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Autore: OfeliaMontgomery    09/02/2015    0 recensioni
Cassandra Darkwood se ne stava tranquilla sotto ad un albero a disegnare, quando tre suoi coetanei nonché compagni di classe, iniziano ad infastidirla.
Il capo di ‘quella banda di idioti’ come li chiama lei, le ruba il blocco da disegno. Lei cerca di riprenderselo, ma lui lo lancia in una fontana. Cassandra si infuria, gli tirai uno schiaffo sul viso e un pugno sul petto. Lui ricambia, la spintona, facendola finire della fontana insieme ai suoi disegni.
Si sente soffocare dall’acqua. Non riesce a tornare in superficie. Si sente trascinare sempre più in basso, fin quando si lascia andare e fine inghiottita dal buio.
Si risveglia in Tenebris. Mondo inventato da lei. Mondo pieno di mostri e cose strane. Ma fra tutte quelle cose strane, troverà più di un amico.
Insieme a questi suoi stravaganti amici riuscirà ad uscire da Tenebris e tornare nel mondo reale? Quanti delle creature che aveva disegnato si manifesteranno davanti ai suoi piedi? E quanti di loro cercheranno di ucciderla? Oltre all’amicizia troverà anche l’amore?
(Mi sono ispirata ad Alice in Wonderland e per certi personaggi a Silent Hill)
Genere: Dark, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Me ne stavo seduta sotto ad un albero intenta a scarabocchiare il mio blocco da disegno, quando tre miei coetanei nonché compagni di classe, iniziarono a disturbarmi, come ogni dannato giorno.
«Darkwood, che fai? Disegni come i bambini piccoli?» domandò il capo di quella banda di idioti, cercandosi pure di essere spiritoso.
«Blackburn, sto scrivendo il tuo nome sul mio Death Note. Speriamo che funzioni, almeno non ti avrò più fra le palle» risposi a testa alta poi ritornai con la matita sul mio blocco e finii di ripassare la rosa nera che avevo appena finito di disegnare.
Blackburn strinse fortemente i pugni e mi fulminò con lo sguardo. Io scrollai le spalle con nonchalance.
«Darkwood non sei divertente» digrignò i denti poi mi guardo in cagnesco e dopodichè mi strappò di mano il blocco da disegno, facendomi così balzare in aria come una bomba a orologeria.
«Ridammelo coglione del cazzo» sbraitai cercando di riprendermi il blocco, ma senza riuscirci perché lo stronzo lo teneva in alto ed io non ci arrivavo, perché alta solamente un metro e sessantadue.
«Prima chiedimi scusa stronzetta di merda» disse lo stronzo continuando a tenere in aria il mio blocco.
Incrociai le braccia al petto e alzai un sopracciglio. Ma chi si credeva di essere? Dio sceso in terra?
«Come prego? Chiederti scusa e per cosa? Sei tu che mi scassi il cazzo ogni fottuto giorno» ribattei dandogli un pugno sul petto, «E ridammi il mio blocco» conclusi facendo un piccolo salto per cercare di riprendermelo, ma lo stronzone con una mossa svelta del polso, lo scaraventò nella fontana del parchetto in cui ci trovavamo.
Gridai un fortissimo NO. Spintonai Joshua – Blackburn – poi corsi verso la fontana, ma il danno ormai era stato fatto. I miei disegni, tutti i miei disegni rovinati, bagnati, indecifrabili. Erano diventati carta bagnata e nient’altro.
Mi alzai di scatto, con passò veloce e pesante, mi avvicinai a Joshua e gli tirai un forte e potente ceffone sulla guancia destra.
«Ti odio pezzo di merda!» gridai furiosa, tirandogli un pugno abbastanza forte sul petto che penso fece del male solo alla mia povera mano, perché lui non si mosse di un millimetro.
«Così impari Darkwood» poi mi spinse così forte che persi l’equilibrio e finii nella fontana insieme al mio blocco da disegno. Sentivo l’acqua entrarmi in gola e poi nei polmoni, impedendomi di respirare. Cercai di tirarmi fuori dalla fontana, cercai di aggrapparmi al bordo di essa, ma non ci riuscii perché sembrava essere sparita. Sembrava di essere in una vasta vasca in cui non c’era via d’uscita ed affogavo, affogavo senza aver la possibilità di riprendere fiato. Cercavo di risalire, cercavo di trovare finalmente la superficie, ma al posto di salire continuavo ad affondare. L’acqua mi stava riempiendo i polmoni. Non ce la feci più, decisi di lasciarmi andare e in un secondo, il buio mi avvolse completamente.
 
Quando mi risvegliai, pensai di essere morta, di trovarmi in Paradiso o in ospedale, circondata da parenti, ma quello che mi ritrovai davanti, mi fece accapponare la pelle. No, non poteva essere vero. Lessi un cartello in legno bianco, leggermente rovinato sul lati: «Welcome To Tenebris». Okay, era uno scherzo vero? Cioè era impossibile che mi trovassi nel mondo che aveva creato con i miei disegni...vero? Vero??
Oddio, ero pazza. Era impossibile. Era impossibile. Ma sì, sarò sicuramente ancora nel mondo dei sogni, perché era impossibile che fossi in quel posto. Perché ovviamente non esisteva ed era solamente una mia invenzione e nient’altro.
Mi alzai in piedi e mi pulii i pantaloni, da tutta la cenere che stava cadendo infinita dal cielo grigio ed immerso nella nebbia.
Feci qualche passo e sotto di me la ghiaia iniziò a scricchiolare, facendomi sobbalzare in aria. Avevo una fottuta paura, anche perché sapevo esattamente che cos’erano le creature che avevo disegnato. Perché diamine mi ero ispirata a certi film?? Dannata me!
La città era costantemente buia, e ovviamente, perché mancava, la pioggia iniziò a cadere senza sosta. Mi inzuppò per bene. I capelli mi si stavano appiccicando al viso e i vestiti alla pelle. Odiavo quella sensazione. Dovevo andare a ripararmi al più presto, perché sennò sarei morta congelata in quel posto orribile.
Gli edifici cadevano in deperimento mostrando grate di ferro e  ruggine. Non sapevo dove andarmi a nascondere. Correvo velocemente alla ricerca di qualche riparo. Cercavo di non scivolare sull’asfalto pieno di cenere e bagnato dalla pioggia, mentre mi guardavo in giro alla ricerca di un posto.
Trovai un vecchio edificio non del tutto disfatto, che molto tempo prima doveva essere stato un hotel a tre stelle. Entrai di corsa nell’edificio, stringendomi le braccia al petto perché stavo letteralmente congelando.
Mi guardai in giro: alla reception c’era una donna secca dallo sguardo annoiato. Il viso biancastro era scavato da rughe profonde e, i lunghi capelli neri erano sporchi e crespi. Sembrava che non se li lavasse da una vita. La fronte corrugata mostrava ancora di più le sue rughe. Con occhi piccoli, sporgenti e senza alcun traccia di pupilla, mi fissava con curiosità. Si vedeva chiaramente che non andava mai nessuno in quel posto lercio. La donna si alzò dalla sua poltrona di pelle marrone e ricurva mi si avvicinò.
La camicetta che indossava era sgualcita e piena di buchi. La gonna nera, che le arrivava fino alle ginocchia, le stava larghissima perché non faceva altro che tirarsela su mentre si incamminava verso di me. La guardai meglio e riuscii a capire che era la mia professoressa di Storia. L’avevo disegnata a scuola, in una sua lezione perché mi stavo annoiando a morte. Mi ero divertita a cambiarle l’aspetto. Sì, perché nel mondo reale la mia professoressa non aveva così tante rughe e non trascurava così tanto il suo aspetto esteriore. E tanto meno aveva occhi bianchi e non stava ricurva su se stessa.
«Benvenuta al Hotel Tenebris, desidera?» chiese la mia professoressa con voce nasale. La sua odiosissima voce nasale che ti distruggeva i timpani se la dovevi ascoltare per più di un’ora al giorno.
«Vorrei una stanza» risposi tremando per il freddo o forse per la paura di stare in quel posto.
«Certo. E’ libera la 666» ribatté tirando su con il naso. Si strofinò il naso con la manica della camicetta, poi girando i tacchi e andò a prendere la chiave. Me la porse poi mi sorrise gentilmente, mostrandomi dei denti giallastri. Ricambiai il saluto un po’ timorosa poi con la chiave fra le dita, andai alla ricerca della mia stanza.
Finalmente, dopo cinque rampe di scale ero riuscita a trovare la mia stanza. 666. Ma che avevo in mente quando avevo disegnato questo posto?!
Entrai nella camera. La stanza era molto sporca e molto disastrata. Il letto era ricoperto di polvere e per terra, si potevano trovare resti di qualche animale. Topi??
Avevo bisogno di una doccia. Ma in quel posto l’acqua come sarebbe stata? Nera? Sporca di cenere, come il resto della città? Oddio, solo al pensiero mi veniva il voltastomaco.
Cercai di aprire un po’ la finestra per far cambiare l’aria che era davvero pesante, ma ovviamente la finestra era bloccata. Stanca mi sedette sul bordo del letto e sospirando mi portai le mani fra i capelli. Come avrei fatto ad uscire da quel posto? Mi stavo sentendo male. Oddio, morirò qui? Rimarrò bloccata per il resto della mia vita in questo posto?
Mi sdraiai sul letto pieno di polvere, stringendomi le ginocchia al petto. Nonostante l'agitazione, riuscii a chiudere gli occhi e mi addormentai in quel posto lurido, pensando ai miei genitori e alla mia sorellina.

 
  
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