Quando
la felicità ci viene incontro non è mai vestita come pensavamo. Spesso ci passa
accanto silenziosa e non sappiamo riconoscerla.
Romano Battaglia, Un cuore pulito, 2001
Il
ricordo della felicità non è più felicità; il ricordo del dolore è ancora
dolore.
George Gordon Byron, Marlin Faliero doge di Venezia, 1821
“Dovresti
dirglielo.”
Sherlock
scostò gli occhi dal libro che stava consultando per fissarli con irritazione
sulla donna bruna di fronte a lui. Janine Hawkins, la riconobbe. Pensava di
essersene liberato.
Il
sorriso di lei esprimeva l’esatta misura dell’errore in cui era incappato. Oh, Sherl, diceva leziosamente, non ti libererai mai di me.
Con
una smorfia Sherlock riportò la sua attenzione sulla pagina che stava leggendo,
ma interi paragrafi si dislocarono e le parole d’inchiostro scivolarono oltre
il bordo della carta, pesci rossi in un mare minacciato da predatori più
grandi. Gli svolazzarono davanti al naso e poi si allontanarono verso il centro
della stanza, indisturbati. Sherlock storse il naso, seccato. “Dire cosa a chi?”
Janine
sorrise, il sorriso di chi ha appena conseguito una vittoria. “Dire a Molly
Hooper quello che provi.”
Sherlock
chiuse il libro e il rumore rimbombò nella stanza vuota come uno sparo.
“John
ha ragione e tu lo sai,” seguitò Janine con deliberata lentezza, piegando la
testa su un lato e osservandolo con curiosità. “Di cosa hai paura, Sherlock?”
“Di
perderla.”
“Oh,
Sherlock.” La stessa espressione che aveva usato Mary, pronunciata nel medesimo
tono di dispiacere e condiscendenza. Oh,
Sherlock, non capisci? Tu l’hai già persa.
Janine gli sfiorò la spalla con la mano. Pelle morbida, unghie curate, il
profumo di lei e dei cosmetici che impiegava, del lucidalabbra che portava quando
accostò la bocca al suo orecchio. Il suo alito sapeva di caffè e di ciliegie.
“Non hai mai avuto Molly Hooper, non davvero.”
“Avevo
la sua lealtà.”
Janine
schioccò le labbra. “Così devota, così comprensiva. Molly Hooper è stata la
moglie che non hai mai voluto. Strana cosa il destino. Ora tu la vorresti, ma
lei sta per diventare la moglie di un altro.”
“Molly
non lo sposerà.”
“Perché
no?” Janine si prese una ciocca di capelli e ne studiò la punta con aria
intenta. “Lui la rende felice, non le spezza il cuore.”
Vecchie
memorie, affermazioni pungenti e raggelanti, vorticarono nella sua memoria, inafferrabili e per questo impossibili da prendere e mandare via.
Sherlock
irrigidì il collo. “Non sapevo quello che facevo.”
“Bugiardo.”
Janine gli puntò un dito contro, premendoglielo sulla spalla. “Tu sapevi
esattamente quello che facevi. Ti divertivi a umiliarla.”
Sherlock
contrasse la bocca in una smorfia. “No.”
“A
ridere di lei.”
“No.”
“A
sminuire i suoi sentimenti solo perché ha avuto la sfortuna di provarne per
te.”
“No!”
Janine
era scomparsa, ma Sherlock sapeva di non essere solo e quando sentì il rumore
attutito di passi emergere dall’angolo estremo della stanza, seppe anche chi
avesse preso il posto dell’altra.
“Hai
smesso di essere il burattinaio.” La voce di lei era ferma e fredda e fece male,
smisuratamente. “Hai smesso di essere il mio
burattinaio.”
Sherlock
cercò il suo sguardo, ma lei gli aveva già dato le spalle. “Molly.”
“Addio,
Sherlock.”
Quello che è stato
“Sei
di nuovo solo, fratello. Impegnati a fortificare i tuoi arieti, se ne hai
l'intenzione. La solitudine è una fortezza che non puoi sperare di non far tua.”
“Vattene
via.”
“Vattene
via.”
“Io
- ” rispose una voce con gentilezza. La voce apparteneva a Molly Hooper.
“D’accordo.”
Sherlock
riaprì gli occhi di scatto. La intravide, nella penombra del salotto: era in
cappotto e appariva incerta sul da farsi, esitante come non gli capitava di
vederla in sua presenza da anni. “Molly?”
“Ero
venuta per parlare con te,” rispose lei, “ma capisco se non è un buon momento.”
“Non
dire assurdità,” reagì istintivamente. (Ti
sei divertito a umiliarla? A ridere di lei?) Sherlock si rabbuiò.
“Accomodati.”
Gli
occhi di lei danzarono sul suo viso, assumendo una sfumatura preoccupata.
“Sherlock, stai bene?” Alzò il braccio e se lui non si fosse alzato dalla
poltrona con un movimento elastico, probabilmente le dita di lei gli avrebbero
sfiorato la guancia per accertarsi che fosse davvero così. A fronte dello
spostamento repentino, il braccio di Molly le ricadde contro il fianco e
Sherlock si diede dell’idiota.
“Mai
stato meglio, grazie.”
Incredibile
a vedersi, l’espressione di Molly si ammorbidì. “Mi era mancato, sai. Il modo
in cui pronunciavi il mio nome, come un rimprovero,” spiegò, “ogni volta che
disattendevo le tue aspettative o quando non ero abbastanza veloce e non
riuscivo a tenere il passo con le tue richieste. Non che accadesse di rado.” I
ricordi non la ancoravano al passato; non gravavano su di lei, ma la
sorreggevano, l’avevano resa più forte e sicura. Molly scoppiò in una risata
lieve, allegra, fissandolo con tranquillità. “Hai delle aspettative troppo
alte. John le ha riequilibrate, grazie al Cielo.”
Non solo John. Il moto di fastidio che
provava, tuttavia, non era stato provocato da quello. “Non hai mai disatteso le
mie aspettative.”
Molly
inarcò le sopracciglia, sorpresa come se avesse appena fatto una piacevole e
inaspettata scoperta. “Sei diventato gentile.”
“Solo
se costretto,” ribatté lui e la vide ridere di nuovo. Farla ridere era facile e soddisfacente. Quel pensiero lo
orientava verso altri pensieri, lo portava in lidi minati, perciò spostò la
conversazione su un diverso tracciato. “Mi era sembrato di capire che volessi
parlarmi di qualcosa.”
Mutevole,
ancora una volta, lei cambiò espressione e la luce si affievolì. “Tom mi ha
chiesto di sposarlo.” Giocherellò con l’anello di fidanzamento, rivoltandolo e
premendo i polpastrelli contro la durezza della pietra che vi era incastonata.
“Lo aveva già fatto, ma questa volta io gli ho dato una risposta.”
Ovvio. “Gli hai detto di sì,”
disse, suonando alle sue stesse orecchie inespressivo.
Lei
annuì quietamente, sollevò il mento e lo guardò con serietà. C’era qualcosa di
solenne e meritevole di ogni lode e onore in Molly, nel modo in cui aveva
trovato il suo sguardo e nel modo in cui non distolse neanche per un attimo il
suo dal proprio. Molly era la forza che non vessava, prepotente, ma si
manifestava in casi di urgenza e necessità. Era il lato gentile e
compassionevole del coraggio, dell’affetto che non si tirava mai indietro e
porgeva sempre l’altra guancia in ritorno a un torto subito. Sherlock in
passato ne avrebbe trovato il fallo, gliene avrebbe fatto una colpa. Non più.
“Sherlock.”
Molly trasse un respiro profondo, prima di proseguire. “Voglio che tu mi
risponda in tutta onestà. Voglio la verità e non importa se non sarà gentile.
C’è un motivo per cui avrei dovuto dire di no a Tom?”
Sherlock
riconobbe la cosa fragile che si rincorreva nel viso di lei. (Altri ricordi.
Molly che impallidiva e arrossiva alternativamente, che si mangiava le parole,
che gli sorrideva nervosamente e pressava le labbra tra loro come se stesse
esprimendo a se stessa il desiderio di essere inghiottita dalla terra e sparire
dalla sua vista. Molly e quella sua speranza abbagliante, la felicità luminosa dei suoi
sguardi quando li sollevava dal lavoro che stava svolgendo per accoglierlo. Era
sempre stato efficiente nel far dileguare quegli sguardi trasognati, nello
spegnere sul nascere quei suoi sorrisi troppo amabili. Pensava di aver vinto.
Non aveva mai capito.) Non batté ciglio. “No.”
Molly
annuì, le spalle rigide in una posa che, lui lo sapeva, sarebbe diventata
dimessa non appena fosse uscita da Baker Street. “Grazie,” rispose e si alzò
sulle punte. Prima che riuscisse a comprendere cosa stava facendo, lei gli
aveva posato un rapido bacio sulla guancia, gemello di quelli che lui le aveva
dato e che ora sembravano appartenere a tempi remotissimi, quelli in cui lui
non aveva saputo.
L’immagine
di lei che gli dava le spalle nel gesto definitivo del commiato nel suo Palazzo
Mentale, come una conclusione, era ancora troppo fresca e recente, così quando
si concretizzò, lui non riuscì ad evitarsi di trattenerla, soltanto un altro
poco. Un ultimo scorcio di Molly Hooper da avere e conservare.
“Molly.”
Lei
non si voltò subito e nel momento in cui lo fece, ruotò la testa, rimanendo con
la mano sul pomello della porta dell’appartamento.
Sarai felice, Molly? Con
lui sarai felice?
“Cerca
di essere felice.”
Molly
sorrise, un sorriso che non le raggiunse gli occhi, ma che glieli fece brillare
ugualmente. “È quello che spero.”
Se
ne era andata.
Sherlock
ripiombò a sedere nella propria poltrona. Chiuse le mani e le pose davanti al
viso, assorbito nella ricerca di conforto, di un minimo di sollievo. Sapeva
dove trovarlo. Il suo Palazzo Mentale.
Si
ritrovò nella stessa stanza, sullo stesso tappeto, di fronte alla stessa
libreria. Prese lo stesso libro dallo scaffale e lo aprì alla stessa pagina.
“Avresti
dovuto dirglielo, sai. Dirle la verità.”
E
tutto ricominciò.
N/A:
La
scena qui sopra dovrebbe - e dico dovrebbe - verificarsi successivamente a
quanto ho scritto in “Dieci cose che (non) sai”, ad un giorno di distanza più o
meno.
Andati
via anche John e Mary, Sherlock cerca un po’ di pace dal tumulto nel proprio
Palazzo Mentale e trova che la propria coscienza non ha niente di meglio da
fare che rinfacciargli l’idiota che è per aver deciso di non dire a Molly
quello che prova. Qualcuno di sfacciato che lui non riesca a scacciare via e
verso cui nutra magari un latente senso di colpa, qualcuno che gli spiattelli
in faccia la realtà senza lusinghe o le remore di un amico. Janine, personaggio
fantastico, era la risposta alle mie preghiere. Janine che, dopo aver girato il
dito nella piaga abbastanza soddisfacentemente per lei, cede il posto di
fantasma torturatore a Molly.
Il
giorno dopo la Vigilia ho immaginato che Molly si sia recata a Baker Street con
l’intento di chiarire quel qualcosa che ha intravisto nello sguardo di Sherlock
la notte precedente e che l’ha scombussolata e fatta ripiombare nella vecchia
se stessa, per un istante. Molly però non è la stessa Molly di allora, va da
Sherlock e lo affronta di petto e si fa spezzare il cuore l’ennesima volta. Non
sa, però, che facendolo lui ha spezzato anche il proprio.
E
ci sono ricaduta con tutte le scarpe, angst a palate con uno Sherlock che è tanto
sconvolto da questo prematuro e definitivo faccia a faccia con Molly che quasi
non sa come reagire dapprincipio, se mantenersi distaccato o mostrarsi delicato
per non ferirla ulteriormente. Nello stordimento del momento, l’unica cosa su
cui concentra ogni sua attenzione è Molly. Quindi, se la
narrazione ne è uscita di conseguenza un po’ strana o forzata, pazienza, era un
tentativo e non volevo calcare la mano sulle emozioni che Sherlock prova e
sente vividamente, solo tratteggiarle e lasciare alla perspicacia e alla sensibilità di chi legge il trovarle.
Detto
fatto, ritorno alla mia calzetta :P
Un
bacio a chi leggerà!
P.s.:
prometto che la prossima storia sarà qualcosa di allegro o comunque più
leggero!