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Autore: SynysterIsTheWay    20/01/2015    14 recensioni
America indietreggiò di scatto mentre vide il ragazzo serrare la mascella.
In quel momento ebbe l'istinto di allontanarsi il più possibile. Aveva paura che quel ragazzo tanto bello
quanto dannato potesse farle del male.
-Devi andare via da qui o qualcuno potrebbe pensare di farti del male.- Continuò il ragazzo mentre lei
non fece altro che pensare allo spavento che continuava a formarsi dentro di sé.
Egli provò a toccarle un polso per fermarla ma lei trasalì.
-No! Non toccarmi!- Urlò America indietreggiando sempre di più con le lacrime agli occhi per lo spavento.
-Aspetta, non voglio farti del male!-
-Aiuto! Aiuto!-
-Shh, sta zitta o ti sentiranno.- Continuò il ragazzo catapultandosi verso di lei ma indietreggiando l'attimo dopo, ricordandosi
di non poterla toccare.
America osservò il comportamento del ragazzo ed inarcò un sopracciglio.
I loro occhi si scontrarono.
La bionda non aveva mai visto degli occhi più belli di quelli in tutta la sua vita.
Brian invece, si sentì scosso dopo aver scrutato con attenzione gli occhi della ragazza.
Decise di lasciarla andare.
Lei chiuse gli occhi spaventata e quando li riaprì, il ragazzo era ormai sparito.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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"Preciso che i fatti e personaggi sono completamente inventati da me e tutto questo non ha niente
a che fare con i veri personaggi famosi a cui si ispira questa ff".
Questa storia è per tutti coloro che hanno un vuoto nel petto, una mancanza.
Per tutti coloro a cui gli è stato strappato via qualcosa o qualcuno.









 

1°Prologo - She's ripping wings off the angel.











Aveva appena finito di piovere e le strade di
Huntington Beach erano tutte bagnate.
Quella sera la città era deserta.
Non si sentivano pianti di bambini infelici, i rumori dei passi
delle persone che camminavano svelte per le strade o il suono allegro degli
artisti di strada che sembravano portare un po' più allegria.
I negozi erano chiusi. Erano le undici passate e l'unico suono che si poteva
sentire era quello del mare che si frantumava contro gli scogli.
Era proprio una bella città, Huntington Beach.
Il mare, la spiaggia e le sue persone accattivanti. 
L'unica cosa che era cambiata era la notte. I quartieri malfamati
iniziavano a farsi sentire mentre le madri chiamavano i loro figli
per farli rientrare prima che si facesse buio.
D'altra parte, c'era qualcuno che stava facendo a lotta con i suoi mostri interiori ma che al tempo stesso
si stava distruggendo.
Tutti si distruggevano nella Black Rose.
La Rosa Nera era il vicolo più malfamato, distruttivo e raccapricciante di tutta la California.
Aveva con sé pochissimi palazzi che si distinguevano da quelli della città per il loro colore
tenebroso e le loro mura tutte spoglie e frantumate.
Da quelle parti non tirava mai una buona aria.
Ne facevano parte tanti nuclei familiari, uno più sfasciato dell'altro.
Non c'era vita lì. 
Si viveva per morire.
Era il quartiere più trafficato e pericoloso che esistesse.
Vi erano persone che neanche ci entravano nella Black Rose per paura di essere coinvolti in risse,
spacci di droghe pesanti o addirittura subire abusi sessuali.
Perché in quel luogo non ci vivevano persone dalla vita facile. 
Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa per metterti in pericolo e spaventarti a dovere.
Convincerti a non farti vedere mai più in un posto del genere.
E le persone della città si tenevano da sempre alla larga da quel vicolo costringendo anche i loro
figli a passeggiare ovunque tranne che lì.
Nella Black Rose nessuno sapeva che cosa significasse avere una vera famiglia. Ne facevano parte soprattutto
dei ragazzini scapestrati, ribelli e con poca voglia di vivere ma la pazienza di farsi del male.
Bambini che a volte venivano uccisi e dimenticati in una fossa.
Al centro del quartiere vi era una piazzetta.
Una piazzetta in cui nessun genitore avrebbe mai portato a giocare i propri figli.
Lì vi erano le prostitute che battevano sulla strada, i cocainomani e coloro che si guadagnavano da vivere
partecipando ad inutili risse.
La Black Rose non dormiva mai.
Ma quella notte era diversa da tutte le altre.
Quella notte, quattro ragazzi dall'aria misteriosa erano appena usciti
da uno di quei soliti locali notturni che si trovavano in città.
Erano ubriachi fradici e stavano cantando canzoncine a caso, come ai vecchi tempi.
Ora erano cresciuti.
Erano diventati dei ragazzi abbastanza maturi e sapevano bene cosa volevano dalla vita.
Volevano dimenticare.
Volevano dimostrare al mondo la loro forza, ma alla fine mostravano comunque di avere una
certa sensibilità.
A loro piaceva farsi del male. Lo facevano da un paio di anni ormai e stava loro bene.
Sul lato della strada nei pressi di casa Seward, vi era un'autovettura che si muoveva di continuo.
Balzava in su e in giù.
-Cazzo tesoro, hai delle mani d'oro, io l'ho sempre detto.- Mormorò Morrigan, mettendosi poi a sedere sul sedile
posteriore della sua auto.
Accanto a lei, un giovane ragazzo dall'aria ribelle ed i capelli sparati in aria si accese una sigaretta, allacciandosi
la cintura dei pantaloni sporchi e grezzi.
Il ragazzo non rispose alla quarantenne dai capelli biondi alla Nancy Spungen e continuò a fumare la sua Marlboro
specchiandosi dallo specchietto retrovisore.
Morrigan era colei che considerava da sempre una donna apprensiva, truccata da far schifo con
la sua adorazione per i modelli punk - rock degli anni sessanta.
Ma lei era una prostituta e gli della Black Rose impazzivano per lei.
-Spero che riuscirai a ritrovare la tua strada.- Continuò la donna, accendendosi anche lei una sigaretta
che sapeva più di erba che di nicotina.
Brian non rispose alle parole di Morrigan neanche questa volta.
Era immerso nei suoi pensieri ed aveva del sudore che gli gocciolava dalla fronte.
Lo aveva rifatto. Aveva avuto l'ennesimo rapporto con Morrigan dopo essersi ripromesso di non toccarla
più neanche con un dito.
E lui sapeva che l'unico modo per ringraziare quella donna così impertinente e vagabonda per tutti i consigli
e la bontà espressa era farla sua.
Ma Brian ricominciò presto ad odiarsi.
Scese dall'auto della donna con frustrazione senza neanche salutarla. Morrigan non disse nulla.
Lo conosceva bene il suo bel ragazzo.
Brian aspirò del fumo dalla sua Marlboro e ne gettò poi la cicca ai suoi stessi piedi.
Calpestò la sigaretta ed emise un sospiro profondo.
Non si riusciva a sentire neanche questa volta. L'unica cosa che riusciva ad udire erano i trambusti
e le preghiere continue dei suoi migliori amici che non la smettevano mai di parlare di lui.
E ciò gli fece male, quando li vide seduti sul solito muretto della Black Rose.
Quello era il loro territorio. Un muretto grigio distrutto e ricoperto di enormi scritte.
Scritte che gli appartenevano.
La luna illuminava il muretto sgretolato e distrutto mentre i quattro ragazzi decisero di salirvici sopra come facevano da sempre.
Brian rimase immobile ad osservarli.
Aveva perso tutto ed ora se ne stava mangiando le mani.
Matt, il ragazzo dagli occhi verdi e dai mille tatuaggi come i suoi coetanei, aiutò
Johnny a distendersi sul muretto mentre gli altri osservavano la scena senza muoversi.
Erano davvero distrutti.
-La Black Rose resterà sempre la stessa.- Constatò Zacky, sputando in aria del fumo e sedendosi accanto a quello
spilungone di James.
-Una merda di quartiere schifato e dimenticato da tutti? Già.- Borbottò poi Johnny.
-Una merda di posto con belle donne e tette enormi a gogò!- Esclamò poi Jimmy, facendo scoppiare a ridere
tutti.
-Come ci siamo finiti qui? Neanche me lo ricordo.- Pensò poi Matt ad alta voce.
-Eravamo troppo piccoli, Matt.- Disse Zacky.
Tutti li vedevano come dei delinquenti, tutti a scuola avevano paura di loro.
Li vedevano così tatuati, così in lotta contro il mondo, senza futuro.
Per la società erano come degli scarti.
E lo erano per davvero.
Nessuno aveva mai provato a capirli, nessuno aveva fatto un tuffo nel passato con loro per capire
le loro vite.
Erano da soli ma erano insieme.
L'atmosfera divenne più rigida quando un venticello fresco iniziò a scompigliare loro i capelli.
Si rivolsero tutti degli sguardi e pensavano a quante ne avevano passate insieme.
E a quanto dolore continuavano a portarsi dietro dopo tutto ciò che li segnò un anno prima.
Dopotutto...avevano avuto tutti un'infanzia difficile.
Jimmy viveva nella lavanderia del quartiere grazie all'ospitalità della signora Venus. Sua madre
aveva solo quindici anni quando lo mise al mondo e suo padre la abbandonò alla sua triste sorte.
Affranta dal dolore e con la certezza di non avere nessuno accanto a sé dopo essere stata cacciata di casa decise di annegarlo ma venne 
prontamente fermata da chi aveva avuto occasione di osservare tutto.
La signora Venus apparteneva al vicolo così come ne apparteneva la madre di Jimmy.
Zacky era stato adottato da una famiglia di imprenditori poi falliti che lo utilizzavano per i loro porci comodi.
I suoi veri genitori finirono in carcere accusati di aver abusato di alcuni minori.
Matt era stato segnato dal tenore di vita che svolgeva il padre e dal lavoro che faceva. L'uomo era un sicario e lui
 lo aveva visto uccidere fin troppe persone.
Johnny aveva seri problemi d'alcolismo in seguito alla decisione del padre di risposarsi con una donna ricca
che lo lasciò col nulla.
Brian infine viveva con suo padre dopo che la madre era morta partorendolo.
Il padre era un uomo conosciuto in tutto il quartiere per il modo in cui aveva sempre picchiato il figlio.
-Dite che un giorno ce ne andremo da qui?- Domandò improvvisamente Johnny, irrompendo ogni pensiero.
-Chi nasce alla Black Rose, muore alla Black Rose.- Disse Jimmy con acidità.
Brian annuì alle parole dell'amico senza riuscire a guardarlo negli occhi. 
Proprio non ce la faceva dopo quanto era accaduto.
Così, si limitò ad ascoltare le parole dei suoi ormai vecchi migliori amici e guardarli
mentre continuavano a farsi del male.
Matt bevve un altro sorso di birra per poi passarla a Zacky.
Erano ridotti proprio ad uno straccio.
Jimmy ed i ragazzi iniziarono ben presto a guardarsi intorno. Si rivolsero degli sguardi
complici per poi ricominciare a bere.
Avevano appena dimenticato un particolare.
C'era qualcosa che mancava e dopo aver finito le loro birre, se ne ricordarono.





















***












Dall'altra parte della città però, le cose non funzionavano poi così male.
Era finalmente giunto il mattino ed il sole premeva con i suoi raggi sulle fessure delle
finestre di tutte le case adiacenti al mare.
In una di quelle piccole ed umili case, una ragazza stava facendo colazione con i suoi toast e 
allo stesso tempo stava sfogliando un giornalino colmo di opere d'arte di grande prestigio.
-America, sbrigati a fare colazione o farai tardi a scuola!- Le disse sua madre prendendo la sua valigetta
argentata per correre al lavoro.
-Sto facendo più in fretta che posso, mamma!- Ribatté la ragazza dai lunghi capelli biondi, chiudendo
il giornalino ed alzandosi dal tavolo bevendo l'ultimo goccio di tè caldo.
-Accompagno tuo fratello a scuola, ti servono i soldi per il pranzo?- Le domandò ancora la donna con quel
suo tailleur nero ed i capelli biondi legati in una coda di cavallo.
Brandon, il fratellino minore di America, diede un bacio sulla guancia di sua sorella e si fece coccolare
un po' prima di andare.
-No mamma, tranquilla. Li ho.- Continuò la ragazza, tenendo suo fratello di soli otto anni tra le braccia -E tu fai il bravo
ometto, ti raccomando.- 
Il bambino annuì alle parole della sorella per poi uscire dall'abitazione con la madre.
I genitori di America lavoravano per una corporazione e gestivano entrambi la parte amministrativa
della loro azienda.
Dopo essersi specchiata per un po', decise di spruzzarsi del buon profumo ed uscire di casa prima che potesse
arrivare in ritardo per la prima ora di lezione.
Con la sua borsa scolastica dei Pantera e la maglietta dei Metallica uscì di casa pimpante, dirigendosi poi verso
l'istituto scolastico da lei frequentato.
La Vengeance High School era da sempre il suo punto debole.
Ad America piaceva molto studiare, peccato che non era riuscita a farsi gli amici di cui aveva bisogno in questi anni.
Ed ora, era finalmente arrivata all'ultimo anno con la sua media pazzesca ed il suo odio incomparabile
verso tutto ciò che riguardasse le cheerleader.
America aveva da sempre cercato di farsi qualche amica ma non ci era mai riuscita. Sarà perché le persone
preferivano sfruttarla per la sua bontà o perché facilmente si dimenticavano di lei.
Sì insomma, lei non aveva nulla di così tanto speciale per piacere alle persone.
Era una ragazza esile, molto spontanea, timida, impacciata e dolce. La classica ragazza che non si filava
nessuno in poche parole.
Tutti i ragazzi più carini dell'istituto preferivano di gran lunga le ragazze con una certa esperienza sessuale
che sembravano essere uscite dalle copertine delle riviste di Playboy.
America invece non era nulla di tutto quello. Era solo una ragazza semplice, coraggiosa, determinata e con la grande
passione per la musica e l'arte.
Si vestiva per esprimere sé stessa, non per attirare l'attenzione. Non indossava mai gonne perché si vergognava addirittura
di far vedere le gambe.
Aveva capito da subito che se voleva sopravvivere in quell'ambiente sarebbe stato meglio passare inosservati
anziché essere la facile preda di tutti quei ragazzini con gli ormoni a mille.
Arrivata dinanzi alla V, si guardò intorno scrutando i volti e gli sguardi di tutti gli studenti che la circondavano.
Da un lato si ritrovò il gruppetto delle cheerleader che continuavano ad urlare sguaiatamente, dall'altro i nerd
che studiavano in comitiva e i fighi della squadra di football per poi arrivare infine alle persone che aveva temuto da sempre.
Gli Avenged Sevenfold.
Si facevano chiamare così quei ragazzi di cui aveva tanto sentito parlare.
America restò immobile dinanzi alla porta dell'istituto attendendo il suono della campanella mentre osservava
quei quattro ragazzi fumare e scherzare tra di loro.
Lei sapeva chi erano loro ma per fortuna...loro non sapevano chi era lei.
Sotto un certo punto di vista, America era felice di non esser conosciuta così tanto nell'ambiente scolastico
anche perché aveva sentito parlare di quei quattro anche negli anni precedenti.
Le voci giravano in fretta in quel liceo e lei era sempre più convinta del fatto che fossero delle persone
da cui restare lontani.
Anche solo sapere che venivano dalla Black Rose le faceva gelare il sangue nelle vene.
Tutti nell'istituto scolastico parlavano di quei quattro etichettandoli come persone cattive, aggressive, presuntuose e fuori di testa.
Altri erano anche convinti del fatto che si drogassero da una vita.
E tutto ciò ad America faceva paura.
Lei veniva da un'ambiente così diverso da quello di quei quattro ragazzi che si faceva spaventare facilmente da quelle
voci che non sembravano essere dei semplici pettegolezzi.
America sussultò di colpo nel vedere quegli occhi così vuoti dei ragazzi che si voltò di scatto verso la porta d'entrata
del liceo e ringraziò il Signore nel momento in cui suonò la campanella scolastica.
Dopo le varie ore di lezione, arrivò finalmente la pausa pranzo.
America si sedette da sola al suo solito tavolo in fondo alla sala con il suo piatto non troppo pieno di cibo.
Dopo aver assistito a dei continui scherzi tra liceali, il capitano di football Jasper Nelson, si avvicinò per
la prima volta al suo tavolo.
La ragazza si sentì imbarazzata al contrario di qualche altra ragazza che ne sarebbe stata felicissima.
-Ciao, tu sei America Mcklain, vero?- Le domandò Jasper con i suoi capelli biondi ed il suo sorriso mozzafiato.
-S-sì. Sono io.- Rispose la ragazza, quasi balbettando.
-Posso sedermi?- Le domandò ancora il giocatore, indicando la sedia vuota appartenente al suo tavolo, proprio dinanzi a lei.
-Oh, ma certo.- 
Jasper si sedette dinanzi agli occhi della bionda e le sorrise restando sotto agli occhi di tutti gli studenti della scuola.
C'erano ragazze che stavano fissando la scena desiderando di essere al posto di America a tutti i costi ed altre che si permettevano
di infangarla senza neanche conoscerla.
-Penso che tu sappia bene chi sono io...ma in caso contrario...-
-No, aspetta.-
-Cosa?-
-Se sei venuto qui per mettermi in ridicolo sappi che puoi anche tornartene dalla tua banda di deficienti appartenenti
alla squadra di football.- Ribatté prontamente America, mettendolo in guardia.
Le puzzava troppo il fatto che Jasper si fosse accorto di lei.
-Assolutamente no, America Mcklain. Sono venuto qui a sedermi con te perché ti osservo da molto tempo e 
vederti qui tutta sola mi è sempre dispiaciuto.-
-Non ho bisogno di compassione, Jasper.-
-Hai ragione. Solo che...mi costa molto ammettere che ti ho messo gli occhi addosso molte volte.-
La bionda iniziò ad arrossire.
Finalmente qualcuno l'aveva notata.
Ma quel qualcuno...una ragazza già ce l'aveva.
-Che ne dici di uscire insieme stasera? Vorrei conoscerti meglio.-
-Ma tu non ce l'hai già una fidanzata, scusa?-
-Abbiamo rotto ieri sera.-
-Non ti credevo così superficiale.-
-Ehi, capiscimi. Da quando ti ho vista non ho fatto altro che pensare a te.-
America si sentì così profondamente a disagio da desiderare di sprofondare. Tutti gli occhi erano su di loro
e lei si sentì avvampare.
-Ci penserò.- Rispose al ragazzo che le scrisse il numero di telefono sul tavolo con una matita.
-Chiamami.- Disse Jasper, alzandosi dalla sedia e tornando al suo tavolo.
America non lo avrebbe mai chiamato. Era troppo timida ed impacciata per uscire con il capitano
della squadra di football ed aveva paura che si sarebbe scocciato in fretta di lei. Che l'avrebbe scaricata il giorno
dopo con qualche scusa.
E lei non voleva questo. Lei voleva qualcuno che la amasse per davvero.
E voleva soprattutto che quei quattro smettessero di guardarla da lontano il prima possibile.
Dopo la pausa pranzo, America finì le ultime due ore di lezione e si avviò verso il suo armadietto
per posare i libri che non le servivano.
Immersa nei suoi pensieri non si era accorta del fatto che due cheerleader la stavano osservando.
-Ehi, America, giusto?- Le domandò Christie, la capo squadra.
-Sì.- Rispose la bionda con imbarazzo.
-Che ne dici Christie? A me sembra perfetta!- Esclamò poi l'amica della capo squadra, indicando America.
-Anche a me. Sei nuova?-
-Io...no.-
-Bene...senti tesoro, vogliamo offrirti l'occasione della tua vita oggi e quindi guai a te se ci snobbi con un "no" secco.-
La ragazza inarcò un sopracciglio. 
Che cosa potevano volere quelle due ochette da una come lei?
La situazione stava degenerando.
-Vi ascolto.-
-Ti vogliamo nella nostra squadra. Hai un  fisico mozzafiato e saresti perfetta...allora, che ne dici?-
America pensò che quella sarebbe stata un'ottima occasione per stringere amicizia con qualcuno e lasciare
il segno in quest'ultimo anno alla V.
Ma era davvero ciò che voleva? Forse, le ochette non erano poi così male come credeva.
-Beh...io...-
-Lo prendo come un sì.- Continuò Christie senza farla finire di parlare.
-Ma veramente io...-
-Sì o no?-
-Beh, mi piacerebbe molto.-
-Sì ma dobbiamo avvertirti che entrare nella nostra squadra non è poi così tanto facile come sembra.- La avvertì
Lexus.
-Che cosa vorresti dire?- Deglutì America, respirando a fatica.
-Dovrai solo venire con noi in un luogo. E' lì che potremmo spiegarti le regole ed ammetterti totalmente
nella nostra squadra. Stai tranquilla, lo abbiamo fatto tutte prima di entrare a far parte delle cheerleader della scuola.-
-Ma che cosa dovrei fare di preciso, Christie?-
-Seguirci. Nient'altro. In quel luogo ti faremo conoscere le altre cheerleader della squadra dopodiché vorranno
conoscerti meglio. Vedrai, trascorreremo una serata indimenticabile tutte insieme.- Christie ammiccò e America
si lasciò frastornare dalle parole di quella che stava per considerare una nuova amica.
-D'accordo...ma dove dobbiamo vederci?- Domandò la bionda tenendo i libri stretti al petto.
-Qui davanti scuola per le otto. Conosci la mia auto?-
-Sì, l'ho già vista altre volte.-
-Bene, allora sii puntuale, okay? Baci.-
Lexus e Christie salutarono la bionda per poi dirigersi verso l'uscita dell'istituto.
America si sentì come scossa. Improvvisamente si erano tutti ricordati di lei e ciò le sembrava profondamente strano.
Forse quello avrebbe potuto essere un nuovo inizio.




























***













Alle otto in punto Christie, Lexus e Jill,un'altra ragazza della squadra, passarono a prendere
America dinanzi all'entrata del liceo.
La ragazza aveva deciso di indossare la felpa degli Iron Maiden e di lasciare i suoi capelli
sciolti al vento.
Entrò velocemente nell'auto con le ragazze che l'istante dopo decisero di bendarla.
-Perché dovete bendarmi?- Domandò la bionda iniziando a spaventarsi.
-E' una sorpresa. La facciamo a tutte le nuove arrivate in squadra quindi fidati di noi.- Le sussurrò
Lexus, bendandole gli occhi.
America sentiva che c'era qualcosa che non andava. Si sentì improvvisamente lo stomaco
pesante e non era certo per tutto ciò che aveva mangiato per cena.
Lei stava davvero male. Aveva una brutta sensazione, orribile.
Ed ora era in gioco e non poteva più tirarsi indietro.
Jill continuava a guidare e di tanto in tanto sentiva le ragazze parlare tra di loro e scherzare
allegramente.
Christie si lasciava scappare delle leggere risatine che però America non riusciva a decifrare.
Che cosa avrebbe dovuto aspettarsi da delle ragazze come loro?
Forse aveva sbagliato a fidarsi fin da subito.
Probabilmente avrebbe dovuto ascoltare il suo sesto senso e tornare a casa.
Si sentiva con le mani legate nonostante fossero totalmente libere.
Aveva un groppo in gola che non riusciva a deglutire.
Stava iniziando a spaventarsi sul serio.
-Okay, siamo arrivate!- Annunciò poi Christie, sorridendo alle sue amiche nonostante America non potesse
vederla.
Lexus aiutò a far scendere dall'auto America e la trascinò al marciapiede più vicino.
-Dove sono? Dove mi avete portata?- Domandò la ragazza impaurita, iniziando a tremare.
-Credevi davvero che ti avremmo fatta entrare nella squadra? Adesso sentimi bene ragazzina e non provare ad
urlare.- La minacciò Jill, dopo esser scesa anche lei dal veicolo.
-Che cosa sta succedendo qui? Dove sono?- Continuò America spaventata, indietreggiando un po'.
-Sta zitta!- Urlò Christie, non facendole più sentire la terra sotto i piedi.
-Questo è solo un piccolo avvertimento tesoro, nulla di grave credimi. Se proverai ancora ad avvicinarti a Jasper
credimi che non saremo poi così cordiali e gentili.- 
-Lexus ha ragione. Vedi America...vi abbiamo osservato oggi in mensa e ciò che abbiamo visto non ci è piaciuto per niente.
Jasper si è lasciato solo ieri con la sua ormai ex ragazza Julie ed io devo sfruttare ogni opportunità per cercare di farmi notare
da lui ad ogni costo. Questa è la mia grande occasione e non sarà di certo una ragazzina ingenua come te a soffiarmela!- Urlò
ancora Christie con fare minaccioso.
-No...a me non piace Jasper! Puoi tenertelo se è questo che vuoi!- Si giustificò ben presto la giovane, rabbrividendo di continuo.
-Sì, è proprio questo che voglio. Quindi togliti dalle scatole perché quel ragazzo non fa per te.-
-Starò lontana da lui se è quello che vuoi ma vi prego...adesso riportatemi a casa!- 
-Siamo spiacenti ma è meglio che tu sappia bene a cosa andrai incontro in caso contrario.- 
-No Lexus...non potete farmi questo...vi prego!-
-A domani...se sopravvivi, zuccherino.- Continuò Jill mentre entrarono tutte e tre in auto con velocità.
-No! Vi prego, lasciatemi andare!- Urlò di continuo America dopo che aveva ormai sentito il rumore del motore
dell'auto delle oche.
L'auto si era ormai allontanata ed America era rimasta da sola nella sua disperazione.
Con velocità riuscì a togliersi la benda dagli occhi e sbarrandoli si rese conto di essere stata trasportata
in un luogo poco affidabile.
Osservò tutte le lapidi dinanzi a sé ed iniziò ad urlare, dopo essersi sentita rinchiusa in un cimitero
da cui non riusciva ad uscire.
La ragazza ricominciò presto a tremare quando lesse su di un cartellino all'inizio della strada con su la scritta "Black Rose, cemetery."
Era il cimitero della Black Rose.
La benda le scivolò dalle mani mentre tutto ciò che avrebbe voluto fare sarebbe stato urlare e scappare via.
Ma in quel momento decise che era necessario restare calmi e riflettere sul da farsi.
Ne sarebbe uscita morta da lì e lo sapeva bene.
Avrebbe tanto voluto urlare ma non riusciva a fare neanche quello.
Il cuore le batteva all'impazzata mentre indietreggiava di continuo fino a sbattere contro qualcosa.
Era solo un albero spoglio ed era riuscito a spaventarla.
America iniziò a sospirare per poi portarsi una mano sul petto.
Provò ad avvicinarsi al cancello del cimitero per uscirne ma sapeva bene che si sarebbe
ritrovata nei loschi quartieri malfamati della Rosa Nera.
Ella provò ad avvicinarsi al cancello in ferro mentre poi, il suo sguardo di rivolse ad
una lapide che si trovava proprio accanto ad esso.
America sussultò improvvisamente.
Da dietro alla lapide sbucò il corpo di una persona che la fece spaventare di colpo.
Il suo sguardo si scontrò con quello di un ragazzo che non aveva mai visto prima d'ora.
Un ragazzo dallo sguardo serio e tenebroso che le fece battere il cuore a mille.
Che cosa ci faceva a quell'ora di notte un ragazzo in quel cimitero?
-Non dovresti essere qui...- Le disse un ragazzo, sbarrando gli occhi nel vederla così fragile ed impaurita.
America indietreggiò di scatto mentre vide il ragazzo serrare la mascella.
In quel momento ebbe l'istinto di allontanarsi il più possibile. Aveva paura che quel ragazzo tanto bello
quanto dannato potesse farle del male.
-Devi andare via da qui o qualcuno potrebbe pensare di farti del male.- Continuò il ragazzo mentre lei
non fece altro che pensare allo spavento che continuava a formarsi dentro di sé.
Egli provò a toccarle un polso per fermarla ma lei trasalì.
-No! Non toccarmi!- Urlò America indietreggiando sempre di più con le lacrime agli occhi per lo spavento.
-Aspetta, non voglio farti del male!-
-Aiuto! Aiuto!-
-Shh, sta zitta o ti sentiranno.-
Continuò il ragazzo catapultandosi verso di lei ma indietreggiando l'attimo dopo, ricordandosi
di non poterla toccare.
America osservò il comportamento del ragazzo ed inarcò un sopracciglio.
I loro occhi si scontrarono.
La bionda non aveva mai visto degli occhi più belli di quelli in tutta la sua vita.
Brian invece, si sentì scosso dopo aver scrutato con attenzione gli occhi della ragazza.
Decise di lasciarla andare.
Lei chiuse gli occhi spaventata e quando li riaprì, il ragazzo era ormai sparito.
America si guardò intorno con la paura che quel ragazzo potesse sbucarle dinanzi agli occhi
da un momento all'altro.
La ragazza scappò via dal cimitero continuando a tremare ma riuscendo a trovare la via d'uscita
da quel vicolo.
Brian respirò profondamente, sedendosi su di un marciapiede con una sigaretta tra le labbra.
Aveva deciso di lasciarla scappare perché ciò che aveva provato anche solo nel sfiorarla aveva avuto la meglio
sulle sue aspettative.
Brian aveva sentito qualcosa.
Lei lo aveva visto.

Per la prima volta, il suo cuore aveva ricominciato a battere.








































NOTE DELL'AUTRICE.
I'M COME BACK, BITCHES!
Ma guardate un po' qui chi è tornato!
Sì, sono proprio io, la vostra Gates!
Insomma, pensavate di esservi liberati di me? Mi dispiace deludere
gli HATERS ma sono appena tornata con una nuova fanfiction e questa la finisco.
Lasciate che vi spieghi un po' che cosa mi è accaduto negli ultimi mesi...
Da dove posso iniziare? Beh, sì, direi proprio dal principio.
Molti di voi, avrebbero voluto prendermi a sprangate dato che non è più continuato
Plastic Woman. 
La verità è che non ho scelto io di non continuarla, ma Satana si è messo contro
di me (insieme a tutti gli haters a cui mando come sempre mille mila baci) e ha voluto che
la pen-drive su cui avevo tutte le ff salvate...beh...si danneggiasse.
Proprio così.
Il mio mondo stava per smettere di esistere nel momento in cui mi sono quasi fatta venire
un infarto perché avevo persino finito di scrivere Plastic Woman.
E quella fanficition era lì insieme ad un'altra che avevo intenzione di pubblicare.
Quindi no, non è stata una mia scelta non aggiornare più la storia. Sono stata costretta a farlo.
In molti mi hanno chiesto di provare a riscriverla da dove l'avevo lasciata con gli aggiornamenti...
ed io ci ho provato e ne è uscito un qualcosa di assurdo.
Sembrava essere così perfetta quando l'ho finita che non sono stata capace di lasciarmi più travolgere
dalle situazioni e provare a continuarla.
Qualsiasi emozione provassi non era come la prima. 
Inoltre, provare a riscriverla è stato demoralizzante. Ho avuto un piccolo blocco, chiamato "blocco
dello scrittore" che non mi ha più dato la possibilità di continuare.
Sinceramente, avevo persino intenzione di non scrivere più nulla. 
Ci ero rimasta davvero malissimo per ciò che mi era accaduto, mi sono sentita il mondo crollarmi
sulle spalle e non avevo più voglia di fare nulla ma...la piccola Saya ha cercato in tutti i modi
di farmi ricredere.
Pian piano ho cercato di ricominciare a scrivere. Frasi alla volta sono riuscita a scrivere
questo prologo e a lavorare su questa nuova storia.
Ci ho messo davvero tanto cuore in questa fanfiction e non lo dico per dire.
Lo dico perché è così.
Perché è stata la mia rinascita dopo un periodo buio da cui dovevo assolutamente uscire.
Ed ora sono di nuovo qui.
Pronta a rompervi con le mie storie. Spero tantissimo che siate felici di questo mio ritorno dopo
una bella pausa.
Ecco, sono appena tornata e già ricomincio ad annoiarvi con tutte le cose che vi sto scrivendo
ma la verità è che mi siete mancati tantissimo.
Ho notato che molti di voi non mi hanno mai abbandonata. Eravate sempre lì, pronti a scrivermi su Twitter
e a chiedermi come stavo. Chiedermi se avrei scritto qualcosa di nuovo. Menzionarmi perché dite che le
mie storie continuano a farvi piangere e i vostri istinti omicidi nei miei confronti non falliscono mai.
E' davvero bello sapere che ciò che scrivi...viene apprezzato.
Ed io vi ringrazio per esserci sempre stati. 
Come ringrazio Saya che ritorna a lavorare insieme a me. Davvero, una beta migliore
non potevo chiederla.
Questo prologo spero vi sia piaciuto. E' un po' misterioso ma spero che decidiate di mettere
la storia nei preferiti e continuare a leggere il seguito.
Ho in serbo delle situazioni mozzafiato per questa fanfiction. Ci ho messo davvero ANIMA e CUORE,
quindi spero che deciderete di farmi compagnia anche in questa nuova avventura.
Vi ricordo che se volete scrivermi, su Twitter, sono @GatesIsTheWay.
Se il prologo vi è piaciuto, attendo con ansia le vostre recensioni! Sono curiosissima di sapere
che cosa ne pensate di questo inizio!
Adesso la smetto di darvi fastidio e me ne torno nel mio antro. 
Al prossimo capitolo cupcakes, se volete!
P.S Prima di pensare che questa ff possa essere uguale alle altre, leggete il resto, pls.
















-SynysterIsTheWay.
   
 
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