Buongiorno!
:)
Volevo rapidamente ringraziare chi ha letto il primo capitolo e
stritolare in
un abbraccio virtuale chi ha messo questa storia tra le ricordate, le
seguite e
le preferite. Troppo buoni, veramente!
E poi volevo spiegare una cosuccia che l’altra volta mi sono
dimenticata di
dirvi… Forse qualcuno l’avrà
già notato, ma per chi se lo fosse perso voglio
precisare che i titoli dei capitoli saranno più o meno
ispirati ai titoli degli
episodi della serie TV, non in ordine cronologico ovviamente e adattati
in base
agli argomenti trattati nei vari capitoli.
Credo sia tutto! Vi auguro buona lettura e mi raccomando, aspetto i
vostri
pareri! ;)
Vostra,
_Pulse_
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2. The sins of
the father
Il
suo corpo tremò violentemente, come se fosse appena
stato attraversato da una potente scossa elettrica, e la vista gli si
oscurò
del tutto prima di mostrargli chiaramente il lago di Avalon, la pioggia
battente che si schiantava sulla sua superficie increspata e da cui
saliva una
nebbia quasi impenetrabile, e la figura che vi si agitava, muovendo
freneticamente le braccia alla ricerca di un appiglio qualunque.
Avrebbe riconosciuto
quella figura in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca: Artù.
«Merlino!», urlò una voce iraconda ad un
soffio dal suo orecchio, riuscendo a
riportarlo al presente.
Il ragazzo abbassò gli occhi e si rese conto che a causa di
quella visione
aveva combinato un vero e proprio disastro: tutti i piatti, le tazze e
i
bicchieri che poco prima aveva raccolto su un vassoio ora erano
frantumati a
terra – non si era salvato nulla. Ci sarebbe voluta
un’eternità per pulire, ma
in quel momento non aveva nemmeno un secondo a disposizione.
«Mi dispiace, giuro che ripagherò
tutto», esclamò, togliendosi frettolosamente
il grembiule e lasciandolo tra le mani della padrona della caffetteria,
pasciuta ed irascibile esattamente come la cuoca reale di Camelot.
La donna lo fissò sbigottita per un paio di secondi,
abbastanza perché Merlino
saltasse i cocci di ceramica e i pezzi di vetro sparsi a terra e
corresse verso
la porta.
Quando la rabbia le fece ritrovare la voglia di gridare improperi
contro quel
ragazzo combina guai che aveva avuto la sfortuna di assumere, Merlino
stava già
pedalando a più non posso sotto la pioggia fredda.
Saltò giù dalla bicicletta e, stremato ed
infreddolito, con le tempie che gli
pulsavano dolorosamente, corse verso la sponda del lago.
Era quella la prospettiva che aveva avuto nella sua visione, eppure non
c’era
niente oltre la pioggia e la nebbia. Che con il tempo avesse
dimenticato come
distinguere le visioni del presente da quelle del futuro?
Col cuore che batteva a mille per la corsa in bici e il nervosismo, si
scostò i
capelli bagnati dalla fronte, camminando avanti e indietro nel vano
tentativo
di capire cosa stesse succedendo.
Aveva visto Artù emergere dalle acque di Avalon, risorgere
come era stato
predetto da Kilgharrah, e sentiva che era davvero accaduto, ne era
certo
com’era certo di aver vissuto mille e passa anni in attesa
del suo ritorno,
avvertendo uno straziante vuoto all’interno della propria
anima, quello che
solo la sua presenza era in grado di riempire e che ora pulsava in modo
doloroso,
ma vivo. Ciononostante, di lui non c’era
traccia.
Merlino provò ad immaginare diversi scenari in cui
Artù riusciva ad uscire
dall’acqua e si allontanava dal lago, magari alla ricerca di
un posto asciutto
in cui ripararsi e chiedere aiuto. In ogni caso, non sarebbe stato
difficile
trovarlo: non sapeva come fosse uscito dalle acque di Avalon, ma un
giovane
uomo rimasto agli usi e costumi del Medioevo avrebbe attirato
l’attenzione di
chiunque.
Deciso a fare il giro dell’isolato, nella speranza che non si
fosse allontanato
troppo e che soprattutto non si fosse cacciato in qualche guaio,
tornò dalla
bici che aveva malamente abbandonato sul ciglio della strada.
Non fece in tempo a mettere entrambi i piedi sui pedali però
che un oggetto,
lasciato sull’erba tagliata di recente accanto ad un muretto
in pietra, attirò
la sua attenzione. Solo avvicinandosi riuscì a capire di che
cosa si trattava:
un mp3 di un bel rosso vivo e con l’adesivo di una
ranocchietta incollato sul
retro. Lo riconobbe subito. Se lo infilò nella tasca del
giubbotto e senza
pensarci su due volte tornò da dov’era venuto,
pedalando con una nuova energia
che gli scorreva nelle vene.
***
Sentiva
gli occhi di suo padre bruciarle addosso, ancora.
Lo avevano fatto quando aveva fermato l’auto sul ciglio della
strada ed era
corso ad aiutarla per tirare fuori dall’acqua del lago il
misterioso ragazzo;
quando Alex si era seduta sui sedili posteriori per tenere la testa
dello
sconosciuto sulle proprie gambe e controllargli costantemente il polso;
quando
insieme l’avevano trasportato dentro casa ed entrambi, pur
non volendolo,
avevano esclamato che tutta la ferraglia che aveva addosso era davvero
pesante,
oltre che ingombrante.
Ora, inginocchiata sul letto e china sul corpo privo di conoscenza del
ragazzo,
sapeva che suo padre la stava osservando con quei suoi occhi tristi ed
apprensivi. Se solo avesse saputo quanto l’avrebbe messa a
disagio vederlo in
quello stato avrebbe davvero chiamato l’ambulanza: al diavolo
quell’assurda
situazione in cui si era trovata coinvolta, quell’assurda
armatura e anche quel
ragazzo! Non era affar suo, dopotutto, e non era lei che doveva
preoccuparsi,
bensì…
«Merlino».
Alex strabuzzò gli occhi, osservando le labbra appena
dischiuse del ragazzo.
Non poteva essere stato lui, non nelle sue condizioni. E se anche fosse
stato
lui non avrebbe potuto invocare il suo Merlino.
Oddio, era sicura che
pochissimi genitori sani di mente avrebbero dato il nome di un mago
leggendario
al proprio bambino, ma era impossibile che il Merlino che conosceva lei
conoscesse il ragazzo emerso dal lago. Come avrebbe potuto?
«Dovremmo…», provò a dire suo
padre, a bassa voce, ma Alex lo interruppe
immediatamente, brusca: «Sono una dannata infermiera, so che
cosa devo fare!».
Doveva togliergli i vestiti bagnati e tenerlo al caldo, ma con gli
occhi di suo
padre addosso non riusciva a concentrarsi: le tremavano le mani e le si
appannava la vista. O forse suo padre non c’entrava niente ed
era solo la
stanchezza che la stava per sopraffare.
Stava per dirgli di andarle a prendere delle coperte,
cosicché si allontanasse
e lei potesse pensare ad una cosa per volta, quando qualcuno
iniziò a giocare
con il pulsante del suo campanello, facendolo suonare così a
lungo e in modo
così insistente che Alex temette per un momento che la sua
testa sarebbe
esplosa.
«Chi diavolo è a quest’ora?»,
chiese, respirando nervosamente a causa di quella
maledetta armatura che non aveva alcuna intenzione di slacciarsi dalla
spalla
del ragazzo.
Suo padre andò alla porta e con un orecchio teso Alex
giurò di sentire la voce
di Merlino al piano di sotto. Si voltò di scatto verso le
scale e vide proprio
lui, bagnato come un pulcino e col fiato grosso, gli occhi sgranati che
si
posarono sul ragazzo steso sul letto e non lo abbandonarono
più.
Alex strabuzzò gli occhi e cercò quelli di suo
padre, il quale si morse
l’interno della guancia e, mortificato, chiese:
«Non dovevo aprirgli?».
La ragazza lo ignorò per concentrarsi su Merlino.
Aprì la bocca per chiedergli
perché fosse lì, se conoscesse quel misterioso
ragazzo che – ora era evidente –
aveva chiamato proprio il suo nome, e mille altre cose che le
frullavano nella
testa da quando quel maledetto fulmine si era schiantato
sull’isola al centro
del lago, ma non un suono uscì dalla sua gola.
Merlino infatti le passò accanto, senza prenderla
minimamente in
considerazione, per cadere in ginocchio al capezzale del ragazzo, con
le mani
che gli scostavano i capelli bagnati dal viso e la fronte quasi contro
la sua,
e mormorare frasi che lei non riuscì ad afferrare, tanto era
lo shock e il
freddo che ora sentiva fin dentro le ossa. Una sola parola le giunse
chiara e
nitida alle orecchie, un nome: Artù.
***
Merlino
non poteva crederci. Artù era davvero risorto,
ed era a casa di Alex.
L’aveva a malapena guardata, preoccupato com’era
per la salute del suo re, e
non era stato affatto gentile con lei, facendo irruzione in casa sua
senza
darle alcun tipo di spiegazione ed aggredendola come aveva fatto quando
si era
reso conto delle condizioni in cui riversava Artù, tremante
e con addosso i
vestiti ancora fradici, ordinandole di portargli degli asciugamani e
delle
coperte anziché starsene lì ferma impalata.
Sotto i suoi occhi sempre più increduli aveva spogliato il
re di Camelot,
ricordando ancora perfettamente, come se non avesse fatto altro per
più di mille
anni d’attesa, dove mettere le mani per sfilargli
l’armatura.
Ora che Artù era più che sufficientemente al
caldo, anche se nudo sotto le
coperte perché nessuno aveva pensato a procurargli dei
vestiti di ricambio,
Merlino, ancora seduto al suo capezzale, ripensava a tutto questo e si
sentiva
più che in colpa per come si era comportato con Alex,
specialmente da quando
aveva realizzato che era stata lei a tirare fuori Artù dalle
acque di Avalon.
Non riusciva nemmeno ad immaginare che cosa sarebbe successo se lei non
si
fosse trovata nel posto giusto al momento giusto: il minimo che si
meritava
erano delle scuse e dei ringraziamenti.
Si alzò dalla sedia che aveva portato accanto al letto,
sentendo le membra
irrigidite per il freddo che dopotutto aveva preso anche lui, pedalando
sotto
la pioggia fino al lago e poi fino a casa di Alex. Esitò
ancora un attimo,
accarezzando con gli occhi il viso di Artù, poi si diresse
verso la porta.
«Merlino…».
Il mago si pietrificò sul posto, con una mano stretta
intorno alla maniglia.
Quella voce… Pensava che non l’avrebbe mai
più sentita e che un giorno ne
avrebbe dimenticato anche il ricordo.
Si girò lentamente, sentendo le lacrime affluire agli occhi,
dietro i quali si
celava più tempo di quello che si sarebbe mai potuto
immaginare, e vedendo
quelli di Artù semiaperti, fissi su di lui, il suo cuore
perse un battito.
«Merlino, che cos’è successo? Dove mi
trovo?», domandò con voce impastata,
ancora debole, sforzandosi di tirarsi su.
Lo stregone lo raggiunse con due rapide falcate e gli posò
delicatamente le
mani sulle spalle, costringendolo a tornare sdraiato.
«Dovete riposare, Sire. Domani mattina vi
spiegherò tutto ciò che mi sarà
possibile, ve lo prometto».
Artù lo guardò negli occhi intensamente e alla
fine cedette alla stanchezza,
abbandonando di nuovo il capo tra i cuscini.
«Non allontanarti», biascicò,
già in dormiveglia.
Merlino accennò un sorriso mentre una lacrima di gioia gli
rigava la guancia,
quindi gli rimboccò le coperte fin sotto al mento.
«Lo sapete che senza di me
non durereste un giorno».
Inaspettatamente, anche Artù sorrise, e Merlino
provò l’ennesima fitta al cuore
gonfio di felicità.
Rimase in silenzio per un po’, aspettando che il re si
addormentasse
profondamente, poi spense la luce dell’abat-jour sul comodino.
«Bentornato, Sire», sussurrò ancora,
prima di chiudersi delicatamente la porta
alle spalle.
***
Alex
osservò la tazza di camomilla che suo padre le aveva
preparato e si
passò stancamente le mani sul viso, gettando
un’occhiata all’orologio appeso al
muro.
Dopo essersi tolta i vestiti fradici per indossarne altri puliti ed
essersi
asciugata alla bell’e meglio i capelli si era seduta al
tavolo della piccola
cucina, a gambe incrociate sulla sedia ed avvolta in una pesante
coperta di
lana. Quindi aveva chiamato una sua collega dell’ospedale,
spiegandole che
aveva avuto un imprevisto e aveva bisogno che le coprisse il turno,
promettendole che le avrebbe restituito il favore appena possibile.
Suo padre, seduto accanto a lei, era rimasto in silenzio per tutto il
tempo,
fino a quando non aveva trovato il coraggio di chiederle:
«Perché l’hai portato
qui? Non lo conosci nemmeno».
Alex aveva sollevato appena gli occhi, girando il dito sul bordo in
ceramica
della tazza. Aveva scrollato le spalle, rispondendo con
sincerità: «Pensavo
fosse la cosa giusta da fare».
«E l’altro ragazzo, Merlino…
è un tuo amico?».
Alex aveva incurvato ironicamente un angolo della bocca. «Non
ci vediamo da sei
anni e il tuo primo pensiero è che tipo di ragazzi mi porto
a casa?».
«Sei pur sempre la mia bambina, ho il dovere
di…».
«Proteggermi?», aveva concluso per lui la frase,
ridacchiando apertamente.
«Detto da te, è il colmo».
L’uomo aveva chinato il capo, fissandosi le mani unite sul
tavolo. «Non avrei
mai voluto farti soffrire. Né te né tua madre lo
meritavate».
«Già. Dovevi pensarci prima, temo».
Suo padre aveva sospirato, sistemandosi gli occhiali sul naso, e senza
troppi
convenevoli si era alzato e si era diretto verso la porta. Alex sapeva
di non
essere come lui, perciò l’aveva raggiunto,
tenendosi la coperta sulle spalle
come un mantello, e lo aveva trattenuto.
«Mi hai davvero delusa, papà. Non so se
riuscirò mai a… Ma un grazie per ciò
che hai fatto oggi te lo devo».
Suo padre aveva accennato un sorriso e aveva allungato una mano per
accarezzarle i capelli biondi ancora un po’ umidi, per poi
ritrarla all’ultimo
momento, con gli occhi di nuovo cupi di dolore.
«Non mi devi niente», aveva sussurrato, andandosene
senza più guardarsi
indietro.
Da quel momento, Alex non era riuscita a pensare ad altro, stretta
nella sua
coperta e con quella tazza di camomilla che non aveva ancora toccato
tra le
mani. E avrebbe dovuto pensare a Merlino, a come appena qualche ora
prima aveva
pensato che mai e poi mai ci sarebbe stato un motivo abbastanza valido
che lo
avrebbe spinto ad entrare in casa sua ed ora sapeva che
c’era, ed era un
ragazzo che da quello che aveva capito si chiamava Artù ed
era emerso dal lago
del loro tranquillo paesino con indosso l’armatura di un
cavaliere medievale.
Questo avrebbe dovuto interessarla più di ogni altra cosa,
ma forse era tutto
troppo assurdo perché la sua mente si arrendesse
all’evidenza e la smettesse di
credere che prima o poi si sarebbe svegliata sul suo divano e quello
strano
sogno sarebbe finito.
Sentì un lieve rumore di passi e si voltò sulla
sedia, scorgendo Merlino
emergere dalla scalinata buia. Sembrava imbarazzato e un po’
dispiaciuto, ma le
regalò comunque un sorriso carico di tenerezza, prendendo
posto al suo fianco.
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel
silenzio che l’avrebbe fatta
diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi
di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi
luminosi, anche se velati di
lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con
quell’interrogatorio o se
fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle
di lui. Dopotutto
l’aveva soccorso – se non salvato – e
l’aveva ospitato a casa sua: qualche
informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio
quella che Merlino
le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e
stringendola forte tra le
sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Alex non riuscì ad articolare una risposta di senso
compiuto, mentre sentiva le
guance arrossarsi come sarebbe successo ad una dodicenne alla prima
cotta. Si
limitò ad annuire con un cenno del capo.
«Sei stata coraggiosa, Alex, più di quanto avresti
dovuto. Se ti fosse successo
qualcosa…».
«Ho fatto ciò che ritenevo giusto»,
disse bruscamente, interrompendolo.
Merlino le rivolse un altro di quei suoi caldi sorrisi e si
alzò, invitandola a
fare lo stesso tenendo le dita delle loro mani ancora intrecciate.
«Mi dispiace per come ti ho trattata, prima. Sono stato un
vero maleducato».
«Eri preoccupato, non c’è nulla di cui
essere dispiaciuti».
«Come ti senti?».
«Ahm…». Alex deviò il suo
sguardo, sentendo il cuore batterle forte in gola, e
pensò che se si fosse avvicinato ancora un po’
sarebbe crollata tra le sue
braccia, provata dagli sforzi fisici ed emotivi che aveva patito quel
giorno.
In ogni caso, sapeva che Merlino non l’avrebbe lasciata
cadere.
«Bene, sto bene».
«No, invece. Dovresti riposare anche tu, sei
distrutta».
«Sì, ma… Artù si
è preso il mio letto».
Merlino ridacchiò, alzando gli occhi al cielo.
«Sì, è una cosa che fa ogni
tanto. Scusalo».
Alex gettò un’occhiata alle sue spalle e Merlino
la imitò, guardando il divano
arancione addossato contro la parete.
«È un divano-letto».
«Non credo che dormirò», rispose il
ragazzo con una scrollata di spalle,
scostandosi per esaminare il divano e capire come aprirlo.
Alex avrebbe voluto dirgli che con quell’affermazione non
aveva voluto
sottintendere nulla – non era di certo sua intenzione
invitarlo a dormire con
lei! – ma lasciò perdere ogni tentativo: aveva
già raccolto la sua bella dose
di figuracce per quel giorno.
Lo aiutò ad aprire il divano-letto e gli augurò
la buonanotte, dicendogli che
nel caso avesse voluto cenare poteva servirsi da solo, come se fosse
stato a
casa sua.
«Il cibo è proprio il mio ultimo
pensiero», le rispose. «Buonanotte, Alex. E
grazie».
«Ma figurati», mugugnò, abbracciando il
cuscino sotto la testa. «Artù e
Merlino, eh? Come nelle tue favole…».
«È solo una coincidenza».
«Certo che lo è. Che cos’altro potrebbe
mai essere?».
Alex ridacchiò e l’ultima cosa che vide prima di
abbassare le palpebre pesanti
e cadere in un sonno profondo e senza sogni fu Merlino rivolgerle un
piccolo
sorriso e poi voltarsi per tornare da Artù.