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Autore: _Ella_    12/02/2015    3 recensioni
Roxas ha quattordici anni, una cotta disastrosa, ed è troppo timido per dichiararsi. Le uniche cose che gli permetteranno di superare questo ostacolo sono un accordo, una bugia e quattro appuntamenti.

"Axel era un idiota, Roxas lo pensava con una tenerezza che gli stringeva il cuore: [..] Ma era premuroso, sotto quell'atteggiamento un po' menefreghista, era caldo, mentre ricambiava la sua stretta col battito del cuore accelerato e gli premeva il naso tra i capelli."
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Riku, Roxas, Sora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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(indecent) proposals 

 

Faceva piuttosto caldo per essere novembre, era quasi metà mese e lui poteva uscire ancora con una felpa dal tessuto un po' più spesso sopra la maglia a mezze maniche estiva. Il freddo si percepiva soltanto la mattina, quando da casa usciva per andare a scuola ed era ancora abbastanza intorpidito dal sonno, e la sera, quando l'umido si attaccava ai capelli e ai vestiti e lo faceva rabbrividireEppure i pomeriggi riuscivano ad essere davvero piacevoli, con il loro sole tiepido e l'aria frizzante della primavera inoltrata; sembrava stesse ritornando l'estate invece che arrivare l'inverno, ma gli stormi cominciavano a migrare, il vento anche se caldo tagliava la faccia e non la carezzava, il verde delle foglie iniziava ad essere meno brillante. 
«Ecco il tuo ghiacciolo, Sora». 
Si sentiva come quel novembre. Pretendeva di essere qualcosa che in realtà non era, e per quanto si sforzasse di fingere sapeva che prima o poi qualche dettaglio strano sarebbe saltato all'occhio e lo avrebbe tradito: un movimento, una parola, un pensiero, uno sguardo. A malincuore si rendeva pienamente conto che sarebbe stata la cosa migliore; quando sua madre gli diceva che le bugie avevano le gambe corte non ne aveva mai afferrato il senso, in quelle settimane aveva capito che era perché andavano ben poco lontano: non erano neppure due settimane che continuava a mentire, e solo adesso si rendeva conto che le menzogne erano come sabbie mobili in cui era affondato fino alla gola e che l'unico modo in cui ne sarebbe uscito era sporco di fango. 

 

primo appuntamento; 

Axel gli era piaciuto sin dal primo momento. Da quando lo aveva adocchiato nella classe di Sora, da quando si era messo a stalkerargli il profilo di facebook appena era riuscito a trovare il suo tag in una foto di gruppo, da quando lo aveva conosciuto di persona perché facevano assieme un tratto di strada per tornare a casa dopo scuola - certo, con loro c'erano anche Sora e Riku, ma a Roxas importava davvero molto, molto poco - da quando frequentavano la stessa comitiva. Axel gli piaceva quando si fermava per strada e gli proponeva di prendersi un ghiacciolo (quelli al sale marino, perché Sora ne detestava il sapore e allora non poteva rubargli l'ultimo morso), e gli piaceva ancora di più quando mangiavano assieme nella pausa pranzo. 
Supponeva gli sarebbe piaciuto a livelli interstellari se si fossero messi assieme ed avessero iniziato a baciarsi and other kind of stuff, ma Roxas aveva la pessima abitudine di non avere neppure un po' di quel briciolo di intraprendenza - o di incoscienza - che caratterizzava invece il suo gemello.  
Per questo era andato nel panico più totale quando Sora si era presentato da lui con una parrucca dalla dubbia provenienza e gliel'aveva tirata in faccia dicendogli che doveva fingersi lui per un pomeriggio. L'idea in sé era orribile: mettersi un parrucchino sperando che non gli cadesse o prudesse troppo e tentare di avere un atteggiamento che assomigliasse il più possibile a quello di Sora era qualcosa che già soltanto a dirla si capiva che non aveva alcuna chance di funzionare, se poi Roxas immaginava anche solo teoricamente di attuare il piano si scadeva nel ridicolo e nell'assurdo. Dire che fosse una pensata di merda era un eufemismo. 
Poi però Sora aveva attirato tutta la sua attenzione pronunciando una piccola ed insignificante parola di quattro lettere: "Axel". 

Si guardava in giro, le mani in tasca e una cuffia infilata nell'orecchio (quello col dilatatore), l'altra invece era lì a penzolargli sul petto e rimbalzando di tanto in tanto contro la maglia. 
Roxas lo stava osservando da cinque minuti, ben nascosto dai cassonetti dell'immondizia, senza il minimo coraggio di fare un passo, che fosse avanti per andargli incontro o indietro per scappare a gambe levate. 
I comandi di Sora erano stati semplicissimi: fingersi lui, incontrare Axel, salutarlo, parlarci una decina di minuti per poi dirgli col suo solito sorrisone smagliante che "grazie mille per questo appuntamento, ma io darò il culo soltanto a Riku" (non erano state esattamente le parole del suo gemello, ma la parafrasi era più o meno quella). 
Il problema era che non sapeva cosa fare. Si sentiva sfigato al livello di quelli che danno un morso ad un muffin pieno di gocce di cioccolato e poi scoprono che invece è uvetta passa, per non dire qualcos'altro. Il suo gemello aveva avuto un appuntamento dal ragazzo che gli piaceva e lui, povero piccolo Roxas, non solo doveva fingere di essere uno scemo celebroleso come Sora, ma doveva anche scaricare Axel. 
Voleva morire. 
Quando vide Axel sbuffare l'ennesima volta e controllare l'ora sul cellulare, decise di scollarsi dal marciapiedi e, anche se decisamente terrorizzato, avvicinarsi. Aveva ragionato decine e decine di minuti su quale fosse l'approccio migliore per cominciare la conversazione, alcune possibilità gli erano sembrate brillanti, altre quasi ridicole, ma appena gli fu abbastanza vicino da riuscire a sentire la musica che stava ascoltando dalle cuffiette, l'unica cosa che riuscì a dire fu un «E-ehi» mangiato tra i denti 
Primo errore grave: Sora non avrebbe mai balbettato come un perfetto idiota e di sicuro non avrebbe mai guardato nessuno con la faccia di un pesce lesso che sta per farsela nei pantaloni. 
Axel alzò lo sguardo, sorridendogli con un leggero sospiro. «Non ci speravo più» ammise, sfilandosi la cuffietta per infilare tutto in tasca, cellulare compreso. 
Voleva morire di nuovo. Davvero. Com'era bello. Faceva schifo avere quattordici anni ed andare in tilt per dei piercing, dei capelli rossi ed un paio di bellissimi occhi verdi, soprattutto perché lui aveva degli occhi così grandi da sembrare quelli di una ragazza ed il fisico asciutto e mingherlino di un undicenne che non ha idea di cosa sia lo sviluppo. Non era giusto: Sora a differenza sua non sembrava così disperatamente piccolo. Certo, non era ai livelli di Riku, che a guardarlo non gli avresti dato meno di diciassette o diciotto anni, ma aveva il fisico un po' più scolpito, aveva più peluria sulle gambe, era più alto di lui, e nonostante avesse le guanciotte e gli occhioni non sembrava più piccolo dell'età che aveva. Le persone continuavano a dire che erano identici, ma davvero non si rendevano conto che non era solo il colore dei capelli a renderli riconoscibili. 
«Scusa, non... non ricordavo bene l'ora, ho fatto confusione» sperò che non capisse che era una balla colossalema era teso, ed aveva paura che si accorgesse che lui in realtà non era affatto Sora. Axel però scrollò le spalle, gli sorrise di nuovo e cominciò a camminare, lasciandogli la sola possibilità di seguirlo fedele come un cagnolino. 
«Sai cosa?» Roxas alzò lo sguardo, sistemandosi il berretto sulla testa - unico modo per rendere decente la parrucca con così poco preavviso, ed un ennesimo metodo per farlo sentire un deficiente«Ero convinto ti piacesse Riku...». 
L'occasione era perfetta. Poteva dirgli "N-no, certo che no! M-mi piace Kairi, ho u-una cotta per lei non per Riku" come certamente Sora avrebbe detto, tentando di risultare convincente e non troppo gay. Solo che aveva una voglia terribile di approfittarne. Fingersi lui per quanto possibile e prendersi un po' di quello che aveva sempre desiderato: tutte le attenzioni di Axel. Magari solo quel pomeriggio, e poi avrebbe ammesso la verità, o forse avrebbe mentito di nuovo per rimediare. Voleva soltanto arrivare fino alla fine dell'appuntamento, perché se Roxas non avrebbe mai avuto il coraggio di andare avanti, Sora sì. 
Si strinse nelle spalle, sorridendogli leggermente e decidendo di sviare la risposta con un'altra domanda: «Allora perché me lo hai chiesto?». 
Axel semplicemente si grattò la nuca, mandandogli un'occhiata. «Vale sempre la pena chiedere, immagino». Sembrava una frecciatina bella e buona dritta alla sua codardia, quindi rispose che era vero anche se in realtà dentro stava morendo, e cercò di sorridere nonostante fosse teso come una corda, perché Sora avrebbe sorriso di certoRoxas era terrorizzato. «...Hai improvvisamente perso la lingua?». 
Prima o poi avrebbe dovuto fargli notare che era uno stronzo. Oltre a stare attento ai modi di fare, se voleva andare avanti con l'appuntamento, doveva stare attento anche agli argomenti di conversazione: Roxas gli parlava sempre di scuola, di skate, gli parlava dell'ultimo album del suo gruppo preferito, ma in generale adorava ascoltare quello che aveva da dire, e di sicuro adesso non poteva mandare avanti lo stesso tipo di tattica. Non ne sarebbe valsa neppure la pena. Bastava un po' di faccia tosta ed avrebbe potuto osare, avrebbe potuto fargli le domande più indiscrete senza la minima malizia solo perché lui era Sora, ed Axel gli avrebbe risposto senza vergognarsi - ammesso che uno come lui riuscisse a vergognarsi - e fidandosi ciecamente per lo stesso identico motivo. 
«Scusa sono... un po' nervoso, tutto qui» ammise, guardandolo con un piccolo sorriso. «A stare sempre con Riku uno si dimentica com'è stare vicino ad altri ragazzi». 
Axel rise, scostandogli la visiera del cappellino per guardarlo meglio negli occhi, e lui per poco non vomitò fuori il cuore dal terrore che la parrucca fosse potuta spostarsi o addirittura scivolare via. «Soprattutto se i ragazzi sono belli come me» disse con un sorrisetto beffardo, e Roxas scoppiò a ridere, scuotendo la testa («Sei proprio cretino»). «Perché, vorresti dire che non sono bello?». 
Altra risposta che non avrebbe dato. Non ci pensava proprio, arrossiva al solo pensiero di dirgli che lo trovava anche più che bello. No. «Chissà» alzò le spalle, ritornando a mettere la visiera del cappellino al suo posto, così almeno dall'alto non avrebbe notato nessun cambiamento di colore del suo viso«Ed io?». 
«Che domanda, ti ho invitato all'appuntamento-»«Io ho accettato» se lo mangiò quasi tra i denti, stringendo i pugni ai lati del corpo come se volesse controllare il rossore al viso, domandandosi cosa gli fosse passato per la testa - c'era davvero la necessità di ammetterlo? Ed Axel, che tanto per ribadirlo era davvero ma davvero uno stronzo, gli si parò improvvisamente davanti, facendolo sbattere con il naso contro il suo petto, ed ancora prima che Roxas potesse anche solo pensare di lamentarsi gli aveva già sfilato il cappello per beccarlo con quello che era il viso più rosso che probabilmente avesse mai visto. Si massaggiò il naso con un brontolio, nascondendo lo sguardo come poteva mentre l'altro continuava a squadrarlo senza la minima discrezione. 
Tutto un tratto Axel sbuffò una risata, mettendo il berretto al proprio posto «Però mh, preferisco i biondi, Sora» disse, scoppiando a ridere e riprendendo a camminare. «Andiamo al parco? Ho voglia di gelato». 
Stronzo. Stronzo. Gli avrebbe preso a calci il culo sperando di non rompersi il piede (perché sembrava avesse delle chiappe di marmo, ad occhio e croce) se quel pomeriggio non fosse stato Sora e se non si fosse sentito così cotto.  

Diede una leccata al gelato salmastro, incastrando la suola delle scarpe alle assi di legno della panchina; aveva preferito sedersi sullo schienale, così da non stare perfettamente di fianco ad Axel, che altrimenti lo avrebbe guardato fin troppo bene in faccia se gli avesse sfilato di nuovo il cappello - o se avesse provato a baciarlo, visto che continuava ad allungare le mani. Non che non avesse voglia di dare a lui il suo primo bacio, ma ecco, se Axel l'indomani fosse andato a scuola ed avesse baciato il vero Sora non era sicuro né sulla propria incolumità né tantomeno su quella di Axel. 
E poi solo a pensarci dall'emozione gli veniva da vomitare, quindi era meglio tenere la bocca occupata con il ghiacciolo. 
Axel poggiò il gomito sullo schienale, praticamente a meno di un centimetro dal suo sedere (e, conoscendolo, aveva la sensazione che non fosse assolutamente una scelta casuale) ed inclinò il collo per guardarlo dal basso. «A che ore devi tornare a casa?» domandò, masticando lo stecchetto di legno del gelato.  
Scrollò le spalle, tenendo gli occhi puntati su un gruppo di bambini che giocavano col pallone poco più in là. Anche lui aveva adorato passare i pomeriggi in quel parco, quando era più piccolo. Era lì che aveva conosciuto Hayner, Pence ed Olette, ed era lì che si era rotto per la prima volta il polso prendendo una brutta caduta dallo skate. Era lì che ad otto anni si era dichiarato a Naminé, e lei gli aveva lasciato un bacio sulla guancia che lo aveva fatto scappare via per la vergogna. «Quando ci annoiamo». 
«Oh, quindi potrei tenerti qui anche tutta la notte?». 
Rise. «Non sarebbe poi così male» lo guardò, sentendosi sorpreso di quel po' di coraggio che ogni tanto gli permetteva di parlare e sembrare anche abbastanza normale«Però no» e gli fece una linguaccia, chiedendosi mentalmente come facesse il suo gemello a fare cose così idiote senza il minimo sforzo, lui doveva sempre ragionarci prima di fare qualsiasi cosa che fosse da Sora. 
«Ehi!» Axel gli diede una gomitata sul sedere e, ancora una volta, pensò che non fosse assolutamente per caso.  
«Non posso mica stare fuori quanto mi pare». 
«Questo perché sei un marmocchio!». 
Sospiro interiore. Altro sforzo: gonfiò le guance, mettendo su un perfetto ed infantile broncio alla Sora. Glieli aveva visti fare così tante volte che immaginava di averlo fatto identico, e ne ebbe la conferma quando Axel rise, tirandogli il naso. 
«Ed ecco, questo invece conferma soltanto le mie teorie». 
Allontanò la mano, facendogli di nuovo una linguaccia. «Quindi ti piacciono i marmocchi?» chiese, guardandolo con attenzione mentre si sedeva di sbieco e metteva le gambe incrociate sulla panchina per trovare una posizione che non lo costringesse a storcere il collo per ricambiare lo sguardo; poi si leccò il piercing al labbro, restando in silenzio per alcuni secondi che a Roxas sembrarono durare veramente moltissimo, finché non voltò il viso per paura di essere riconosciuto, e soprattutto per il profondo imbarazzo. 
Axel guardava Sora in un modo che Roxas probabilmente avrebbe solo potuto sognare. Non era mai stato così geloso di qualcuno prima d'ora, ed il boccone del ghiacciolo al sale marino gli sembrò più salato del solito mentre gli scendeva giù per la gola. Non era stato così geloso neppure quando Hayner aveva vinto il primo posto nella gara di Struggle ed Olette gli aveva riservato tutte le attenzioni per una giornata intera. 
Axel sorrise di sbieco, sogghignando. «Tu che dici, Sora?». 
Sbuffò, un po' a disagio. «Dico che ti piace mettere in difficoltà le persone». 
«Sai» rise, lanciando lo stecchino nell'erba più alta. «Un po', mi piace mettere in difficoltà soprattutto Roxas, in un certo senso...». 
Avrebbe dovuto ringraziarlo, alla prima occasione, per quelle adorabili premure che gli riservava. «Ah, sì?». 
Axel annuì, continuando a fissarlo con attenzione. «Mhm, è divertente, alla fine riesce sempre a sviarsela e cazzo, mi fa andare fuori di testa, ma prima o poi ci riesco ad incastrarlo». 
Era consolatorio, in un certo senso, sapere che in un modo o nell'altro anche lui aveva un posticino riservato nei suoi pensieri. Anche se Axel magari lo vedeva soltanto come un ragazzino simpatico cui dare un po' fastidio, era comunque meglio che niente, sempre meglio che essere insignificante, sempre meglio che essere solamente il gemello di Sora. Gli faceva piacere anche che in quel caso, in un discorso con SoraAxel avesse parlato proprio di lui, perché magari lo faceva anche con qualcun altro, magari anche con Demyx quando andavano in spiaggia a fare surf, magari anche con sua madre mentre mangiavano e lei gli chiedeva che cosa aveva fatto quella mattinata a scuola - "eh, mamma, c'è Roxas che è uno stronzetto, mi diverte stare con lui". E poi gli piacevano i biondi, pensandoci. Un punticino in più alla sua autostima ed alla sua speranza, anche se adesso gli piaceva Sora, ma prima o poi Sora avrebbe dovuto dargli buca. 
Fece un mezzo sorriso, guardandolo. «Vero, non dà mai le risposte per intero» annuì, lasciando sciogliere sulla lingua l'ultimo pezzetto di ghiaccio. «E'… un po' insicuro, tutto qui. Non gli piace esporsi troppo, credo». 
«Dici? Secondo me è un tipo forte, non capisco che motivo abbia, sinceramente». 
Sorrise, ma non era Sora a farlo, questa volta. «Grazie» poi balbettò, scuotendo la testa. «Cioè, n-nel senso, sono contento che pensi questo di R-Rocchan, ecco». 
Axel rise. «Sì, lo avevo capito» poi si alzò, stiracchiandosi e porgendogli la mano. «Andiamo? Altrimenti i marmocchi come te fanno tardi per cena». 
Saltò giù dalla panchina senza prendergli la mano, masticando il legnetto con un'espressione abbastanza soddisfatta mentre si allontanava da solo. 
«Guarda che i marmocchi indisponenti poi li mettono in punizione!». 
Scoppiò a ridere, fermandosi per aspettarlo. Quindi gli prese la mano, e la strinse finché non arrivò abbastanza vicino a casa da poter andare via da solo. 

  

secondo appuntamento; 

Sora non era stato esattamente entusiasta della sua trovata. Aveva provato a tenerglielo nascosto appena tornato a casa e per tutto il resto della serata, ma il giorno dopo sapeva che la sua farsa non sarebbe durata ulteriormente. Immaginava che in classe Axel si fosse comportato in modo abbastanza palese da fargli capire che aveva fatto l'idiota.  
Un po' lo scocciava che fosse così insensibile da non capire la sua posizione, ma quello che gli dava più fastidio era il fatto che avesse ragione. Era stato un comportamento da perfetto idiota irresponsabile, ed era umiliante che addirittura Sora avesse avuto il buon senso di notarlo, quindi doveva soltanto rimediare, perché aveva promesso che avrebbe detto la verità, e gliel'avrebbe detta, solo non adesso, mentre tornavano a casa e lui camminava di fianco ad un Riku visibilmente molto incazzato mentre a pochi passi da loro Sora ed Axel parlavano ridendo e scherzando come se fossero una coppia di fidanzatini innamorati. Ringraziava Dio che Riku non lo avesse ancora menato, e Sora per non aver detto assolutamente nulla ad Axel, anche se in parte, per una piccola ed insignificante parte, la colpa era anche un po' sua che l'aveva costretto ad andare all'appuntamento. 
Sperò soltanto che non lo avrebbe odiato dopo aver saputo la verità. Sperò con tutto sé stesso che lo avrebbe capito, e che se si fosse dichiarato gli avrebbe dato un'opportunità, anche misera, solo perché era Roxas e in fondo stare con lui non gli spiaceva così tanto. 
Giocherellò coi lacci dello zaino, mordendosi le labbra e mangiandosi il fegato perché di solito era lui quello che camminava con Axel fino a casa dopo scuola, non Sora, ma supponeva fosse opera del Karma, e fin ora era stato sorprendentemente clemente con lui. Sospirò, al suo fianco Riku non sembrava essere in grado di sostenere una conversazione che non comprendesse le parole "Axel - Sora - uccidere" e lui davvero non voleva disturbarlo. Gli veniva in mente, qualche anno prima, quando Riku e Sora erano seduti sul divano in salotto a giocare alla play e lui, per non passare avanti e disturbarli, aveva deciso di passare dietro il televisore: inutile dire che anni di allenamento con lo skate non erano serviti a nulla in quel momento, mentre inciampava nei fili e si tirava tutto dietro come un perfetto idiota, televisione e console compresa, rompendola. Riku lo aveva guardato per più di una settimana con uno sguardo che gli faceva pentire di essere nato e di esistere, e con un margine di errore sottilissimo poteva giurare che fosse lo stesso sguardo che rivolgeva in direzione di quei due che continuavano ad amoreggiare. Pregò per Sora, sperando che quella farsa per coprirlo non gli costasse tutta la collera di Riku, pregò per Axel, sperando che per colpa delle sue bugie Riku non gli avrebbe cambiato i connotati, cui Roxas doveva sinceramente ammettere di essere molto, molto affezionato.  
Si fermarono al solito incrocio, salutandosi prima di attraversare la strada. Roxas si aspettò il solito ghiacciolo e il solito sorriso prima che Axel andasse via, ma lui semplicemente carezzò i capelli a Sora - e Roxas in quel momento morì davvero troppo di gelosia per notare lo sguardo omicida di Riku - ed andò via, urlando «Allora a sabato, Sora!». 
Fu quando sparì dalla loro vista che a quel punto Riku ringhiò. 

 «Roxas, ascoltami attentamente, okay?». 
Sora lo aveva raggiunto in camera, dove lui aveva tentato di nascondersi dai sensi di colpa e dalla gelosia che continuavano ad appesantirgli lo stomaco. Se il tragitto verso casa con Axel e Sora che amoreggiavano gli era sembrato insopportabile, era stato ancora più orribile dover ascoltare Riku ed il suo gemello che bisticciavano. Era stato orribile, si sentiva un verme. Perché Sora doveva sempre pensare agli altri prima che a se stesso? Perché non aveva detto ad Axel che in realtà il giorno prima quello con cui era stato era quell'idiota di Roxas, perché non aveva detto a Riku che stava facendo tutto solo per non rovinargli l'esistenza? Quando si comportava così era davvero difficile fare gli egoisti. 
Annuì, sospirando contro il cuscino. 
«A te Axel piace, non è così?» grugnì, annuendo ed arrossendo come una ragazzina. Sora rise un po', sedendosi di fianco a lui sul letto. «Allora sabato vai e diglielo, non ti pare?». 
«Non ho il coraggio» sussurrò, mordendosi la bocca. «Ieri è andato tutto bene perché ero te». 
Sora lo guardò come se avesse capito, e restò in silenzio per un po', fissando la parrucca che avevano lasciato sulla scrivania. «Allora un altro paio di appuntamenti. Poi gli dici la verità». 
Fece una smorfia. «E a scuola? E con Riku, come fai?». 
Però lui rise, rotolandogli addosso e cercando di tirargli in su le guance. «Lascia fare a me, Rocchan. Sono Sora, no? Me la cavo sempre!». 
Gli tirò via le mani dal viso, scoppiando a ridere quando iniziò a fargli il solletico. «V-va bene, okay!». 
Sora annuì, lasciandolo in pace e facendogli l'occhiolino, come se fosse assolutamente sicuro che sarebbe andato tutto alla perfezione. Roxas sperò davvero tantissimo che avesse ragione.  

Quel sabato sera Axel lo aspettava in un pub vicino al centro. Sora gli aveva pregato di essere puntuale perché avevano prenotato il tavolo, e perché non era cortese far aspettare le persone. 
Roxas non aveva la minima intenzione di arrivare tardi come la prima volta, per questo aveva cominciato a prepararsi per quell'appuntamento praticamente dal giorno prima: aveva sistemato per bene la parrucca, facendo le prove allo specchio per indossarla e saldarla senza che cadesse, si era tagliato le unghie delle mani, aveva passato in rassegna uno ad uno tutti i capi dell'armadio per decidere quale mettere. Così quel pomeriggio si era fatto una doccia durata un'intera ora - inutile dire quali e quanti pensieri gli fossero passati per la testa - si era profumato per bene perché non aveva proprio voglia di puzzare, e si era vestito, restando poi fermo immobile sul divano aspettando l'ora di uscire di casa, più agitato minuto dopo minuto. 
Aveva messo la camicia, sperando di sembrare un po' più grande, ma guardandosi nello specchio prima di uscire di casa aveva avuto solo l'impressione di vedersi con addosso la divisa delle medie. Decise di infilare la felpa ed andarsene prima di cambiare idea e correre in camera sua a piangere come una ragazzina. 
Lui e Sora ne avevano parlato a lungo, in quei giorni. Erano arrivati alla conclusione che gli toccassero solamente altri tre appuntamenti, ed alla fine del terzo avrebbe inevitabilmente dovuto dire ad Axel la verità, con tutte le conseguenze che ne sarebbero venute. Roxas si rendeva perfettamente conto che la cosa migliore sarebbe stata dire la verità subito, ma al solo pensiero gli tremavano le gambe, ed anche se aveva letteralmente detestato che in quei giorni Axel non avesse occhi che per Sora, era rincuorato dal fatto che per quella sera tutte quelle attenzioni sarebbero state per lui. Era bloccato in un circolo vizioso: stare con Axel e fargli credere che Sora fosse perso per lui, ingelosirsi per quei momenti che Axel passava con il vero Sora, decidere di fingersi di nuovo Sora per  prendersi quelle attenzioni che tanto aveva desiderato. E più a lungo sarebbe durato il giro più Axel si sarebbe allontanato da lui, e Roxas non escludeva affatto che Axel non l'avrebbe più neanche guardato in faccia dopo aver saputo la verità. Si era anche chiesto se ne valesse la pena, non era riuscito a trovare una risposta. 
Arrivò al punto di ritrovo un quarto d'ora prima, e invece di fare un giro aspettando che passasse il tempo si sedette su una panchina, controllando di tanto in tanto l'orario sul cellulare e cercando di ignorare l'istinto di scappare via. Era ancora più nervoso dell'ultima volta. 
Tirò in su la zip della felpa, infilando le mani un po' fredde nelle tasche. Quando provò a guardare di nuovo l'orario al cellulare un paio di mani gli coprirono gli occhi, ed una leggera risata decisamente inconfondibile gli arrivò all'orecchio molto più vicina di quanto avrebbe voluto. 
«Ehi, finalmente, Axel». 
«Sei in anticipo». 
«No, sei tu quello in ritardo» precisò, afferrandogli i polsi per sfilare via le mani dal proprio viso per poterlo guardare. 
Axel scavalcò lo schienale della panchina, sedendosi al suo fianco. La prima cosa che fece fu passargli il braccio sulle spalle per tirarselo più vicino, la seconda fu sogghignare del suo rossore. «Ascolta un po', bimbo» gli pizzicò la guancia con l'altra mano, e Roxas lo guardò seriamente oltraggiato. Axel rise. «Abbiamo ancora una mezz'ora, che facciamo, ce ne stiamo qui seduti?». 
Roxas scrollò le spalle, fissandosi le ginocchia - era veramente troppo vicino. «Va... bene tutto, credo». 
«Perfetto» gli pizzicò di nuovo la guancia, continuando a tenere il braccio sulle sue spalle. «Almeno non puoi scappare via se stiamo qui». 
«Oh» rise un po', alzando il viso per guardarlo. «Quindi è per questo che mi hai rinchiuso in un pub?». 
Lui gli fece l'occhiolino, ridendo. «Il gattino è chiuso in gabbia». 
Aggrottò le sopracciglia, fissandolo. «Quelli sono gli uccelli, Axel». 
«Tu non assomigli ad un canarino, però». 
Non riusciva a seguire il ragionamento. «...ad un gattino sì?». 
«Identico, bimbo, te lo posso giurare». 
Roxas lo guardò male per un po', poi sbuffò una risata, avvicinandosi di più con un leggero imbarazzo. Che gli importava, tanto era Sora quello a cui aveva dato del micio. Che cosa gay. 

Soffiò nella cannuccia, guardandosi distrattamente in giro. Il loro tavolino era abbastanza in disparte da non rendere fastidiosa tutta quella gente, ed abbastanza lontano dalle casse da non dover urlare per farsi sentire quando parlava. Axel aveva preferito sedersi al lato del tavolo che faceva angolo col suo invece che di fronte, e così di tanto in tanto gli carezzava il braccio o la gamba causandogli un mezzo infarto ogni singola volta, e Roxas si ritrovava a ringraziare le luci soffuse perché non poteva vedere quanto sbiancava o arrossiva a seconda dei casi. Per vendetta non aveva fatto altro che rubargli le patatine dal piatto, ed Axel ogni tanto si prendeva il suo bicchiere per berci (Roxas si era dato dell'idiota perché non aveva fatto altro che pensare "gosh, bacio indiretto" ogni singola volta). 
«Devi tornare presto?» Axel gli pizzicò il naso per attirare la sua attenzione, tirandolo un po'. 
Scosse la testa «Prima di mezzanotte, però». 
«Come Cenerentola» sbottò, rubandogli la cannuccia per bere. «Dove hai parcheggiato la zucca?». 
Si riprese il bicchiere, allontanandogli il viso. «Il tuo è lì» glielo passò, piazzandoglielo sotto al naso. «Abbiamo preso la stessa cosa!». 
«Che è una cosa davvero molto, molto romantica» sospirò, tenendo il mento su con la mano e scrutandolo. «Ma da qui non ci ha bevuto nessun bel bimbo». 
Roxas scosse la testa, fissandolo divertito - e con un pizzico di vergogna: era veramente tremendo, non gli dava neanche un po' di tregua. Rischiò di strozzarsi con la sua pepsi quando sentì la sua mano sulla coscia. «A-avevamo detto di tenere le mani a posto». 
Axel lo pizzicò. «Stai facendo un ottimo lavoro per tutti e due e, dimmi una cosa» abbassò la voce, costringendolo ad avvicinarsi col viso. «Riku si offenderebbe se ti baciassi per primo?». 
Accadde tutto in una frazione di secondo.  
Roxas gli aveva rovesciato in faccia quel che restava della sua bibita senza neanche pensarci. 

«Scusami, scusa». 
Erano seduti sulla stessa panchina dopo nemmeno un'ora e mezza, e Roxas continuava ad asciugargli la maglia coi fazzoletti dopo aver pensato alla sua faccia ed al suo collo. Era terribilmente mortificato, ed aveva tutta la faccia rossa per la vergogna, ma quando l'aveva visto avvicinarsi aveva avuto così paura che la sua mano si era mossa più veloce dei suoi pensieri. 
«M-mi dispiace tantissimo, tantissimo, non... non ci ho riflettuto, io-»«Bimbo, va tutto bene». 
Sospirò, sorridendogli dispiaciuto e buttando l'ennesimo fazzolettino usato, senza il coraggio di guardarlo. Quando fece per tirarne fuori un altro dal pacchetto, Axel gli prese la mano con la sua, prendendogli il mento con l'altra per farsi guardare. «Va tutto bene» ripeté sbuffando una risata. «Andava bene anche un no, comunque, ma così è stato piuttosto chiaro». 
Annuì, infilandosi il pacchetto in tasca. «E' solo che...». 
«Non volevo esagerare, scusami» questa volta fu lui a sorridere dispiaciuto. «E' che ci penso dallo scorso appuntamento ma...» scrollò le spalle. «Non importa, farò il bravo, non sia mai che la prossima volta invece della cocacola mi arrivi in faccia direttamente il bicchiere». 
Roxas rise un po', stringendogli le mani. «Sei stato fortunato a non averla bevuta tutta, allora». 
Axel gli lasciò un bacio sulla guancia, abbastanza lontano dalle sue labbra da non risultare ambiguo, e poi si alzò, stringendogli la mano prima di cominciare a camminare. «Ci vuole decisamente un ghiacciolo adesso, ti va?». 
Gli tenne stretta la mano, camminandogli di fianco. Era così contento che non si fosse arrabbiato per la stupidaggine che aveva fatto. «Moltissimo» disse, ed Axel rise facendogli notare che davvero non poteva rispondere in quel modo ad uno che gli aveva offerto un gelato, poi gli pizzicò la guancia, attraversando la strada per andare verso il chiosco. 
Il parco era vuoto a quell'ora, ed era anche piuttosto inquietante a dire la verità. Roxas non si sarebbe sorpreso se fosse sbucato qualche malintenzionato da dietro gli alberi o dai cespugli, ma Axel sembrava abbastanza sicuro di quello che faceva, ed almeno questo riusciva a rassicurarlo. 
Quando gli chiese di aspettare lì vicino ad una panchina Roxas gli disse che non aveva la minima intenzione di restare lì da solo, e al diavolo l'orgoglio, tanto era quello di Sora che stava mettendo a repentaglio. Di solito non era un tipo fifone, ma davvero aveva l'impressione che da un momento all'altro sarebbe potuto succedere qualcosa di orribile«Axel, ma... a quest'ora il chiosco non dovrebbe essere chiuso?» domandò titubante, continuando a farsi trascinare mentre si guardava intorno con circospezione. 
«Certo che è chiuso» confermò, indicandogli la struttura appena girarono la curva del sentiero. «Ma le cose chiuse si aprono» 
Improvvisamente ebbe l'impressione di aver camminato mano nella mano col serial killer di turno. «Non vorrai mica-» 
«Forzare la porta per entrare? Non sia mai!» si avvicinò alla serranda, abbassata sul finestrone che affacciava nello spiazzo e che consentiva ai proprietari di servire i clienti, e con un colpo secco la tirò su, scivolando sul bancone ed avvicinandosi al frigorifero coi gelati. Era impazzito. 
«...Che cazzo fai, questo è furto con scasso!» lo raggiunse di corsa, sporgendosi per vedere meglio cosa stesse combinando.  
Axel si strinse nelle spalle, porgendogli i due ghiaccioli al sale marino e saltando fuori dopo aver lasciato i soldi sotto la cassa. «Di solito le persone restano affascinate dalla mia aura da cattivo ragazzo» sbottò, scostandolo per poter abbassare di nuovo la serranda, pulendosi le mani sui jeans. «Ma tu sei un marmocchio, non mi sorprende». 
Arricciò le labbra, fissandolo incerto mentre scartava il gelato e cominciava a mangiarlo. Se non altro aveva lasciato i soldi... «Sei un deficiente» lo colpì al braccio con una manata, poi sospirò, aprendo la carta del proprio ghiacciolo. «Ti perdono solo per questo». 
Axel rise, passandogli il braccio sulle spalle ed abbassandosi per scrutargli il viso. «Sarà il nostro piccolo segreto, bimbo». 
Roxas sorrise un po', annuendo e guardandolo negli occhi. Quando gli lasciò un bacio sulla guancia ed Axel tirò fuori un'espressione da "oh Dio non ci credo", non riuscì a fare altro se non scoppiare a ridere.  

 

terzo appuntamento; 

Le stradine di Disney Town erano piene di persone a quell'ora del pomeriggio, il vociare ed il piangere di alcuni bambini sfumava tra le canzoncine ad alto volume dei vari stand e delle giostre con le file chilometriche. 
A Roxas fin ora erano piaciute tutte le attrazioni: dalla casa stregata - anche se avrebbe giurato che Axel ne fosse uscito ancora più pallido di come entrato -, ai tronchi - grazie ai quali si erano ritrovati pieni zeppi d'acqua dalle scarpe fino alla punta dei capelli -, per non parlare dei due giri sulle montagne russe che quasi lo avevano fatto vomitare, ed erano il motivo per il quale adesso erano fermi ad una panchina da più o meno dieci minuti: dopo il secondo giro, Axel aveva iniziato a perdere così tanto sangue dal naso che avrebbe potuto non averne più una goccia in tutto il corpo. 
Roxas rise un po', tenendogli ancora sul naso la lattina fredda che era corso a comprare per fermare l'emorragia. «Non sei proprio fortunato». 
«Tra cola e sangue, questa è la seconda maglietta che va a farsi benedire nel giro di due appuntamenti» sbuffò, tenendo il fazzoletto premuto sotto al naso. «Mi sarebbe piaciuto perderle in altre maniere». 
«Potevi dirmelo che eri sensibile a questo genere di cose...». 
Axel fece una smorfia, scostando la lattina. «Sembra tutto okay adesso» sbottò, arricciando il naso e buttando il fazzoletto, alzandosi per andare a sciacquarsi un po' alla fontana. «E comunque» riprese, asciugandosi la faccia con la maglia - Roxas avrebbe potuto giurare di essere riuscito persino a contare tutti i nei che aveva sull'addome. Che imbarazzo. «E' stato per l'eccitazione, sai, non speravo di sentirti urlare così presto». 
Scoppiò a ridere, scuotendo la testa ed arrossendo«Sei una checca, altroché» ed Axel con una manata gli schizzò tutta l'acqua addosso, facendogli una boccaccia.  
«Dai, andiamo a prendere lo zucchero filato, sento l'odore da quando siamo arrivati». 
Roxas non sapeva se stare lì con tutta quella gente fosse una buona idea, perché magari qualcuno di loro conosceva Sora e lo avrebbe visto amoreggiare con Axel, ma siccome suo fratello non aveva posto alcun problema quando gli aveva detto che Axel avrebbe voluto portarlo a Disney Town non sarebbe stato certamente lui ad andare in paranoia. Se qualcuno fosse andato da Sora dicendogli che lo aveva visto mentre litigava con Axel che senza permesso dava i morsi al suo zucchero filato, Roxas si sarebbe semplicemente stretto nelle spalle, dicendogli che sì, lo aveva fatto, e che si era anche lasciato imboccare quando avevano fatto pace. 
Prese l'ultimo ciuffo di zucchero filato con le dita, portandolo alla bocca e lasciandolo sciogliere sulla lingua. Non poteva fare a meno di pensare che le labbra di Axel dovevano avere lo stesso identico sapore, adesso. Buttò il cono di carta nel cestino, cercando di pulire come poteva le mani appiccicaticce.  
«Oh, dimmi una cosa» alzò lo sguardo su di lui, camminandogli vicino per non perderlo tra la folla - anzi, per non perdersi tra la folla, uno come Axel non era particolarmente difficile da notare. «Ti piacciono i pupazzi?». Si pulì la bocca sulla manica della maglia, fissandolo attentamente. A Sora non piacevano moltissimo, a dire il vero. Ma a lui sì. E se Axel gli aveva fatto questa domanda era perché probabilmente voleva prendergliene uno e cazzo, ci avrebbe dormito tutte le sere assieme. Annuì. «Fammi indovinare, gli orsetti?» e rise, pizzicandogli la guancia, allora Roxas lo guardò con tutto lo sdegno possibile. 
«Non sono mica una ragazza!». 
«Ah, scusa, di solito ai ragazzi infatti piacciono da morire i peluche, anche mettersi lo smalto in compagnia, vero?».  
Rise, scuotendo la testa esasperato. «E va bene!» ammise, dandogli una leggera gomitata nello stomaco. «Ma niente orsacchiotti» disse, poi ci pensò su, mandando un'occhiata alle bancarelle. «Quello» indicò un pupazzo tra i tanti, e dopo aver seguito con lo sguardo la direzione del suo ditoAxel lo fissò incredulo. 
«Uno Shadow? Tu sai cos'è uno Shadow?». 
Adesso si offendeva. «Certo che so cos'è! Mica giochi solo tu ai videogame, scusa». 
«Cazzo» Axel si passò le mani tra i capelli. «Ero sicuro che solo io e Zexion conoscessimo quel gioco» lo abbracciò, baciandogli la guancia con entusiasmo. «Io ti amo» disse, e Roxas arrossì di colpo, spintonandolo via per l'imbarazzo. 
«Tu prova a vincerlo, poi se vuoi ci sposiamo anche subito» borbottò, ed Axel corse ad impugnare il fucile ad acqua.  

Mentre due enormi occhi gialli e vacui lo fissavano, Roxas aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro - quasi, non era capace di sorridere a quel modo neppure volendo, ma era felice. Strinse Axel col braccio con cui non stava tenendo lo Shadow, e lo ringraziò per la millesima volta. 
Axel era un idiota, Roxas lo pensava con una tenerezza che gli stringeva il cuore: il suo comportamento non faceva altro che confermare ogni volta che alla fin fine era un quattordicenne come gli altri, esuberante ed immaturo com'era giusto che fosse, giusto anche nel suo desiderare di apparire più grande con la pettinatura dei capelli ed i piercing. Ma era premuroso, sotto quell'atteggiamento un po' menefreghista, era caldo, mentre ricambiava la sua stretta col battito del cuore accelerato e gli premeva il naso tra i capelli - fu con una punta di tristezza che Roxas si rese conto che la parrucca non gli rendeva possibile sentire bene come avrebbe dovuto quella carezza. Aveva il cuore in gola per l'emozione e nessuna voglia di lasciarlo andare, ma era consapevole di stargli mentendo, perché probabilmente Axel si stava innamorando di un Sora che non era il vero Sora, e per quanto Roxas avrebbe voluto urlargli in faccia che era stato lui a farlo sentire bene ogni singolo minuto, che lui era biondo e che se voleva sarebbe stato senza alcun problema il suo bimbo, ma immaginava che non ci fosse scampo alla collera. Gli veniva da piangere. Era una merda. 
Si scostò di poco, quanto bastava per premere un braccio tra di loro e carezzare con la punta dell'indice una macchiolina di sangue che gli era colato sulla maglia bianca, all'altezza del cuore. Non aveva il diritto di prenderlo in giro a quel modo. «Torniamo a casa» sussurrò, sospirando. 
Axel lo guardò confuso, prendendogli il viso tra le mani per costringerlo a guardarlo. «E' colpa mia? Ho fatto qualcosa?». 
Scosse la testa, stringendo al petto lo Shadow. «Mi dispiace» disse soltanto, ed Axel capì che non fare altre domande era la cosa migliore. 

Quando rientrò in casa la prima cosa che fece fu sfilarsi la parrucca, e con un gesto di stizza la tirò sul tavolino in mogano a ridosso della parete: lo specchio che era sistemato lì sopra oscillò, e Roxas mandò un'occhiata di pura sufficienza al proprio riflesso, con i capelli ammaccati e gli occhi rossi. Era patetico. Sospirò, trascinandosi fino al salotto: quando trovò Riku e Sora seduti sul divano davvero molto vicini ebbe la certezza di aver interrotto qualcosa, rincasando prima del previsto, e scusandosi prese la saggia decisione di sparire in camera, rintanandosi sotto le coperte dopo aver sfilato le scarpe. 
Roxas sentiva ancora l'odore dei popcorn, dello zucchero filato e quello più sottile del profumo di Axel, che aveva raccolto abbracciandolo col naso premuto sul petto. Poggiò il mento sulla testa del pupazzo, socchiudendo gli occhi. 
Era stata una pessima idea.  

 

quarto appuntamento; 

«Sei un po' strano, Roxas». 
Axel gli poggiò la mano sulla spalla, chinandosi su di lui, probabilmente per non lasciagli la possibilità di poter fingere di non averlo sentito.  
Sora non gli aveva parlato di Axel, ultimamente. In effetti era dall'ultimo appuntamento che non si avvicinavano, e non riusciva a capire se fosse perché suo fratello aveva detto la verità ad Axel senza dirglielo - ma gli sembrava improbabile, perché i loro atteggiamenti nei suoi confronti non erano affatto cambiati - o se perché non si fossero parlati e basta - ancora meno probabile che Axel non l'avesse riempito di domande su quel pomeriggio a Disney Town - ma poco importava: si trovava in una situazione di stallo che sembrava il punto di non ritorno e che gli faceva stringere fastidiosamente lo stomaco. 
Non sapeva cosa dirgli, mentre fissava le foglie cadute sul marciapiede e cercava di non calpestarle tutte sotto la suola delle scarpe. Gli era sempre piaciuto l'autunno, sempre. Era umido, era fresco, era malinconico, e quando come in quel giorno il sole brillava come se fosse una giornata estiva le foglie degli alberi erano così luminose da sembrare di rame ed oro scintillanti. 
«Sono solo distratto.. dalle foglie». 
Axel lo fissò confuso, cercando di rincorrere il filo dei suoi pensieri mentre seguiva i suoi passi verso casa. «Scusa, rettifico: sei spaventosamente strano». 
Rise un po', scuotendo la testa e girando un po' il viso per controllare che Sora e Riku stessero continuando a seguirli - l'idea di restare solo con Axel lo mandava in paranoia, perché adesso non c'era nessuna parrucca da indossare. «Adoro i colori dell'autunno» disse, spiegandosi. 
Lui non fece nient'altro se non sbottare un "oh", forse sorpreso forse deluso dalla banalità della cosa che aveva appena detto. Si sentiva così stupido. Banale e stupido. Falso e stupido.  
«Senti... posso chiederti un favore?». 
Axel lo fermò una decina di metri prima del solito incrocio dove si salutavano, dove c'era anche il bar dove gli prendeva sempre il gelato al sale marino. Roxas lo fissò aspettando che parlasse, ma lui lasciò che prima Sora e Riku li superassero, avvicinandosi per parlargli a bassa voce. Arrossì, mordendosi la bocca. 
«Non so cosa sia successo l'ultima volta con Sora...» mormorò, risultando comunque piuttosto chiaro. «Ma vorrei chiarire, e siccome quel parassita di Riku non lo lascia un momento da solo, volevo sapere se... potresti dirgli che lo aspetto oggi fuori la stazione, okay?» dire che si sentiva umiliato era poco, molto poco. Il "sì" che sussurrò come risposta risultò così poco convinto che Axel dovette farlo giurare. «Dici che ci verrà?». 
Roxas sospirò, schiacciando una foglia secca sotto la punta delle scarpe. «Ultimamente passa il tempo a dormire con lo Shadow» borbottò, imbarazzato. «Credo proprio che... qualsiasi cosa sia successa l'altro giorno, ci verrà». 
A queste parole i sorriso di Axel si aprì all'improvviso, e l'aria un po' corrucciata che aveva avuto la durata di quella conversazione sparì di colpo. Era palese che fosse contento, contentissimo per quello che gli aveva detto, Roxas si sentì solo un po' più uguale alla foglia spezzata in brandelli.  
«Grazie mille» gli scompigliò i capelli, gongolando. «Ti devo un favore enorme!» strizzò l'occhio, allontanandosi e sparendo dietro la curva non prima di aver pizzicato la guancia a Sora, che rise senza pietà dell'espressione stizzita di Riku. 
Era decisamente arrivato il giorno per chiudere tutta quella faccenda.  

Aveva provato ad elaborare le scuse più varie, quelle realistiche e quelle a cui non avrebbe creduto neanche un bambino di tre anni. Di fronte allo specchio, mentre infilava la parrucca, aveva ripetuto un elenco infinito che poi avrebbe dovuto esporre ad Axel sui motivi per cui aveva accettato l'idea balorda di Sora e quelli per cui sperava che lo perdonasse fino a perdere il filo, ritrovandosi preso dalle elucubrazioni mentali più disparate mentre mormorava a bassa voce una preghiera verso qualsiasi buono Spirito lo stesse ascoltando, se mai ci fosse stato.  
Quando però poi era arrivato di fronte alla stazione, ed Axel gli si era avvicinato accogliendolo col suo solito sorriso caldo ed amichevole, aveva capito che l'unica cosa che avrebbe dovuto fare era dirgli la verità e non inventare altre bugie, e si promise che gliel'avrebbe detta senza omettere neanche la più piccola parte, perché Axel se lo meritava; se lo avesse odiato avrebbe avuto il diritto di odiarlo per tutto quello che aveva fatto e se invece lo avesse perdonato basandosi su una mezza verità Roxas non se ne sarebbe mai sentito degno. 
Ricambiò il sorriso, sentendosi molto più tranquillo in quel momento che non durante i giorni precedenti, lasciando che Axel gli sistemasse la sciarpa che aveva messo per ripararsi dal vento che c'era quel pomeriggio. «Devo dirti una cosa» cominciò, prendendo un gran respiro per farsi coraggio. Stava quasi per iniziare, ma Axel lo tirò verso la stazione senza lasciargli il tempo di aggiungere altro. 
«A dopo i discorsi, il treno passa tra pochissimo, non voglio perderlo - puoi aspettare due minuti, no?». 
Provò a dire qualcosa, ma la voce gli morì in gola quando quella dall'altoparlante annunciò l'arrivo del treno al binario numero tre. 
Si lasciò tenere la mano mentre entrarono nel vagone, stringendo la presa fino a quando non occuparono due posti l'uno accanto all'altroAxel gli passò il braccio sulle spalle, tenendolo stretto con la guancia premuta contro la sua tempia. Roxas non riuscì ad aprire bocca quasi per tutto il viaggio: non per mancanza di coraggio, non perché volesse aspettare ancora, semplicemente perché in quell'istante si sentiva così preso da quell'abbraccio e così tranquillizzato che si era persino dimenticato quale fosse la reale situazione. Non c'era altro a parte Axel, che parlava con calma di quello che aveva fatto in quei giorni, nient'altro oltre alle sagome del paesaggio fuori dal finestrino, che correvano veloci e sparivano una dietro l'altra, finendo alle loro spalle, lontano, dove avevano lasciato le Destiny e probabilmente anche una serie infinita di problemi insignificanti.  
Axel lo strinse più forte, premendo le labbra sulla sua guancia. «Che carino» commentò quando notò il suo rossore. 
Gli sfuggì un sorriso divertito, ed allungò la mano sulla sua gamba per pizzicarlo. «Guarda che non ti bacio comunque». 
«Sei esasperante» sospirò, facendogli scappare una risata. «Per tua fortuna sono un gentiluomo». 
«Altrimenti? Violenza sessuale nel vagone del treno verso... boh?, non mi hai detto dove stiamo andando, comunque». Roxas lo fissò incuriosito mentre gli premeva l'indice sulle labbra, facendogli un occhiolino.  
«Segreto» disse soltanto. «E comunque alla prossima scendiamo, non c'è abbastanza tempo per violentarti». 
«Sinceramente credo che anche una decina di secondi sarebbero abbastanza, per te» rise, alzandosi e scavalcando le sue gambe per avvicinarsi alle porte prima che Axel decidesse di spingerlo fuori dal finestrino, visto la terribile occhiata che gli aveva appena lanciato. Poggiò la schiena appena di fianco alle porte, continuando a ricambiare il suo sguardo con un sorrisino piuttosto divertito. 
«Probabilmente sei abituato a Riku, tsk» sbottò, alzandosi. «O sono i tuoi ritmi?». 
Roxas rise e fece per rispondere, ma quando il treno si fermò in stazione Axel lo spinse fuori dal vagone di colpo, coprendogli gli occhi con la mano e sorreggendolo per non farlo inciampare nei suoi stessi piedi. Si ritrovò con le gambe tra le sue e col naso davvero troppo vicino al suo petto, e con gli occhi coperti riusciva a sentire meglio del solito l'odore del suo profumo. Trattenne il fiato, cercando di allontanarsi, ma Axel lo trattenne, premendo più forte il palmo sulle sue palpebre. 
«Solo ancora un pochino di pazienza, davvero. Ce la fai a seguirmi senza vedere e fare domande?». 
Deglutì. «La pagina della violenza sessuale è ancora aperta o...?». 
Axel scoppiò a ridere, facendogli giurare di tenere gli occhi chiusi perché altrimenti avrebbe usato la sua sciarpa per bendarlo, imbavagliarlo oppure legarlo e lasciarlo in qualche cassonetto, se ce ne fosse stato bisogno. Roxas non poté fare a meno di pensare che probabilmente la necessità si sarebbe presentata quando gli avrebbe detto tutto quello che aveva da dirgli, e allora davvero non avrebbe potuto lamentarsi per essere stato lanciato in un cestino come un sacco dell'immondizia, tutt'altro.  
Sospirò, promettendogli che avrebbe fatto tutto quello che voleva se avesse smesso di abbracciarlo in quel modo imbarazzante in una stazione piena di gente, dopodiché tenne gli occhi chiusi, lasciandosi guidare.  

C'era mancato davvero poco perché urlasse, quando aveva potuto riaprire le palpebre. Era rimasto senza fiato, guardando il panorama di una cittadina dai tetti color sabbia da un'altezza davvero troppo vertiginosa per i suoi gusti, ed appena aveva realizzato effettivamente quanto in alto si trovassero aveva fatto due passi indietro, trovandosi con la schiena contro la parete di mattoni dell'edificio su cui Axel lo aveva portato. «Twilight Town» aveva spiegato con un sorrisetto saccente, soddisfatto e pacato come se lui non fosse assolutamente preoccupato dalla possibilità di poter finire di sotto, visto che non c'era neppure una balaustra di sicurezza. «Non dirmi che soffri di vertigini». 
«...ma che cazzo ti è venuto in mente?!». 
Axel gli lasciò un buffetto sulla guancia, come se bastasse per consolare il suo terrore o, peggio, come se volesse prenderlo per culo. «Siediti, e goditi la vista dalla Torre dell'Orologio, bimbo, io torno subito». 
Sbiancò, restando fermo dov'era solo per paura di sbilanciarsi e cadere di sotto. «Non puoi lasciarmi qui da solo! Axel!». 
Grugnì esasperato quando lo vide sparire dietro l'angolo, e con le spalle ancora ben premute alla parete scivolò lentamene in basso, sedendosi quanto più poteva lontano dal bordo. Abbassò la maglia e la felpa, che nel movimento si erano incastrate tra il muro e la sua schiena all'altezza delle scapole, e prendendo una grossa boccata d'aria cercò di calmarsi: se fosse rimasto immobile non sarebbe di certo accaduto il peggio. Raccolse le gambe al petto, tenendo gli occhi fissi sul cielo, di un azzurro incerto per il sole che di lì a poco sarebbe tramontatoNon c'era mai stato a Twilight Town, e davvero solo osservandola da quella posizione poteva essere sicuro che non ci fosse niente di più diverso dal luogo in cui era cresciuto: il blu infinito del mare e del cielo e le villette coi giardini avevano lasciato spazio ad un panorama dai toni aranciati, a degli edifici addossati l'uno all'altro come tante piccole formiche in un buco di sabbiaDalle sue parti non c'era nessun posto da cui potesse vedere a quell'altezza le case e le stradine; aveva sempre dovuto tenere il naso all'insù per guardare il volo dei gabbiani, sempre troppo in alto tra le nuvole, adesso poteva tenere d'occhio senza particolare fatica gli stormi degli uccelli che cominciavano a migrare verso i paesi più caldi. Se alle Destiny sembrava ancora estate, lì Roxas sentiva finalmente l'autunno. 
«Ecco il tuo ghiacciolo, Sora». Axel gli si sedette accanto, porgendogli il gelato salmastro. «Niente male, eh?». 
Annuì, scartando la plastica della confezione. «Davvero bello...» sussurrò. 
«Pensavo... ecco» lui si grattò la nuca, portando la punta azzurra alle labbra per dare il primo assaggio. «Che questa volta un appuntamento più... carino sarebbe andato bene». 
Abbassò lo sguardo, osservando la sagoma di una ragazza dai capelli neri che sembrava aspettare qualcuno. Si ricordò del ghiacciolo solo quando lo sentì sciogliersi sulle dita, e concentrandosi sulla sconosciuta evitò di guardare Axel in faccia. 
«Qualcosa non va?» Axel si avvicinò, cingendogli le spalle col braccio, nella stessa esatta posizione dell'abbraccio in treno, l'unica differenza era che adesso Roxas era incapace di non pensare. Quando gli lasciò un bacio sulla guancia piuttosto vicino alle labbra, Roxas si scostò, alzando finalmente gli occhi nei suoi. 
«I-Io... mi dispiace, Axel» gli posò i polpastrelli sulla bocca per zittirlo, scuotendo la testa. «Non è perché non v-voglio baciarti. A-Anzi...» avrebbe davvero voluto un po' di quella sfacciataggine che aveva dimostrato di avere tutte le volte che lo aveva preso in giro. «Ma il p-problema è che... io non sono Sora e... f-fammi spiegare, ti prego». 
Quando Axel gli afferrò entrambi i polsi nelle mani, facendo cadere i gelati sui mattoni del tetto, ebbe davvero paura che gli fosse venuto in mente di spingerlo di sotto. Ma contro ogni aspettativa, Axel aveva premuto la bocca sulla sua, senza foga, solo terribilmente gentile. A quel punto Roxas avrebbe preferito buttarsi sotto, perché almeno non avrebbe dovuto affrontare il disagio della vergogna e dell'imbarazzo cocenti. 
«A Sora non sono mai piaciuti i ghiaccioli al sale marino, Roxas» glielo sussurrò sulle labbra con un ghignetto da vero stronzo. «Al primo appuntamento c'eri quasi riuscito a sembrare Sora, ma ti sei tradito con poco» rise, lui invece continuava a non capire. «L'ho sempre saputo che eri tu. Sempre». 
E lo baciò di nuovo senza che potesse aggiungere una parola, sfilandogli la parrucca per potergli carezzare le ciocche dei suoi veri capelli, lasciandosi stringere. 
Roxas non aveva davvero capito tutto quello che era appena successo, ma finché Axel lo baciava e non poteva vedere che la sua faccia era più rossa del tramonto di Twilight Town non aveva intenzione di fermarlo per chiedere spiegazioni. Avevano aspettato anche troppo fino a quel momento. 

 

Axel non era davvero mai stato una cima, ma Sora gli era sembrato tonto sin da subito. Era stata la sua prima impressione, appena si era presentato di fronte alla classe con un sorriso splendente da pubblicità per dentifrici. Aveva consolidato i suoi sospetti quando aveva iniziato a chiedergli di fare assieme la strada per tornare a casa, nonostante il fastidio più che palese di Mister Bicipiti, ma aveva dovuto ammettere che la sua decisione ancora più stupida di accettare quella proposta di per sé senza senso era stata la cosa migliore che avesse mai potuto fare, perché poi aveva conosciuto Roxas. 
«Vuoi bene al tuo gemellino, Sora?» la sua era una domanda più che retorica, ma il piccolo cricetino nella sua testa castana decise comunque di rispondere affermativamente per togliere qualsiasi tipo di dubbio. «Se gli piacesse qualcuno gli daresti una mano?». 
A quel punto aveva catturato tutta la sua attenzione, tanto che Sora lasciò persino perdere gli evidenziatori di Riku, che stava disponendo sul banco in ordine cromatico. «Certo» sbottò, fissandolo. «Perché me lo chiedi, Axel?». 
«Perché io gli piaccio-» («Presuntuoso» sbottò Riku sotto voce). «-ed ho assolutamente bisogno di te e di una parrucca del tuo colore di capelli». 
Quando Sora annuì entusiasta ed accettò senza nemmeno aspettare una spiegazione, Axel ringraziò internamente il Cielo 
che al mondo ci fossero persone stupide abbastanza da accettare proposte insensate.




 



Partendo dal presupposto che non pubblico qualcosa dal 15 settembre scorso e che soprattutto non pubblico un'AkuRoku dal 24 agosto duemilatredici, devo sinceramente ammettere di sentirmi molto, molto arruginita, per quanto riguarda lo stile, la gestione dei personaggi e delle dinamiche. In effetti non sono particolarmente felice di questa fic (tengo a precisare che la trama viene fuori da un prompt che Syranjil Sarephen mi ha dato millenni fa e che ha preso non so dove, altrimenti lo linkerei), ma non vedevo l'ora di pubblicarla, perché in qualche modo mi ha aiutata un po' a sbloccarmi. 
Quello che mi piace molto, invece, è che sia una cosina adorabile. Nel senso che sono davvero secoli che non scrivo di Axel e Roxas giovani, stupidi ed innocenti (ed è da millenni che non scrivo di un Roxas che sia addirittura vergine a quattordici anni, lol), e mi piacciono tutti i riferimenti al gioco per i luoghi, le frasi ed i personaggi, ma quello mi sa che è perché è da natale che sto giocando a KHII-remix, e allora sono stati propio inevitabili.
Vi voglio bene patatini, se la fic vi piace o meno fatemelo sapere, un bacio 

 

   
 
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