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Autore: Floffy_95    29/01/2015    1 recensioni
Un principe valoroso che cerca di proteggere la sua famiglia e un astuto Signore di Doni intenzionato a dominare l'intera Arda. Chi è Angmar? dov'è nato, qual'è la sua storia? ma soprattutto: cosa lo ha reso quello che è divenuto famoso per essere il grande Re Stregone temuto da tutti? Questa è la storia di un uomo chiamato Isilmo, fratello della regina di Númenor, che per spezzare il suo destino finì per decretarlo, per liberarsi dal peso della morte finì per diventare parte di essa, per salvare la sua famiglia finì per condannarla.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fic.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nazgul, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo I:

Isilmo

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La luna sorge pallida a Ovest del Monte Fato, intrisa dei vapori della montagna.

Respiro a pieni polmoni l'aria della notte, la faccio scorrere nelle mie narici.

È gelida e odora di fuliggine.

Sbatto le palpebre, mirando le ombre che si stagliano ai piedi del vulcano: rigurgitano di orchi, 

le cui torce accese sfavillano a sprazzi nell'oscurità satura di miasmi.

Il mio sguardo si perde lontano, fra le nubi accese dai lampi sopra la Torre Tetra, sopra Lugbúrz.

Il mio respiro si infiamma.

Sento l'ira invadermi le membra come un soffio di fuoco.

Stringo i pugni sul manico di Castigo di Udûn, la mia grande mazza nera.

Vuoi bere il sangue dei ribelli? Pazienta, mia cara, presto ne berrai tanto da esserne completamente lorda.”

Ammicco sprezzante, posando lo sguardo sull'Occhio senza palpebre,

ardente di una fiamma che si alimenta di odio, inestinguibile, inavvicinabile.

Lancio un urlo potente, stridulo alle mie orecchie.

Un grido che potrebbe gelare il sangue e far tremare i polsi anche al più prode degli Uomini.

Ma io non sono più un Uomo.

Inclino il capo, in ascolto.

Un coro di grida selvagge e stridule empie l'aria, dilaniandola come la vela di una nave nel pieno di una tempesta.

I miei fratelli stanno rispondendo alla chiamata del loro signore.

Scorgo delle figure volteggiare fra i miasmi dell'Orodruin.

Abomini alati che nacquero molti secoli fa in luoghi remoti che il mondo ha obliato.

Le nuove cavalcature degli Spettri dell'Anello.

Ormai sono vicini, avverto i loro sospiri tormentati.

Gli occhi mi cadono sui guanti d'acciaio nero che ricoprono il vuoto della mia carne.

Signore dei nove.”

Ecco qual'è adesso il mio ruolo.

Ma non era sempre stato così.

C'era stato un tempo in cui aveva provato paura, vergogna e... amore.

Un tempo in cui aveva vissuto come principe nell'obliata Ovesturia.

Tanti e tanti anni prima.

Prima che tutto cambiasse.

Prima che il fato mi portasse via tutto quello che avevo di più caro al mondo.”

 

 

L'erba mi solletica le dita dei piedi, florida e verdissima.

Indosso una veste damascata di velluto nero.

I miei capelli si agitano nella brezza marina come spighe di grano maturo.

Stendo le braccia davanti a me.

Le mie mani incontrano quelle di Anariën.

Veste un abito di raso bianco, stretto in una cintura dorata con pallidi cristalli.

Arriccio le labbra, pieno di soddisfazione.

Lei ricambia il sorriso.

Ha occhi grigi e brillanti come stelle e capelli lucenti color della notte più tersa.

La sua pelle emana il profumo delle viole selvatiche.

Entrambi indossiamo dei leggeri diademi in filigrana d'argento incastonati di gemme bianche.

Ho il fiato corto per l'emozione.

Il sacerdote si avvicina, fissandoci lungamente con un'espressione di soddisfazione sul volto.

«Scambiatevi gli Anelli della Promessa!»

Le mie mani non vogliono lasciare quelle di Anariën.

Tremo, staccandomi dalla mia sposa.

Un paggetto si avvicina, porgendomi su un cuscino il suo anello.

D'oro puro, raffigura due mani che si uniscono con al centro un cuore sormontato da una corona.

È il simbolo del nostro eterno amore.

Era di sua madre ma adesso passerà a lei.

Anche il paggetto di Anariën ha un anello identico, dono di mia madre.

Prendo l'anello e lo faccio scivolare dolcemente nell'anulare affusolato della mano

sinistra della mia amata, con la punta del cuore rivolta al polso.

Mi allargo in un sorriso pieno di esaltazione.

Sono così felice!”

Anariën prende a sua volta il mio anello.

Mi stringe la mano in modo febbricitante.

I suoi occhi splendenti si posano su di me mentre le sue gote avvampano.

Mi infila l'anello al dito nella medesima posizione del suo.

Ci stringiamo le mani vicendevolmente.

Il suo tocco è così incerto e caldo!

Il sacerdote annuisce e declama con voce stentorea:

«La mano destra per sorreggersi a vicenda, la mano sinistra per non lasciare l'altro mai da solo, 

il cuore come simbolo di eterno amore, la corono come testimonianza di fedeltà!»

Afferra una brocca d'argento colma di acqua marina immergendovi un aspersorio e inizia a

benedirci aspergendoci con esso.

Le sue labbra si muovono in una preghiera silente, poi annuncia:

«Vi benedica Ulmo con l'acqua e con il sale!»

Inizia a dondolare un incensiere sulle nostre teste avviluppandoci con in suo fumo.

L'odore è dolciastro e stordente.

«Vi benedicano Varda Elentári e Manwë Súlimo con l'incenso sacro!»

Annuisce ai due paggetti che iniziano a spargerci addosso petali profumati.

«Vi benedica Yavanna Kementári con i frutti della terra!»

Uno dei paggetti porge un vasetto dorato al sacerdote che lo apre ed intinge le dita nell'olio sacro.

«In nome di Eru Ilúvatar! Siate benedetti con l'olio santo! Siate fedeli l'uno a l'altra e

giuratevi amore eterno davanti a Lui!»

Entrambi chiniamo il capo ed il sacerdote ci unge le fronti componendo il glifo elfico per “vita”.

La sua voce ci raggiunge potente.

«Alzatevi ora, figli di Eru! Siate per sempre uniti! Che nessuno attenti alla vostra felicità!»

Alzo lo sguardo e incontro gli occhi ridenti di Anariën.

La bacio con passione.

Freme tutta sotto le mie labbra, morbide e dolci come il miele.

Mi stacco dal bacio di malavoglia, stringendola a me.

La folla esulta, lanciandoci addosso chicchi di melograno.

Posso sentire il suo profumo di viole ancora più intenso.

Le avvicino le labbra all'orecchio e sussurro: «Ti amo... Anariën.»

La sento singhiozzare sulle mie spalle.

La scosto spaventato.

«Ma... Amore! Cosa fai, piangi?»

Anariën si allarga in un dolce sorriso, gli occhi scintillanti di lacrime.

Mi attira a sé, stringendomi forte.

«Oggi è semplicemente il giorno più bello della mia vita!»

 

 

Il vento soffia gelido fra i pascoli ingrigiti.

Trascina nembi plumbei sull'orizzonte.

Mi sferza il viso, incessante.

Incito la mia giumenta.

«Veloce! Più veloce Azrakarbî1!»

Galoppo furiosamente verso Est, verso la tempesta in arrivo.

I lampi squarciano il cielo, illuminando a sprazzi la città di Arminalêth2,

celata dalle ombre ai piedi del Minul-Târik3.

Odo un ruggito minaccioso attraversare l'aria, come un rullare di tamburi da guerra.

Anariën!

La mia mente non riesce a pensare ad altro.

Aspettami!”

Il cuore mi palpita furioso.

I minuti passano lentamente, troppo lentamente.

Posso distinguere il suono degli zoccoli che sbattono contro il terreno, il frusciare dell'erba sbattuta dal vento,

le gocce di pioggia che iniziano a martellarmi addosso.

Traggo un profondo respiro.

Il mio bambino sta per nascere!”

La pioggia mi frusta il viso, scrosciando furiosa.

Rigagnoli d'acqua imperversano ovunque, tramutando in pantano le fertili valli dell'Arandor.

Per fortuna ho superato il Siril ore fa, altrimenti sarei stato fermato dalla piena del fiume.

La mia giumenta ansima stremata, inizia ad inciampare su ogni sasso che incontra.

Ho il fiato corto.

«Forza, bella! Ci siamo quasi!»

Intravedo la città, sempre più vicina, fra le falde della Montagna.

La pioggia continua a cadere e il vento si alza, togliendomi la vista.

Alzo il viso al cielo, digrignando i denti.

Maledetta pioggia! Non mi impedirai di vedere mio figlio!”

Sprono ancora la mia giumenta.

Arranca nel fango, trascinandosi lentamente nella tormenta.

«Azrakarbî! Avanti, bella! So che puoi farcela, non deludermi!»

La mia giumenta pare avermi sentito e con un colpo di reni si issa fuori dalla fanghiglia, scalciando.

Con un forte nitrito si impenna e si getta al galoppo fra i campi.

Non manca ancora molto.

Le mura della città torreggiano davanti a me.

La pioggia mi offusca la vista, ma vedo chiaramente la torre di Indilzar4 stagliarsi oltre la foschia.

Estraggo il mio corno e soffio a pieni polmoni.

Il suo suono stridulo serpeggia per le colline, attraversando la tormenta.

Un suono roboante di catene che scorrono e argani che si muovono mi investe.

Lentamente, le grandi porte della città si aprono.

Con un ultimo sforzo, la mia giumenta balza verso l'ingresso, quasi travolgendo le guardie.

«Fate largo!» grido «Sta nascendo mio figlio!»

Galoppo furiosamente su per le strade della capitale.

Gli zoccoli del cavallo sbattono incessantemente sul lastricato reso

scivoloso dal fango delle grandi vie che portano a palazzo.

Posso sentire il cuore martellarmi nel petto.

Avverto il sangue scorrermi nelle vene.

Sprono ancora una volta la mia giumenta.

Prendo aria a pieni polmoni.

Sospiro.

Avvicino la bocca all'orecchio di Azrakarbî.

«Ormai ci siamo!» le sussurro.

La mia giumenta scuote orgogliosamente la criniera bianca, nitrendo forte.

Il palazzo scintilla nella pioggia, smagliante di balaustre e bassorilievi coperti di argento e oricalco.

Raggiungo le stalle in un baleno.

Smonto con un salto e per poco non mi fratturo una gamba.

Sono sudato fradicio.

Senza voltarmi, affido a la mia Azrakarbî a uno stalliere e corro su per le scale del castello.

Le guardie accennano a un inchino e mi lasciano passare.

Ho il fiatone e sono scosso da brividi.

Il temporale è alle mie spalle ormai.

Mi volto intorno scuotendo la testa fradicia, disorientato.

Quanti corridoi ci sono in questo dannato palazzo?”

D'un tratto sento il debole richiamo di un vagito.

Corro in quella direzione più veloce che posso.

I miei stivali coperti di fango lasciano impronte sui pavimenti lucidi del castello ma non me ne curo.

Grido forte.

«Anariën! Anariën, Sono qui!»

Il vagito si fa più forte.

Proviene da dietro una porta, dall'altro lato del corridoio.

Spalanco le porte e irrompo nella camera quasi saltando.

«Anariën!»

Uno stuolo di levatrici mi squadra con acidità.

Una delle donne più corpulente si piazza fra me e la mia sposa.

«Vi sembra il modo di entrare nella camera di una donna che ha appena partorito?»

Sono confuso, scuoto la testa nervosamente.

«Come sta lei?»

La levatrice scuote la testa a sua volta, abbassando lo sguardo.

«Ha perso molto sangue, mio signore... forse è il caso che voi...»

«No!»

La flebile voce di Anariën ci fa voltare.

Impallidisco.

Il suo bel viso è solcato da profonde occhiaie, la sua pelle madida è arrossata per la febbre.

Mi avvicino a lei.

Le stringo la mano.

«Amore...»

Anariën mi stringe a sua volta le mani.

È debolissima.

«Isilmo... sei... arrivato... alla fine...»

viene colpita da un accesso di tosse.

Mi inginocchio ai suoi piedi.

«Va tutto bene,» le sussurro «Tutto bene.»

Le scosto una ciocca nera dal viso.

È fradicia.

Anariën deglutisce e reclina il capo sui cuscini, sfinita.

Si sforza di guardarmi, ammicca.

Le sue labbra sono secche.

Mi volto verso le domestiche.

«Un po' d'acqua fresca, per favore!»

Una delle levatrici annuisce ed esce dignitosamente dalla stanza, portandosi una caraffa vuota.

Torno a guardare Anariën.

Il suo volto, prima rosso per lo sforzo è ora pallido come un lenzuolo.

Le stringo la mano.

«Amore! Come stai?»

Anariën sospira profondamente.

«Io... sto... bene... lui... lui... Isilmo, come... come sta nostro figlio?»

Deglutisco e sempre stringendole la mano mi volto in cerca di risposte.

Le levatrici mi sorridono incoraggianti, sebbene i loro volti siano crucciati per lo stato di Anariën.

Quella che sembra la più anziana mi indica una culla poco distante.

«Non preoccupatevi, vostra grazia. Il bimbo è maschio, è sano ed è forte.»

Mi sporgo sulla culla.

E vedo mio figlio.

Una creaturina minuscola dai radi capelli bruni incollati alla fronte dal sudore che sporge

a malapena fra le spesse coperte di lana.

Una delle levatrici me lo mette in grembo.

«Ecco vostro figlio, mio signore.»

Con le dita gli solletico la manina paffuta.

È così piccolo...”

Gli carezzo la testa rotonda.

È perfetto.

Il mio erede.”

Sorrido, incantato da tanta bellezza.

Anariën viene colta da un altro accesso di tosse.

Mi volto verso di lei.

«Anariën?»

Guardo le levatrici, ansimante.

«Ha bisogno di aiuto?»

La levatrice più anziana scuote dolcemente la testa.

«No, vostra grazia.

Le abbiamo già fatto degli impacchi con l'Athelas, e il medico di corte è già venuto a farle visita.

Tutto quello che possiamo fare ora è attendere.»

L'uscio della camera si apre.

Tutti ci voltiamo.

La giovane levatrice è tornata con dell'acqua fresca.

Arrossisce e inchinandosi mi porge la brocca.

«Ecco, vostra grazia.»

Immediatamente ne riempio un bicchiere per mia moglie.

«Ecco. Bevi, amore mio.»

Le carezzo la fronte, ancora sudata.

Ora non scotta più.

«Grazie, marito mio.»

Si irrigidisce e piega la testa di lato.

«Dov'è Minastir? Dov'è il mio bambino?» ansima.

Le bacio la fronte.

«Con calma, amore! Nostro figlio sta bene. Non hai nulla di che temere.»

Mi sorride dolcemente.

I suoi occhi sono lucidi.

«è un maschio...»

le bacio piano le labbra.

«lo so.>>

è così fredda!”

Mi volto verso le levatrici.

«Non avete di che coprirla?»

Queste si inchinano.

La levatrice anziana increspa le labbra in un sorriso timido.

«Non preoccupatevi, mio signore. La vostra sposa è ben scaldata.

La sua freddezza è dovuta alla grande perdita di sangue che ha subito.

Presto si rimetterà. Per il resto, siamo nelle mani di Eru.»

Aggrotto la fronte, annuendo.

«Ho capito.»

Anariën mi chiama debolmente.

«Isilmo! Ti-ti prego... fammi vedere... nostro figlio...»

Le sorrido dolcemente, cercando di non apparire troppo teso.

«Certo, amore mio.»

Le porgo il bebè.

«Ecco... riesci a vederla, tesoro? Questa è la mamma!»

Anariën allunga debolmente le braccia verso di lui.

Lo stringe con premura, tremante.

Temo che non potrà sorreggerlo a lungo.

«Il mio bambino... il mio Minastir...»

Scoppia a ridere, interrotta da qualche colpo di tosse.

«Sono così felice... Isilmo... è nato... nostro figlio è nato...»

La stringo forte a me, sorreggendo il piccolo.

La gioia di Anariën mi contagia.

Arriccio le labbra, estasiato.

Mi prudono gli occhi dalla commozione.

Non devo piangere!”

«Sì, zirân5. Ora siamo una vera famiglia.»

Rimaniamo stretti in un lungo abbraccio, finché Anariën non si addormenta.

Ormai è calata la notte.

Con un sospiro porgo il bambino nelle amorevoli braccia della sua nutrice che lo mette a dormire.

Contemplo il volto della mia sposa dormiente.

Ora che è serena, il suo volto appare bello quasi quanto il giorno del nostro matrimonio.

Sbadiglio.

Forse sarebbe meglio se anch'io andassi a letto.”

Mi sto voltando per andarmene quando sento battere piano alla porta.

Una voce soffocata prorompe dall'altra parte.

«Mio signore?»

Apro lentamente per non disturbare Anariën.

Appare un servo dall'abito riccamente ornato.

Assumo un cipiglio rabbioso.

«Cosa succede? Perché mi disturbi a quest'ora? La mia signora sta riposando.»

«Mio signore... vi prego di perdonarmi, innanzitutto vi faccio le mie più sentite

congratulazioni per la nascita di vostro...»

Scuoto una mano nervosamente, interrompendolo.

«Grazie. Ora dimmi perché sei qui.»

Il paggio deglutisce, arrossendo.

«S-sua altezza il Re desidera vedervi. Subito.»

Annuisco, perplesso.

«Bene, di che si tratta?»

«Della salute di sua altezza.»

sbatto le palpebre, stupito.

«Non capisco.»

Il paggio si guarda attorno nervosamente.

«Il Re sta morendo...»

 

 


1Adûnaic, lett. "Giumenta del Mare"

2Adûnaic, Armenelos

3Adûnaic, Meneltarma

4Adûnaic, Elros

5Adûnaic, diletto, amore

   
 
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