31 Days - December
~Only the curious have, if they
live, a tale worth telling at all
[JiraTsu]
Non ci aveva pensato, Jiraya,
dall’alto dei suoi diciassette anni. Non si era fermato, nemmeno per un
istante, a pensare alle nefaste conseguenze del suo gesto. Non aveva valutato i pro e i contro, non si era preoccupato
minimamente di vagliare le possibilità di riuscita.
Forse perché Jiraya, dall’alto dei suoi diciassette anni, aveva un po’
troppa fiducia in se stesso. E
mancava completamente di senso critico, come tutti gli adolescenti.
Perché definire
‘rischiosa’ la missione che stava per intraprendere era un banale eufemismo,
così come lo sarebbe stato definirla ‘pericolosissima’. A
onor del vero, il termine più adatto era… mortale.
Jiraya spostò
il peso sul piede destro, ben attento a non far scricchiolare le foglie sotto
di lui, guardandosi attorno con circospezione. Nessuno sembrava essersi accorto
della sua presenza, constatò compiaciuto, tutto andava secondo i suoi piani.
Con gesto rapido passò la mano tra un i capelli: un
po’ per sentirsi ancora più figo, un po’ per togliere
tutti i rametti che vi erano rimasti impigliati; sbuffò infastidito nel
districare un legnetto più ostico degl’altri.
Quando ebbe finito si passò nuovamente la
mano tra i capelli, anche se nascosto com’era nessuno
avrebbe potuto ammirarlo. Dannato legnetto, pensò, avere i capelli lunghi non era il massimo della comodità, ma d’altronde quello era
il prezzo da pagare per essere così dannatamente affascinante: tutti sapevano
che era la sua indomabile chioma ad attrarre le ragazze. Solo che queste ultime
dovevano ancora capirlo.
Un rumore al di là della
palizzata richiamò la sua attenzione, interrompendo quel monologo interiore.
All’erta, tese le orecchie in attesa di un altro
minimo suono. Osservando il sole, per quanto gli fosse possibile dal suo
nascondiglio, dovevano essere da poco passate le dieci di mattina. Tempismo
perfetto, si congratulò con se stesso.
Trattenne il fiato, attendendo in religioso
silenzio, poi -finalmente- delle voci. Il
momento era giunto.
Rapidamente estrasse un kunai
dall’astuccio che teneva legato alla gamba destra e, con l’abilità di chi già
l’aveva fatto altre volte, insinuò la lama nella fessura tra un’asse di legno e
l’altra. Sempre cercando di non fare rumore, ruotò l’arma
fino ad allargare impercettibilmente l’apertura, quel poco che bastava ad un
occhio umano per scorgere le figure oltre la recinzione.
“Fumiko, sbrigati!”
trillò una voce femminile. “È mezz’ora che aspetto”.
“Arrivo, Hana, calmati”
rispose la ragazza chiamata in causa. “Non vedi che è presto? Le terme sono
ancora vuote”.
Un sorriso ebete si dipinse sul volto di Jiraya. Forse quella non era l’attività più nobile per uno shinobi come lui: nulla a che vedere con qualche missione
di livello S, ma di certo altrettanto appagante.
“Tsunade ti ha detto
qualcosa?” chiese nuovamente la prima voce. “Ieri pomeriggio ha detto che ci saremmo incontrate qui…”.
Lo stupido sorriso di Jiraya
si allargò ulteriormente e per la seconda volta da dieci minuti a quella parte,
pensò di aver avuto un’idea a dir poco geniale. Quando il
giorno prima, al ritorno da una missione, aveva udito la compagna di
squadra parlare con altre due amiche non aveva potuto fare a meno di origliare.
E gli era bastato fare due più due per unire i suoi
passatempo preferiti: osservare le ragazze alla terme -il termine
‘spiare’ non gli era mai piaciuto, aveva un’aria troppo cospiratoria- e
infastidire Tsunade.
Soddisfatto della propria trovata accostò
nuovamente l’occhiò destro, socchiudendo quello
sinistro, allo spiraglio che era riuscito a creare.
“Ciao, scusate il ritardo” disse finalmente una
voce conosciuta. “Sono passata da quell’idiota
di Jiraya per consegnargli dei documenti da parte del Sensei, ma non l’ho trovato… chissà dove diavolo si è
nascosto”.
Dopo pochi istanti la figura di una ragazza
bionda entrò nella sua visuale ma, sfortunatamente
indossava ancora un asciugamano affrancato sopra il seno. Jiraya
imprecò silenziosamente.
“Magari è andato ad allenarsi” commentò una delle
due ragazze arrivate per prime, presumibilmente Fumiko.
“Rilassati!”.
Tsunade
sbuffò, sedendosi su una roccia.
“È difficile, sai? Non
posso stare calma se penso che quel pervertito potrebbe essere da qualche parte
a ‘fare ricerche’ per il suo libro” chiosò truce, sempre senza accennare a liberarsi
dell’asciugamano.
“Ricerche? Non sapevo stesse scrivendo un libro”.
“Credimi Hana, in certi
casi è meglio non sapere” la redarguì Tsunade,
ricordando i gusti letterari del compagno di squadra. “Spero solo per lui che
non sia nei dintorni” concluse poi, spaventosamente seria.
Ecco, fu esattamente in quel momento che le
convinzioni di Jiraya iniziarono a vacillare. Ma solo un po’. Infatti fece
appello a tutta la sua forza per ignorare gli inquietanti rivoli di sudore
gelido che avevano iniziato a scendergli dal collo, percorrendo tutta la
colonna vertebrale e causandogli violenti tremiti. Forse avrebbe dovuto
fare più attenzione.
“Ho sentito che la scorsa settimana l’hanno
beccato negli spogliatoi femminili delle terme di Aikawa” disse nuovamente Hana.
“Nessuno sarebbe così stupido da commettere lo stesso errore due volte”.
Tsunade
roteò gli occhi.
“Stiamo parlando di Jiraya”
sbottò spiccia. “Lui può esserlo”.
Jiraya fece
un passo indietro, spalancando occhi e bocca sul punto di fare una smorfia
irritata.
Ma come si permettev… ops.
Nell’arretrare offeso ed indignato aveva commesso
un errore tanto stupido che un qualunque genin
avrebbe saputo evitare.
Aveva pestato un rametto.
E mentre quell’inequivocabile
‘screeek’ riecheggiava ancora nel silenzio delle
terme, gli occhi di Tsunade si assottigliarono,
rivolti all’alta palizzata che riparava il luogo da
occhi indiscreti. O almeno così si pensava.
“L’avete sentito anche voi, vero?” chiese rivolta
alle altre due ragazze. Queste annuirono, impallidendo improvvisamente.
Jiraya, dal
canto suo, dopo quel fatale errore era rimasto immobile. Nonostante
l’istinto gli dicesse di scappare, fuggire il più lontano possibile o magari nascondersi
due o tre metri sotto il suolo, nessun muscolo del suo corpo accennava a
muoversi. Era come paralizzato dalla paura.
Bastò una frazione di secondo affinché una
tremenda consapevolezza s’impossessasse di lui. No, pensò, diciassette anni
erano decisamente troppo pochi per morire.
Quello che successe in seguito fu soltanto una
sequenza sfocata di avvenimenti, inframmezzati da
grida e lividi, quando si risvegliò dolorante nella sala dell’ospedale.
Ricordava Tsunade che
aveva avanzato nella sua direzione con ampie falcate nervose, poi, come se
fosse stata di polistirolo, aveva frantumato la parete lignea trasformandola in
un pulviscolo di minuscole schegge. Jiraya non si era
ancora mosso, terrorizzato dalla quantità di chakra
emanato dalla ragazza. Sempre immobile l’aveva udita urlare qualcosa nei suoi
confronti, molto probabilmente insulti e altre poco gentili invettive, e infine
aveva visto quello. Aveva visto il pugno di Tsunade
abbattersi inesorabilmente su di lui, con una velocità ed una potenza impressionanti.
Poi, il buio.
Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere
a fuoco l’ambiente circostante. Si sentiva come se fosse stato calpestato da
una mandria di buoi, la testa gli doleva e apparentemente l’unica parte del
corpo che gli era possibile muovere erano gli occhi. Il soffitto asettico e il
tubo della flebo che correva poco sopra la sua testa
gli fecero capire che, con ogni probabilità, doveva trovarsi all’ospedale di
Konoha.
Bene, fin lì era tutto chiaro, si disse. Ora non
gli rimaneva che far luce su altri due irrilevanti punti: da quanto era
lì? Ma soprattutto, perché?
L’ultima cosa che riusciva a ricordare era
un’insulsa missione con Orochimaru e Tsunade, ovviamente concluse brillantemente. Poi…?
Poi erano tornati a Konoha e si erano diretti al
palazzo dell’Hokage per fare rapporto,
desiderosi di andarsene quanto prima. Stava battibeccando
con Tsunade quando, proprio davanti al palazzo, avevano incontrato due
amiche di quest’ultima che, con la scusa di
salutarla, l’avevano invitata alle ter….
Oh.
Tutto di fece
improvvisamente nitido, fino a farlo rabbrividire al solo ricordo del pugno
della compagna di squadra. Il senso di onnipotenza che
aveva provato la mattina del misfatto era misteriosamente sparito, così come la
baldanza e quella sottile nota di perverso autocompiacimento. Ora nella sua
mente non vi erano altro che terrorizzanti flash di Tsunade
adirata, il rumore della palizzata in frantumi e il dolore provato successivamente.
Provò a dimenarsi nel vano tentativo di voltarsi
di fianco: doveva sapere da quanto tempo era ricoverato.
“È inutile che ti agiti tanto, sei completamente
immobilizzato”.
“Tsunade?!” chiese Jiraya stupefatto,
riconoscendo la voce.
“No, la fatina dei dentini” ringhiò lei
avvicinandosi al letto.
“P-perché mai non
riesco a muovermi?” domandò incerto quando la ragazza
si chinò su di lui, entrando nel suo campo visivo.
“La risposta più azzeccata sarebbe ‘perché sei un
deficiente’” soffiò. “Ma clinicamente parlando
possiamo dire che ti ho quasi sfondato il petto, rotto
una manciata di costole e una tibia”.
Jiraya
sgranò gli occhi.
“Ma sei pazza?!” urlò
quanto più forte la sua condizione gli permise. “Avresti potuto uccidermi!”.
La ragazza scoppiò in una risata isterica,
ricominciando a passeggiare nervosamente per la stanza.
“Ucciderti? Sì, l’idea era
quella” sbottò in seguito. “Perché devi sempre fare queste cazzate?! Non hai più cinque anni,
Jiraya”.
“È vero” le concesse. “…a cinque anni certe cose
non mi interessavano tanto!” concluse cercando di
ridere.
Tsunade socchiuse gli occhi, cercando di ignorare le parole del compagno di
squadra.
“Forse ci sono andata troppo pesante”
disse imponendosi controllo. “Ma tu dovresti smetterla
con queste cose da… da… pervertito!”.
“Ehi, non sono un pervertito!” si difese lui.
“Ah, no? E come lo chiami uno
che passa il suo tempo libero a spiare le ragazze alle terme?”.
Jiraya
cercò di scuotere la testa.
“Quello è un semplice pervertito. Io non spio, io osservo” chiosò altezzosamente. “Mi sto
documentando per la mia grande opera: Il paradiso
della pomiciata”.
“Il paradiso di cosa?” domandò Tsunade alterata. “Ringrazia di trovarti già in un letto di ospedale, altrimenti io… io…”.
“Sì lo so, lo so” la
interruppe lui.
“Ecco”.
Passarono alcuni istanti in silenzio. Jiraya avrebbe potuto giurare che Tsunade
se ne fosse andata, se non avesse udito il suo respiro regolare scandire il
tempo.
“Tsunade…?” provò a
chiamarla dopo qualche minuto.
“Sì?” rispose lei secca.
“Sei arrabbiata?”.
“Sì”.
“Intendo, molto
arrabbiata?” si accertò.
Tsunade
sollevò un sopraciglio.
“Sì Jiraya, molto arrabbiata” rispose nuovamente lapidaria.
“Quantifica molto!” esclamò lui, alquanto
infantilmente.
“Mettiamola così: sono tanto arrabbiata quanto tu
sei idiota. Infinitamente, quindi”.
“Capisco”.
Nuovamente silenzio.
“Pensavo fosse un’idea geniale” ammise il
ragazzo.
“Pensavi? Ah, ecco qual era la
falla del tuo grandioso piano” si sentì rispondere, con tono sarcastico.
Ancora, dannatamente silenzio.
“Tsunade-chan?” trillò
questa volta, melenso. “Mi prude il naso”.
La ragazza si limitò a rivolgergli un brevettato
sguardo compassionevole.
“…e allora?” chiese con
sufficienza.
“Non posso muovermi” le ricordò,
cominciando a dimenarsi sommessamente.
Tsunade
sorrise.
“Non è un problema mio, sai?”.
“Non sto scherzando, Tsunade…
ti supplico”.
“E se mi rifiutassi?”.
“Ti scongiuro!”.
“No-o!” scandì la
ragazza, divertita.
“Sei crudele!” esclamò Jiraya,
storcendo freneticamente il naso nel tentativo di far cessare il prurito.
“Dopo quello che hai fatto
due giorni fa questo è il minimo!”.
Due giorni fa? I pugni di Tsunade dovevano essere veramente tremendi.
“Crudele E rancorosa”.
Nuovamente silenzio.
“Se sei davvero così
arrabbiata, cosa ci fai ancora qui?” domandò il ragazzo, divenendo serio. “Da quanto
ho capito ti sei infuriata non poco… perché non mi lasci bollire nel mio
brodo?”.
Tsunade
spalancò gli occhi.
“P-perché altrimenti
non sarebbe divertente” rispose poco convinta.
“Davvero?”.
“Certo!” esclamò convinta, arrossendo. “Ora non
farti strane idee”.
Jiraya
chiuse gli occhi, arrossendo a sua volta.
“Certo, che idee vuoi
che mi faccia? Con una ragazza manesca come te, poi…”.
“E invece credi che a me
possa piacere un maniaco come te?” mugugnò Tsunade,
imbarazzata.
“L’importante è che questo sia chiaro!”.
“Bene!”
“Bene!”.
“…mi spiace averti fatto così male,
scusa”.
“…e io sono contento che
tu sia qui”.
Spiare Tsunade si era rivelata una pessima idea, realizzò Jiraya
anni dopo, grazie al tanto famoso “senno di poi”. Un’esperienza agghiacciante,
la definì, assolutamente da non ripetere. E nonostante la paura del momento, si
accorse di non rimpiangere affatto il proprio gesto:
probabilmente quelle scuse sussurrate erano il miglior antidolorifico, e la
mano di lei appoggiata sulla sua valeva più di qualche osso rotto, dei lividi e
delle parole dure.
Non sarebbe bastato un libro a raccontare tutto
quello.
Non
ci credo. L’ho finita?!
Yay!
Questa
sarà una raccolta ispirata alla Writing Community 31
Day, con i temi di dicembre <3 Ovviamente impiegherò ben più di un mese per
completarli (sono 31) ma questo non ha importanza.
Spero
che la storia vi sia piaciuta ^^
Mela