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Autore: EvgeniaPsyche Rox    19/01/2015    9 recensioni
In un primo momento si stupì; davvero, si aspettava qualcuno sanguinante, la vicina che strillava di essere stata appena investita o chissà cosa, invece nulla. Probabilmente qualche idiota aveva suonato ed era scappato via: Thomas avrebbe voluto arrabbiarsi, ma il sollievo che non ci fosse alcuna emergenza ebbe il sopravvento e infatti si lasciò sfuggire un leggero sospiro che però ebbe una serie di reazioni a catena che non si sarebbe mai e poi mai aspettato.
La prima conseguenza fu lo scroscio del cespuglio che sua madre aveva piantato a sinistra dell'ingresso; ci fu movimento improvviso, uno scatto, e Thomas trattenne il respiro quando vide un ragazzo rizzarsi in piedi con aria allarmata, gli occhi puntati proprio su di lui.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Spoiled milk.


 


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1.  Night in the morning


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Per assurdo, la notte gli illuminò il mattino, o meglio, quello che avrebbe dovuto essere un mattino come tanti altri.


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Si era ripromesso che l'inizio della scuola non gli avrebbe impedito di proseguire le sue corsette mattutine con Minho, ma, a quanto pare, come era d'abitudine commentare in quei casi, tra il dire e il fare c'era di mezzo il mare, se non l'intero oceano.
Era il quarto giorno di scuola e per Thomas era già decisamente traumatico alzarsi alle 06.30; non si sarebbe mai sognato di svegliarsi un'ora prima per uscire a correre una ventina di minuti, tornare a casa, lavarsi, cambiarsi ed intraprendere il tragitto per recarsi al Liceo. Sarebbe stato un suicidio, e Minho, anche se non lo aveva mai detto schiettamente, aveva lasciato intuire la propria opinione a riguardo con i suoi primi ritardi.
Si sarebbero rifatti durante il week-end, probabilmente. Effettivamente Thomas si era domandato frequentamente il motivo per cui non amasse spendere il proprio tempo come un qualsiasi altro normale adolescente; magari ascoltando musica, andando al bar o uscendo a fare una passeggiata. Non che non si dedicasse anche a questo genere di attività; semplicemente, sia lui che il suo migliore amico, amavano infilare anche quella famigerata corsa, a costo di non terminare i compiti in tempo (Non che la cosa dispiacesse loro particolarmente, comunque). Ecco, essi erano i famigerati stramboidi con la maglietta appiccicata al petto e il sudore che pendava anche dalla punta delle palpebre che venivano guardati male dai restanti abitanti della città, quelli spaparanzati su qualche panchina del parco, o magari intenti ad addentare un panino al McDonald's. Sì, venivano guardati male proprio come i teenagers che ammettevano tranquillamente di spendere la maggior parte del tempo leggendo.
Ma in fondo a Thomas non importava nulla di quello che pensava la gente; lui correva, e non importava se ci fosse o meno una ragione che spiegasse questo suo amore spassionato. Magari era soltanto la sensazione di libertà, o forse era vedere i propri progressi, come il suo corpo si sentisse stanco dopo un tempo sempre più lungo; trovare un ritmo adatto a sé, riuscire anche a ridere con Minho senza affaticarsi eccessivamente. E, sì, probabilmente amava anche quella stanchezza, il farsi una bella doccia rinfrescante e fiondarsi sul cibo, sapere di essersi meritato ogni singolo morso.
Amava tutto, Thomas, ed era per questo che non aveva mai rinunciato alla corsa, nemmeno la pioggia o il freddo pungente gli avevano impedito di correre.
Forse solo il calore delle coperte e la morbidezza del proprio materasso, ecco. Quelli erano ostacoli su cui doveva lavorare.
Al mattino del suo quarto giorno di scuola aprì lentamente le palpebre, infastidito dal suono che in un primo momento scambiò per la sveglia; quando però, spostando le iridi stanche verso l'orologio sul comodino, si accorse che erano ancora le 06.15, si accigliò non poco. Già dormiva poco, dovevano pure strappargli quindici minuti senza preavviso?
Il suono che lo aveva trascinato fuori dai dolci sentieri di Morfeo si ripeté nell'aria, e il ragazzo si accorse che proveniva dal campanello di casa; saltò giù dal letto, consapevole di essere l'unico in grado di aprire, poiché Chuck, il suo fratellastro, era troppo pigro, il suo patrigno era già a lavoro, mentre sua madre aveva un sonno così pesante che probabilmente nemmeno una rivoluzione avrebbe potuto farle aprire gli occhi.
Thomas rabbrividì al gelido contatto del pavimento e si affrettò ad infilare i piedi nelle pantofole a forma del gatto Silvestro: le detestava, le detestava con tutto se stesso, il problema era che quando Chuck gliele aveva regalate per Natale gli era sembrato così fiero della propria scelta che non era riuscito ad ammettere il fatto che quelle pantofole sicuramente rientravano nella categoria ''Peggiori regali della storia''.
Si lasciò sfuggire un sonoro sbadiglio e si trascinò a fatica fuori dalla propria stanza, cercando di non inciampare lungo la rampa di scale, dal momento che gli ci voleva sempre una decina di minuti prima di scrollarsi completamente di dosso le confortevoli mani di Morfeo.
Nonostante fosse ancora assonnato, non riuscì a frenare la marea di domande che iniziarono ad ammassarsi all'istante nella propria mente: chi diavolo poteva essere tanto stupido da suonare a quell'ora del mattino? Forse il suo patrigno era tornato indietro perché si era scordato il cellulare o qualche documento importante per l'ufficio? O magari Minho aveva voluto fargli uno scherzo di cattivo gusto? E se invece era qualcuno bisognoso di aiuto?
Quell'ultima ipotesi in particolare lo aiutò a svegliarsi del tutto, sostituendo l'irritazione iniziale con una crescente ansia; giunto al piano terra, Thomas si catapultò verso il portone e lo spalancò senza degnarsi nemmeno di dare un'occhiata allo spioncino.
In un primo momento si stupì; davvero, si aspettava qualcuno sanguinante, la vicina che strillava di essere stata appena investita o chissà cosa, invece nulla. Probabilmente qualche idiota aveva suonato ed era scappato via: Thomas avrebbe voluto arrabbiarsi, ma il sollievo che non ci fosse alcuna emergenza ebbe il sopravvento e infatti si lasciò sfuggire un leggero sospiro che però ebbe una serie di reazioni a catena che non si sarebbe mai e poi mai aspettato.
La prima conseguenza fu lo scroscio del cespuglio che sua madre aveva piantato a sinistra dell'ingresso; ci fu movimento improvviso, uno scatto, e Thomas trattenne il respiro quando vide un ragazzo rizzarsi in piedi con aria allarmata, gli occhi puntati proprio su di lui.
Una massa disordinata di capelli biondi gli incorniciava il volto, e un paio di foglie si erano aggrovigliate ai suoi ciuffi; nello stesso momento in cui lo sconosciuto si calmò, tornando ad un'espressione tranquilla e pacata, Thomas si accorse delle sue iridi scure, nere, e sembrò smarrito, come se si aspettasse per forza un paio di occhi azzurri o blu in compagnia dei capelli color grano e della pelle chiara.
Invece no, le iridi di quel ragazzo, probabilmente un suo coetaneo, erano state dipinte della notte, e a lui non era mai sembrata così lucente, addirittura più lucente dei primi raggi di sole che stavano illuminando i capelli dorati dell'altro.
« Cacchio, pensavo non ci fosse nessuno». Poi parlò, e Thomas quasi perse l'equilibrio dallo stupore, perché era come se la sua mente avesse ormai elaborato la certezza che quel ragazzo era troppo per comunicare tramite l'uso della parola. Era come se fosse così troppo da provenire da un altro pianeta, magari dal Cielo.
Eppure aveva parlato, e la sua voce aveva riportato Thomas bruscamente alla realtà; merda, pensò il moro, merda, merda, lo pensò tre volte, come un giuramento, perché si accorse di quante cose risultassero terribilmente sbagliate in quel momento.
Anzitutto lo erano i suoi pensieri: avrebbe dovuto urlare, spaventarsi, chiedersi se quello fosse un ladro, e invece si era messo a contemplarlo come se fosse un dipinto di Leonardo DaVinci.
E poi perché diavolo gli aveva parlato come se si conoscessero da una vita?! Era bello, sì, ma non poteva certo permettersi di svegliarlo a quell'ora del mattino e–
Merda.
Thomas improvvisamente si ricordò che era l'unica cosa che aveva fatto quella mattina era stata alzarsi e aprire la porta; abbassò gli occhi e con orrore rimembrò che non era estate, bensì autunno, e che quindi aveva iniziato ad andare a dormire con il pigiama, con quel ridicolo pigiama che gli aveva comprato sua madre, quello adornato con patetici disegni di paperelle che si baciavano, e c'erano anche le pantofole di Chuck, e i suoi capelli impresentabili, e magari aveva pure l'alito che puzzava, e...
Anche l'ospite parve accorgersi solo in quel momento del discutibile abbigliamento casalingo del ragazzo, poiché che inarcò il sopracciglio sinistro in un'espressione divertita. « Certo che da queste parti avete dei gusti proprio del caspio. Sul serio, siete dei Fagio buffi.»
Thomas per un attimo ebbe il terribile presentimento secondo il quale si sarebbe messo a vomitare la cena della sera precedente sul prato a causa dell'ansia; la sua mente stava viaggiando alla velocità della luce, perché da una parte si era appena accorto di aver fatto una colossale figura di merda con quel suo dannato pigiama, e dall'altra parte continuava a considerare dettagli terribilmente intriganti sul suo nuovo interlocutore, come l'accento inglese, o quel suo vocabolario incomprensibile.
« Ehi, sei muto o solo un cacchio di Pive timido?»
« Chi cazzo sei, si può sapere?!», sputò finalmente fuori il moro, accorgendosi solo successivamente di aver usato un tono di voce un po' troppo alto e quasi isterico. In realtà era nervoso, tremendamente nervoso, e quel grido avrebbe voluto riversarlo al proprio cervello, perché continuava a tartassarlo di domande.
Il biondo parve stupirsi leggermente e fece un piccolo passo indietro, uscendo così dal cespuglio e facendosi completamente vedere; Thomas notò che indossava un paio di pantaloni aderenti di colore nero, accompagnati da una camicia a quadri e una felpa grigia che aveva l'aria di essere piuttosto pesante. « Sono un salice piangente, faccia di caspio», dopodiché roteò gli occhi e sollevò il braccio sinistro, mettendo in mostra una scatola contenente una decina o poco più di piccole bottiglie di latte. « Com'è che lo chiamate voi Pive da queste parti? Addetto al latte? Consegna latte a domicilio? Cacchio, sembra che il nuovo arrivato sia tu, hai una stramaladetta faccia da Fagio smarrito nel bosco.»
Thomas ebbe ancora l'irrefrenabile impulso di vomitare dal groviglio di emozioni che gli stava lacerando le interiora; cercò comunque di non scomporsi troppo, dato che aveva già fatto un numero sufficiente di figuracce. Non solo si presentava in pigiama, ma aveva sbraiatato anche in faccia ad un povero ragazzo che stava solo facendo il proprio lavoro. E non riusciva nemmeno a capire se dovesse offendersi per quei vocaboli che gli stava dedicando il nuovo arrivato, come ''faccia di caspio'', ''Pive'' o ''Fagio''.
«Uhm», tentò pateticamente di darsi un contegno, schiarendosi la voce. « E perché ti sei nascosto dietro il cespuglio?»
«Il tuo cacchio di cespuglio ha trovato simpatico appendersi alla mia felpa e quindi ci ho messo una vita a staccarmi.»
Thomas si grattò la testa, assumendo un'espressione assorta; adesso che ci pensava, non aveva fatto caso all'assenza dell'addetto alla consegna del latte in quei giorni perché per tutta la stagione estiva non passava nessuno, dal momento che la maggior parte del quartiere era in vacanza. Però ricordava che solitamente era il signor Wilson ad occuparsi del suo quartiere e... 
Oh, giusto. Il signor Wilson si era rotto una gamba due settimane prima.
« Sei nuovo?», chiese ancora, puntando gli occhi sul biondo che parve perplesso di fronte a quell'improvvisa domanda. « Sì, per–»
«E perché hanno scelto proprio te per sostituire l'addetto precedente?»
«Beh, a quanto pare sono molto più responsabile della maggior parte dei Pive che vivono da queste parti.»
«Sì, ma sei nuovo, come hai fatto a–»
«Senti faccia di caspio, hai rotto», lo interruppe l'altro senza troppe cerimonie, sbuffando con il naso. Poi spostò lo sguardo sul proprio orologio da polso e scosse la testa tra sé e sé. «Chiudi quella stramaledetta fogna, mi hai fatto perdere troppo tempo. Prendi questa cacchio di bottiglia e zitto». Thomas avrebbe voluto arrabbiarsi con tutto se stesso perché di certo non desiderava essere trattato in quel modo, ma il fatto che il giovane avesse cambiato posizione, piegandosi per posare la scatola sui gradini dell'ingresso, aveva catturato completamente la sua attenzione, quasi, proprio come prima si era stupito di averlo udito parlare, fosse sbalordito di aver visto quel ragazzo così troppo muoversi.
Nel frattempo il biondo tirò fuori una bottiglia e la porse all'altro, senza però guardarlo in faccia, forse perché la sua compagnia lo aveva irritato particolarmente, o forse per qualche altra strana ragione; Thomas si affrettò ad afferrare il contenitore di vetro e provò l'improvviso ed inspiegabile desiderio di stringere il braccio di quel ragazzo così particolare. «E cosa fai se qualcuno non è in casa? Torni più tardi?»
Si sentì in imbarazzo non appena vide l'altro roteare le iridi, evidentemente scocciato dall'ennesima domanda; temette che lo avrebbe ignorato, ma, fortunatamente, il giovane dagli occhi dipinti dalla notte ebbe la decenza di dargli un'ultima risposta: «Guarda che non mi metterò certo a rompere le stramaledette grazie ogni mattina suonando il campanello. Lo farò solo in questi giorni perché devo farmi conoscere, non voglio che qualche scemo pensi che io sia un cacchio di ladro o chissà cosa.»
Il moro si accorse che quella spiegazione lo aveva fatto sentire più triste del dovuto; decisamente troppo triste, poiché aprì bocca istintivamente, senza neanche pensare all'ambiguità della propria richiesta: «Beh, qui noi ci siamo sempre, quindi potrai suonare ogni giorno». Quando però l'altro, risollevando la scatola, gli lanciò un'occhiata decisamente perplessa, Thomas iniziò a balbettare e sperò di salvarsi dall'ennesima figuraccia: «C-Cioè, volevo dire che magari se lasci la bottiglia qui è un casino, non vorrei che qualche stronzo passasse e la rompesse.»
L'addetto alle consegne del latte continuò a guardarlo con aria stranita; dopodiché scosse nuovamente la nuca tra sé e sé con un leggero sorriso, come se ormai avesse catalogato ufficialmente Thomas nella sezione ''strambi del quartiere'', e si voltò, pronto a passare alla casa successiva. «Come ti pare, Fagio, ricordati solo di non buttare la bottiglia e di lasciarla davanti alla porta domattina.»
«Lo terrò a mente.»
«Bene così», concluse il biondo, lasciando definitivamente solo Thomas che si fiondò dentro, sbattendo rumorosamente la porta. Dunque si appoggiò alla parete e tirò un lungo, lunghissimo sospiro, notando solo in quel momento di avere il battito cardiaco inspiegabilmente accelerato, come se avesse terminato una maratona.
«Ma cos'è successo?»
L'adolescente sobbalzò e rischiò un infarto, quasi temesse di trovarsi nuovamente faccia a faccia con il ragazzo appena conosciuto; quando però si accorse che di fronte a lui vi era il suo fratellastro intento a strofinarsi l'occhio con una mano e a stringere il suo pupazzo con l'altra, tirò un altro sospiro di sollievo. «Nulla, c'era l'addetto alle consegne del latte.»
«Oh, già, quello nuovo», farfugliò Chuck, sbadigliando sonoramente. «E perché hai quella faccia sconvolta? Sembri uno che–»
«Chuck, ti prego, sta' zitto.»

 




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Solitamente detestava i pettegolezzi delle vecchie del quartiere, ma quella stessa mattina Thomas, stringendo la cartella sulle spalle, aveva fatto il possibile per tenere le orecchie tese come due antenne e captare il maggior numero di informazioni sul nuovo addetto alla consegna del latte.
Newt. Aveva scoperto il suo nome, e che abitava nella piccola villetta in fondo al quartiere, quella che da tempo era stata messa in vendita. Poi nulla che poteva interessarlo, poiché il restante dei commenti riguardava il fatto che sembrava proprio un ragazzo per bene.
E una volta giunto in classe aveva dovuto subirsi anche le chiacchiere delle uniche due ragazze della scuola che abitavano nel suo stesso quartiere, ad eccezione di Minho che invece era l'unico maschio che gli faceva compagnia. Le aveva sentite farfugliare durante tutta la prima ora, commenti come '' E' incredibilmente carino'', ''Hai sentito che accento adorabile ha?'' e bla, bla, bla...
Thomas non capiva nemmeno il motivo per cui si sentisse così tremendamente irritato. Era addirittura peggio di quando si era preso una cotta per Teresa in seconda media, ingelosendosi di ogni essere vivente con cui veniva a contatto.
Fortunatamente alla fine le prime tre ore passarono, in un modo o nell'altro, e, tirando fuori la sua solita bevanda energetica per l'intervallo, venne raggiunto da Minho. «Ma hai sentito quelle due? Tutto il tempo a cianciare del nuovo tipo.»
Thomas deglutì rumorosamente; da una parte era felice di poter parlare di Newt, ma dall'altra temeva che dalle sue espressioni del volto emergesse più del dovuto. «Chi?»
«Brad Pitt. Ma di chi cazzo sto parlando secondo te? Lo stramboide che consegna il latte!»
«Oh, Newt», mormorò il compagno, tentando con tutto se stesso di mostrarsi disinteressato all'argomento. «Lo hai conosciuto?»
«Conosciuto?!», fece eco l'asiatico, iniziando a scartare il proprio panino alla mortadella prima di addentarne un morso enorme. «Amico, ci ho litigato! Quello ha iniziato a rompere perché sono andato ad aprirgli con solo i boxer addosso!»
Thomas in tutta risposta quasi si strozzò con la propria bevanda; scoppiò in un attacco violento di tosse a cui Minho cercò di porre fine con qualche pacca sulla schiena, proseguendo nel frattempo con il racconto. «Siamo rimasti a litigare per non so quanto tempo. Mi ha dato della testa di caspio e io mi sono incazzato. Ci ha sentiti pure la signora Brown che prima è uscita dalla finestra sbraiatando, dopo secondo te a chi ha dato ragione? A Newt, ovviamente, quello stronzo che ha tirato fuori il suo sorriso da Madre Teresa di Calcutta!»
Thomas assunse una smorfia perplessa; da una parte era divertito da quella storia, dall'altra l'idea di Minho che si mostrava in intimo a Newt gli faceva venire i brividi. «Beh, ma tu non avresti dovuto incazzarti.»
«Ah, no?!», sbottò l'asiatico, sputacchiando qualche briciola di pane masticata sul volto del compagno che se le scostò immediatamente dalla guancia, disgustato. «Mi ha praticamente dato della testa di cazzo!»
«Come fai a sapere che testa di caspio equivale a testa di cazzo?»
Minho sembrò calmarsi leggermente a quella domanda, dal momento che si sedette sul proprio banco e si lasciò sfuggire un grugnito irritato prima di riprendere la parola. «Se sploff significa ''merda'', caspio vorrà dire per forza di cose ''cazzo''»
«Sploff?», ripeté l'amico, sbattendo ripetutamente le palpebre con aria stralunata. Nonostante quei termini così particolari non sembravano essere esattamente dei complimenti, quasi gli dispiaceva che Minho fosse a conoscenza di un vocabolo in più rispetto a lui.
«Ah, vedi, lo ha usato solo con me. Grandioso.»
«Chissà perché». I due adolescenti si voltarono di scatto e notarono la presenza di una ragazza dai lunghi capelli scuri e un paio di occhi azzurri, con un sorrisetto sghembo e ironico dipinto sul volto. «Chissà perché certe parole escono fuori solo con te, eh Minho?»
«Buongiorno anche a te, Teresa», risposte con il suo solito sarcasmo Minho, ghignando.

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*Note di Ev'*
Devo ammettere di essere decisamente in imbarazzo, perché ho tante, tantissime cose da dire, ahimè. E quando mai.
In questo periodo sto sfornando meno storie, lo so. Le idee  sono sempre presenti, ancorate lì al cervello, ma mi mancano tante altre cose. Forse da una parte è meglio così; questo periodo è incasinato, moolto incasinato. Non è esattamente uno schifo, sto tentando di riaggiustarmi, diciamo, però la strada è ancora lunga.
Essendo quindi un periodo decisamente dinamico, fatico a buttar giù qualcosa. Tra l'altro ho anche ripreso a ruolare, e anche questo, purtroppo, mi sta prendendo troppo tempo, uh.
Questa è la mia seconda storia nel fandom; mi sto appassionando sempre di più a ''The Maze Runner'', mi sto divorando tutti i libri, e non vedo l'ora di acquistare il dvd. E shippo la Newtmas fino alla morte, aiuto.
Proprio perché non ho ancora terminato i libri (Nonostante io mi sia fatta i peggiori spoiler, anche le tragiche morti, sì), non voglio ancora scrivere qualcosa di inerente al mondo del libro. Ho già qualche idea, ma, ripeto, preferisco terminare la saga. Siccome però questi cari fanciulli li amo troppo, mi sono buttata sul genere AU. E, tra parentesi, mi spiace assai di non aver ancora aggiornato l'altra storia, ma, essendo quella decisamente più leggera e comica, preferirei essere dell'umore giusto.

Beh, nulla, qualche giorno fa mi è venuta questa idea geniale -O almeno, per me lo è. 
Mi sono immaginata un Newt in versione addetto alla consegna del latte. Mi sono illuminata all'istante e ho voluto buttarmi immediatamente nella storia; inizialmente doveva essere piuttosto breve e leggera, ma... Beh, è uscita talmente lunga che ho dovuto spaccarla in due parti. (La seconda è già scritta, perciò 'sta volta non dovrete attendere molto)
E, soprattutto, non sono riuscita a non infilare un po' di malinconia, ma questo lo vedrete nel capitolo successivo.
Niente, sono piuttosto soddisfatta, quindi, se avete letto la storia, vi prego di lasciare una recensione, mi farebbe enormemente piacere.

See ya'!
E.P.R.

   
 
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