quali mi crogiolo in un perverso
gioco di masochistica ricerca del dolore. Perché questo?
Non si possono domandare
motivazioni ad una mente come la mia, non c’è nulla di razionale nella mia
testa, so che non posso e forse non voglio uscirne, perché io devo pensare e
stare male, non posso permettermi di ricacciare tutto in un angolino… no, non
lo so se non ci riesco o se non lo voglio fare, semplicemente non posso
prendere in considerazione l’idea… o già per il fatto che ne sto parlando questa
idea l’ho considerata?
Scuoto la testa, come a cacciare
questo velo di follia che mi ottenebra ancor più di quanto faccia di solito. Le
luci del mattino trasformano le gocce di rugiada in tante pietre preziose
plasmate nel colore delle corolle variopinte; il giardino di Villa Kido riesce
ad assumere le sembianze di un mondo incantato in alcuni momenti… eppure non è
il mio posto; potrei fuggire realmente e trovarla la solitudine di cui avrei
bisogno se solo mi decidessi a tornare in Siberia. Ma non me la sento… la mia
sola ancora di salvezza è qui e semplicemente non ho il coraggio di
abbandonarla, non più.
Anche questo rientra nel mio
egoismo perché spero ogni istante che lui arrivi ad alleggerire il peso dei
miei tormenti, accantonando i suoi che, io lo so, sono immani… e pur sapendolo
mi appoggio a lui senza ricambiarlo in nulla. Quando mi sono accorto, per la
prima volta, di essere tanto più fragile di lui? Forse l’ho sempre saputo ma è
stato difficile doverlo ammettere a me stesso, dover ammettere la mia
debolezza, la mia instabilità alla quale solo lui riesce a dare una parvenza di
equilibrio. Lui non mi opprime con i suoi fardelli, è troppo impegnato a
prendersi i miei sulle proprie spalle, io l’ho compreso, eppure non riesco a
fare nulla per lui; è ancora egoistico vittimismo il mio, la linea tra il non
potere e il non volere è molto sottile, lo so… ormai quasi ne faccio un alibi
di questo mio stato d’animo e la volontà di venirne fuori è pressoché
annullata… ed ogni istante lo attendo, attendo che la sua sublime presenza
giunga a tirarmi fuori dal baratro allorché sono sul punto di precipitarvi
dentro.
Neanche questa volta mi delude;
durante la colazione deve essersi reso conto del mio malessere e, discreto come
al solito, non mi ha detto nulla in presenza degli altri, sapendo benissimo che
la cosa mi avrebbe messo a disagio. Come sempre ha atteso che mi isolassi, per
poi raggiungermi, dopo pochi minuti e ora incede con passo leggiadro in mezzo
alle rose e alle innumerevoli varietà di fiori che ravvivano queste siepi con
la loro esplosione multicolore. Si ferma un po’ incerto a qualche passo da me e
mi pone una flebile domanda, con un velo di timidezza:
"Ti disturbo, Hyoga-kun?"
Poverino, ha imparato a conoscermi
meglio di chiunque altro; chi più di lui ha sopportato i miei malumori, i miei
scatti di nervosismo, la mia instabile attitudine nei confronti del mondo,
foss’anche nei suoi confronti, della persona di cui più mi fido nell’intero
universo? L’unica che davvero riesco sempre a sopportare? Ogni volta non sa
come reagirò ai suoi tentativi di confortarmi, più volte l’ho trattato male a
parole o anche solo mostrandomi infastidito dalla sua vicinanza… falsamente
infastidito o forse completamente incapace, nella mia stupidità, nei miei
momenti di confusione mentale, di gioire nell’averlo accanto. E, nonostante
tutto, mai si è stancato di venirmi a cercare, di venirmi ad offrire il suo
sostegno, il suo calore, la sua tranquilla, saggia dolcezza.
E’ un bene che ora io sia
abbastanza lucido da riflettere in questo modo, riuscendo così ad accoglierlo
con un sorriso sincero ed affettuoso. Incoraggiato dalla mia reazione, ricambia
il sorriso ed io non posso che esserne felice, perché il suo sorriso è già
sufficiente a convertire al meglio una giornata cominciata male: ha in sé la
radiosa morbidezza della primavera, egli stesso assume, nella mia
immaginazione, la magnificenza di una rosa, sovrana di questo giardino.
Dopo pochi istanti è seduto accanto
a me, la schiena appoggiata al medesimo albero al quale è poggiata la mia;
raccoglie le ginocchia e intreccia le mani davanti ad esse, sollevando il viso
ad accogliere la carezza gentile di un raggio di sole infiltratosi attraverso
uno spiffero del tetto di foglie, un raggio di sole che prima non c’era,
probabilmente anch’egli desideroso di porgere il suo saluto a colui che lo
supera in splendore.
Perdendomi qualche istante a
contemplare il profilo del mio fratellino, mi trattengo a stento dal ridere per
queste assurdità da romanzo rosa che mi sono venute alla mente… e nonostante
tutto non respingo ciò che ho pensato, non vi è nulla di artificioso in ciò che
mi trasmette questo cucciolo di saint che ho al mio fianco.
"La primavera è in anticipo
quest’anno…"
Profondamente assorto nel tepore di
quel tocco solare, formula quasi distrattamente l’osservazione e la sua voce
amabile come quella di un uccellino gentile si riempie di sfumature svariate,
incrinandosi lievemente verso una commozione che non so esattamente a cosa sia
dovuta. E subito mi accorgo di mentire a me stesso… non posso pensare che Shun
sia sereno come sempre si mostra quando desidera sollevarmi il morale, lo
conosco troppo bene per pensarlo. Come può essere sereno, povero ragazzo, dopo
un’infanzia ed un’adolescenza passate a violentare la propria natura benevola,
sacrificandola in nome della Giustizia? Non posso fingermi cieco fino a questo
punto, non potrò chiudere costantemente gli occhi di fronte alla sua sofferenza
così delicata e discreta come colui che la reca nell’anima.
Distoglie lo sguardo dalla corona
di foglie per portarlo su di me e quel lampo nei suoi occhi che sembrava il
riflesso di una lacrima svanisce per donarmi un nuovo sorriso. Non è che sta
fingendo, lo so, semplicemente, il suo desiderio di essermi d’aiuto lo porta
realmente a mettere da parte ogni suo problema, ogni sua ferita; quando si
concentra su di me, allora davvero i dilemmi che gli spezzano il cuore passano
in secondo piano. Shun è sincero, vero ed incapace di mentire, in ogni istante.
Nel momento stesso in cui realizzo
questa realtà, capisco che oggi non lo voglio fare, che oggi non me la sento di
sovraccaricarlo con i miei pesi; oggi saremo solo due amici, due fratelli,
uniti dallo stesso, triste destino, uniti dalla profondità del nostro legame.
Ci riuscirò, complicato ed egoista come sono? Riuscirò, prima o poi, a
conferire un po’ di equilibrio al dare ed al ricevere che si instaura in ogni
rapporto? Riuscirò a smettere di ricevere soltanto ed imparerò a dare qualcosa
a questa creatura che dona tutta se stessa a me ed al mondo?
Tanto per cominciare, smettila
di porti domande senza senso, dico a me stesso, e di darti risposte
ancora più insane del tormento che tali domande portano! Ma quali risposte?
Io non mi do alcuna risposta, formulo solo vane considerazioni che altro non
sono se non il frutto di una mente malata ed autolesionista. Le mie labbra si
inclinano verso l’alto, fino a dar vita ad una parvenza di sorriso, forse
sfuggevole e sicuramente ironico ma è sempre meglio di niente. Se almeno
bastasse a far pensare a Shun che mi trovo in una disposizione d’animo
accondiscendente, sarebbe splendido.
In effetti mi sta guardando ed i
suoi occhi brillano un po’; non riesco a sostenerli, so che mi sta leggendo
dentro ed è in grado di capire al volo la realtà delle cose; potrei fingere
quanto voglio ma non lo ingannerei mai, lui sa che sto male, lui è ben
consapevole di quale sia la vera natura del mio sorriso. Tuttavia ad esso
risponde, con uno dei suoi, tanto più limpidi, puri, esenti da ogni
cervellotica tempesta mentale.
Mi alzo con una mossa fluida ed
improvvisa, pulendomi con le mani il retro dei pantaloni neri per spazzare via
la terra battuta del giardino e l’erba che sicuramente si è incollata ad essi.
Ho percepito chiaramente il suo sguardo che seguiva il mio movimento e in
effetti, quando ricerco nuovamente i suoi occhi, il suo volto è sollevato verso
di me, tranquillo e vagamente interrogativo, le labbra schiuse e distese nella
loro rilassata morbidezza.
"Andiamo a fare un giro!"
E’ una proposta istintiva, quasi
allegra, la pronuncio ancor prima che la mia mente la formuli, almeno così
credo dato che non mi sono assolutamente reso conto di averla pensata. Si alza
anche lui, per mettersi prontamente al mio fianco: per un momento è come se una
luce ultraterrena si impadronisse della sua persona, appare quasi radioso alla
mia vista… è sufficiente così poco per renderlo felice? E’ bastata questa mia
idea venuta fuori dal nulla ed è sembrato che Shun e il bagliore del sole si
fossero fusi, riflessi l’uno dell’altro, esplodendo come un grido di gioia… che
ragazzo strano… è straordinario e sono semplicemente orgoglioso di essere una
delle persone che più ama al mondo!
Annuisce e spicca una corsetta
leggera, fermandosi dopo pochi passi per poi voltarsi ancora a guardarmi,
comunicando solo con quei suoi occhi eloquenti e sinceri, come a dirmi che mi
sta aspettando; non posso fare a meno di sorridere ancora e questa volta il mio
sorriso è diverso… un sorriso d’affetto, del tutto privo di cinismo… un sorriso
da lui provocato e solo a lui rivolto. Siccome a parole sono del tutto incapace
di dirgli quanto gli voglio bene, almeno questa piccola cosa, questo piccolo
insignificante sorriso, voglio che sia tutto suo!
Lo raggiungo e ci incamminiamo verso
il cancello che dà sulla strada; continuiamo a restare in silenzio, come se
sapessimo entrambi che non c’è alcun bisogno di incrinare questo momento di
grazia con parole che risulterebbero forse vuote ed insignificanti. E’ come
essere sospesi in un paradisiaco istante e io so che, similmente a me, neanche
lui vuole spezzare questa sorta di incantesimo, neanche lui vuole tornare
bruscamente alla realtà.
E’ strano… a volte mi sembra che io
e lui ci capiamo al volo, che i nostri cuori battano all’unisono e le nostre
anime si fondano in una ma, a pensarci bene, non dovrei poi stupirmi… i miei
fratelli ed io abbiamo unito i nostri cosmi tante di quelle volte ormai e
questa sensazione è tutt’altro che nuova. Eppure, con Shun, c’è qualcosa di
diverso, qualcosa di ancor più profondo… e di nuovo accantono lo stupore… parte
della sua anima ardente me la donò davvero tempo fa, per salvarmi la vita… si
stava privando del suo alito vitale perché io potessi vivere, anche se questo
avrebbe significato, per lui, spegnersi per sempre. E se io non mi fossi
svegliato in tempo, avrei un’altra persona amata sulla coscienza, un’altra
creatura a me cara al di sopra di ogni limite si sarebbe sacrificata per la mia
salvezza.
Probabilmente, all’epoca, Shun non
realizzò che, con il suo gesto, se davvero non fossi riuscito ad impedirglielo,
mi avrebbe aiutato a compiere un ulteriore passo sul percorso inesorabile della
mia autodistruzione, mi avrebbe ucciso moralmente… sono terribilmente certo di
questo e, in un impeto di follia, sento divampare una rabbia atroce verso me
stesso: sono talmente bastardo da non riuscire ad essere grato per la
generosità altrui? Invece di ricordare il suo sacrificio con tutta la dolcezza
che esso merita, provo addirittura risentimento nei suoi confronti per quello
che ha rischiato perché, morendo in quel modo, mi avrebbe fatto del male
anziché aiutarmi? Ovvio, tutto in funzione di me stesso, non so considerare gli
avvenimenti da altro punto di vista che non sia il mio, io e la mia maledetta
oppressione al centro del mondo!
I miei pugni si stringono,
indipendentemente dalla mia diretta volontà e mi mordo le labbra quasi a
sangue: ma perché, ogni volta che sembra andare tutto bene, la mia mente deve
continuamente intromettersi, come un instancabile computer fuori dal controllo
umano e andarsene per i fatti suoi, costringendomi a scavare nel mio spirito,
tirando fuori ogni minima, minuscola spina, per farne un fitto groviglio di
rovi? Shun è qui, accanto a me, sono riuscito ad impedire che la sua vita si
spegnesse per me, è quindi il caso di farsi tante paranoie su una cosa che non
è accaduta?
E tuttavia siamo saints, la nostra
vita è sempre appesa ad un filo, l’abnegazione di Shun è sempre al nostro
servizio, sempre pronta a guardarci le spalle ed anche gli altri, lo so,
sarebbero pronti a sacrificarsi in ogni istante per me… un giorno, quello che
ho potuto evitare nella casa di Libra, potrebbe comunque accadere, il solo
fatto di essere guerrieri rende la cosa altamente probabile.
Trattengo a stento un ruggito; no,
smettila, mio cervello fermati, smettila di pensare, basta basta basta!
"Hyoga?"
Sussulto; non mi ero neanche
accorto di essermi fermato, fremendo come un folle, fissando un punto che non
riesco a vedere… per forza, solo il buio mi circondava ed è quella voce
vellutata a rischiarare un po’ il mondo intorno a me, giungendo fino al mio
cuore per ripescarlo dal baratro.
Shun mi sta fissando, gli occhi
enormi, sgranati ed ansiosi, la bocca ancora aperta dopo aver pronunciato il
mio nome; è in piedi davanti a me e mi interroga con quello sguardo che sa
essere preoccupato e rassicurante al tempo stesso come se, vincendo ogni
spavento che la mia improvvisa attitudine può avergli provocato, già si stesse
preparando ad esorcizzare dal mio animo il fantasma che mi tormenta, qualunque
esso sia, anche a costo di farlo entrare in lui per rendermi libero.
"Io… credo di essere prossimo
ad impazzire, sai Shun?" rispondo, in un tono talmente assente che
contrasta con il senso delle parole: non vi è stupore o paura nella mia voce,
sono totalmente inespressivo, come credo sia anche il mio sguardo; chi mi
vedesse ora, senza conoscermi, senza udire quello che ho detto, penserebbe che
sono semplicemente un tipo freddo e pacato che sta conversando tranquillamente
con chi gli sta di fronte.
Ma l’espressione di Shun
rivelerebbe, senza lasciare adito a dubbi di alcun genere, l’autentica entità
della chiacchierata. Mi fissa un po’, senza ribattere nulla, completamente
spiazzato, come è logico; sfido chiunque ad affrontare con lungimirante
raziocinio una personalità assurda come la mia: un attimo prima sorridevo gaio
e camminavo al suo fianco godendomi la brezza e le tiepide carezze del sole e
d’improvviso mi blocco, come se avessi visto un nemico, con l’inequivocabile
espressione di chi è prossimo ad assalire qualcuno… in effetti lo stavo
facendo… stavo aggredendo me stesso, non è così?
L’espressione di Shun cambia, la
tensione si muta in un nuovo sorriso e una sua mano si solleva per stringersi
sul mio polso; mi irrigidisco un attimo, non sono abituato a contatti fisici
così diretti in campo affettivo. E’ capitato spesso, tra noi fratelli, di
abbracciarci e sostenerci a vicenda durante quegli incubi senza fine che sono
state le nostre battaglie ma, nella quotidianità, io tendo a non lasciarmi
andare… non che non voglia, semplicemente non ci sono avvezzo ed ammetto che mi
imbarazza… e tuttavia mi piace, mi sento sciogliere, l’istante immediatamente
successivo, a quel tocco che non ha niente di invadente o appiccicoso… è
semplicemente delicato, in un certo senso protettivo, assolutamente naturale.
Mi sta trascinando verso il
cancello aperto e non vivo la situazione con disagio; mi lascio trasportare da
lui, quasi fossi un cagnolino… so che questo solo pensiero dovrebbe rendermi
furioso ed umiliato, eppure non posso mentire a me stesso… mi sto sentendo di
nuovo bene e i miei sensi godono il contatto con le sue dita piccole e gentili
ma al tempo stesso decise nel loro scopo di condurre in salvo questo naufrago
quale io sono… e insieme al tocco, la carezza della sua voce che gareggia con
quella degli uccellini tra gli alberi, tanto è fanciullesca e argentina,
proprio come loro:
"Lascia da parte i cattivi
pensieri, Hyokkun, è una bellissima giornata, andiamo a fare una corsa sulla
spiaggia!"
Nonostante la primavera si faccia
sentire, il mare sembra non essersene ancora accorto e si intestardisce a
litigare con il vento, abbastanza forte, per quanto il sole scaldi la terra; i
flutti si elevano come torri di schiuma ed acqua infrangendosi sulla spiaggia,
spruzzando a distanza e non risparmiando gli incauti, che passeggiano nelle
vicinanze, dall’attacco delle goccioline gelide e pungenti… incauti come noi,
che ignoriamo del tutto il trattamento riservatoci dall’oceano, anzi quasi
godiamo della furia selvaggia della natura che può esprimersi in tutta la sua
potenzialità anche grazie a noi, che l’abbiamo protetta a rischio delle nostre
vite.
Non abbiamo parlato molto nel
tragitto che ci ha condotti qui e ancora non abbiamo mantenuto il proposito di
correre lungo la costa, Shun si è fermato davanti a me, sembra immerso in un
mondo tutto suo, quasi i nostri ruoli si fossero invertiti. Sta soffrendo, lo
so e mi sento così inutile!
Non posso dire che le esperienze
passate non ci abbiano, in qualche modo, cambiato; restano le stesse le nostre
essenze ma qualcosa si è irrimediabilmente spezzato, abbiamo lottato troppo,
versato troppo sangue, subito troppi traumi e troppe perdite. L’ultima guerra
sacra ha seminato strage tra le fila dei sacri guerrieri, unicamente noi bronze
siamo sopravvissuti, al Santuario resta solo qualche triste silver saint che
ha, sulle proprie spalle, l’infelice compito di raccogliere i cocci di un
eroico universo andato in frantumi. I gold, i nostri fratelli maggiori, non
sono tornati insieme a noi che, seppur avevamo il sorriso sulle labbra mentre
camminavamo verso il mondo della luce, al nostro risveglio sulla terra abbiamo
percepito intorno a noi un vuoto nel quale la speranza non aveva più posto
alcuno.
Razionalmente sappiamo tutti che
non è così, che se
So che Shun condivide i miei stessi
dolori, le mie medesime incertezze a riguardo e ora, mentre lo osservo, fermo
sulla riva del mare, aggredito dalla sua ferocia eppure immobile ed
indifferente ad essa, non posso fare a meno di provare tanta pena per lui, che
accanto a me sembra tanto piccolo, le sue fattezze sono ancora così infantili e
tenere… nessuno direbbe che, dietro quel guscio di ragazzino imberbe ed
innocente, si celi un essere umano speciale, angosciato, che in quel petto
pulsi un cuore la cui generosa saggezza ha una profondità ed una consapevolezza
quasi millenarie.
E’perfettamente immobile, lo
sguardo fisso sull’orizzonte, nei suoi occhi il mare si rispecchia ed essi lo
assorbono in sé con la loro immensa consistenza smeraldina… un mare nel quale
ardono stelle prossime a sciogliersi in lacrime. E’ come se si fosse
dimenticato momentaneamente di me e, se non mi faccio notare, finirà per
piangere; non voglio vederlo piangere, ora, ho bisogno della sua forza… ho
ancora bisogno, in fin dei conti, di essere egoista, selvaggiamente egoista…
non voglio che pianga perché ho bisogno di lui, non per semplice affetto nei
suoi confronti, anche se gli voglio così bene da starne quasi male a volte.
Eppure, non ho bisogno di fare
nulla, non si è dimenticato di me, sono stato uno sciocco a pensarlo, sa che io
ci sono, sa che mi è necessaria la sua saldezza interiore e si riscuote, si
passa due dita sugli occhi, si volta verso di me; non sorride, non ci riesce,
non posso pretenderlo ma il suo sguardo è forte, vuole infondermi
quell’integrità che non mi appartiene più o che, probabilmente, non mi è mai
appartenuta… un’integrità che, dopotutto, è sempre stata unicamente sua.
Mentre lo osservo, adesso, non mi
sembra più così piccolo ed indifeso; perfino con la sua altezza decisamente
ridotta appare maestoso mentre sta così, eretto, fiero, accogliendo sul proprio
corpo gli zampilli d’acqua che, probabilmente, infastidirebbero o
respingerebbero qualunque normale essere umano. Ma nel corso della sua prova
per ottenere il sacro cloth di Andromeda, il mio dolce fratellino ha spezzato
le catene che lo tenevano avvinto alle rocce piegando l’oceano al proprio
volere, lo stesso ha fatto nel regno dei mari quando abbiamo affrontato
Poseidon, ci vuole ben altro per abbattere questa miracolosa creatura, è come
uno scoglio percosso dalle onde che soffre ed agonizza nel lento logorio ma ad
esso non si piega, non si spezza e non cede… questo è Shun, la mia isola
immobile, calma, saggia, in mezzo al mare in tempesta di un mondo troppo
crudele per lui.
E’ quanto di più bello io abbia mai
visto ed improvvisamente so di amarlo; è sconvolgente come, per la prima volta,
io riesca ad ammetterlo a me stesso senza rimanere scosso da tale
consapevolezza. Ne sono felice, invece, perché ciò che sento per lui mi dà la
forza di credere ancora in qualcosa; non possiamo lasciarci andare, mio Shun…
"Non ci lasceremo andare…
perché non siamo soli… e ci amiamo troppo…"
Il pensiero e la parola si fondono
in un’unica entità che raggiunge le sue orecchie pronte ad accogliere la mia
confessione; ho parlato per entrambi, quasi fossi onnisciente… forse perché
siamo talmente amalgamati in un’unica, spirituale realtà, che quasi posso
leggergli dentro… ho parlato per entrambi e sono certo di avere detto il vero.
Sono così straordinari i suoi occhi
che mi fissano increduli, è così bello vedere come la sua sofferenza venga,
almeno un poco, mitigata da una suprema felicità che non si aspettava di poter
provare! E’ vero, è la prima volta che gli parlo così, che dalle mie labbra
fuoriesce, in tutte le sue implicazioni, il termine amore… e non ho
fatto alcuna fatica a pronunciare quella frase, mi sento improvvisamente libero
e vero come forse mai lo sono stato prima d’ora.
Tendo una mano verso di lui e
aggiungo, con una semplicità che ha del bizzarro dopo la sacralità della mia
precedente asserzione:
"Dai, vieni qui… ti stai
bagnando tutto…"
Ed eccolo di nuovo, finalmente,
quel sorriso, il più radioso che gli ho visto fare negli ultimi tempi, quanto
lo aspettavo, se potessi vivere unicamente nutrendomi del suo sorriso, non
avrei bisogno di pane e acqua per sostentarmi. Accetta l’invito, posa la sua
manina, che ha la consistenza di una piuma gentile, nella mia e ho come la
sensazione di sfiorare qualcosa di troppo prezioso e puro per essere toccato
dalle mie dita così robuste, al confronto, da sembrarmi grossolane; sotto tanti
aspetti, non mi ritengo degno della sua grazia che non svanirà mai. Le mie
origini russe stanno influendo notevolmente sulla mia crescita, tra poco
supererò Shiryu in altezza e sto diventando massiccio come Ikki; Shun, nella
sua struttura decisamente giapponese, benché in parte i lineamenti del viso
rivelino la sua identità di mezzosangue, come lo sono io, non sta invece
cambiando per nulla e vicino a me è davvero minuscolo, come un gattino di
fronte ad un leone. Nonostante tutto, io lo percepisco tanto grande, molto più
di me, perché lui è grande dentro, anzi immenso e questa sua vastità spirituale
non potrò mai eguagliarla neanche tra mille anni!
Non si limita a prendere la mia
mano ma, con un leggiadro saltello che mi fa davvero tornare indietro nel
tempo, a quando, da bambino, in tal modo ricercava le coccole altrui, si
incolla a me, posandomi l’altra mano sulla spalla e nascondendo il volto sul
mio petto. Una parte di me vorrebbe baciarlo, a suggello di quella che, dal mio
punto di vista, è stata un’autentica dichiarazione ma è molto più forte la
parte del mio animo che non ci riuscirebbe mai, è troppo presto, non posso
mettere da parte, in un colpo solo, tutte le mie inibizioni, benché io sia
convinto che lui non mi respingerebbe, non riesco a capire come posso ergermi
in tal modo ad indovino delle sue emozioni, delle sue reazioni, dei moti del
suo animo ma lo sento dentro di me come se al mio cuore stesso il suo cuore
parlasse, come se vivesse, a tutti gli effetti, nel mio… è possibile che
condividiamo, dopotutto, un unico cuore?
Non gli rifiuto l’abbraccio e lo
stringo a me, desideroso di fermare quest’istante e di tenerlo così per sempre;
adesso sì che vorrei proteggerlo, dalla crudeltà della nostra esistenza, dal
nostro passato, dai ricordi… ma anche da me che non sono abbastanza forte per
restituirgli, almeno equamente, ciò che lui mi dona con la sua sola,
irrinunciabile presenza.
Non riesco a dormire; dopo quel che
è accaduto oggi, ai miei soliti tormenti se ne aggiunge un ennesimo, tanto più
dolce, tanto più positivo da assaporare tramite ogni senso con cui giungo a
sfiorarlo soavemente, eppure è generatore di ulteriori inquietudini. Lo amo…
già… e so che lui mi ama anche se mi è tanto difficile comprendere come può,
come sia possibile che mi sia concesso un tale dono dagli Dei e dal Fato che
con noi sono sempre stati ostili, crudeli.
Non posso credere che questa realtà
implicante noi due possa mantenersi così bella e perfetta, il terrore che la
sorte ci metta lo zampino è insopportabile; la conferma è nella mia storia
passata… chiunque mi voglia bene, chiunque sia profondamente vicino al mio
cuore è destinato a soffrire… no… è destinato a perdere la vita. Sarà questo
anche il destino di Shun? Dovrei allontanarlo da me? Dovrei, immediatamente
dopo avergli rivelato che lo amo, respingerlo causandogli, in tal modo, ne sono
sicuro, un immenso dolore?
Mi rigiro da una parte all’altra
sul letto, creando caos tra le lenzuola che restano inutilizzate sotto di me,
dato che qui, a Tokyo, qualunque sia la situazione climatica, per me fa, sempre
e comunque, troppo caldo… stanotte, tuttavia, ho caldo anche al cuore, mi sta
bruciando nel petto come se fosse avvolto dalle fiamme, un calore non
sgradevole, perché alimentato da un sentimento positivo… sofferenza e dolcezza
soavemente fuse, che per me sia troppo difficile da sopportare, tutto questo?
Un lieve ticchettio alla porta mi
fa sussultare, a dimostrazione di quanto siano palesemente tesi i miei nervi;
il mio sguardo si sposta verso la fonte del suono, che ora si ripete, con la
stessa, timida delicatezza. Qualcuno sta bussando, ma senza convinzione alcuna,
come se non fosse sicuro di volerlo fare davvero. Istintivamente sorrido, so
chi c’è dietro la porta chiusa; è una fortuna che io sia sveglio perché, con la
poca convinzione che infonde nel suo bussare, non l’avrei udito assolutamente
se il sonno mi avesse rapito e, conoscendolo, sarebbe stato capace di rimanere
fermo oltre la soglia per tutta la notte, a torturare se stesso, incerto sul da
farsi… il mio tesoro, sempre timoroso di apparire inopportuno con gli altri,
quanto è saldo nel donare la propria vita alla nostra causa!
"Dai" parlo con voce
abbastanza alta per essere certo che lui mi senta "Apri quella porta o
finirai per mettere radici!"
Un movimento lieve, una cascata di
capelli d’oro bruno e il visetto da cucciolo sperduto che fa capolino, quel
tanto che basta per farmi scorgere i suoi occhi, il biancore quasi irreale
della sua pelle accarezzata da un raggio di luna che, attraversando la finestra
dietro al mio letto, lambisce dolcemente l’apparizione incantata. Ridacchio,
voglio che il mio atteggiamento gli appaia rassicurante, voglio che venga qui,
che mi resti vicino e mi salvi, una volta di più, dall’interminabile turbinio
di pensieri sconnessi:
"Hai paura che qui dentro ci
abiti un drago? Vuoi avvicinarti, in modo che io possa parlare a bassa voce, o
preferisci costringermi a svegliare tutto il palazzo?"
Si abbandona anche lui ad un
risolino delizioso e finalmente si fa più audace, trotterellando dentro e
chiudendo la porta alle proprie spalle.
"Come hai fatto a indovinare
che ero io?"
"Shiryu e Seiya sono alla
yacht-house, Tatsumi e Saori-san, come d’altronde la servitù, non credo
avrebbero alcun motivo per venire da me in piena notte ed Ikki non avrebbe
accarezzato la porta con quella gentilezza, l’avrebbe molto più semplicemente
abbattuta; non c’erano i presupposti per dover lavorare molto con
l’immaginazione."
Rintana la testa tra le spalle ed
il rossore che intravedo sulle sue gote mi fa sentire completamente nudo ed
indifeso di fronte al suo disarmante splendore.
"La verità è che… percepisco
la tua vicinanza come un benevolo fluido, anche se non ti vedo" aggiungo,
sostituendo la precedente ironia con un tono serio che vorrei risuonasse
amabile alle sue orecchie. Il suo rossore diventa autentico fuoco ed i suoi
occhi straordinari vagano da una parte all’altra della stanza, senza che osino
posarsi su di me; il mio corpo sta reagendo in modo strano e mi fa paura, l’atmosfera
è in qualche modo sospesa, inquietante e sacra ad un tempo.
E’ forse desiderio, il mio? Adesso
che ho confessato a me stesso ed a lui la reale entità dei miei sentimenti, il
mio organismo non ha più freni, sia a livello conscio che inconscio? In un certo
senso, è come se io avessi dato via libera persino alle reazioni fisiche. Però
non riesco ancora ad accettare del tutto la situazione, mi spaventa, non per
vergogna, per imbarazzo o per orgoglio… è solo, esclusivamente, spavento… io
temo per lui, pur sapendomi sciocco, sono meri timori superstiziosi i miei.
Perché dovrebbe accadere qualcosa anche a lui?
E perché no, d’altronde, se causare
la morte dei miei affetti è il mio destino? E’ appurato che sia così, quali
prove mi servono, ancora, per comprenderlo, per rendermi conto che sto mettendo
in pericolo anche la sua preziosa esistenza? Che sarebbe in pericolo comunque,
lo so, perché siamo guerrieri sempre in lotta contro il Fato e contro gli Dei
ma, a maggior ragione, dovrei proteggerlo il più possibile anziché assecondare
in tal modo la sorte.
Eppure dove posso trovare, ormai,
il coraggio necessario per rinunciare a lui? E soprattutto per respingerlo e
scorgere lacrime nei suoi occhi, lacrime causate da me, come potrei, io,
proprio io, aprire un’ulteriore ferita nel suo cuore già lacerato da
innumerevoli cicatrici?
Una mia mano, spontaneamente, si solleva e mi strofino gli occhi con una certa
foga.
"Hyokkun…"
E lui, naturalmente, si accorge che
qualcosa non va; devo stare attento a come mi comporto, se è venuto da me,
forse, è perché cercava il mio sostegno, almeno per una volta devo assumere io
il ruolo della sua spalla, desidererei così tanto avvolgerlo semplicemente nel
mio abbraccio e tenerlo stretto a me, estirpando dal suo animo tutto il suo dolore
e creare intorno a lui una barriera perché nessun trauma giunga ancora a
pugnalare il suo spirito immacolato ma non ne sono capace, perché sono più
fragile di lui, benché io tenti sempre di darmi una posa, che null’altro è se
non una maschera… se solo fossi realmente forte come solitamente mi mostro in
superficie per non farmi leggere dentro, se solo potessi trasmettere al mio
Shun tutta quella forza che non ho!
"Non riuscivi a dormire,
leprotto?" gli chiedo, morbido, nel disperato tentativo di distogliere le
sue attenzioni dal mio malessere.
Scuote appena il capo, un po’
distrattamente, si vede che pensa ad altro, che al momento non gli importa
nulla di se stesso e continua invece a scrutarmi con una certa ansia.
"Anche tu eri sveglio, mi
sembra…"
Annuisco e gli sorrido ancora,
vorrei tanto portare i nostri pensieri su qualcosa di positivo per entrambi.
"Oggi, per noi, è stata una
giornata importante, non credi?"
Abbassa il volto, le palpebre
schiuse lasciano intravedere un fugace luccichio, incrocia le mani davanti a
sé, tormentandosi le dita le une con le altre:
"Sì… avevo bisogno di te anche
per questo… per assicurarmi di non aver sognato… e queste tue parole sono la
migliore rassicurazione…"
Caro, dolce, piccolo Shun, sembra
impossibile che possa esistere una creatura come te e, solo ora che ho fatto
luce istintivamente sui miei sentimenti mi rendo conto di quanto il mio amore
per te sia talmente struggente da risultare angosciante, insopportabile per
chi, come me, solo su una persona, fino ad ora, ha riversato emozioni così
intense, una persona che dorme sotto i ghiacci di Siberia, la mia adorata mama,
il cui cuore era così simile a quello che batte nel tuo petto, così altrettanto
puri i suoi occhi. Ma non posso dire che ciò che sento per te sia uguale, no…
altrettanto intenso ma profondamente diverso, perché tu sei l’altra metà del
mio cuore.
"Andiamo a fare una
passeggiata?"
La voce come un canto, mentre tende
la mano verso di me ed io la accetto, con una solennità che mi fa quasi
sembrare ridicolo a me stesso; non posso ignorare i fremiti che mi provoca il
contatto con la sua pelle levigata, adesso che davvero non ho più freni. Però è
freddo… perché è così freddo il suo corpo?
"Stai bene, Shun?"
Annuisce, semplicemente ma aggiunge
in un soffio:
"Sto bene… ma se mi stringi la
mano come stai facendo, sto ancora meglio… sai emanare calore, non gelo, se lo
vuoi, sai, Hyoga?"
E tu sapresti far sciogliere un
iceberg solo guardandolo con i tuoi bellissimi occhi, amore mio.
Mi mette tristezza non riuscire a
palesargli a voce un tale pensiero, quando una parte di me vorrebbe
gridarglielo con tutto il fiato che ho in gola.
Intanto abbiamo cominciato a
camminare, senza smettere di fissarci l’un l’altro… di adorarci l’un l’altro,
dovrei dire; chi avrebbe mai immaginato che il nostro legame, l’affetto, la
simbiosi che da sempre ci unisce, si sarebbe evoluta in tal senso? Siamo
fratelli per parte di padre ma non mi sfiora neanche l’idea che stiamo
commettendo peccato, che sia malsano il modo in cui è progredito questo amalgama
di anime e cuori che noi siamo. No… non lo ammetterò mai, non permetterò
neanche a nessun altro di accusarci sotto questo punto di vista, perché amare
lui come io lo amo non potrei mai ritenerlo sbagliato!
La notte ci accoglie con il suo
abbraccio di tenebra ma io ho la mia luce a guidarmi nel buio qui, accanto a
me, come una torcia che arde senza estinguersi ed in virtù della quale io non
smarrirò mai la mia strada… ma deve restare al mio fianco per sempre, perché se
accadesse qualcosa alla stella che illumina la mia eterna notte io la seguirei
oltre la morte. Oh, Dei, ma potrebbe accadergli qualcosa, potrei essere io la
causa della sua scomparsa, del suo annullamento, potrei provocargli la morte
solo per il fatto che lo amo!
Si stacca da me in un momento in
cui non me lo aspettavo affatto ed è come se i miei incubi divenissero realtà,
questo suo allontanamento innocente ha un tale senso di predestinazione che una
fitta al cuore mi aggredisce con violenza inaudita. Sono sciocco, è il buio che
lo occulta alla mia vista, ma lui è ancora qui davanti a me, lo intravedo
mentre spicca una corsetta leggera, con i suoi piedi nudi sull’erba.
Perché mi sfuggi? vorrei
urlare, ma le parole restano strozzate nella mia gola e non posso fare altro
che corrergli dietro, non con la sua momentaneamente spensierata monelleria ma
con l’angoscia di un naufrago che ha perduto il proprio punto di riferimento in
mezzo ad un mare in burrasca.
"Come sono belle le stelle,
stanotte!"
Ha sollevato il volto verso il
cielo ed io a malapena posso ammirare il suo profilo perfetto perso nella
contemplazione dello spettacolo astrale; per me, invece, ha più attrattive lui
che ha in sé lo stesso fulgore di una stella, la mia stella polare, per me che
sono un marinaio sperduto tra i flutti in una notte priva di altri punti di
riferimento se non la sua sfavillante aura di creatura plasmata unicamente in
una luce più splendente di qualsiasi chiarore una mente umana possa concepire.
Forse mi sto comportando come un
empio in questo momento, perché non alla costellazione di Cygnus, mio cosmico
riflesso, mi aggrappo allo scopo di intraprendere la retta via… il mio cigno
dalle candide ali è lui adesso, il mio Shun; riprenderò in mano la mia
razionalità quando ce ne sarà bisogno, lo prometto, rinsavirò, ma almeno per
questa notte, desidero che, alle mie percezioni, ai miei sensi ebbri di
passionale esaltazione, esista solo il mio leprotto gentile, che tutto ruoti
intorno a questo delizioso essere vivente che non sa rendersi conto di quanto
sia speciale, non solo per me ma per l’intero universo. Ne è una prova la volta
celeste che si rispecchia nei suoi occhi ed io sono certo che tutti gli astri,
i pianeti, le galassie dello spazio sconfinato, fanno a gara per trovare posto
nella limpida pace del suo sguardo sincero.
E così ho camminato fino a portarmi
di fronte a lui senza neanche rendermene conto; anche se il suo viso è rivolto
al cielo, io sono tanto più alto di lui e non ho difficoltà alcuna ad
incontrare i suoi occhi abbassando il mio volto, celando alla sua vista il
manto notturno di cui sono follemente geloso. Quando gli compaio davanti, i
suoi lineamenti si atteggiano ad un tenero stupore dai connotati quasi
infantili e schiude un po’ le labbra, mentre io sconvolgo me stesso sentendomi
pronunciare parole delle quali non mi sarei ritenuto capace ed ancor di più mi
sconvolge il tono intriso di languore che in esse infondo:
"Sono così belle, le stelle,
da risultare tanto più interessanti di me?"
Sussulta e, nonostante il buio,
percepisco il rossore che gli imporpora, lieve, le gote di bimbo… il mio bimbo…
il mio fratellino… Oh, Athena, sto impazzendo a tal punto per lui da lasciarmi
andare ad un sentimentalismo così sdolcinato nel quale non mi riconosco
affatto? In questo momento mi annullerei per lui e forse lo sto già facendo.
Sollevo una mano, lentamente e gli
sfioro una guancia ma sto tremando, è come se, con la rozza consistenza della
mia materialità stessi rischiando di rovinare la fragile ala di una farfalla
che poi non riuscirebbe più a spiccare il volo; e ad ogni mio approccio, mi
assale l’idea che davvero il solo fatto di amarlo potrebbe condurre questa
creatura dalla vellutata bellezza alla più completa rovina.
"Oh… Shun…"
Un sussurro che ha l’inflessione di
un singhiozzo e lui china il capo di lato, una ciocca si adagia, morbida, sulla
sua spalla flessuosa e compie un gesto che è miracolosamente speculare al mio
ma in esso lui infonde un coraggio che io gli invidierò sempre: le sue braccia
si muovono e le sue mani benevole cercano le mie guance, mi immobilizzano il
viso, quasi temendo che il mio sguardo possa sfuggirgli. Ma ora no… al momento
non voglio fuggire e la paura che mi aggredisce ad ondate costanti deve tacere
e lasciarmi in pace!
"Perché sei così teso?"
La sua voce è come un coro
angelico, sembra impossibile che una voce umana, la voce di un ragazzino di
quindici anni, possa essere come la sua, possa risultare talmente gradevole
alle orecchie da dare l’idea che le accarezzi, come le sue mani stanno
accarezzando il mio viso.
"Rimpiangi quello che mi hai
detto oggi?" adesso è una supplica la sua e la suadente soavità si tinge
di una nota di pianto che, tuttavia, non ne incrina la perfezione "Dimmi
di no… ti prego…"
Cosa rispondere? Io non so trattare
simili argomenti senza sentirmi goffo ed inadeguato, non so come affrontare una
conversazione di questo genere, sicuramente non troverei le parole adatte… ed
inatteso pure a me, il mio corpo mi viene in aiuto, ringraziando la mancanza di
lucidità che caratterizza questi istanti non provo minimamente a controllarmi;
fortunatamente questa notte mi ha gettato in una dimensione alternativa nella
quale le mie reazioni risultano alterate ed insolite… così posso sentirmi
libero, contrariamente a quanto sono avvezzo, a lasciarmi andare all’istinto.
Niente parole quindi; afferrò il
suo viso con una foga che mi spaventerebbe in altre occasioni, sfuggo alle sue
mani che ancora erano posate sulle mie guance e mi chino, gettandomi come un
assetato sulle sue labbra tra le quali trovo uno spiraglio nel quale la mia
lingua può intrufolarsi ed intrecciarsi alla sua, che inizialmente rimane
immobile, inerte, conseguentemente allo stupore di Shun. In un lampo intravedo
le sue braccia che ricadono, abbandonate lungo i fianchi, i suoi occhi che,
dopo essersi per un attimo sgranati in tutta la loro infinita immensità, si
chiudono, percepisco la resa incondizionata delle sue membra, accompagnata da
un sospiro lievemente esalato quando, finalmente, decide di assecondare il mio
assalto e risponde attivamente al mio bacio.
Senza staccarmi dalle sue labbra,
gli circondo le spalle con un braccio e, portandogli l’altro sotto le
ginocchia, lo sollevo da terra; è leggero come una piuma, tanto da sembrare impalpabile
nella sua inconsistenza; infine gli lascio riprendere fiato ma i nostri occhi
si aprono all’unisono e si attraggono a vicenda come magneti che non vogliono
saperne di separarsi l’uno dall’altro. Nei suoi leggo un’incredulità che
sicuramente riflette la mia, perché non mi riconosco… ma conosco perfettamente
lui ed è quanto di più importante stia solcando la mia esistenza, al di là del
mio ruolo di sacro guerriero, lui è il mio presente, non posso fare altro che
accettarlo. Vivo questa realtà come una sconfitta, perché avrei tanto voluto
proteggerlo da ciò che lo aspetta se saremo in tal modo avvinti l’uno
all’altro.
Continuando a reggerlo tra le mie
braccia, estasiato dalle sensazioni che mi trasmette questo particolare
contatto fisico, mi avvio verso la villa e non ho nessuna intenzione di
lasciarlo camminare da solo finché non saremo al sicuro nella mia stanza; non
voglio rischiare che, come ha fatto prima, si allontani nuovamente da me e le
sue attenzioni vengano rapite da qualche altra attrattiva naturale che esuli
dalla mia persona.
"Almeno finché non sorgerà il
sole, voglio che tu sia mio… e voglio che tu esista unicamente per me, in
funzione mia!"
Il mio tono prepotentemente
imbronciato si scontra con la risatina sottile di Shun, che mi spinge a
scrutarlo con più attenta e disarmata insistenza.
"E’ un onore, per me… proprio
io ti ho reso così capriccioso e possessivo nei confronti di qualcosa che non
siano i tuoi ricordi…"
Nonostante tenti di infondere
ironia nella frase, essa esce in qualche modo seriosa, a dimostrazione che vuol
essere molto più di una semplice battuta.
"Per me è un onore che tu ti
conceda a me in questo modo" ribatto, a mia volta serio e devo apparirgli
buffo, perché ridacchia di nuovo.
Intanto sto aprendo la porta della
mia stanza, senza usare le mani perché non vorrei liberare neanche per un
attimo il mio fardello, per questo i miei movimenti ne risultano impacciati;
una volta abbassata faticosamente la maniglia, do uno spintone alla porta,
abbastanza violento da mandarla a sbattere contro il muro e, ansioso al
pensiero di aver svegliato qualcuno, mi immobilizzo, guardandomi nervosamente
intorno. Anche i sensi di Shun sono evidentemente all’erta. Ammetto che il mio
timore più grande, in questo momento, è che sia proprio Ikki, che dorme due
stanze più in là, a destarsi e sinceramente non so come potrei giustificargli
il fatto che sto entrando nella mia camera, portandovi dentro Shun, di peso,
come se fossi un falco con la sua preda appena catturata. Nessuno mi toglierà
dalla testa che, se io sono un perverso mosso da passioni incestuose, lui non è
da meno.
Tutto è silenzio, sono ancora al
sicuro, questa notte può proseguire nella sua singolare dilatazione temporale e
sensoriale; mi dirigo verso il letto, lascio cadere Shun sulle coperte sfatte,
senza troppa delicatezza ma è un morbido giaciglio ad accoglierlo e per questo
posso permettermi, ancora, di non essere del tutto padrone di me. Ma forse, da
questo momento in poi, un minimo di autocontrollo devo tentare di restaurarlo,
perché non ho ben chiaro cosa stia effettivamente per accadere. Lo fisso con un
cipiglio severo e gli punto un dito contro, mentre la mia voce si manifesta
come un’autoritaria imposizione:
"Non muoverti da lì!"
Lui è palesemente colpito, ma non
spaventato; ha dipinta sul volto la caratteristica curiosità del cucciolo che,
tuttavia, si fida ciecamente del suo padrone, anche se questi stesse per
bastonarlo. Io non ho ovviamente nessuna intenzione di bastonarlo e neanche di
fargli del male ma tutto è nuovo e misterioso anche per me e non comprendo bene
la situazione come non comprendo me stesso.
Gli do le spalle e vado a chiudere
la porta, dando poi due giri di chiave; ma che sto facendo? Mi sto comportando
come se dovessi custodire un prigioniero. Ricerco il suo sguardo, adesso sì che
lo vedo inquieto e sento il dovere di giustificare il mio atto, così farfuglio,
poco convinto:
"Non voglio che nessuno ci
disturbi… che qualcuno rischi di aprire la porta mentre…"
Mi blocco. Mentre…? Cosa stavo per
dire?
Vedo Shun deglutire, è nervoso, sto
esagerando, adesso sì che ho bisogno di razionalizzare la situazione; sollevo
una mano, la porto tra i miei capelli, li scompiglio, tremante e teso come una
corda di violino.
"Scusami" balbetto, la
mia voce è bassa ed insicura, non sono neanche certo che le parole escano
chiare e coerenti "Probabilmente ti sto sembrando un folle… scusa, Shun…
non volevo spaventarti… non voglio che tu abbia paura di me…"
"Ma io non ho paura!"
E’ convinto, molto più di quanto lo
sia io, non avevo ancora sentito la sua voce così salda e sicura questa notte.
"Come puoi pensare che io
abbia paura di te, Hyokkun?"
Lo guardo, dubbioso; la sua
innocenza arriva al punto di non comprendere le implicazioni che mi hanno
portato a comportarmi in tal modo o, anche in questo, è coraggioso e saggio
come in ogni aspetto della vita? Non mi stupirebbe d’altronde, le nostre
esperienze, fino ad ora, sono state orribili e quello che ci sta accadendo
stanotte non può, in alcun modo, apparire più spaventoso dei nostri ricordi,
non lo potrei accettare, perché è l’amore a sconvolgerci gli animi in tal modo,
nulla di negativo, quindi, non è vero? O mi sto semplicemente giustificando,
autoconvincendo per legittimare un impulso perverso che vorrei sfogare su chi
accoglierebbe anche una cosa del genere con totale innocenza?
"Sono uno stupido" gemo,
mio malgrado "Ma tu… tu mi porti alla follia, Shun!"
"Cosa vuoi dire?"
Ora è preoccupato, come se l’avessi
apostrofato con un’osservazione negativa sulla sua persona. In pochi balzi
percorro la distanza che ci separa e salgo sul letto, in ginocchio, sopra di
lui, poggiando le mani sul cuscino, ai lati del suo viso dai lineamenti irresistibili:
"Non capisci? Ti desidero così
tanto, stanotte, che mi sembra di impazzire!"
E lui sorride, riesce a sorridere
anche di fronte alla mia manifesta, pericolosa irrazionalità; una sua mano sale
verso il mio viso, scivola sulla mia fronte e si perde a giocare con una ciocca
dei miei capelli, spostandomeli dietro all’orecchio:
"Tu non hai idea di quanto ti
desideri io…"
Circondo con le mani il suo viso,
le mie dita affondano nei suoi capelli di seta:
"Io non voglio farti del male…
è di questo che ho paura, riesci a capirlo? Non voglio… essere causa del minimo
dolore per te…"
Le sue labbra si inclinano in
un’adorabile espressione imbronciata e la sua mano si ferma sulla mia guancia,
i suoi occhi restano fissi nei miei:
"Non trattarmi come il tuo
fratellino da proteggere, non ora, ti prego; non sono uno sciocco… forse è vero
che sono ingenuo, ma non fino a questo punto. Io sono consapevole di ciò che tu
vuoi da me… perché è quello che voglio anche io… so anche che siamo fratelli e
che sarebbero in molti a giudicare orribile questa cosa ma solo noi possiamo e
dobbiamo decidere, riguarda noi e nessun altro. Sono consapevole… d’accordo,
Hyoga? Perfettamente… quanto lo sei tu e mi sento abbastanza maturo per questo,
molto più di quanto me lo sia mai sentito nei riguardi delle nostre numerose
battaglie, perciò cancella dalla tua mente ogni senso di colpa fuori
luogo!"
E’ convincente, il mio cucciolo,
quando sa quello che vuole e la sua disponibilità, la condivisione che mi
mostra, paradossalmente mi rendono più tranquillo e controllato, perché non ho
nulla da temere, non rovinerò nulla; mi chino su di lui, fino a seppellirlo
completamente sotto al mio corpo ardente di desiderio. Lui mi accoglie,
sistemandosi in modo da rendersi totalmente disponibile mentre cominciamo a
spogliarci a vicenda. La sua stupefacente nudità, completamente in mia balia,
mi fa girare la testa, la sua pelle così liscia e bianca mi chiama perché io la
assapori da cima a fondo e la grazia di ogni sua forma, di ogni sua curva, di
ogni frammento di lui, mi commuove fino alle lacrime. Eppure, proprio adesso
che nulla dovrebbe fermarmi, proprio adesso che so di poter fare di lui tutto
quello che desidero, perché me lo ha concesso, improvvisamente mi blocco, un
dubbio ulteriore mi rende insicuro… sarò davvero in grado di donargli la gioia
che merita, possedendolo ed amandolo, o prenderò unicamente il mio piacere,
mentre in lui prevarrà l’inevitabile dolore, il disagio di ciò che sta per
subire?
"Sei sicuro, Shun?" la
mia voce è malferma, una lacrima attraversa la mia guancia e cade sulla sua,
facendogli stringere un attimo gli occhi per la sorpresa "Ho paura… potrei
farti troppo male… ed io… vorrei che tu non serbassi un brutto ricordo di
questa notte…"
Sbuffa e mi strappa, con questo suo
modo di fare che riesce a costituire un perfetto amalgama di maturità ed
infantile monelleria, una risatina, contribuendo in tal modo ad alleggerire la
mia pesante inquietudine. Poi mi getta le braccia al collo e mi attira verso di
sé, con un ordine perentorio che non ammette repliche:
"Ma la vuoi smettere? Vieni
qui!"
E da questo momento, le parole
diventano superflue ed inutili.
Ci siamo amati per ore e per la
prima volta, dopo tanto, non ho dubbi: questa è stata una delle più belle notti
della mia intera esistenza. Gli ho donato gioia alla fine, perché da tempo non
l’avevo visto così estasiato, da troppo non gli vedevo quell’espressione di
pura felicità nello sguardo, forse non gliel’avevo mai vista prima e questo mi
ha fatto stare bene, più ancora del piacere che io stesso mi sono preso, la
consapevolezza di aver fatto qualcosa per lui, di essere stato io a procurargli
una tale gioia, mi ha reso l’essere umano più appagato del mondo intero.
Quando, esausto, si è addormentato
tra le mie braccia, rifugiandosi in esse come in un nido sicuro, con tutta la
fiducia che lui è in grado di donare a coloro che ama, io non ho più osato
muovermi, mi sembrava impensabile poter correre il rischio di turbare il sereno
abbandono del suo sonno finalmente senza incubi, senza paure e tutto grazie a
me… che mi sono sentito, dopo tanto tempo, realmente utile a qualcosa. Da
quando il nostro servigio di saints non è più richiesto, il senso di vuoto e di
nullità è diventato mio fedele compagno ma, grazie a questa notte, ho colmato
un tale vuoto… io sono importante per qualcuno ed a questo qualcuno ho donato
tutto me stesso.
Dal canto mio, non ho chiuso
occhio, non sono riuscito, per un solo istante, a distogliere gli occhi dal mio
bell’addormentato, prima accarezzato dalla luna, adesso dal sole che si sta
levando alto nel cielo.
Quanto può essere perfetto, un
corpo umano? Certo non come il suo che, io non riesco a togliermelo dalla
testa, è molto di più… definirlo essere umano suona così banale, riduttivo. Mi
sollevo su un gomito ed appoggio la testa sulla mano, mentre con l’indice
dell’altra mano mi metto a percorrere, semplicemente sfiorandolo, attento a non
svegliarlo, il corpo del mio… amante… è così strano chiamarlo così… quale
magnificenza ha questa definizione, quale straordinario valore assume alle mie
percezioni!
E quale magnificenza ha la sua
pelle vellutata al semplice lambirla, la sento appena sotto il dito, che avanza
con cautela; lui è sdraiato di fianco, il volto nascosto sul mio petto e,
quando nel suo percorso, il mio dito raggiunge la curva sinuosa delle anche, lì
si sofferma un poco, perché il mio organismo reagisce con una nuova ondata di
eccitazione. Ma devo metterlo a tacere, perché il mio tesoro sta dormendo e,
finché dorme, gli è concesso di non pensare, di non ricordare e, quindi, di non
soffrire dei propri ricordi.
Così mi rassegno a distogliere le
mie attenzioni da quel punto particolarmente provocante del suo corpo e mi
scosto un poco, quel tanto che basta per vedere il suo viso, gli occhi
addormentati sotto le lunghissime ciglia che tremolano appena, le labbra
schiuse che esalano sulla mia pelle il suo inebriante respiro, il suo nasino
dolcemente disegnato… e paradossalmente, in questa contemplazione molto più
intrisa di innocenza, ogni mia resistenza cede. Il mio indice si posa con
decisione sulla punta del suo naso e lo stuzzica, come se volessi tormentare
monellescamente un cucciolo al fine di invitarlo al gioco.
La pelle del suo viso si arriccia,
sembra stia per starnutire e odo la sua deliziosa voce da uccellino emettere un
vago lamento; di fronte a questa sua disarmante reazione, non posso fare altro
che ridacchiare, posandogli una mano sulla nuca ed attirando la sua testa ancor
più contro di me, tenendolo stretto stretto, ignorando le sue proteste ed i piccoli
colpetti che mi dà con le mani, tentando di divincolarsi per non soffocare.
Ormai l’ho svegliato, tanto vale
approfittare della situazione, quindi gli lascio riprendere fiato e mi godo
fino in fondo il suo adorabile cipiglio fintamente rabbioso; si solleva un poco
e mi sovrasta, neanche mi rendo conto che sta afferrando un cuscino, solo
quando me lo preme con una certa violenza sul viso sono costretto a prendere
atto che ha appena dato corso alla propria vendetta. Impossibilitato nel
compiere un qualunque atto respiratorio, tento di aggrapparmi alle sue braccia
per respingerle ma lui mi precede, sposta il cuscino di lato e posso di nuovo
incontrare il suo viso nel momento stesso in cui mi gratifica con una vivace
linguaccia.
L’istante successivo, esplodiamo
contemporaneamente in una sonora risata, lo catturo nel mio abbraccio, nel
quale si crogiola con rinnovato abbandono; poi sono solo dolci parole appena
sussurrate e nuovi baci. Nel passaggio dalla scorsa notte a questo nuovo
giorno, siamo diventati più grandi e, al tempo stesso, abbiamo ritrovato la
spensierata gioia dell’infanzia. Vorrei restare chiuso con lui, in questa
stanza, per l’eternità.
La primavera ha lasciato il posto
all’estate ed il caldo si è fatto torrido, insopportabile per me; parallelamente
al riscaldarsi del clima, il mio animo si raffredda, il trasporto che avevo
ritrovato nei confronti del mio cucciolo dagli occhi di smeraldo si è come
congelato. Non l’amore, quello è intatto ma, quando il malessere, l’angoscia, i
tormenti del mio animo prendono il sopravvento, i rapporti umani si fanno per
me più difficili.
E’ accaduto in maniera graduale,
tutto andava perfettamente, siamo stati così bene, per un po’, dopo quella
notte, persino Ikki ha compreso la situazione, ne soffre, è geloso, ma veder
finalmente un poco sollevato il cuoricino ferito del suo otooto gli ha permesso
di accettare senza farcelo pesare troppo.
E invece, passato il primo fuoco
del nostro rapporto che, per qualche giorno, ci ha isolato da tutto il resto,
illudendoci che al mondo esistessimo solo noi, ho finito per tornare il solito
Hyoga che annaspa fino ad affogare nella propria angoscia. Ed anche i suoi
occhi grandi sono tornati ad ammantarsi della loro pacata malinconia, gli
incubi hanno ricominciato a tormentarlo ogni notte, anche dopo che abbiamo
fatto l’amore; tante volte, dopo che ci siamo donati felicemente l’un l’altro e
lui si addormenta nella mia stanza, al mio fianco, lo odo lamentarsi nel sonno,
il mio abbraccio non riesce più a proteggerlo, spesso si sveglia gridando e
piangendo, respirando a fatica e si calma solo grazie alle mie insistenti
carezze.
Ciò che più mi destabilizza è che
ho fatto una cosa della quale credevo di non essere più in grado: l’ho ferito
come facevo un tempo, gli ho dato il colpo di grazia, confessandogli che vorrei
tornare in Siberia, che non riesco più a stare in Giappone e che la nostalgia
per quei luoghi selvaggi… e per i miei ricordi… si sta facendo struggente. So
che lui mi comprende e, se gli avessi promesso di tornare presto, avrebbe
semplicemente accettato di buon grado rimanendo qui ad attendere il mio
ritorno… ma io non ho potuto prometterglielo questo, anzi, gli ho rivelato,
senza la minima delicatezza, senza riflettere sul fatto che avrei ferito la sua
sensibilità, che non sono certo di voler tornare, che una parte di me, desidera
partire per la Siberia e non tornare mai più. L’attimo dopo mi sono morso la
lingua ma era troppo tardi, i suoi occhi, specchi del suo cuore, si erano già
trasformati.
"Io… non ti mancherei,
Hyokkun?"
Stava per piangere, non ha potuto
fare a meno di chiedermelo, benché abbia sempre temuto di sentirsi un peso nei
confronti degli altri, siamo diventati così intimi che, giustamente, un minimo
di considerazione nei suoi confronti, da me, se la aspetta. Sono unicamente
riuscito ad abbracciarlo ma non ho risposto nulla e so di non averlo
rassicurato affatto.
Mi mancherebbe? Istintivamente sono
certo di sì, tanto che ho ponderato l’idea di portarlo con me ma come posso
chiederglielo? Soffrirebbe, quei luoghi non gli appartengono, la nostalgia per
i nostri fratelli diventerebbe insostenibile dopo un po’, io sono molto più
portato di lui ad isolarmi anche da coloro cui voglio bene, lui non riuscirebbe
a farlo a lungo. E, dopotutto, sono io che non voglio portarlo, quelle memorie,
quei ricordi, sono solo miei, forse non sono disposto a condividerli neanche
con lui, è una parte di me che non voglio lasciar invadere neanche da lui.
Ma se davvero, poi, non volessi più
tornare? Se davvero scoprissi che il mio malsano mondo interiore conta, per me,
più ancora di ciò che ci unisce? Lui diventerebbe un ricordo doloroso unito a
tutti gli altri e finirei per amarlo in quanto ricordo senza più riuscire a
tornare da lui nella sua essenza concreta?
Mi conosco abbastanza da temere che
la mia follia potrebbe giungere a tanto e si fa sempre più strada, in me,
l’idea che tutto sia stato un terribile errore, che ho sbagliato ad illuderlo
in tal modo, che non sono affatto degno di lui e che non avrei dovuto spingere
il nostro legame fino a questo punto.
Cosa dovrei fare? Partire così,
senza rivolgergli una parola o salutarlo, come se niente fosse, facendo finta
di nulla? E’ per questo che lo sto cercando? Per dargli, definitivamente, il
colpo di grazia? No… semplicemente perché, finché sono qui, a Tokyo, sapendo
che lui si trova a poca distanza, io ho bisogno di lui, di cercarlo
costantemente e mi chiedo come farei a resistere senza vederlo per più di una
giornata intera. Sono davvero disposto a farlo?
Il sole è tramontato da un pezzo
quando comincio ad aggirarmi per il parco che circonda Villa Kido, so che lo
troverò, nascosto in qualche angolo di questo paradisiaco frammento di natura,
immerso nella sua malinconia; a cena non ha mangiato quasi nulla, ci siamo
parlati poco nel corso della giornata. La verità è che mi sento a disagio,
nella mia consapevolezza di aver agito male nei suoi confronti e lui non osa
starmi troppo vicino perché, a causa della mia decisione, teme di rivelarsi
invadente, teme che io non desideri più averlo al mio fianco proprio perché
sono in procinto di lasciarlo. E’ così facile leggergli dentro, intuire tutte
le domande che si pone quella sua testolina sempre in fermento, le risposte che
sicuramente si dà, risposte che, sempre e comunque, sono contro se stesso.
Mi manca la Siberia, è vero, ma non
posso negare che questa serata estiva, qui dove il clima è mite, sia
bellissima, lo spettacolo delle lucciole manca nelle mie terre del nord: è come
se il cielo fosse disceso sulla terra con tutte le sue stelle… o come se tutta
la terra fosse un grande albero di Natale con le sue lucine intermittenti che
intrecciano variegate e gaie fantasie dorate. Mentre cammino, questi deliziosi
animaletti mi danzano intorno ed istintivamente mi spingono a fare attenzione
perché mi sembra di toccarli ad ogni passo: non voglio rischiare di spezzare
ferocemente il loro volo leggiadro.
Nel frattempo mi guardo intorno,
finché non scorgo, nel buio, un’elegante silhouette dalle incantate fattezze e,
se non ne riconoscessi immediatamente il proprietario, sarei portato a
scambiarla per un’apparizione evanescente discesa dal paradiso. Il suo viso è
chino sulla mano aperta, le dita leggermente piegate ed emana una tristezza che
mi provoca una fitta straziante al cuore. Attraverso quelle dita si diffonde un
tenue bagliore: il mio Shun sta tenendo una stella nella propria mano tanto
degna di accoglierla?
Mi avvicino, non è possibile che
non mi senta, eppure continua a mantenere lo sguardo colmo di languore sul
misterioso contenuto della sua mano; quando mi fermo al suo fianco, senza
mutare assolutamente posizione ed atteggiamento, sussurra qualcosa e la sua
voce impregnata di malinconia sembra provenire da un’altra dimensione, soffusa
ed in qualche modo assente a se stessa:
"Mi si è posata sulla mano…
temo stia morendo, non vuole saperne di riprendere il volo…"
Apro un poco le labbra, stupito ma,
anziché rispondere, chino lo sguardo e finalmente comprendo: sul palmo delicato
del mio leprotto si è adagiata una lucciola che adesso è ferma ed emette
pulsazioni luminose sempre più deboli.
"Non è detto che stia
male" ipotizzo, nel disperato tentativo di risollevare l’animo di Shun
"Forse è solo un po’ spaesata…"
Nello stesso istante, Shun solleva
il braccio verso l’alto, allarga più che può le sue dita sottili e, nel giro di
qualche secondo, dalla sua mano la lucciola si leva, innalzando alle stelle il
suo bagliore rinvigorito.
"Meno male" sorride il
piccolo Andromeda ma è un sorriso dettato dal momentaneo sollievo, non felice,
la tristezza non accenna ad abbandonare i suoi occhi.
"Secondo me è merito tuo… il
contatto con la tua mano le ha restituito vitalità."
Sono convinto di quello che dico,
non vuole essere una battuta e neanche un’artificiosa trovata per lodare le sue
grazie ed il suo cuore immenso; del fatto che quel suo cuore sia in grado di
compiere miracoli non ho mai dubitato.
"Ma no" mormora,
abbassando il capo, rintanandolo tra le spalle e facendosi minuscolo "Sono
talmente inutile, come potrei…"
Lo interrompo posandogli con foga
le mani sulle spalle ed affondando nella tenera carne con vigore, perché voglio
che la smetta, che guardi me e mi ascolti:
"Quella lucciola ha scelto di
posarsi sulla tua mano proprio perché ogni creatura vivente sa quali miracoli
tu sia in grado di compiere!"
Il suo sorriso si fa ancora più
amaro mentre scuote mestamente il capo ed ancora non osa guardarmi in volto:
"Miracoli? Ne abbiamo fatti,
un tempo, forse è vero… solo grazie alla vicinanza di voi tutti ho resistito
fino ad ora, ho contribuito almeno un minimo all’immenso miracolo che tutti
insieme abbiamo portato a termine, ma non ne sarei più in grado… è costato
troppo… abbiamo perso troppo… io… non riesco a credere più a nulla, tanto meno
in me stesso…"
No, questo non lo posso accettare:
la maggior forza di Shun è sempre stata la speranza, la fiducia nel futuro, la
sua capacità di credere e di andare avanti, se perde tutto questo, cosa ne sarà
di lui?
"Non tu…" riesco solo a
sussurrare, sentendomi sconfitto ed inerme di fronte alla sua angoscia che mi
distrugge "Non rinnegare tutto quel che ti rende speciale, non far
decadere così la straordinaria bellezza del tuo animo, ti scongiuro…"
"Sarei… anche meno gradevole
ai tuoi occhi, non è vero, Hyoga? Non ti piacerei più e smetteresti di amarmi…"
In mezzo alle lucciole che gli
volteggiano intorno, sembra una lucciola egli stesso, fragile, indifeso come
loro di fronte alla minaccia immensa ed insormontabile della cattiveria che
intrappola creature tanto belle, speciali, eppur troppo piccole per poter
fuggire a chi le tiene prigioniere, a chi si illude, in tal modo, di poter
conservare la loro luce che invece finirà per spegnersi, uccisa dalla
sofferenza portata dalla tenebra. Ed io ho intrappolato Shun nelle mie mani, ho
voluto chiuderlo in un contenitore di cristallo, pretendendo di tenerlo per me…
per poi fare a pezzi il suo cuore; sono un mostro, sono un bambino crudele che
si è divertito a giocare con qualcosa di puro e prezioso finendo per
contaminarlo. Perché lui sta per fare la mia stessa fine, una povera anima
smarrita nel tortuoso labirinto dei propri tormenti, senza riuscire ad
aggrapparsi più a nulla, a trovare più alcuna via di uscita e nei suoi limpidi
occhi, le scintille si stanno, lentamente, spegnendo.
Abbassa il capo così tanto che
adesso non riesco più a scorgere il suo volto, completamente coperto dalla
cascata dei suoi riccioli d’oro scuro ma la sua voce la odo, nonostante sia
appena un sussurro, perché pronuncia parole che vogliono comunicare
direttamente con la mia anima:
"Forse… hai già smesso di
amarmi…"
Le mie mani sono ancora sulle sue
spalle e si stringono in una morsa ferrea, per lo spasmo che attraversa
dolorosamente i miei nervi; lui sussulta un poco perché probabilmente gli sto
facendo male ma non sembra importargli e non accenna a volermi guardare.
"Io… non potrei mai smettere
di amarti…"
E’ con una certa veemenza che tento
di rassicurarlo ma lui reagisce in un modo che assolutamente non mi ero
aspettato; lo sento fremere un attimo sotto le mie dita, poi si aggrappa a me,
lasciandosi scivolare al suolo, le mani che si afferrano convulsamente alla mia
maglietta leggera e, quando si trova in ginocchio, appoggia la fronte sul mio
addome e comincia a singhiozzare, disperato.
"Come puoi amarmi e riuscire a
pensare di poter vivere senza di me? Anche io ti amo e… morirei piuttosto che
pensare di starti lontano… perché sei disposto a lasciarmi, Hyoga? Cos’è
l’amore, per te? Perché io… non capisco! Provo ogni istante a comprendere gli
altri, ho provato a comprenderti in tutto ma questa volta non ce la faccio, non
ti capisco!"
Oh… caro Shun… se solo sapessi
quanto poco mi capisco io stesso! Come posso spiegarti qualcosa che,
effettivamente, non ha spiegazione alcuna?
Stringo le dita intorno alle sue
mani, lo forzo a staccarsi da quell’appiglio ed oppone un po’ di resistenza,
quasi volesse strapparmi gli abiti di dosso, ma poi cede e si lascia andare, i
suoi muscoli sembrano sciogliersi sotto il contatto delle mie mani e si
accascia del tutto, forse cadrebbe se non fossi io a costringerlo a restare in
ginocchio, mentre mi chino a mia volta. Il suo volto è reclinato su una spalla
e lo sguardo vacuo, se non lo sentissi respirare in modo quasi affannoso, se
non percepissi i suoi tremiti, arriverei a pensare che ha perso conoscenza o
che la sua anima l’ha completamente abbandonato.
Voglio lasciarlo?
Libero le sue mani dalle mie e gli
accarezzo il viso, obbligandolo così a sollevarlo verso il mio… Oh Athena, i
suoi occhi… quanto vorrei rivedere in essi quella luce… cosa sta succedendo al
suo sguardo? Maledizione a me, sto contribuendo alla sua rovina, la sorte
riservata a chiunque commetta l’errore di diventare fondamentale per me ha già
intrapreso il suo corso… non la morte fisica forse ma a lui, al mio amore, sto
provocando la morte dell’anima, lo sto portando all’autodistruzione, gli sto
trasmettendo l’essenza malsana del mio spirito in perenne tempesta. Non l’avrei
mai creduto, io pensavo che lui fosse molto più forte di ogni mia turba
mentale… anzi, forse continuo a crederlo ma come posso pretendere che possa
sopportare anche questo, povero tesoro, dopo tanta sofferenza? Come può reggere
il suo cuore ad un ulteriore tradimento quando in uno come me aveva riposto la
massima fiducia, quando io stesso l’avevo spinto ad affidarsi totalmente a me,
gli avevo promesso che non avrebbe più avuto nulla da temere, perché avrei
condiviso tutto con lui? Al suo posto impazzirei, al suo posto sarei furioso,
arriverei a commettere qualche atto sconsiderato probabilmente e lui, invece,
si limita a supplicarmi, a donarmi il suo cuore, a metterlo nelle mie mani, a
chiedermi aiuto perché, nonostante tutto, lo sento nel mio spirito tanto in
simbiosi con il suo, continua a credere in me.
Non me la sento di lasciarlo… no…
ne sono improvvisamente consapevole, forse lo illuderò ancora, forse lo ferirò
ancora ma, per il momento, non posso fare a meno di lui.
"Verresti con me, Shun-chan?
Posso condurti in Siberia con me?"
E’ così bello rivedere di nuovo quegli
occhi grandi accendersi almeno di una delle tante scintille perdute, mentre il
suo sguardo riprende vitalità e mi fissa, con incredulo stupore; non è fugata
del tutto la tristezza ed io so perché, venire con me significa, per contro,
abbandonare gli altri nostri fratelli, sa che dovrà affrontare Ikki, non è
sicuro di resistere a lungo separato da tutti loro. Finirà per sentirsi
spezzato in due, ne sono consapevole… posso solo sperare che non lo costringerò
a scegliere e che anche a me mancheranno tanto da decidermi, presto, a tornare.
Dipende anche da me, è vero ma… non ho mai imparato ad impormi alcunché.
Siamo in Siberia da un mese e le
cose non vanno in maniera così rosea come avevo sperato… per colpa mia
ovviamente, al mio leprotto dagli occhi di smeraldo non potrei imputare nulla,
se non una giustificabilissima tristezza, alla quale in ogni modo contribuisco
io stesso. Lo lascio troppo spesso solo, tornare qui in Siberia ha significato,
per me, rigettarmi in un passato nel quale la presenza del piccolo Andromeda
non era contemplata, lui non appartiene a questi luoghi, per quanto mi ci
impegni continuo a percepire la sua presenza qui come fuori luogo… di troppo?
Penso davvero una cosa simile?
Ma lui non potrebbe mai essere di
troppo dovunque io mi trovi, perché dovrei considerarlo estraneo quando mi
immergo in nostalgici tormenti che mi impediscono di distogliere da essi la
mente e di dedicarmi a quanto di bello, di straordinario possiedo adesso?
Lo sto trascurando per un egoistico
rinchiudermi nel mio malessere esistenziale, lo so e, nonostante questo, non
riesco a strappare la mia persona da questo stato di torpore nel quale sono
precipitato da quando ho messo piede sul suolo dall’eterno, cristallino candore
che ha visto la mia consacrazione a bronze saint di Cygnus.
Neanche fare l’amore con lui ha lo
stesso sapore, lui è sempre se stesso, vive ogni volta come se fosse la prima,
mettendo anche nell’atto della nostra unione corporale tutta la generosità e le
dedizione di cui è capace… è triste rendermi conto come si sia trasformato, per
me, in qualcosa di meccanico, che mi serve per liberarmi di fisiche pulsioni
alle quali ormai sono troppo avvezzo per potervi rinunciare. Non dico che lo
farei con chiunque, perché è del suo corpo che ho bisogno, non di quello di
qualcun altro ma… sono freddo, mi percepisco freddo e sono sicuro che anche lui
mi percepisca in tal modo: ciò che, fino a poco tempo fa, era unione sacrale di
corpi, cuori ed anime, si è ridotto a materialistica routine. Mi sono mutato in
una persona squallida e vuota e lui meriterebbe di meglio… nonostante tutto,
non posso e non voglio rinunciare a lui, per quanto a volte desidererei
implorarlo di smettere di amarmi, non perché io lo desideri, vorrei gli fosse
chiaro questo… ma proprio perché lo amo troppo senza, tuttavia, essere in grado
di amarlo come merita… perché io forse non sono davvero in grado di amare e ciò
che definisco amore è solo un bisogno inestinguibile di sicurezza, di possesso,
di un appiglio cui aggrapparmi per non precipitare nel vuoto della mia nullità
esistenziale.
La notte passa così e, durante il
giorno, io girovago per le lande ghiacciate, in un pellegrinaggio senza meta
che spesso termina solo a sera, pregandolo di lasciarmi solo; e lui obbedisce,
umile, paziente e sempre più spento e triste perché, alla delusione dovuta al
mio comportamento, si unisce la nostalgia per i nostri fratelli, per la nostra
Dea. So che vorrebbe tornare ma al tempo stesso si strugge alla sola idea di
lasciarmi… e non osa chiedermi di andare con lui in Giappone… perché teme di
chiedermi troppo… e forse teme anche un po’ che io gli dica di partire da solo
e di lasciarmi stare qui, per sempre… teme di dovermi attendere troppo a lungo…
forse in eterno se non ci verrà più richiesto il nostro servigio di sacri
guerrieri.
Con i piedi che affondano nella
neve, sto tornando verso la casetta che un tempo condividevo con Isaac ed i
miei maestri e che adesso è il nido d’amore nel quale ho accolto Shun… dovrebbe
essere un nido d’amore ed invece le sue pareti si impregnano sempre più della
nostra disperazione. Non una volta mi sono chiesto, nelle mie lunghe camminate,
come lui passi le ore, tutto solo, tra queste pareti, se esca o se resti chiuso
dentro, a pensare… a star male ed a piangere. Oggi l’ho fatto, il mio pensiero
è corso costantemente a lui, il velo di egocentrico vittimismo è
momentaneamente calato dalle mie percezioni, sostituito dal senso di colpa che
è diventato, all’improvviso, l’emozione più pregnante, come se una folgorazione
fosse giunta a mettermi all’erta, a farmi aprire gli occhi, ad avvisarmi che
sto rendendomi responsabile di un delitto: il lento logorio della creatura più
preziosa dell’universo.
E’ stato come un urlo esploso nella
mia mente, che mi ha immobilizzato in un blocco di ghiaccio, congelandomi
nell’istantanea consapevolezza dello sbaglio senza scusanti nel quale mi stavo
trascinando. Ho sbarrato gli occhi sul nulla e, dopo pochi istanti, mi sono
ritrovato a camminare, il passo affrettato ed ansioso, verso casa, mosso da una
paura, da un sospetto che mi si palesa in tutta la sua veridicità nel momento
in cui apro la porta e… non trovo nessuno all’interno.
Mi ero aspettato di trovarlo
seduto, su quella sedia accanto alla finestra che dà sulla bianca distesa, lo
sguardo languido disperso nei suoi malinconici sogni… ed incubi… ad occhi
aperti e invece… anche lui esce, anche lui vaga per questo deserto di ghiaccio
alla ricerca di chissà quali risposte. O forse, proprio oggi che mi si è
dischiusa una rinnovata visione delle cose, lui ha deciso di mutare le proprie
abitudini? Forse, fino a ieri, se ne è davvero restato qui seduto ad
attendermi, trascinando le lentissime ore che lo separavano dalla sera, quando
io sarei tornato e l’avrei stretto tra le mie braccia, donandogli quel poco
sentimento che sono in grado di esprimere ma che lui sa farsi bastare nella sua
infinità umiltà.
Non è un caso che proprio oggi io
mi sia svegliato dal mio di incubo, che proprio oggi sia tornato a casa prima
del tempo; era forse un avviso? Lo stomaco ed il cuore mi si stringono in una
morsa, mentre un presentimento mi fa sudare freddo ed un groppo inestricabile
nella gola mi spingerebbe a piangere se non riuscissi a mantenere la saldezza
che, bene o male, mi ha permesso di tirare avanti nel mio percorso di saint. La
mia esperienza di guerriero mi ha insegnato che è inutile farsi prendere dal
panico prima di trovarmi di fronte al fatto compiuto, prima di avere qualunque
certezza, la cosa più urgente da fare è, sempre e comunque, cercare una
soluzione prima che anticipi l’inevitabile.
Ma quale inevitabile? Perché i miei
pensieri si fanno così drammatici? E’ semplicemente uscito, cosa credevo? Che
se ne stesse sempre chiuso qui dentro come una sorta di prigioniero, in modo
che io, imbrigliato dal mio egoismo, potessi controllarlo? Non è da lui, lui
ama la vita, la natura, il richiamo di questa terra vergine e selvaggia
dev’essere sicuramente stato più forte di ogni sua tristezza, deve sicuramente
preferire l’aria aperta, nonostante il gelo inumano, che il claustrofobico
rinchiudersi tra quattro mura strette, perché, per quanto la ami, questa
abitazione è davvero minuscola ed angusta, me ne rendo conto. Come potevo
pretendere di condurlo in Siberia con me, per lasciarlo tutto il giorno in
completa solitudine rinchiuso come una principessa in un antro stregato? Devo
ammetterlo, mi si addice il ruolo della strega che ha catturato l’anima di
un’angelica creatura, sottraendo il mio Shun a tutto ciò che era importante per
lui e costringendolo nella mia realtà che genera solo sofferenza.
Gli sforzi per autoconvincermi di
quanto siano paranoiche le mie paure non mi aiutano, tuttavia, a
tranquillizzarmi e mi bastano pochi secondi per ritrovarmi a correre con gli
stivali che affondano nella neve, a grandi falcate, ignorando lo strato pesante
nel suo biancore che tenta, invano, di trattenermi; sono avvezzo fin da bambino
a sfidare condizioni così proibitive, ad addestrarmi in ambienti di questo
genere ed è fin troppo facile, per me, affrontare e superare ostacoli di questo
genere. Sarebbe bello se mi fosse altrettanto agevole districarmi tra le
problematiche esistenziali con la stessa fermezza morale.
Più avanzo in questo nulla di
ghiaccio e meno mi sento tranquillo, la paura si fa, ad ogni metro percorso,
più acuta, anche se permane la sua misteriosa essenza; paura di cosa? Cos’è che
mi rende talmente inquieto da farmi apparire ogni istante di questa giornata
come un veicolo di predestinazione?
Quando finalmente lo scorgo, do un
senso all’angoscia che in tal modo si è impadronita di me, per quanto accolga
la visione con una bizzarra calma, in contrasto con la precedente agitazione;
mi sento precipitare in una singolare atmosfera di sospensione, nella quale
ogni reazione emotiva viene annullata, nella quale mi limito a prendere coscienza,
come se mi fossi ad ogni attimo aspettato di trovare una cosa del genere, di
ciò che vedo. Forse è un bene, perché l’assurda reazione del mio animo mi aiuta
a non crollare ancor prima di poter fare qualcosa ma dura poco; man mano che mi
avvicino il cuore comincia a pulsare in maniera insopportabile, sento il sangue
scorrere nelle tempie e battere come se volesse lacerarmi la carne, la testa si
mette a girare vorticosamente e cado in ginocchio non appena lo raggiungo.
Pensavo che avrei urlato ed invece non lo faccio, anche se piango, come un
bambino di fronte ad uno spettacolo troppo triste per poter essere
interiorizzato con consapevole maturità.
Shun è una figurina piccola, una
briciola di innocenza abbandonata come un cucciolo rifiutato in queste lande
immense ed uguali a se stesse, troppo vaste per essere concepite e lui è troppo
piccolo per avere un senso in questa immensità crudele e spietata che lo sta
avvolgendo con il suo abbraccio di gelo. La pelle di Shun è rivestita dalla
patina biancastra del ghiaccio che lo intrappola, la sua pelle è livida,
prossima all’assideramento… ed è vestito leggerissimo, è uscito con addosso una
maglia di stoffa quasi inconsistente, jeans e scarpe da ginnastica, perché è
stato così sconsiderato? E perché, sentendosi invadere da questo intollerabile
clima non è rientrato o, quantomeno, non ha richiamato la propria energia
vitale, il proprio caldo cosmo per proteggersi, quello stesso cosmo che in
passato aveva salvato me dalla medesima sorte?
"Volevi morire, piccolo
stupido?" esclamo tra i singhiozzi, mentre lo sollevo, sfregando con forza
il suo corpo gelato, per donargli tepore ed intanto, senza risparmiare le mie
capacità di sacro guerriero, mi precipito verso casa. Devo portarlo al caldo,
vicino ad un fuoco, i miei poteri ed il tepore di un camino lo salveranno,
devono salvarlo!
La mia mente si interroga in
maniera febbrile; perché è accaduto questo? Voleva davvero farlo? Voleva
lasciarsi andare, privare se stesso della vita, rinunciare definitivamente al
mondo? Ecco un altro comportamento che non gli è mai appartenuto, l’unico
motivo che potrebbe spingerlo a spegnersi volontariamente sarebbe la
consapevolezza di un sacrificio in nome di qualcosa di grande, di utile a
qualcuno. A chi, a cosa è utile questa sua uscita di testa? La disperazione ha
davvero spinto una persona saggia come lui a commettere una simile sciocchezza?
Ed io ho ancora il coraggio di giudicarlo, quando è solo colpa mia? Io l’ho
sempre ritenuto perfetto, lui è perfetto, nulla cambia ma, al tempo stesso, è
un ragazzino di quindici anni la cui sensibilità va oltre ogni concezione
umana… la sua forza è al tempo stesso la sua fragilità ed il suo povero cuore
ha tutti i diritti di andare incontro a cedimenti di questo genere. Spero solo,
con tutto me stesso, di essere arrivato in tempo… Oh, Dei! Cosa sarebbe
accaduto se, oggi, avessi tardato come al solito? Avrei trovato un cadavere
anziché un corpo nel quale la vita ancora pulsa come un flebile lumicino che
supplica di venire alimentato.
Balzo oltre la soglia con folle
trasporto, con un calcio violento chiudo la porta alle mie spalle, adagio il
mio leprotto sulle coperte, getto legna nel fuoco sperando che cominci a
crepitare ed a scaldare la stanza come si deve il più in fretta possibile,
quindi ritorno da lui, lo spoglio, mi spoglio anche io e mi sdraio su di lui,
avvinghiandomi al suo corpo, pregando ardentemente che percepisca la mia
presenza, il mio abbraccio, il mio desiderio di donargli tutto me stesso, la
mia vita se fosse necessario, come lui aveva fatto per me. E’ l’abbraccio più
sincero, più intriso d’amore che gli abbia riservato negli ultimi mesi… forse
dall’inizio del nostro rapporto.
L’impulso a ricambiare ciò che lui
fece per me nella Casa di Libra è forte, tanto che il mio cosmo comincia a
divampare ma mi fermo immediatamente, rendendomi conto che, anche in questo
caso, sono completamente inutile, che non potrò mai essere quello che lui è
stato per me… io sono il signore delle energie fredde… il mio flusso energetico
concluderebbe l’opera del rigido clima siberiano dandogli definitivamente la
morte… il mio cosmo non può, in alcun modo, generale calore. Tristemente
ricordo cosa maggiormente mi aveva messo in difficoltà nello scontro con Hagen,
il God Warrior che celava in sé il doppio potere del ghiaccio e del fuoco… io
con il calore non ho nulla a che fare. La disperazione mi coglie in tutta la
possibile intensità data dal terrore insopportabile di perderlo senza poter
fare nulla per impedirlo. Potrò contare unicamente sul calore tutto umano del
mio corpo ed è per questo che tento di aderire a lui più che posso, lo faccio
letteralmente scomparire sotto di me, che sono tanto grande al suo confronto…
se solo bastasse… deve bastare! Adesso fa caldo qui dentro, io ho troppo caldo
ma per lui è necessario che sia così.
"Lo senti questo calore? Il
calore del fuoco, il calore del mio abbraccio, tesoro mio, vorrei tanto dartene
di più ma sono così inutile… ti prego, prendi tutto quello che io posso darti
ed a questo aggiungi la forza che hai dentro, aiutami a donare calore al tuo
corpo, ti scongiuro, Shun…"
Mi sollevo un poco, per poter
guardare il suo volto; è sempre livido, il suo pallore solitamente appagante
alla vista, caratteristica della sua avvenente perfezione si è mutato nel cinereo
colorito messaggero di insanità, tutto in lui resta immutato, spaventosamente
immobile e solo a fatica sento, come un lontano gemito d’agonia, il suo cuore
che, ogni tanto, dà un battito, come a farmi notare la sua presenza, il suo
desiderio di non spegnersi, nonostante tutto.
Un singhiozzo incredulo, attonito
mi esplode nel petto, mentre mi aggrappo a lui con tutto l’impeto della mia
disperazione, sorge in me lo strazio di chi si sta rendendo conto di una
situazione che, fino ad un attimo prima, appariva assurda al solo immaginarla.
Sto davvero per perderlo, in una maniera così stupida, così… dannatamente
inutile? Il sacro guerriero di Andromeda se ne sta andando dal mondo nel più
completo anonimato, così miseramente? E… come una pugnalata arriva la sentenza:
ecco il destino che sta nuovamente per compiersi, quel destino che ha segnato
la mia esistenza ed al quale non posso in alcun modo fuggire. Ho causato la
morte della mamma, di Isaac, dei miei due maestri… e sto causando la morte di
Shun, come avevo lucidamente previsto e come puntualmente è accaduto. Non ero
pazzo quando lo temevo, non erano paranoiche considerazioni le mie… era tutto,
perfettamente razionale, concepibile… e inderogabilmente vero.
"Perché?" urlo,
sconfitto, terrorizzato come un bambino, come quel bambino che, una decina di
anni fa, assisteva impotente alla morte della mamma e, se Shun mi lascia, io
tornerò ad essere come quel bambino e non avrò più nulla, non mi resterà che
raggiungerlo… se Shun morirà, io semplicemente lo seguirò, perché per me la
vita senza di lui, adesso, non avrebbe alcun senso.
"Svegliati, Shun-chan,
svegliati… Non ti deluderò mai più… l’ho capito… ho capito quanto tu sia
indispensabile per me, non sono niente senza di te, la mia esistenza trova un
significato solo in virtù della tua esistenza al mio fianco, se mi lasci… io
non esisto… non esisterò più…"
Le mie grida si allentano in
convulsi sussurri spezzati dal mio pianto, potrei piangere per sempre, il mio
cuore non è più ghiaccio perché in esso vive il mio Shun, che con la sua
dolcezza potrebbe far sciogliere un iceberg. Ma il mondo diverrà un inferno
d’orrore se non sarà più solcato dai suoi passi che compiono miracoli, non
accetto una cosa del genere, mi rifiuto di accettare che il destino avverso
vinca un’altra volta, mi rifiuto di accettare che a me debba essere impedito di
amare follemente qualcuno pena la morte di ogni mio affetto.
"Maledizione, non lo
accetto!"
E’ l’urlo più lancinante che la mia
voce abbia mai emesso, mentre mi sollevo in ginocchio sul letto, trascinando
Shun con me, lo stringo con tale violenza da affondargli quasi le dita nella
carne con una mano, mentre l’altra mano affonda nei suoi capelli aggrappandosi
ad essi, premendo il suo volto contro la mia spalla.
"Non piangere… Hyokkun…"
Sussulto, trattengo il fiato e
resto immobile sentendo cinque gelidi polpastrelli che mi accarezzano le pelle
del braccio; guardo i suoi occhi… sono aperti ed una scintilla smeraldina
suggerisce la loro ritrovata, anche se debole, vitalità. La sua pelle è ancora
tanto fredda ma non più come prima ed io vorrei ancora urlare, l’incredulità
dovuta alla paura di perderlo si muta nell’incredulità dettata dal sollievo
sconfinato che mi fa balzare il cuore in gola fin quasi a soffocarmi.
Qualche istante dopo lo tengo ancora
stretto a me ma siamo sdraiati fianco a fianco, lui sta perdendo il colorito
malsano e si sta, gradualmente, riscaldando, io lo accarezzo e gli bacio ogni
frammento di pelle nuda.
"Non vuoi proprio dirmi,
esattamente, cosa è accaduto la fuori?" gli chiedo, dopo che siamo rimasti
in silenzio a lungo "Cosa ti eri messo in testa?"
Non risponde subito, rivolge lo
sguardo al soffitto di legno, i suoi occhi sono di nuovo grandi ed intensi ma
ancora non vedo l’antica positività… ancora in essi manca la speranza che li
rendeva speciali. La sua bella voce mi risponde, dopo quella che è sembrata una
profonda riflessione:
"Io non volevo morire… vorrei
che mi credessi…"
"Certo che ti credo, cucciolo…
non mentiresti mai con questo trasporto ma… allora cosa…"
"Il mio corpo ha agito da solo
trascinandomi con quei pochi abiti addosso all’esterno… il gelo mi ha
aggredito… ma non sono riuscito a difendermi perché… non ero consapevole di me
stesso… credo… Non volevo morire… ma non riuscivo a vivere… in realtà da un po’
non riesco a vivere…"
Sentirlo parlare così, come una
creatura spaventata dalla vita stessa, proprio lui, il cuore palpitante e
positivo del nostro composito gruppo, è straziante; questi farfugliamenti
incerti tipici di chi si sente confuso ed incapace di reagire… è una sensazione
che io conosco bene ma Shun non è mai stato così… sta diventando il riflesso di
me stesso ed io non voglio o ci perderemo entrambi!
"Perché, quando ti sei reso
conto di quanto ti stava succedendo, non hai tentato di riscaldarti con il tuo
cosmo?"
Mi risponde con un sorriso che
assomiglia di più ad una smorfia di amarezza… decisamente non il suo solito
sorriso:
"Non credo di essermi reso
conto di nulla, inoltre…"
Esita, il sorriso scompare, i suoi
occhi, per un istante, si aprono immensi e subito dopo si stringono nuovamente,
il suo corpo è scosso da un sospiro penoso.
"Inoltre?" insisto,
perché voglio capire esattamente quello che ha dentro, voglio che lo tiri fuori
e, se posso, per una volta, essere io a dargli sostegno morale e psicologico
per tirarlo fuori dal baratro.
"Il mio cosmo… non ci ho
neanche pensato… non mi è venuto istintivo come sempre accadeva in passato,
forse non sono più degno di essere un saint perché… non ci credo più…"
Il suo sfogo si spegne in un
singhiozzo soffocato dalle mani che salgono al volto, a tentare vanamente di
arginare un’ondata di lacrime.
"Perché non riesco a credere
più in nulla?" pigola la sua vocina ancora così giovanile, una voce che
assume inflessioni infantili in grado di trasmettere una tenerezza struggente.
Con uno scatto istintivo abbandono
la mia posizione e lo sommergo nuovamente sotto di me, afferrando i suoi polsi
per costringerlo ad abbassare le mani, voglio vedere i suoi occhi, voglio
essere certo che recepisca quello che sto per dirgli:
"E’ colpa mia, leprotto; io ti
ho dato il colpo di grazia in un momento delicato e tu sei semplicemente troppo
stanco…"
"Non dire che è colpa
tua" tenta di intromettersi ma con un gesto gli impongo di lasciarmi
continuare.
"Tu mi hai sempre dato tanto
ed io non sono mai riuscito a farti realmente comprendere cosa significhi per
me l’averti accanto a me costantemente… io ti amo tesoro mio e non voglio più
commettere errori. Quello che serve ad entrambi è ritrovare la nostra forza
insieme, per poterci ritrovare anche come saint ed io ti prometto, su quanto
noi sacri guerrieri abbiamo di più caro che, se ti affiderai a me, io ti
proteggerò anche dal tuo dolore, la mia sacra missione, da questo momento in
poi, sarà quella di far tornare la luce della speranza nei tuoi occhi, credi in
me mio Shun ed insieme ce la faremo!"
Bastava davvero così poco? Quella
luce già si sta accendendo, un oceano di stelle luccica nello smeraldo prezioso
dei due occhi più belli dell'universo. Gli era davvero sufficiente questo? Le
mie frasi banali ma intrise di tutto l'amore che ho saputo scovare nell'aridità
del mio animo?
Mi circonda il collo con le sue
tenere braccia e mi attira contro di sé.
"E' così facile farti credere
in me?" non posso fare a meno di chiedergli perché, anche se sono certo
che mi impegnerò al massimo da questo momento in poi, non ho mai dimostrato di
essere così degno di fiducia.
"Io credo in tutti coloro che
amo" risponde dimostrandomi che, pian piano, sta realmente tornando se stesso
e la sua voce, per me, è come un canto vellutato "e... se loro credono in
me... io posso affrontare qualunque cosa... se tu credi in me... se credi di
potermi amare, di..."
Gli chiudo la bocca con un bacio ma
mi stacco quasi subito perché sento il bisogno di dirgli una cosa, il mio primo
regalo, la prima dimostrazione che ho tutte le intenzioni di mantenere la mia
promessa:
"Domani torniamo in
Giappone..."
Ancora stelle che si accendono nei
suoi occhi, insieme al sorriso che, adesso sì, è pienamente riconoscibile ma
non posso non notare l'alone di incertezza che permea il suo sguardo sollevato.
"E' un sacrificio per te"
mi dice, infatti, fissandomi intensamente.
Scuoto il capo, convinto:
"Per me è un sacrificio
vederti star male e solo tornando dagli altri potrai guarire del tutto... solo
se staremo tutti insieme... senza contare che anche a me mancano, sai?"
Un attimo di silenzio nel quale
reprime un singhiozzo, poi si aggrappa a me con una foga tale che per poco non
ci fa cadere entrambi dal letto.
"Oh, Hyoga!" esclama,
nascondendo il volto nell'incavo della mia spalla.
Ora so che andrà tutto bene; sarà
dura, la nostra esistenza non potrà che riservarci altri momenti difficili ma
essi saranno mitigati dalla certezza del nostro reciproco conforto. E questa
creatura straordinaria con la quale ho avuto il privilegio di incrociare il
cammino non soffrirà mai più per causa mia, combatteremo fianco a fianco ed in
questo modo potremo affrontare qualunque cosa, nella consapevolezza che ci
proteggeremo a vicenda.
Questo momento difficile passerà e
giungerà la rassegnazione di ciò che siamo stati e di ciò che forse ci aspetta,
ma più niente potrà farci tanto male da spingerci ad annullarci perché, stando
insieme, faremo passare ogni cosa.