Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
La storia è scritta senza fini di lucro.
Loremaster
And Ministrel
{ Hopeless
Broken-Hearted }
«Daeron, Sapiente tra gli Elfi,
Menestrello mio amico, canta, oh te ne prego, canta per me!»
E Lùthien era così bella, gli era
così cara, che nulla mai le avrebbe negato. Genuflesso dinanzi al suo sorriso
avrebbe fatto danzare le stelle sulla punta della dita, tenuto il sole sul
palmo della mano.
«Con che canto vuoi t’accompagni tra
i boschi del Doriath, Lùthien, figlia di Thingol e Melian? Non nota, né voce
mai potranno esser superiori al tuo passo, al tocco gentile del tuo respiro
sull’erba e sui fiori. Ben lo sai, eppure domandi e mi preghi e alla dolcezza
dei tuoi occhi stellati non sarò mai capace di venir meno. Dimmi, dunque, che
canto? Che musica?»
Lei rise e spiegò le braccia come
ali, il mantello di fiori palpitò dorati al meriggio infuocato; il piede si
puntellò contro la nuda terra, la veste azzurra le si avvolse alle gambe, così
i capelli neri d’ombra crepuscolare mentre danzava e il cuore di Daeron pianse.
«Canta il sogno del vento e il
desiderio del cielo!» gli ingiunse Lùthien, ridendo, e della sua gioia s’ammantò
il mondo «Canta il murmure del seme che cresce, il profumo dell’acqua! Canta la
preghiera delle montagne, canta, oh, canta per me, Daeron, Sapiente tra gli
Elfi, Menestrello mio amico, te ne prego!»
E lui cantò il sogno del vento e il
desiderio del cielo, il murmure del seme che cresce e il profumo dell’acqua e
la preghiera delle montagne. Cantò il proprio, di sogno, il desiderio, il
mormorio dell’amore che cresce, il profumo della pelle di lei, la preghiera inusitata
e senza pari. Tanto di sé mise in quel canto, che ne venne prosciugato e non s’accorse
di Lùthien la bella scomparsa tra le fronde degli alberi, cinta di foglie,
splendente di luce.
Quando la rivide, sul volto di lei
rilucevano bianchi cristalli di spuma e l’orlo della veste era inumidito dal
bacio dell’Esgalduin. Pur non venendo meno la sua bellezza, Daeron la trovò
sconvolta e ne fu turbato.
«Daeron, Sapiente tra gli Elfi,
Menestrello mio amico, canta, oh te ne prego, canta per me!»»
E lui, che mai nulla le avrebbe
negato, nascose a Lùthien l’amore che portava nel cuore e i dubbi che gli attanagliavano
la mente, perché si rasserenasse.
«Con qual canto vuoi che accompagni
il procedere della notte, Lùthien, figlia di Thingol e di Melian?»
Gli occhi di Lùthien, sfumati di
stelle, ebbero un fremito ed un tremito la percorse: brividi sospirarono sulle
sue braccia, la veste s’animò di cento e mille pieghe.
«Canta la corsa dell’Esgalduin!» gli
ingiunse Lùthien, tendendosi in avanti «Canta il respiro della bruma e il
tintinnio dei capelli di Elbereth, canta il biancore fiammante delle vele di Arien!»
Strani desideri l’animavano e Daeron
ne fu sorpreso.
Cantò allora per lei e lei sola,
perché lo scompiglio dentro al suo cuore cessasse e quieta tornasse la pace. Ma
passò l’autunno e venne l’inverno e le gote di lei erano rosse, la danza
instancabile, la sua bellezza tale che Daeron sentiva le ginocchia piegarsi, lo
spirito eclissarsi: alla sua bocca non più canto veniva, se non il nome di
Lùthien, sempre Lùthien, ancora Lùthien. E tutto il Doriath era pieno del suo
lamento devoto, le acque dolci del suo amore, amare del suo pianto.
«Dimmi Lùthien, figlia di Thingol e
di Melian, armonia del mio canto, battito del mio cuore» l’avvicinò un giorno
che la scorse seduta, al procinto della primavera, su di un verde colle «Da chi
fuggi? Di chi sei preda?»
L’alba era ancora lontana, eppure
negli occhi di lei già sfolgorava la luce del giorno.
«Da nessuno e di nessuno.» rispose ed
il suo sorriso falcidiò il cuore di Daeron, che si sentì ferito, sebbene non ne
capisse il motivo.
«Desideri che canti per te l’approssimarsi
rosato del sole?»
Ma Lùthien non disse nulla e gli negò
la voce. Respirava serena, serena era nel volto, nella bocca sorridente, nello
sguardo circonfuso della più lieta gaiezza; scosse la testa e i lunghi capelli,
si mise in piedi, danzò. Danzò fino all’ergersi del colle, liberò la primavera
dai ceppi invernali, catene si sciolsero cinguettando dalle caviglie nude e ai
suoi piedi sbocciarono fiori.
Daeron fece per seguirla, subito però
fu avvinto da un incantesimo e più non si mosse fino allo spuntare del giorno.
Nell’immobilità del corpo, percepì in spirito che era avvinto dall’incantesimo
perché un altro se n’era liberato alla vista di Lùthien. Quest’altro, tuttavia,
egli non lo conosceva.
In seguito mai, mai avrebbe voluto
conoscerlo se ciò avesse significato vedere Lùthien nel suo abbraccio e amata
dagli occhi, dalle mani e dalla voce di un Uomo.
Il gemito che gli squassò la gola e proruppe
dalle labbra fu stridere di metallo, froge laviche eruttanti astiose
macchinazioni. Lùthien, persa negli occhi, nella voce e nella mani di Beren,
aveva mani e voci e occhi per lui solo e non se ne avvide: il cuore aveva in
pace, gli orecchi sordi.
La musica fuggì allora la mente di
Daeron, le dita inerti, intirizzite dal dolore più non composero, dalla bocca stillavano
lacrime. Parlava ora unicamente con parole e a Thingol svelò il segreto di
Lùthien e quando lei lo raggiunse, al dipartirsi di Beren, e gli chiese di
cantare e lo scongiurò: Daeron, Sapiente tra
gli Elfi, Menestrello mio amico, canta, oh te ne prego, canta per me!, lui
le negò ogni appiglio di speranza e muto divenne, inasprito dalla meschina soddisfazione
per all’allontanarsi dell’Uomo.
Si beò del silenzio del Doriath come
assetato che si pasce del rivo, pur senza esserne mai sazio. Anzi, più
guardava a Lùthien che peregrinava grigia nei boschi, più ardeva di cattiveria
e dolore e malediceva l’Uomo e sperava che più non tornasse, perché Lùthien
fosse ancor più grigia, ancor più peregrina e più cupo il Regno di Thingol.
Allo stesso tempo, però, rimpiangeva
di lei fulgore e voce. E quasi cedette, osservandola avvicinarsi, svelta e
affettata, disperata, viva, straziante e straziata, sennonché Lùthien non gli
chiese, né lo pregò di cantare, bensì di celarla allo sguardo di Thingol e di
Doriath tutta: il solo nome di Beren le batteva nel cuore ed lo serrava il suo
solo destino nelle cupa voragine di Sauron, nei pressi degli Ered Wethrin e gli
altopiani di Taur-nu-Fuin.
Di nuovo, dunque, non il canto salì
alle labbra di Daeron e non stelle ebbe sulle dita, ma parole intrise di veleno
e sangue dove la pelle s’era scorticata nel portar via le scale verso agli alti fusti di Hirilorn, dove Thingol l’aveva
rinchiusa.
Bramandola e odiandola,
disprezzandola e amandola insieme, Daeron sostò ai piedi d’Hirilorn fino a che
Lùthien, avvolta e ascosa del manto nero dei capelli, non scomparve. La tenebra
abbandonò allora il cuore di Daeron e Daeron abbandonò Doriath, non però il
nome di Lùthien. Obnubilato, vagò ed errò in deliquio e più cercava Lùthien,
più la perdeva e se ne allontanava ed il vento portava via il suo canto.
Le Aule di Mandos ancora sussurrano
il nome della figlia di Thingol e di Melian, giacché Daeron mai seppe della
duplice morte di lei e ancora l’attende, sì, e aspetta la sua voce che come vento
di primavera ed ali d’Usignolo ancora una volta gli si accosti e dica: Daeron, sapiente tra gli Elfi, Menestrello
mio amico, canta, oh te ne prego, canta per me!