Disclaimer: È indubbio che nel 2001 non stessi
a spasso con i Fall Out Boy, perciò mi sembra altrettanto indubbia la natura
fittizia e delirante e non-lucrativa di questa storia.
Notes: Early days, 2001 circa, periodo di
Evening Out; quando Andy non era ancora batterista e Patrick e Joe due bimbi
tati. Contiene probabilmente un numero imprecisato di imprecisioni (…oh god,
odio quando mi escono i giochi di parole involontari), ma chissenefrega! :D
Appartenenza
Patrick non si sente fuori luogo.
Il fatto è che essendo il più sano delle persone che
conosce affronta lucido qualsiasi situazione, e la lucidità è sempre una cosa
buona; grazie ai suoi nervi provati - ma saldi! - riesce ad evitare di mettersi
particolarmente in ridicolo e può godersi con malcelata soddisfazione le
frequenti coglionate altrui.
Senza contare che, dopo il primo impatto con Pete Faccia
Da Schiaffi Wentz e la sua giostra di follie che lascerebbe ko chiunque, si è
gradualmente abituato alla sua nuova vita. L'atmosfera che prima lo metteva in
soggezione, che lo costringeva a stare più o meno appiccicato all'aura
rassicurante di Andy ogni volta che entravano in un locale o incontravano
qualcuno o venivano indicati, quella
sensazione nell'aria di energia e possibilità non lo lascia più a occhi
sgranati.
Non è niente di miracoloso, niente di sovrannaturale: solo
ragazzi che fanno musica, e questo è il suo elemento.
Patrick non si sente fuori luogo… la maggior parte del
tempo.
Ci sono momenti in cui si sente troppo normale. Si trova circondato da ragazzi
ricoperti di tatuaggi fin sotto le mutande, ragazze che sanno suonare sette
strumenti e li sanno rompere in testa
all'idiota di turno, persone - adulti
- che sono semplicemente troppo, e si sente una nullità. Banale, incapace.
Ci sono altri momenti in cui si trova coinvolto in cose
che lo stupiscono o lo fanno avvampare o lo terrorizzano talmente tanto che
ogni tanto si scorda anche che sono per lo più cose vietate in metà degli
stati.
Non gli dà proprio fastidio, perché si rende conto che ci
vuole un po' ad abituarsi ad un nuovo tutto e non è il tipo da piangersi
addosso per ogni sciocchezza. Non è neanche che si senta fuori luogo, è solo un
po' a disagio certe volte, e giusto per poco. Niente di che. Solo che, ecco,
ogni tanto gli capita di pensarci.
E allora va a cercare Joe.
Joe è, bene o male, nella sua stessa barca. Riceve le
stesse grane per entrare nei pub, riceve ancora più grane sul palco,
saltellando come un forsennato a fare da bersaglio per le bottiglie volanti
mentre Patrick tenta di dare meno nell’occhio possibile nascondendosi dietro
l’asta del microfono, viene trattato dai ragazzi molto peggio - è persino più
piccolo di lui! Eppure non sembra mai fuori posto
Patrick lo guarda con un po' d'invidia mentre si aggira
con la sua aria sicura per i locali e saluta calorosamente tizi mai visti
dall'aria truce, confidente, forse
perché ormai ci ha fato il callo, forse perché è lì da abbastanza tempo da aver
visto cose che Patrick ancora solo si sogna, forse perché semplicemente ha un
carattere più forte. Joe è un po’ il suo modello.
Ed è fantastico, perché può chiedergli aiuto senza
sentirsi un idiota e senza che Joe lo faccia sentire un idiota. Perché
dopotutto anche Joe ha i suoi momenti di incertezza, e gli capita di sentirsi
sperso - è come un fratello grande, un amico più esperto cui chiedere
consiglio, un eroe alla sua portata.
« No, no! È tutto sbagliato! » Joe gli rotola a fianco,
brandendo indignato il telecomando mentre gli conficca una spalla spigolosa nel
braccio. « Ricostruzione storica dei miei stivali! »
Patrick si raddrizza gli occhiali e si asciuga, cercando
inutilmente di non farsi vedere, le lacrime che avevano iniziato a colare senza
ritegno dopo i primi tre minuti di risate in apnea. « Che ti aspettavi, non è
un trattato. »
« Ma c’è scritto! » Gli sbatte il giornaletto dei
programmi sul naso, indicando una riga che per ovvi motivi logistici Patrick
non ha la minima possibilità di vedere. « C’è scritto ricostruzione! C’è
scritto storica! Se c’è di mezzo la
storia vuol dire che è affidabile! »
« Andy dice che la sua laurea è in storia… »
« Andy in realtà è iscritto al Mossad e sta imparando come
fare attacchi terroristici a impatto ambientale zero contro le aziende di
pellicce » dice agitando la rivista con fare svagato.
Patrick crolla in avanti e sbatte il naso sul ginocchio di
Joe, singhiozzando senza ritegno. Ogni volta che pensa di essersi calmato Joe
spara qualche cazzata e non può fare a meno di restare un altro quarto d’ora
piegato in due dalle risate.
« Ma guarda! Guarda! » Joe inizia a dargli manate sulla
nuca per farlo alzare. « È un’indecenza! »
« È l’ultima volta che guardo uno speciale su Star Wars
con te » è la risposta soffocata.
Joe fa un rumore indignato. « Solo perché io ho visto il film, non come questi
espertucoli. Ooh, ti prego, questo pezzo lo devi vedere! »
Patrick non riesce a fermare le risatine. « No » Nasconde
il viso contro la gamba di Joe. « Non ho la forza. »
« Mi serve qualcuno con cui soffrire! »
« Ma se ti fa soffrire cambia canale. »
Joe spalanca drammaticamente gli occhi. « No, devo
vederlo. È troppo brutto. Ora tirati
su e stammi vicino nello sconforto. »
Patrick scuote la testa con vigore, premendogli di più il
naso sulla coscia con un ultimo risolino tremolante. Joe inizia a pungolarlo
nel fianco col telecomando e Patrick sussulta, ricominciando a ridacchiare. «
Sta’ fermo! » Per tutta risposta Joe molla il telecomando e gli si abbranca,
bloccandolo mentre infierisce sulla sua povera pancia gridando “Soffri con me!
Soffri!”
Si rotolano un po’ sul divano finché Patrick non riprende
fiato e fa l’unica cosa possibile, morde la gamba di Joe attraverso i jeans,
congratulandosi internamente per l’urlo dell’altro.
Poi Joe diventa incredibilmente immobile, e Patrick si rende
conto. Si rende conto di essere con la faccia premuta sul grembo di Joe, ad
ansare sulla sua coscia che improvvisamente gli sembra bollente, con il malsano
impulso di affondarci nuovamente i denti, sentire la tensione dei muscoli sotto
la stoffa e i brividi di Joe.
Invece si alza di scatto, rosso in viso e spaesato, tanto
che non si rende nemmeno conto di non avere più il cappello da chissà quanto
tempo. Joe è pietrificato alla sua destra, rigido e silenzioso come una statua,
le guance rosse e gli occhi sgranati. Non che Patrick lo sappia, visto che
tiene lo sguardo fisso sulle proprie scarpe.
Per qualche minuto respirano lentamente in unisono,
accompagnati dal sottofondo del programma dimenticato e dai rumori da fuori.
Patrick si sente incredibilmente fuori
posto, conscio come non mai del proprio corpo, di come le sue ginocchia siano
attaccate a quelle dell’altro e delle sue mani - non si era mai reso conto che
erano così goffe e sudaticce e non aveva la minima idea di dove metterle senza
provocare danni.
Joe raccoglie il cappello di Patrick da terra; se lo
rigira tra le mani, concentrato, neanche tenesse tra le mani il segreto della
vita eterna, poi lentamente lo mette sulla testa del proprietario.
Patrick vorrebbe dire grazie, davvero, ma quando le dita di
Joe gli sfiorano la tempia si perde in un balbettio incoerente. Si nasconde
dietro la visiera, girandosi verso la tv che non vede minimamente.
« Io- uh… posso? » mormora Joe.
Patrick si volta di nuovo perplesso per chiedergli
“cosa?”, cosa sia quel tono, e Joe lo bacia.
È assolutamente disorganizzato. Non è nemmeno contro la
sua bocca, è da qualche parte sulla guancia perché l’ha preso mentre si stava
voltando. Non ha il coraggio di muovere le testa per non conficcargli lo
spigolo degli occhiali in un occhio, e il suo cappello è caduto di nuovo,
coinvolto nell’attacco. Ma il respiro di Joe è caldo e sa di dolce mentre gli
accarezza la guancia, e nemmeno la mano sul suo braccio è tanto male.
Eufemisticamente parlando.
Joe si stacca con la faccia di uno che sta per morire.
Incrocia appena gli occhi di Patrick e si butta di nuovo a raccogliere il
berretto.
Patrick sbatte le palpebre lentamente, incapace di
formulare una reazione. Si tocca la guancia, sorpreso di trovarla così calda e
formicolante e- « Puoi… puoi rifarlo. »
Joe lo guarda di sottecchi e gli rimette il cappello.
Patrick abbassa la mano e lo fissa. Joe sta fermo. Patrick
lo fissa molto, guardandolo da sopra
la montatura senza capacitarsi di cotanta idiozia.
« Scusa? » tenta Joe. Patrick alza gli occhi al cielo, si
toglie gli occhiali e con una manovra ponderata si avvicina al viso di Joe. Joe
sgrana gli occhi, ma si riprende subito. Sorride, e Patrick lo sa, perché lo
sta sentendo sulle proprie labbra.
La seconda volta va decisamente meglio. Anche la terza. E
la quarta, la quinta, la sesta.
« Tutto bene? »
La testa di Pete sbuca dalla porta giusto in tempo per
vedere un Joe disteso contro la spalliera con aria sognante e un Patrick
chinato a raccogliere il cappello. « Alla grande » gracchia, il viso nascosto
dietro la frangia.
« Fantastico. Abbiamo finito di sistemare la roba, devo
trovare Mike e siamo pronti per le prove. Venite quando volete, okay? Okay. »
Solleva entrambe le mani con i pollici alzati e scompare.
Silenzio, rotto dopo poco dallo sghignazzare di Patrick.
Joe gli dà un calcio allo stinco e Patrick si tira su, lo guarda e gli sorride.
Ci pensa un attimo e poggia da qualche parte il cappello, prima di tornare da
lui.
Non si sente per niente fuori posto.
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Uh, be’, doveva essere una sorta di cheer up, Chrystal!Patroh, ma per una serie di rimandi e
circostanze varie è diventato un random
celebrative!Patroh… tanto meglio :D
Many thanx al solito a tutte le anime pie che mi danno
retta <3
Will