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Autore: iceofglass    10/02/2015    14 recensioni
Un colpo in testa e tutto sarebbe finito, bastava non sbagliare. L'adrenalina nelle vene, emozione che ti pervade in ogni minimo muscolo fino a contrarsi in un piacere indescrivibile, inimmaginabile. Era questa la guerra? Sì. Era soddisfazione, piacere. E questo, a Wyatt, faceva paura. La guerra non era amore, non era pace, non era una stretta di mano; ma sangue, morte, odio, disgusto.
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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ciao





Chi gioca con il fuoco solitamente è propenso a bruciarsi, ustionarsi le dita. Ogni cosa impossibile da fare diventa possibile grazie alla forza di volontà. Anche i ricordi si possono eliminare senza indugi se solo lo volessimo; anche le lacrime versate su una fotografia incorniciata potrebbero essere dimenticate. Il freddo causato da una tempesta di neve, le strade ghiacciate, le armi cariche sulla spalla. Come si poteva ricevere la pace provocando una guerra?
«Plotone 8, Forza 2», voci in sottofondo, sembrava quasi una brutta musica o, peggio ancora, una zanzara che continuava a ronzarti intorno, cosciente del fastidio che poteva causare.
Il paesaggio era monocolore, marrone. Terra marrone, camion marroni, verande marroni... Non c'era la possibilità di farsi un bel sogno ad occhi aperti per quanto potesse mettere in ansia quel colore così insolito.
«Plotone 8, Forza 2!» La chiamata fu più alta e Wyatt riuscì a riceverla pienamente.
Sbattè le palpebre qualche volta per riprendersi, per essere cosciente di ciò che stava accadendo e alzò lo sguardo per osservare la figura verde e grigia dell'uomo di fronte a sé. Lo spostamento dell'aria causato dall'elicottero non faceva altro che mandargli la polvere negli occhi e dovette socchiuderli per poter veder meglio chi c'era ad aspettarlo.
Non era pronto. Nessuno lì era pronto.
Sembravano un branco di moscerini pronti per andare a scontrarsi contro qualche parabrezza, in autostrada. Moscerini che comprendevano la realtà delle cose, sapevano ciò a cui andavano in contro. Eppure continuavano a lottare per se stessi, per conoscere i propri limiti, per vedere quanto forti erano, l'eroe che c'era dentro ognuno di loro.
Ma la guerra non piace a nessuno. La guerra è quell'atto di vandalismo e terrorismo che ti fa storcere il naso; è l'odore del sangue al mattino, pane e acqua ogni giorno, freddo pungente, paura di qualche agguato, paura della morte. Lottare per la Patria voleva dire anche provare il terrore di un'eventuale sconfitta.
Dopo qualche secondo di indugio, Wyat si alzò in piedi. Con leggere pacche si spolverò la giacca e i pantaloni, infilandosi l'antiproiettile dalle braccia e legandoselo dietro la schiena. Avrebbero fatto un giro di perlustrazione, per vedere se tutto andava secondo i piani. Ma l'America era pronta a tutto. L'esercito era ben fornito, le armi erano state caricate a dovere e se c'era qualche emergenza... la si poteva richiedere senza paura che ci mettesse troppo tempo per arrivare.
«Arrivo», passi lenti, sguardo vitreo.
Non era un uomo, era un oggetto utilizzabile per la guerra, e quel destino se l'era scelto da solo, consapevole di ciò che stava facendo. Avrebbe difeso il paese a costo della vita, avrebbe fatto di tutto per far vivere la pace nonostante questo richiedesse un gran numero di vittime. Si chiedeva, qualche volta, se anche i nemici avessero una famiglia. Il motivo per cui fossero entrati dentro ad un vicolo cieco, senza più via di fuga. Come dei cani chiusi in gabbie più piccole di loro, costretti a rimanere lì dentro fino alla morte.
Come si sentivano loro? Come si potrebbe sentire un uomo quando uccide, quando vede una persona del suo stesso sesso morire a terra, in preda alle convulsioni, al sangue che striscia via dal corpo e dall'anima che fugge. Molti si sentono bene.
Raggiunto l'elicottero, Wyatt salì. Si sedette, non era molto comodo. Avrebbe preferito passare quel tragitto sul camioncino, di certo i sedili erano fatti meglio. Portò la One Shot appoggiata alle gambe, strette. La One Shot era il fucile da cecchino più potente che potesse esistere sulla faccia della Terra: un colpo, un morto, senza indugi. Vento, pioggia, tempesta... nessuno riusciva a fuggire alla terribile carneficina che poteva provocare.
Non era semplice uccidere ogni persona che gli capitava sotto tiro; la maggior parte erano donne e bambini che trasportavano pesanti bombe e correvano contro i salvataggi per poter farli esplodere. Persone innocenti, con una vita, uccise per un unico scopo: il potere. Non c'è nient'altro che accomuna questo mondo se non l'immenso potere che tutti si proiettano nella mente, l'enorme mania di poter essere perfetti ed immortali, di avere tutto sotto controllo, di sentirsi Dio.
Senza pietà. Senza dignità. Uccidevano per arrivare a conquistare il mondo sotto un'unica nazione, un'unica religione e un unico scopo. Abusare delle donne, sottomettere i figli e far sì che quest'ultimi crescano nella più completa violenza.
«Hey Leggenda, a che pensi?» Quel nome lo fece sorridere.
Lo chiamavano "Leggenda" da quando era riuscito a far fuori sette persone su sette. In un unico colpo. Basta concentrarsi, trattenere il respiro e pensare che cosa stiamo facendo, si giustificava.  Non era modesto, non si sentiva questo grande eroe come tutti lo descrivevano, ma di certo, grazie a lui, qualcosa erano riusciti a fare, come debellare territori e proteggere le mura del proprio Paese.
Pensava a tante cose. Alla sua vita, alla sua famiglia che non vedeva da anni da quando era entrato lì dentro, a quando l'unica cosa a cui aspirava erano le donne, la birra e il gioco d'azzardo.
«A quando finiremo. Voglio tornare a casa», un sospiro uscì dalle sue labbra screpolate e leggermente gonfie; quel particolare non si vedeva data la barba allungata.
Un colpo in testa e tutto sarebbe finito, bastava non sbagliare. L'adrenalina nelle vene, emozione che ti pervade in ogni minimo muscolo fino a contrarsi in un piacere indescrivibile, inimmaginabile. Era questa la guerra? Sì. Era soddisfazione, piacere. E questo, a Wyatt, faceva paura. La guerra non era amore, non era pace, non era una stretta di mano; ma sangue, morte, odio, disgusto.
Sparisce tutto: sparisce l'umanità, l'unica ragione di vita a cui l'essere umano si aggrappa, la voglia di vivere. L'unica tratta che si può fare è alzare le armi e iniziare a spararsi addosso, come i bambini. Ma i bambini usano proiettili invisibili invece di metallo pieno di polvere da sparo.
A lui piaceva tornare bambino, ma solo con la mente. Amava perdersi in ricordi, rammentare quando giocava a palla in mezzo alla strada con i suoi amichetti, quando giocava con le prime armi finte che mamma e papà gli avevano comprato per il compleanno. Mamma e papà, chissà se erano fieri di lui, della scelta che aveva intrapreso; li stava difendendo, voleva che avessero una vita degna.
Non sapeva se il vuoto che provava faceva più male di un coltello infilato nella schiena o il dolore che provi quando lo togli. Si sentiva male ad ogni uccisione, ad ogni guerra; la pressione gli era aumentata e i problemi alla testa erano diventati più frequenti. La nausea non si faceva problemi a presentarsi quando, in un attimo di concentrazione, stava per sparare un colpo nel cranio di un bambino trasportatore di armi o di bombe.
La felicità è uno stato mentale.
E lui doveva trovare il suo.





***
Angolo autore: sono ritornato con una long improvvisata. L'altra sera stavo ripensando alla guerra e quindi ho voluto fare una storia che la rappresenti, nonostante non si possa descrivere tale abominio. La presentazione è un po' ripresa da American Sniper, mi sono solamente ispirato al film, non ho copiato assolutamente niente, né tanto meno la trama (che sinceramente non so come sviluppare ma pazienza).
Spero che possa piacere come prologo e che non possa essere una grandissima schifezza come penso. Ma vabbè, non bisogna sempre essere negativi, no? Un saluto.
iceofglass



   
 
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