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Autore: lapoetastra    05/01/2015    5 recensioni
< Piacere, io mi chiamo Frodo Baggins. >
< E io sono Samvise Gamgee, ma potete chiamarmi Sam. >
Frodo guardò il piccolo hobbit paffuto che aveva davanti e pensò che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Frodo, Gandalf, Nuovo personaggio, Sam
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Frodo era seduto sul letto della sua piccola camera, in casa Baggins.
Aveva accanto a sé alcuni libri illustrati che lo zio Bilbo gli aveva prestato da leggere per passare un po’ il tempo, ma il piccolo hobbit si era stancato dopo poco di quei mondi fantastici che terminavano sempre con un lieto fine, così lontani da come invece andava davvero la vita delle persone normali.
Lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
I suoi genitori lo avevano infatti abbandonato da piccolissimo, e da allora aveva vissuto in quel piccolo buco nel terreno con Bilbo.
Certo, suo zio, stravagante e un po’ eccentrico, gli piaceva e con il tempo si era affezionato incredibilmente a lui, che cercava sempre di non fargli mancare niente e che quasi ogni giorno lo allietava raccontandogli le storie della sua gioventù, ma sentiva che nel suo cuore continuava ad esserci uno spazio vuoto.
Non era solo quello dei genitori assenti, di cui ormai non ricordava neanche più il viso, ma un altro, che faceva sentire la sua fitta di dolore in ugual modo lancinante.
Solo che il giovane hobbit non riusciva a capire cosa gli mancasse così tanto.
Abitava in una bella casa, andava bene a scuola ed aveva uno zio che faceva da padre e madre insieme e lo trattava come un figlio.
Eppure c’erano momenti in cui Frodo si sentiva completamente solo, nonostante non sapesse di che cosa o chi avesse disperatamente bisogno.
Anche adesso, seduto sul letto con i piedi pelosi che a malapena sfioravano il pavimento, sbuffava annoiato, ed ogni due secondi guardava il piccolo orologio che gli aveva regalato Bilbo, chiedendosi perché quando si aspetta qualcosa il tempo sembri andare al rallentatore.
Attendeva infatti impaziente il momento in cui il giardiniere che suo zio aveva assunto circa un anno prima smettesse di lavorare, in quanto allora lo andava a trovare ed i due hobbit passavano intere splendide ore a chiacchierare.
I minuti trascorsero incredibilmente più veloci del previsto, ed arrivò il tanto aspettato suono che indicava che qualcuno stava bussando delicatamente alla porta della sua camera.
< Avanti! >, urlò immediatamente Frodo, prima ancora di udire il secondo colpo.
Sapeva infatti chi era il misterioso visitatore, e non voleva perdere attimi preziosi in inutili formalità.
< Buonasera, Padron Frodo >, disse il giardiniere, entrando timido nella piccola stanza.
< Oh, Alfred, quante volte ti ho detto che non voglio che mi chiami così? Mi fa sentire… vecchio >, lo rimproverò bonariamente Frodo, fingendo di mettere il broncio.
< D’accordo, d’accordo. Come vole…come vuoi >, sorrise Alfred, sedendosi sul letto accanto all’amico.
< Come è andata la giornata? >, gli chiese poi.
< Oh, solite cose. Non accadono mai le avventure che sono capitate a mio zio quando era giovane, al giorno d’oggi >, rispose Frodo con un leggero sbuffo.  < E tu, cosa mi racconti? >
I due hobbit rimasero a chiacchierare per ore del più e del meno.
Frodo adorava quei momenti.
Nonostante Alfred fosse più grande di lui di una decina di anni buona, non era barboso come la maggior parte degli adulti che suo zio invitava a casa Baggins per prendere il tè delle cinque, che lo trattavano come fosse ancora un bambino piccolo.
Aveva già dieci anni, dopotutto, era quasi un uomo fatto, e l’unico con cui riuscisse veramente a parlare liberamente, oltre che lo zio, era proprio Alfred.
Quando era con lui, inoltre, il giovane hobbit sentiva quel vuoto che gli perforava il cuore colmarsi, facendolo sentire bene e felice.
Quella sera, però, Frodo si accorse che il giardiniere era particolarmente mogio nel raccontargli le piante che aveva potato nel pomeriggio, come non era mai stato prima d’allora.
< Alfred, va tutto bene? Ti vedo un po’…giù. È successo qualcosa? >, lo interruppe dopo un po’, non riuscendo a sopportare quella scintilla di tristezza che gli spegneva lo sguardo.
< Io… oh, beh, non credo che abbia senso mentirvi, tanto lo scoprirete comunque. Io.. domani me ne vado. Mi sono licenziato, padron Frodo >, sussurrò Alfred con il occhi rivolti mestamente verso terra.
Frodo era talmente sconvolto da quella notizia inattesa che si dimenticò di sgridarlo per averlo chiamato di nuovo “padrone”.
< Ma… perché? Ti abbiamo fatto qualcosa che ti ha offeso? Non ti piace più il tuo lavoro? >, gli chiese con voce tremante.
< No. No, non è assolutamente questo. Tu e tuo zio siete i migliori amici che io abbia mai avuto, te lo assicuro.. è solo che mi devo trasferire. Io e mia moglie, Molly, stiamo per avere un bambino, e vogliamo andare a vivere a Brea, dove si dice si stia al sicuro, di questi tempi >, spiegò il giardiniere.
Frodo non trovò nulla da ribattere.
Non poteva opporsi a quella scelta che in fondo al cuore sapeva essere ragionevole solo per puro egoismo.
< Ho capito, Fate bene.. credo >, sussurrò triste, con le lacrime che traboccavano come fiumi in piena dai grandi occhi verdi.
Quando Alfred lo abbracciò, piangendo anche lui, Frodo si lasciò andare alla disperazione che lo pervadeva, iniziando a singhiozzare come un bambino.
Aveva solo dieci anni, dopotutto.
 
Una volta che Alfred se ne fu andato, il piccolo hobbit rimase chiuso in camera sua con le ginocchia strette al petto ed il cuore spezzato.
A poco servirono i tentativi di zio Bilbo di tirarlo su raccontandogli di quando aveva combattuto insieme ad un gruppo di 13 nani stravaganti contro tre grossi e stupidi troll, perché Frodo continuava ad essere triste.
Appena aveva perso Alfred, infatti, si era reso conto che egli era diventato con il tempo il suo migliore amico, l’unico che avesse mai avuto in tutta la sua giovane vita.
Aveva capito anche che quel vuoto che gli occupava una spaziosa parte di cuore era quella che sarebbe stata dovuta essere occupata proprio da un migliore amico.
Ecco perché quando si trovava in compagnia del giardiniere si sentiva davvero bene, perfettamente completo.
Ora però che egli se ne era andato per sempre, quel buco nero si era allargato ancora di più, divenendo una voragine incolmabile.
Ancora con le lacrime agli occhi, Frodo finalmente si addormentò.
 

Il giorno dopo fu svegliato da qualcuno che bussava alla porta di casa.
“Alfred!”, pensò Frodo, improvvisamente sveglissimo, convinto che il giardiniere ci avesse ripensato durante la notte e che avesse deciso di ritornare a lavorare per loro.
Si vestì alle meno peggio e corse in soggiorno con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.
Quando però vide chi erano in realtà i visitatori che Bilbo aveva già provvidentemente fatto entrare, fu assalito da un modo di delusione.
Non era Alfred.
Erano due hobbit, un padre ed un figlio, a giudicare dall’età e dalla somiglianza.
< Oh, mio caro Frodo, vedo che sei già in piedi. Bene, ti presento Ham Gamgee, il nostro nuovo giardiniere. E questo è suo figlio Samvise, che… >
< Potete chiamarmi Sam >, lo interruppe l’interessato, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero dal padre.
< Ehm.. scusate >, bofonchiò allora, rosso come un peperone.
< Figurati, Sam. Siamo tutti di famiglia, qui. Cosa stavo dicendo? Ah sì, il nostro Sam è un apprendista giardiniere, ed aiuterà Ham in alcuni lavori un po’ più semplici, come potare le foglie e cose così, giusto? >, riprese allegramente Bilbo, sorridendogli incoraggiante.
< Io… sì… > sussurrò Sam, ancora tremendamente imbarazzato.
Frodo provò un’innata simpatia per quell’hobbit paffuto che non doveva essere certo molto più grande di lui.
< Piacere, io mi chiamo Frodo Baggins >, si presentò quindi, stringendogli con energia la mano grassoccia.
< Oh, piacere mio. Beh, credo che voi abbiate già capito qual è il mio nome >, rispose l’altro timidamente.
Frodo si mise a ridere, una risata sincera e liberatoria che sciolse per un attimo la cortina di gelo che gli serrava il cuore.
Sam si unì a lui dopo poco.
 


Gli anni passarono, ed i due hobbit divennero sempre più amici.
Si raccontavano tutto, dalle cotte che si prendevano per le fanciulle di Hobbiville alle avventure a cui avrebbero voluto entrambi prendere parte.
Frodo aveva ormai completamente dimenticato Alfred: Sam era diventato il suo nuovo migliore amico.
 
Una sera Sam stava potando le aiuole sotto la finestra aperta del soggiorno di Frodo.
Il lavoro procedeva però molto più lentamente del solito, perché il giardiniere non era concentrato.
Da dentro casa si udivano infatti indistintamente due voci che bisbigliavano con tono sommesso e concitato.
Una era senza dubbio quella di Frodo, e l’altra… Sam non era in grado di dire a chi appartenesse.
In verità, non riusciva neanche a comprendere di cosa stessero discutendo così animatamente.
Un anello, un mago, la fine del mondo, forse…
Non fece in tempo a ragionarci ulteriormente su che sentì una mano enorme tirarlo bruscamente per la collottola e trascinarlo di peso dentro casa per poi sbatterlo rudemente contro il tavolo.
Sam si spaventò, ma solo per il tempo necessario a vedere chi avesse di fronte.
Niente meno che Gandalf il Grigio, il grande stregone artefice degli straordinari fuochi d’artificio che lo avevano lasciato a bocca aperta solo poco prima, alla festa del centoudicesimo compleanno di Bilbo.
< Vi prego, non mi trasformate in un ranocchio o in qualche altra orrenda creatura!  >, gridò spaventato.
Dagli occhi socchiuse vide Gandalf scambiarsi uno sguardo d’intesa con Frodo, fermo a pochi passi da lui, e poi sorridere.
 
Il giorno dopo, Sam partì con Frodo.
Non che sapesse molto di quell’impresa, solo che dovevano andare a Mordor – che già a sentire quel nome era rabbrividito di terrore – per distruggere un certo anello del potere che era ora nelle mani di Frodo prima che Sauron, il signore oscuro, lo trovasse.
Si erano di poco allontanati dai confini della Contea quando Sam non vide di colpo più l’altro hobbit.
Lo chiamò, sempre più forte, sempre più disperato, ma dalle spighe di mais che lo circondavano non rispondeva e non si vedeva nessuno.
< Frodo! >, urlò ancora il giardiniere, in preda al terrore.
< Sono qui! Ma che ti succede? >, esclamò spaventato Frodo spuntando d’improvviso dagli alti vegetali a pochi passi davanti a lui.
< Oh, io… è una cosa che ha detto Gandalf… >, sussurrò imbarazzato Sam.
< Che cosa ha detto? >
< “Non devi perderlo, Samvise Gamgee.” E io non voglio farlo. Non voglio farlo, padron Frodo >
< Ahh, ma quando la smetterai? >, domandò Frodo, alzando gli occhi al cielo.
Sam ci sembrò rimanere male per quelle parole,
< Di fare cosa, starvi sempre accanto? >, chiese, triste.
< Ma no, stupido di un giardiniere! Cos’hai capito? Intendevo di smetterla di chiamarmi “padrone”. Non ha senso, tu sei il mio migliore amico, sai? >, sorrise Frodo.
< E voi il mio, padr…Frodo >, sussurrò felice Sam.
Il portatore dell’anello abbracciò forte il compagno, ed insieme ripresero a camminare.
< Vedi Sam, il viaggio verso Mordor è molto lungo. Ma almeno c’è un lato positivo: riuscirò a fare in modo che prima di tornare a casa tu mi dia del tu, non credi? >, disse dopo un po’ Frodo, sogghignando.
Sam non rispose e si limitò a stringere più forte l’amico.
Poi di colpo si guardarono negli occhi.
< Stiamo partendo per un’avventura! >, esclamarono ad una sole voce, scoppiando subito dopo a ridere felici.
Era vero.
Stavano partendo per un’avventura che in quel momento non si sarebbero mai immaginati e che avrebbe cambiato per sempre il corso delle loro vite.
   
 
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