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Autore: ImMedea    19/01/2015    1 recensioni
Venezia, il vento che soffia impetuoso. Un cappotto rosso ed un angelo sporco.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza col cappotto rosso camminava in silenzio nel vento. Passato il Canal Grande in direzione San Marco e girato in Rio degli Osei, dove abitava, gli unici rumori erano solo più lo sciabordio delle gondole nei canali ed il vento impetuoso che faceva sbattere ogni cosa.
Anche camminare era difficile andando controvento. 
Arrivata a metà del ponticello in ferro battuto alzò lo sguardo. Il cielo era limpido e terso. Scorse un puntolino che sembrava dibattersi, un qualche uccello che tentava di volare, ma a cui il vento grosso dava non pochi problemi. Sbandava, tentava di riportare le ali in orizzontale, compiva goffe capriole. La ragazza sentì una fitta d'angoscia. Se neanche un gabbiano poteva contrastare quel vento, che gli impediva di volare, come poteva pensare lei di tenere a bada quella forza invisibile che ripescava ricordi e glieli proponeva a bruciapelo? 
Scosse la testa. Cercò di riaggiustarsi cappotto e capelli-pensando che era inutile-e scese dal ponte. Qualcosa la colpì sulla guancia. 
Una piuma. 
Una grande piuma bianca, ma sporca di rosso e di nero in certi punti. Se la rigirò tra le mani, pensierosa. 
Era davvero bella. Le macchie la rendevano più viva, meno eterea. 
La ragazza proseguì controvento e scese dal ponte, tenendo la piuma stretta tra due dita. Girò l'angolo (attenta che qui il bordo del canale traballa un po') e lo vide. 

Lui era accovacciato per terra, addossato al muro di quella familiare casa con l'intonaco arancione scrostato. Aveva lunghi capelli biondi, che sudici e disordinati gli ricadevano sul viso. Indossava una sorta di tunica bianca, strappata in più punti, sporca e sgualcita. E dalle sue grandi ali bianche si staccavano delle piume sporche, che volando nel vento si posavano sul cappotto rosso della ragazza. 
Neve su di un papavero. 
Lui apparentemente si stava esaminando il palmo di una mano. Minuscole goccioline di sangue colavano dalla mano sulla tunica sporca. Le annusava. Poi, lentamente, con diffidenza, le leccò. 
Il sapore era buono. Ma aveva qualcosa di sbagliato, qualcosa di... 
-Smettila. 
Lui alzò di scatto lo sguardo. Tra i capelli sudici brillarono due occhi azzurri. 
-Smettila. Non leccarti il sangue. Hai bisogno di una ripulita. Ho solo un fazzoletto... vuoi? 
La ragazza che aveva davanti aveva un cappotto rosso ed un fazzoletto bianco in mano. Sorrideva rassicurante. 
Lui prese il fazzoletto e piano lo passò sulla mano. 
-Fa male. 
La ragazza ebbe un tuffo al cuore. Quell'individuo aveva la voce più bella che lei avesse mai sentito. Era un Notturno di Chopin fatto uomo. Uomo? No... Gli uomini non avevano le ali... 
La ragazza gli porse esitante la piuma. 
-Questa è tua... 
-Sì. Mi dispiace. Cadendo le mie ali hanno sbattuto e molte piume si sono rotte. E adesso il vento me le porta via... 
Ma non lo disse con tristezza. Era una semplice constatazione. 

*** 

Più tardi, lui era nella vasca da bagno della ragazza. Lei, accovacciata vicino al bordo, lo guardava. Se avesse creduto agli angeli, quella sera avrebbe telefonato al suo ragazzo dicendogli che ne aveva uno in casa. Ridacchiò immaginando la faccia che lui avrebbe fatto. 
-Perchè ridi? 
-Nulla. Un pensiero stupido. Non ti danno fastidio le ali? 
Per non bagnarle troppo, lui le aveva spiegate fuori della vasca, riempiendo quasi tutta la stanzetta. 
-No. 
Un lungo silenzio, scandito dall'acqua che gocciolava dal rubinetto chiuso. 
-Perchè sei caduto? 
Una domanda così diretta! Lui non se l'aspettava... Beh, a dire il vero non sapeva bene cosa aspettarsi in ogni caso. 
-Perchè mi hanno spinto. E sono caduto giù. Mi hanno legato le ali perchè non potessi volare e mi hanno spinto. 
-Perchè ti hanno spinto? 
-Perchè ho guardato nel mio cuore. 

Lui si chiamava Icaro. Veniva da un posto dove tutto era perfetto. Ognuno viveva in pace, con la sua bianca tunica e la sua villa con piscina. Nostra Signora dell'Ipocrisia regnava su quel mondo con grande bontà d'animo e giustizia. Tutti erano in armonia tra loro. C'era un'unica legge: non-guardare-nel-tuo-cuore. 

-Io un giorno l'ho fatto. Ho infilato una mano nel mio petto e l'ho tirato fuori. E non era come sul libro di scienze. Non era rosso e liscio. Era nero e rugoso. Ci h guardato dentro. Non era perfetto come sul libro. Era soggetto ad ogni genere di emozione: amore, rancore, gioia, dolore. Era agitato dalle passioni, alcune piacevoli, altre no. L'ho rimesso a posto e ho capito che quella in cui vivevo non era una società perfetta. Mi sono guardato le mani pulite-noi non perdiamo sangue. Almeno. Là non ne perdiamo. Ho aperto le ali e le ho viste grandi e forti. Allora ho spiccato il volo. 

Icaro aveva volato a lungo. In alto, sempre più in alto. Poi due affascinanti concittadini erano volati verso di lui. 
-Dove vai, fratello? Hai varcato i confini della città. Torna indietro. 
-Perchè? Le mie ali reggono il volo e il mio cuore vuole volare. Perchè dovrei fermarmi? 
Icaro fu legato e bastonato, ed un'ordinanza scritta della regina ne decretò la condanna. "Che sia spinto tra gli umani, dato che si crede uno di loro". 
Icaro era caduto per giorni dall'empireo della perfezione. Poi quel ventaccio l'aveva fatto cadere a Venezia. Le funi che gli legavano le ali si erano sciolte nella caduta, ma il male rimaneva. Cadendo si era sbucciato una mano, e ne era uscito un buon liquido rosso. E poi la ragazza l'aveva trovato. 

La ragazza in questione l'aveva ascoltato pensierosa, mentre lui le raccontava la sua storia avvolgendosi nell'accappatoio che lei gli porgeva a occhi chiusi. 
-Così non l'hanno ancora capito, eh...? domandò la ragazza togliendosi la maglia. 
-Come, scusa? fece Icaro. 
-Nulla... torno fra poco. Il phon è nel cassetto in alto. 

Poi la ragazza spiegò le grandi ali, piene di piume spezzate e macchiettate di nero, e volò fuori, nel cielo ventoso. 
   
 
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