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Autore: Red Nika    18/01/2015    2 recensioni
Ciel, il Cane della Regina, ha deciso che per una volta poteva vedersela da solo con Undertaker, l'oggetto misterioso avrebbe trovato risposta e lui sarebbe tornato ai suoi affari. O questo, almeno, era quello che sperava..
Estratti:
Spostò le carte che vi aveva poggiato sopra quando la porta si chiuse dietro a Sebastian. La fissò ancora a lungo, finendo per bere l’intero contenuto della tazzina senza rendersene conto. Lasciò il dolce da parte, non ne aveva affatto voglia, il che di per sé significava che qualcosa lo turbava.
[...]
“Conte, non siete il vostro maggiordomo, siete solo Ciel Phantomhive. Il pargolo del mio precedente datore di lavoro.. se così vogliamo chiamare vostro padre.”
[...]
Ciel s’irrigidì nel sentire le unghie del Becchino accarezzargli il viso. “Statemi lontano, Undertaker.” Ringhiò ritrovando l’usuale fierezza che lo caratterizzava anche nelle situazioni più disperate. Gli ci volle poco, il tempo di sentire il freddo della pietra contro la nuca, per rendersi conto di quanto sciocco era stato nel rispondere.
Genere: Angst, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Undertaker
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, PWP
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La Lettera

 
Guardava la lettera da dietro la tazza di thè fumante. Era turchese con scritto in bella calligrafia il proprio nome, niente mittente, niente francobollo. Quando era entrato nel suo ufficio, era già lì, non l’aveva aperta, solo sfiorata in punta di dita. Quando Sebastian era entrato a portargli il thè delle cinque gli aveva chiesto se per caso fosse giunto a Villa Phantomhive qualche messaggero o cameriera con una busta per lui. Il maggiordomo aveva scosso la testa mentre gli serviva il dolce della giornata, millefoglie ai mirtilli, chiedendo poi il perché di quella domanda nel versargli il thè: un’Earl Grey, regalo della Regina per aver risolto una fastidiosa seccatura.
“Aspetto una missiva dalla Francia.” Aveva risposto ringraziandolo prima di congedarlo dandogli una commissione in centro a Londra. Doveva toglierselo dai piedi, era inutile farlo preoccupare per una semplice lettera priva di mittente. Spostò le carte che vi aveva poggiato sopra quando la porta si chiuse dietro a Sebastian. La fissò ancora a lungo, finendo per bere l’intero contenuto della tazzina senza rendersene conto. Lasciò il dolce da parte, non ne aveva affatto voglia, il che di per sé significava che qualcosa lo turbava. Alzandosi si sistemò la giacca, prese la lettera ed uscì chiedendo che fosse preparata la carrozza. Nascose l’involucro nella tasca interna del mantello prima di infilare guanti e cappello, riprendendo in mano il bastone, affrettandosi a salire in carrozza.
Sospirò nel freddo abitacolo, guardando fuori mentre il cocchiere guidava i cavalli lungo il viale d’accesso della Villa. Sapeva dove e da chi andare, il problema era che non gli andava per niente, soprattutto perché Sebastian non c’era.
Abbassò lo sguardo sull’impugnatura del bastone, ne accarezzò le rifiniture con il pollice inguantato perdendo contatto con la realtà mentre lasciava correre i pensieri. Si riebbe solo quando sentì il cocchiere urlare il suo nome più volte. Rabbrividendo si strinse appena un po’ nel mantello prima di sporgersi dal finestrino chiedendo di essere portato prima da Lizzy e poi da Lau. Aveva comunque delle faccende da sbrigare con loro, poi avrebbe potuto pensare di passare dal cimitero a chiedere consiglio su quella strana lettera. Sicuramente lui avrebbe saputo dirgli chi l’aveva mandata o almeno il perché. Il problema non era sicuramente il cercare le informazioni che voleva, era ottenerle e con Undertaker non si poteva mai stare tranquilli. Gemette piano, ritornando a guardare fuori dal finestrino, lasciando il problema Undertaker da parte almeno per un po’.
Nevicava, di nuovo, quando arrivarono alle porte della città. Aveva deciso di rimanere alla Magione ancora per un po’, seppur significasse rischiare di non riuscire a raggiungere Londra se il Cane della Regina fosse stato chiamato a servizio. Quell’anno era un rischio che correva volentieri. Infondo, quel titolo, lo aveva solo ereditato alla morte del padre, il fatto che continuasse a servire Queen Victoria era solo una conseguenza comoda per gli affari della famiglia Phantomhive. Dio, se ci pensava, servire la Nazione non era per niente una cosa divertente, non dopo così tanti anni. Quanti ne erano passati? Cinque? Sei? Doveva ancora farne diciotto, forse non era passato poi così tanto tempo, era solo una sua impressione. Il rallentare e fermarsi della carrozza lo riportarono, per l’ennesima volta, alla realtà e alle faccende imminenti che doveva sbrigare.

Erano quasi le nove quando si avviò con la carrozza verso il cimitero. Aveva lo stomaco contratto e non si sentiva granché, di certo avrebbe preferito fare ritorno all’abitazione di città, cenare e mettersi a lavorare, ma la questione della lettera misteriosa andava risolta. Sospirando osservò i palazzi sporchi e malconci della periferia, le poche persone che ancora si aggiravano nel freddo di fine novembre o si affrettavano in qualche direzione, verso il pub o casa. Ascoltò gli scricchiolii delle ruote della carrozza e il battere ritmico degli zoccoli dei cavalli sui lastriconi di pietra, il vento che fischiava tra i rami quasi spogli dei radi alberi che coprivano il cimitero su di un lato in primavera. Quando svoltarono sulla via d’accesso batté il bastone un paio di volte per far fermare la carrozza.
“Scendo qui.” Disse prima di dare indicazioni per il rientro alla casa di città. Avrebbe preso una carrozza pubblica al ritorno, visto che aveva mandato la propria di nuovo alla Villa a prendere bagagli e servitori.
Voltò lo sguardo dalla strada buia e desolata al cimitero altr’e tanto spoglio, quasi a rammentare che tanto ai morti non importava se vi erano decorazioni o no, erano morti. Con calma fece il tratto di strada che lo separava dalla casa del Becchino. Era troppo tardi per trovarlo ancora in negozio, e comunque lo avrebbe trovato steso in qualche bara a prescindere, o a rifinirne qualcuna, che era meno inquietante. Aveva ancora lo stomaco contratto quando allungò il bastone a picchiettare la porta, che si aprì ancora prima che potesse sfiorarla. Brutto segno. Lo stava aspettando. Col volto impassibile, quasi annoiato, entrò in casa e si guardò intorno, cercando l’uomo dai lunghi capelli inargentati nella semioscurità di quella bettola.

“Ah. Ciel Phantomhive, cosa vi porta a venirmi a trovare, addirittura, nella mia umile dimora?” chiese apparendo da una porta, infondo alla sala, impossibile da vedere con la fioca illuminazione. Lo fissò per un lungo momento, era vestito come sempre: l’alto cappello e la tunica nera, i capelli a coprirgli quasi interamente il viso, rischiarato soltanto da quel ghigno malato che non si toglieva mai. A parte quando mangiava croccantini per cani, come in quel momento. Arricciò appena il naso a quella vista, distogliendo lo sguardo il tanto che bastava ad analizzare i mobili presenti nella stanza.
“Ho bisogno di informazioni.” Rispose qualche momento dopo, tornando a guardarlo, cercando invano di scorgerne gli occhi. Si avvicinò di un paio di passi, tenendolo d’occhio. Era una persona troppo imprevedibile per non essere prudenti, quasi ad essere paranoici.
“Sapete cosa voglio in cambio, Conte. Fatemi divertire.” Disse inclinando la testa da un lato, mordicchiandosi la punta dell’unghia come un bambino che sta decidendo quale dolce mangiare. “Se riuscirete a farmi divertire, allora vi darò tutte le informazioni che volete su quella lettera.” Continuò sorridendo mefistofelico.
“E come posso intrattenere uno Shinigami?” chiese con tono piatto, nascondendo l’inquietudine dovuta alla lettera, mentre dentro si sentiva rivoltare. Non aveva mai scoperto cosa facesse Sebastian per farlo ridere e aveva paura che ridere non fosse l’unico modo di divertirlo. Negli anni aveva imparato che il divertimento aveva tante facce. Tanto per dirne una, Alois Trancy. Un nobile decaduto, più o meno della sua età, che passava il suo tempo libero a complottare per poterlo avere come amante. Quel pensiero lo fece rabbrividire, facendo allargare il sorriso inquietante che curvava le labbra del Becchino.
“Oh, sono sicuro che troveremo qualcosa che possa piacere ad entrambi.” Rispose allargando il braccio destro, invitandolo a seguirlo. “Spostiamoci dall’ingresso, non è il luogo migliore per trattare, non crede Conte?” mormorò con un accenno di risata, una risata un poco acuta e isterica. Oh, ma quello non sarebbe bastato a divertirlo. Non ora che aveva Ciel Phantomhive solo nella propria casa. Si sarebbero goduti sicuramente la serata insieme.

Rassegnandosi all’idea che qualsiasi cosa fosse successa non gli sarebbe piaciuta, lo seguì lungo il corridoio e le scale, che anziché salire come in tutte le case, scendevano, e anche per parecchio. Strinse il bastone in una mano e il cappello nell’altra, cercando di non scappare a gambe levate da quel posto. Non aveva più paura di nulla, niente riusciva a smuoverlo dalle proprie posizioni o a fargli cambiare idea. Nulla, che non fosse Undertaker. Se aveva capito bene, qualche anno prima, lui era un traditore, o comunque qualcuno che non andava a genio all’attuale capo degli Shinigami. Non si era interessato più di tanto alla questione, non gli interessava scoprire il passato del Becchino. Primo perché non era qualcosa di utile per ottenere informazioni, secondo perché il suddetto era già abbastanza inquietante e turbante di suo, senza saperne anche il perché.
Quando le scale finirono, entrarono in un ampio salone, dall’alto soffitto e illuminato da un discreto numero di lampade a muro. Era la prima volta che si addentrava tanto nella casa dell’altro e il fatto che fosse costruita sottoterra più che sopra non lo aveva sorpreso più di tanto dopo un attimo di riflessione. Una cosa che lo aveva stupito era stata non trovare nemmeno una bara in tutta l’abitazione, per quello che aveva potuto vedere. Se si andava in negozio era sempre sdraiato in qualche bara o rannicchiato in qualche giara piena. Per una volta gli sembrava di avere un’opinione totalmente sbagliata del Becchino ma sapeva che era solo apparenza. Riluttante a sedersi sul divano, per evitare di essere troppo vicino all’altro, optò per una delle due poltrone posizionate vicino al camino. Non si aspettava servitori, e infatti non ve ne erano, ma allo stesso tempo non si aspettava che gli venisse offerta una tazza di thè fumante. Leggermente sconcertato prese la tazzina senza una parola, portandosela lentamente alle labbra, dimentico che Undertaker poteva averci versato qualche strana sostanza delle sue.
Chiuse gli occhi apprezzando la qualità del thè, riconoscendovi il thè nero della regione di Lau che aveva anche a casa, regalo del suddetto di ritorno dalla Cina. Posò nuovamente la tazzina sul piatto e guardò Undertaker dritto in faccia, non che avesse particolare voglia di affrettare i tempi ma iniziava ad irritarsi di tutto quel girare intorno.
“Allora, come posso farti divertire, Undertaker?” chiese con voce pigra mentre mescolava il thè come fosse nel proprio salotto e non nella tana del lupo. “Non ho tempo da perdere, quindi ti prego di dirmi quello che vuoi e darmi le informazioni che voglio io.” Continuò sorseggiando il liquido caldo, grato che gli ricordasse qualcosa di normale e quindi che sapeva gestire. Cioè una trattativa d’affari.
“Suvvia, Conte, perché affrettare tanto le cose? Parliamo della lettera che ha ricevuto.” Sorrise prendendo la tazzina con le lunghe dita e sorseggiandola tranquillamente, in attesa che Ciel parlasse.
“Non l’ho aperta, se è questo che vuoi sapere. Non so chi l’abbia mandata o come sia arrivata nel mio ufficio. Nessuno ha visto un messaggero o una cameriera arrivare o andarsene.” Sospirò poggiando da una parte la tazzina e tirando fuori la busta turchese. “So che puoi dirmi tutto quello che voglio sapere, e me lo dirai. Ora, dimmi cosa devo fare per farti divertire.” Disse palesando la propria irritazione e impazienza.
“Conte, siete sempre così impaziente.” Sospirò lasciando da parte anche la propria tazzina e alzandosi, incamminandosi verso la parete di fronte alle scale, scoprendola dal lungo tendaggio argentato, a rivelare una comunissima porta di legno, decorata ad intarsi che da lontano sembravano floreali. “Se volete seguirmi, ho in mente qualcosa che potrà divertire entrambi.” Disse mellifluo, sorridendogli senza malizia, col suo solito sorriso malato.

Ciel sospirò, aggiustandosi i vestiti prima di alzarsi, lasciando il cappello, il mantello e la lettera poggiati sulla poltrona. Troppi vestiti erano un ostacolo e lui non ne aveva davvero bisogno, non quando era solo con Undertaker. Raggiunse la porta, lanciando uno sguardo scettico all’altro prima di aprirla e guardare ciò che vi si nascondeva dietro. “Un altro corridoio..” commentò inarcando un sopracciglio in direzione del Bacchino. “Non è che vuoi sedarmi e aprirmi in due per vedere come sono fatto?” chiese in tono brusco e un po’ preoccupato. Lo Shinigami aveva davvero gusti macabri, in quanto a divertimento. Più di una volta lo avevano trovato a rimirare il corpo appena sezionato di qualche povera vittima di Jack lo Squartatore, con gli occhi scintillanti e il sorriso raggiante. Erano ricordi che avrebbe davvero voluto non avere, ma che parevano non volersene andare.
Prima o poi avrebbe chiesto a Grell di tagliare il suo Cinematic Record in quei punti, promettendogli una nottata selvaggia con Sebastian. Un ghigno spontaneo gli curvò le labbra a quel pensiero. Già lo vedeva Sebastian cercare di convincerlo a cambiare idea, perché si rifiutava di metter mani su di un maniaco come Grell. Oh, quello si che sarebbe stato divertente, molto divertente. Trattenne una risata allargando il braccio, invitando il suo ospite a fargli strada. “Non credo tu possa trovare qualcosa che diverta anche me. Sono, anzi, sicurissimo che tu ti stia già divertendo parecchio ma che voglia qualcosa di più..” si fermò cercando la parola. “Più sconcertante.” Concluse rifiutandosi di dire imbarazzante, perché avrebbe significato ammettere che era imbarazzato. Mai mostrare le proprie debolezze al nemico. Si mordicchiò il labbro mentre percorrevano quel corridoio lungo e poco illuminato. “Non ti piacciono proprio le luci, eh?” si lasciò sfuggire quando la semioscurità gli ebbe dato sui nervi. La risatina che lo raggiunse non fu per niente rassicurante, ma la polla di luce che si formò ai piedi della figura davanti a lui sì. Alzò gli occhi al cielo e si diede dell’idiota ad essere venuto da solo. Se avesse avuto bisogno di Sebastian non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo, e non perché non fosse un Demone di maggiordomo, ma perché Undertaker era un figlio di puttana.

“Da questa parte, Conte. Siamo arrivati.” Disse spostandosi dall’altra parte della porta per lasciarlo guardare dentro, gustandosi la sua espressione posata e indifferente che crollava per l’incredulità. Chinò la testa a nascondere l’espressione euforica che gli deformava il volto mentre l’altro batteva il bastone a terra, irritato.
“Undertaker.” Chiamò come se davvero volesse riprenderlo per avergli fatto uno scherzo di cattivo gusto. “Che significa? Cosa vuoi da me?” chiese guardandolo col viso contratto dalla rabbia, le mani serrate sull’impugnatura del bastone. Non voleva nemmeno pensarci a cosa poteva significare il fatto che lo avesse portato alla sua camera da letto. O a cosa potessero servire le catene arrotolare al baldacchino del letto. Il tutto lo metteva terribilmente a disagio, ricordandogli le proposte moleste di Alois o Grell. Se solo pensava a quello che era potuto uscire dalle loro menti malate, gli veniva da vomitare.
Il Becchino ticchettò le lunghe unghie nere sul legno della cornice della porta, guardandolo con la testa poggiata contro la parete, la frangia spostata da una parte, a scoprire appena lo zigomo sinistro. “Conte, cosa vi aspettavate? Anche il mio corpo ha bisogno di.. divertirsi.” disse con la voce appena più bassa del normale, un po’ roca forse. “E voi siete un bocconcino davvero.. appetitoso.” concluse sorridendo di nuovo con quel suo fare malizioso e malato. “Conte, non siete il vostro maggiordomo, siete solo Ciel Phantomhive. Il pargolo del mio precedente datore di lavoro.. se così vogliamo chiamare vostro padre.”
“Che significa?” chiese sprezzante, facendo un passo indietro, per nulla sicuro di voler scoprire fino a che punto lui e suo padre erano in affari. Non gli interessava! Non voleva sapere! Ma perché continuavano tutti a volere lui? Non aveva nulla di speciale. Nulla, era solo l’orfano di un’importante famiglia nobile, segretamente al servizio di sua Maestà la Regina d’Inghilterra. E nessuno sembrava volere i suoi soldi! O la sua fabbrica! Quindi.. Cosa diamine volevano tutti da lui? Fu sicuro che tutte quelle domande fossero passate in rapida successione sul suo volto quando l’albino iniziò a ridacchiare prima di fissarlo diabolico. “Suvvia, Conte. Non ditemi che alla vostra età ancora non avete capito cosa il mondo si aspetti da lei.” Disse con voce suadente, avvicinandosi quel tanto che bastava per potergli accarezzare la guancia con la punta delle unghie. “Sebastian vuole la vostra anima, Alois vorrebbe averla nel suo letto, Lau vorrebbe i vostri favori per poter gestire con tranquillità i suoi bordelli..” sussurrò come se il suo interlocutore fosse un bambino piccolo a cui andava spiegata ogni sottigliezza. “..e poi ci sono io. L’informatore del Cane della Regina, che non chiede mai nulla più di una risata.” Mormorò, la voce calda e invitante, quasi che la Tentazione si fosse fatta materiale solo per dare più forza al concetto.
Ciel s’irrigidì nel sentire le unghie del Becchino accarezzargli il viso. “Statemi lontano, Undertaker.” Ringhiò ritrovando l’usuale fierezza che lo caratterizzava anche nelle situazioni più disperate. Gli ci volle poco, il tempo di sentire il freddo della pietra contro la nuca, per rendersi conto di quanto sciocco era stato nel rispondere. L’albino lo aveva sopraffatto, costringendolo al muro con la semplice vicinanza fisica. Aveva perso il cappello nello spostamento e i capelli si erano spostati tanto che il giovane Phantomhive riuscì a scorgere il baluginare di minacciosi occhi gialli dietro i fili argentei. Deglutì a vuoto, maledicendosi mentalmente per essere stato tanto ingenuo. Dovette anche ammettere la sconfitta, Undertaker era più alto, più imponente di lui e nella confusione di ritrovarsi alla parete, con l’altro addosso, aveva perso, a sua volta, il bastone. L’unico occhio azzurro che gli rimaneva scrutò il viso in ombra del Becchino, cogliendone l’espressione perversamente divertita. Un gelido brivido gli percorse la schiena, e per la prima volta in vita sua non fu solo la paura a farlo rabbrividire.
“Oh, il giovane Conte inizia a capire..” sussurrò leccandosi maliziosamente il labbro superiore. Circondò la vita di Ciel con un braccio, l’altro era puntellato appena più su della testa del giovane. “Il mittente della lettera..” alitò al suo orecchio, leccandolo appena, sentendo il corpo dell’altro tendersi contro il proprio. Sogghignò allontanandosi di colpo, afferrandolo per il polso, volteggiando all’interno della stanza da letto. “Conte, Conte.. Non vi facevo davvero tanto ingenuo. Avevo creduto di dovermi inventare chissà quale storia per spiegare a voi e al vostro dannato maggiordomo quella lettera e invece.. Siete venuto da solo, esaudendo il mio più profondo desiderio.” Ammise mentre si legava i capelli all’indietro con un nastro nero.

Ciel trattenne il fiato mentre Undertaker si premeva contro di lui, sussurrandogli invitante all’orecchio. Credette davvero che il Becchino avesse finalmente trovato qualcosa di abbastanza divertente da concedergli le informazioni che voleva, peccato che avesse fatto esattamente il suo gioco. Trattenne a stento un gemito di sorpresa quando l’albino lo trascinò, in un volteggiare di stoffe, all’interno della camera, svelandogli subito dopo l’arcano mistero che si celava dietro la lettera turchese. Lo fissò ad occhi sbarrati, una mano saldamente aggrappata ad una delle colonnine perché non finisse bocconi sul letto. Sapeva di avere il respiro irregolare e il viso contratto in un’espressione di pura confusione.
Undertaker si avvicinò nuovamente, lasciando scivolare il mantello che indossava su di una poltrona vicina. “Ancora non afferrate, vero Conte?” rise guardandolo con gli occhi fiammeggianti di puro divertimento. Scivolò sulla moquette cremisi, avvicinandosi silenziosamente al ragazzo, spostandogli i capelli spettinati nell’accarezzargli la fronte. Scoprì la benda che gli nascondeva l’occhio destro, ne accarezzò l’elastico prima di tenderlo fino a spezzarlo, rivelando il sigillo impostogli da Sebastian. “Ah.. Eccolo, finalmente..” sussurrò prima che le sue dita si chiudessero repentinamente intorno alle ciocche oltremare. Gli strattonò la testa, facendogliela inclinare all’indietro lasciando che la luce creasse ombre sul suo intero volto, riflettendosi nei suoi occhi.
Il conte ansimò senza tentare nemmeno di nascondere la confusione che pian piano si trasformava in febbrile attesa. Non riusciva neppure ad immaginare cosa potesse succedere da quel momento in poi. Sapeva solo che le possibilità erano limitate: vivere o morire. Non credeva ci fossero altre possibilità vista la situazione quanto mai drammatica in cui si trovava. Sperava solo che Sebastian arrivasse in tempo, ora che il suo sigillo era stato scoperto. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal dolore sordo che gli scoppiò alla nuca quando il Becchino gli tirò i capelli. I loro visi erano a pochi millimetri l’uno dall’altro mentre l’albino rimirava i suoi occhi bicromatici. Stava per dire qualcosa quando avvertì labbra calde e morbide premersi contro le proprie.

Lo Shinigami si chinò a baciarlo, allentando appena la presa sui suoi capelli mentre ridisegnava il contorno delle sue labbra, mordicchiandole delicatamente. Un braccio gli cinse la vita, sorreggendolo mentre cadevano stesi sul letto, le gambe intrecciate. Si staccò sorridendogli mentre le luci diminuivano nella stanza, diffondendo una semioscurità che avrebbe nascosto qualsiasi traccia d’imbarazzo sul viso del minore.
Ciel Phantomhive si ritrovò ad ansimare, il volto in fiamme e gli occhi sgranati per la sorpresa. Undertaker lo aveva baciato. Lo aveva baciato e lui non aveva fatto nulla per allontanarlo, a differenza di quanto faceva con Alois, il quale veniva trattato al quanto brutalmente anche solo se si avvicinava. Fissò lo sguardo in quello seducente del Becchino, rilassandosi un minimo quando la luce diminuì, incurante del come le luci furono abbassate se erano soli in camera. Si morse l’interno del labbro, incapace di reagire come avrebbe voluto. Il problema non era tanto reagire in sé per sé, era che la reazione non era quella che si era aspettato. Non aveva ancora mai nemmeno baciato la sua promessa sposa, Liz.. E ora si ritrovava a letto con uno Shinigami. Provò a spostarlo, facendo forza sulle braccia ma il Becchino pareva pesare due tonnellate lì steso sopra di lui. Il panico gli serrò la gola mentre si dimenava cercando di liberarsi. Fu proprio in quell’agitarsi che il suo bacino cozzò contro quello del Becchino, facendolo rabbrividire da capo a piedi, lasciandolo senza fiato. Con riluttanza smise di lottare, per nulla ansioso di riprovare quella strana scarica di brividi che l’aveva appena percorso. Si costrinse all’immobilità, chiuse gli occhi e attese.
“Non vi è gusto nel catturare una preda che non lotta..” disse all’orecchio di Ciel, facendo seguire alle sue parole il suono metallico di un anello chiuso. Gli occhi del giovane si aprirono di scatto mentre tentava di tirar via il polso dal bracciale attaccato alla catena del baldacchino. Undertaker lo sentì inveire senza troppa finezza prima che ogni protesta o bestemmia venisse inghiottita dalle loro labbra che s’incontravano nuovamente. Questa volta Undertaker fece scivolare la lingua nella bocca del conte, accarezzando la gemella che fremette al contatto, ritirandosi prima che Ciel cedesse, assecondando quel bacio.
Ciel s’immobilizzò, incapace di formulare un solo pensiero che avesse senso. Tutto quello che riuscì a fare fu tentare di ritirarsi ma sotto di sé vi era solo morbido materasso, sopra il Becchino lo schiacciava contro il letto e pur a provare la ritirata di lato vi era la catena che lo teneva attaccato al baldacchino scuro. Alla fine non poté far altro che arrendersi, cedere e ricambiare incerto quel bacio. Il problema, in realtà, non era lui. Non voleva, non avrebbe mai voluto, non sapeva nemmeno come fosse successo, o meglio.. non voleva ammettere di essere stato uno stupido presuntuoso a credere di poter far qualcosa senza il suo maggiordomo. Comunque, il problema restava, ed era il suo corpo. Il suo corpo che sembrava fremere ad ogni nuovo contatto col corpo dell’altro, ad ogni morso che Undertaker dava alle sue labbra, ad ogni nuovo bacio. Ben presto si ritrovò a rabbrividire visibilmente, il fiato corto e gli occhi socchiusi.
Undertaker lasciò vagare le mani, sfilandogli la camicia dai pantaloni, alzandola a scoprire il ventre piatto e glabro. Sorrise staccandosi dalle sue labbra, scendendo lungo il collo, spogliandolo della giacca, continuando a vezzeggiare la pelle candida del conte mentre apriva la camicia, sciogliendo i bottoni dal fermo abbraccio delle asole. Osservò il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi ritmicamente, veloce come il respiro che gli sfuggiva dalle labbra appena schiuse. Si leccò le proprie, godendo immensamente di quella vista mentre una mano gli scivolava nei pantaloni, accarezzandolo dolcemente da sopra l’intimo. “Conte, potete lottare quanto volete.. Siete mio.” Disse stringendo la presa sulla sua crescente eccitazione, avvolgendo la stoffa leggera attorno alla pelle bollente del suo membro. Lo sentì gemere, lo vide inarcarsi quasi volesse offrirglisi. Chiuse gli occhi mentre chiudeva le labbra e le dita della mano libera attorno ai capezzoli chiari del giovane, viziandoli fino a farli inturgidire. 
Ben presto Ciel si rese conto di essere nudo dinanzi agli occhi gialli del Becchino. Occhi che sembravano avere vita propria, mutare colore e intensità a seconda del piacere che il loro possessore provava. Aveva il fiato corto, si sentiva il viso arrossato ed era dolorosamente consapevole di cosa stesse attirando tanto prepotentemente l’attenzione dell’albino. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, di far finta di essere da tutt’altra parte ma fu palese quanto inutile fossero i suoi sforzi quando gemette a voce alta. La bocca di Undertaker si era chiusa attorno al suo membro, leccandolo con la lingua calda, succhiandolo dolcemente mentre premeva appena i denti contro la pelle tesa e rossa. Si inarcò nuovamente, spingendo involontariamente il bacino contro l’altro, gemendo ancora. Lentamente quella calda tortura lo fece sprofondare in un mondo di lampi rossi e argento, rendendogli impossibile l’opporsi, il respiro, il pensiero. Venne risucchiato nel vortice del calore e dei brividi che percorrevano il suo giovane corpo, che sensualmente lo stavano trasformando da ragazzino a uomo. Mugolò di fastidio quando il Becchino lo liberò dalla sua bocca peccaminosa. “Di.. di più..” si sentì supplicare, incapace di fare altro, di pensare ad altro che fosse la sua bocca stretta al proprio corpo e le sue mani che lo accarezzavano. Aveva dimenticato la vergogna così come il pudore, voleva solo sentire di nuovo quei brividi intensi e bollenti percorrergli le membra da capo a piedi.
“Supplicate ancora, Conte. Imploratemi di darvi ciò che volete.. invocate il mio nome e lasciate che vi mostri le delizie del Peccato.” Sussurrò al suo orecchio, leccandone appena la conchiglia, scendendo lungo il collo mentre lo accarezzava in punta di dita, invitante, promettendogli dolcissime cose in silenzio. E lui gemette, gemette e invocò il suo nome, supplicò che gli venissero mostrate le delizie del peccato e che facesse ciò che più desiderava col suo corpo. Sorrise, sorrise davvero, non il solito ghigno mefistofelico o annoiato, fu un sorriso di pura gioia. Lasciò vagare un altro po’ le dita lungo il corpo sottile del giovane fino a coccolare un’ultima volta la sua eccitazione, facendo poi scivolare due dita dentro di lui, premendole dentro di lui. Non ci volle molto perché trovasse il nodo di piacere all’interno del ragazzo. Lo ascoltò urlare dal piacere, beandosi dell’espressione estatica che vedeva sul suo volto ancora imberbe. Fece danzare le proprie dita all’interno del suo corpo, le premette contro quel punto di piacere, lo vezzeggiò, ora affondandovi, ora accarezzandolo in punta di dita, ora graffiandolo.
Ciel Phantomhive aveva perso ogni ritegno, ogni pudore, ogni singolo brandello di sanità mentale, tutto ciò che era ora in grado di fare era urlare, urlare il nome del Becchino, supplicare, implorare che non smettesse, che continuasse, che non lo lasciasse in quello stato perché era peggio di qualsiasi cosa avesse mai provato. Il primo orgasmo della sua vita lo colpì all’improvviso, le dita di Undertaker affondate dentro di sé, la sua bocca calda e umida chiusa intorno al proprio membro turgido, pulsante. S’inarcò fino a rovesciare la testa sul morbido materasso, arricciando le dita dei piedi mentre caldo liquido erompeva dal proprio corpo e inondava la bocca dell’albino tra le sue cosce. Crollò sul materasso sfinito, ansimante, sudato. Con gli occhi appena socchiusi colse il movimento della mano dell’altro che si puliva l’angolo della bocca, sorridendo quanto mai soddisfatto. Gli ci volle qualche secondo di troppo per comprendere che il Becchino aveva inghiottito il suo piacere e che con le dita stava raccogliendo le ultime gocce. Sentì il volto avvampare più di prima, sicuro che il fuoco avesse preso possesso delle sue gote pallide senza che lui potesse ricacciarlo indietro.
Undertaker rise piano, sotto i baffi, spostandosi i lunghi capelli dietro la schiena mentre si allontanava dal letto, aprendo la tunica che portava sopra casacca e pantaloni. Quando l’ebbe sfilata la poggiò sulla poltrona nell’angolo, lasciandovi anche il resto dei propri indumenti, tornando dal giovane completamente nudo.. e pronto. Si stese nuovamente sopra di lui, accarezzandogli il viso, spostandogli qualche ciocca di capelli umida, prima di fargli gentilmente voltare il viso e rubargli un lungo e sensuale bacio che lasciò entrambi senza fiato, uniti da un lucido filo di saliva. “Ti ho attirato nel mio letto..” mormorò sulle sue labbra, guardandolo a pochi centimetri di distanza. “..sii il mio schiavo..” continuò leccandogli il labbro inferiore, accarezzandogli i fianchi stretti. “..e lascia che le nostre carni conoscano il lieto fine..” sussurrò penetrandolo con un’unica spinta.

Si contrasse trattenendo il respiro, stringendo gli occhi umidi per l’improvvisa fitta di dolore che percorse tutto il suo corpo. Gli affondò le unghie nelle spalle, graffiandolo, nella ricerca di un appiglio, di qualcosa che non fosse lancinante dolore e straziante bruciore. “N-no..” gemette col viso, involontariamente, nascosto nel suo petto, come se ciò potesse proteggerlo dalle fitte che sentiva partire dal basso ventre. “F-fa.. male..” mugolò incapace di controllare la propria voca, né tanto meno il proprio corpo che continuava ad essere spasmodicamente stretto attorno al Becchino. Avvertì braccia forti stringerlo, abbracciarlo forte e la voce dell’altro sussurrargli all’orecchio che se si fosse rilassato sarebbe passato, facendo tornare il piacere. Per un attimo, Undertaker gli sembrò più umano di quanto non fosse mai stato, quasi gentile e protettivo, ma quel pensiero svanì non appena lo sentì uscire dal proprio corpo, facendolo nuovamente sprofondare in un vortice di dolore indescrivibile. Cercò di fermarlo, stavolta ci provò sul serio, mosso dal dolore e dalla disperazione, tentò in tutti i modi di farlo star fermo, di non farlo spingere di nuovo nelle proprie carni. Graffiò, morse, tirò ma nulla sembrò scalfire l’albino. E fu quando pensò di non potercela fare, che si sarebbe spezzato sotto di lui, per sempre lacerato nel profondo delle carni, che il piacere montò con nuova forza, inondandolo di quei bollenti brividi che prima lo avevano reso dimentico di tutto ciò che non fossero le dita e la bocca dell’altro. E, come prima, tutto ciò che sentì fu la voce dell’albino.
“Così, Conte.. Lasciati andare, sii mio e mio soltanto..” mormorò stringendogli i fianchi, inginocchiandosi tra le sue gambe, tenendolo fermo mentre con forza lo faceva suo, spingendosi più e più volte dentro quel corpo caldo e minuto, così giovane da essere più dolce di un frutto proibito. Si ubriacò della sua voce, roca e supplicante ora, piena ed eccitata il momento dopo. Lo vide socchiudere gli occhi, guardarlo languidamente, mordicchiarsi un labbro prima di allungare le braccia verso di lui. Sorrise chinandosi nuovamente sul ragazzo, baciandolo con famelica voracità, lasciandolo libero di muoversi contro di sé, incitandolo.

Ogni carezza, ogni bacio, ogni spinta trascinavano sempre più a fondo la giovane e inesperta mente di Ciel, lasciandolo a boccheggiare sotto il corpo caldo, sensuale e le cure di Undertaker. In un momento di lucidità si rese conto di essere seduto sopra all’albino, il bacino che si muoveva frenetico contro di lui, contro il membro duro e grosso che era piantato profondamente nel proprio corpo. Urlò. Urlò di puro piacere, mente e corpo eccitati dalla visione del Becchino sotto di sé, dalle sue mani sulle proprie natiche, allargate perché potesse accogliere di più della virilità dello Shinigami. Non sapeva cosa gli suggerisse certe.. conoscenze, certe intuizione, sapeva solo che doveva muoversi. Su e giù, avanti e indietro. Doveva sentire le lunghe unghie dell’uomo sotto di sé affondare nella carne cedevole dei propri glutei, la propria eccitazione strusciare contro il ventre di lui quando si chinava a baciarlo, le proprie mani affondate tra le ciocche argentee. E, quando di nuovo trovò consapevolezza di sé, venne. Venne gridando, implorando, muovendosi freneticamente contro di lui, gemendo e mugolando di piacere mentre veniva travolto, onda dopo onda, fino ad affogare in quel mare di lampi rossi, gialli e argentei. Si tese un’ultima volta quando Undertaker lo rimepì di caldo e denso seme, sussurrandogli all’orecchio il proprio nome. Crollò sfinito tra le sue braccia, il respiro corto, gli occhi chiusi.

Quado si svegliò era solo. Solo e al buio, con un persistente cigolio nelle orecchie e l’impressione d’essere in movimento. Lentamente sbatte gli occhi, schiarendoli dal sonno, iniziando a guardarsi intorno. La prima cosa che notò fu il sedile imbottito accanto a sé, a un braccio di distanza, non di più. Non era più nella camera da letto del Becchino, quindi, dov’era? L’improvviso sobbalzo del proprio giaciglio e il nitrire di un cavallo gli fecero sospettare di essere nell’abitacolo di una carrozza, e dall’aspetto sembrava una di quelle cittadine. Ancora sdraiato fissò lo sguardo sul soffitto scuro della carrozza, riflettendo in silenzio, domandandosi se ciò che ricordava era successo davvero o meno. Si chiese se non si fosse addormentato nel tragitto per la casa del Becchino, se quello che aveva creduto di vivere non fosse tutto frutto della sua immaginazione continuamente stressata da Alois e Lau. Fu grato quando il cigolio di legno e perni smise insieme al moto della vettura. Rimase sdraiato ancora qualche secondo, ascoltando il lamento metallico del sedile del cocchiere che scendeva per aprirgli. Sospirando si costrinse, in fine, a mettersi seduto, recuperando cilindro e bastone dal sedile davanti a sé. Si morse il labbro per non gemere in faccia al proprio maggiordomo e al cocchiere accanto a lui. Si forzò a distendere il viso nella sua solita espressione di imperturbabile noia, osservando i due volti appena illuminati dalla lanterna del portico della casa cittadina dei Phantomhive. “Grazie, cocchiere, può andare.” Disse lasciandosi aiutare da Sebastian a scendere, il cuore che gli pulsava in gola. Lo sguardo del proprio maggiordomo era quanto mai contrita se non preoccupata e la cosa rendeva nervoso anche il Conte.
“Non è da voi bere tanto da addormentarvi.” Disse l’alto ed efficiente maggiordomo di casa Phantomhive. “Lau ha chiamato per avvertirmi delle vostre condizioni e che vi aveva già messo su una carrozza diretta alla residenza di città.” Continuò aiutandolo a spogliarsi, seguendolo nello studio al pian terreno.
Le spalle di Ciel si rilassarono visibilmente, mentre lui tirava un sospiro di sollievo. “Lau ha drogato il mio bicchiere, me ne sono reso conto quando ormai era troppo tardi. Non ricordo altro, Sebastian, e sono molto stanco. Mey Rin, Bald e Finnian ci hanno già raggiunto? Vorrei cenare nello studio.” Disse atono come sempre, cercando di mascherare lo sgomento e l’incredulità meglio che poteva. Sembrava quasi che il suo Demone di maggiordomo fosse stato battuto per una volta. E anche lui. Era stato fregato, era caduto nella tana del lupo e ne era uscito.. dolorante. Dannatamente dolorante visto il bruciore insopportabile che avvertiva tra le gambe e in un altro paio di punti. Ricordava che nel.. sogno? Non era un sogno, purtroppo, doveva ammetterlo e affrontare la verità. Ricordava che durante l’amplesso Undertaker l’avesse morso un paio di volte qui e lì, lasciando il segno rosso dei propri denti. Sospirando per l’ennesima volta evitò di chiedersi come avrebbe spiegato a Sebastian quei segni, avrebbe trovato una scusa quando gli fosse servita, fino a quel momento voleva pensare il meno possibile agli avvenimenti di quella sera. La lettera turchese con il suo nome vergato in bella calligrafia era sparita dalla propria tasca, caduta chissà dove o forse sottratta dal Becchino.

Passarono i giorni, le settimane. I morsi sul suo corpo non li trovò mai, né altra traccia, oltre al dolore sordo tra le gambe che lo accompagnò per qualche tempo, a dimostrazione che quella sera non fosse solo frutto della sua immaginazione. Iniziò davvero a credere di essersi sognato tutto a causa della droga che Lau poteva avergli, o meno, messo nel bicchiere quando era andato a trovarlo. Presto se ne dimenticò, tornando ai propri doveri come Cane della Regina e direttore della Fabbrica Phantomhive.
Se ne dimenticò fin quando, una mattina dei primi di Gennaio, non trovò una lettera turchese sulla propria scrivania. Nessuno aveva visto messaggeri o domestici lasciarla. Un’unica parola, vergata in bella calligrafia, era scritta sul fronte della lettera. “Ciel”. Niente mittente, niente di niente, se non i ricordi di quella sera che credeva di aver dimenticato e che ancora suscitava brividi lungo la sua spina dorsale, mozzandogli il fiato.


Note d'Autrice:
Questa fanfic viene fuori mesi fa, ideata all'inizio per essere qualcosa di più Bondage è diventata una PWP dal finale chiaro. Undertaker ha soggiogato il nostro povero Conte con i piaceri della carne, lasciando al suo corpo memorie bollenti e sensuali. La lettera, dalla carta color turchese, il nome di Ciel scritto in bella calligrafia riportano alla mente ricordi che credeva sopiti, anzi che credeva di aver proprio dimenticato. 

Potrei decidere di scrivere un seguito, molto più incentrato sul Bondage, più avanti ma per il momento
La Lettera, resta una storia fine a se stessa. 

Xoxo, Nika-chan.
   
 
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