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Autore: Mala Mela    03/12/2008    4 recensioni
06 . Did you find the enlightenment in the Western Paradise? . JiraTsu
{ «Hai trovato quello che cercavi? È per questo che sei di nuovo qui?».
Tsunade scuote la testa, posando sulla scrivania il bicchierino che fino a pochi istanti prima era ricolmo di saké.
«È proprio perché non ho trovato nulla che sono tornata. Suppongo che il mio metodo di ricerca non sia abbastanza efficace».
«Forse il problema non è il metodo, ma ciò che cerchi» le fa eco Jiraya. «Perché se l’unica cosa che vuoi trovare è una ragione per non tornare mai più, prima o poi finirai per fare l’esatto contrario». }
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Tsunade
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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31 Days - December

31 Days - December

 

 

~Only the curious have, if they live, a tale worth telling at all

[JiraTsu]

 

 

 

 

 

Non ci aveva pensato, Jiraya, dall’alto dei suoi diciassette anni. Non si era fermato, nemmeno per un istante, a pensare alle nefaste conseguenze del suo gesto. Non aveva valutato i pro e i contro, non si era preoccupato minimamente di vagliare le possibilità di riuscita.

Forse perché Jiraya, dall’alto dei suoi diciassette anni, aveva un po’ troppa fiducia in se stesso. E mancava completamente di senso critico, come tutti gli adolescenti.

Perché definire ‘rischiosa’ la missione che stava per intraprendere era un banale eufemismo, così come lo sarebbe stato definirla ‘pericolosissima’. A onor del vero, il termine più adatto era… mortale.

Jiraya spostò il peso sul piede destro, ben attento a non far scricchiolare le foglie sotto di lui, guardandosi attorno con circospezione. Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza, constatò compiaciuto, tutto andava secondo i suoi piani. Con gesto rapido passò la mano tra un i capelli: un po’ per sentirsi ancora più figo, un po’ per togliere tutti i rametti che vi erano rimasti impigliati; sbuffò infastidito nel districare un legnetto più ostico degl’altri.

Quando ebbe finito si passò nuovamente la mano tra i capelli, anche se nascosto com’era nessuno avrebbe potuto ammirarlo. Dannato legnetto, pensò, avere i capelli lunghi non era il massimo della comodità, ma d’altronde quello era il prezzo da pagare per essere così dannatamente affascinante: tutti sapevano che era la sua indomabile chioma ad attrarre le ragazze. Solo che queste ultime dovevano ancora capirlo.

Un rumore al di là della palizzata richiamò la sua attenzione, interrompendo quel monologo interiore. All’erta, tese le orecchie in attesa di un altro minimo suono. Osservando il sole, per quanto gli fosse possibile dal suo nascondiglio, dovevano essere da poco passate le dieci di mattina. Tempismo perfetto, si congratulò con se stesso.

Trattenne il fiato, attendendo in religioso silenzio, poi -finalmente- delle voci. Il momento era giunto.

Rapidamente estrasse un kunai dall’astuccio che teneva legato alla gamba destra e, con l’abilità di chi già l’aveva fatto altre volte, insinuò la lama nella fessura tra un’asse di legno e l’altra. Sempre cercando di non fare rumore, ruotò l’arma fino ad allargare impercettibilmente l’apertura, quel poco che bastava ad un occhio umano per scorgere le figure oltre la recinzione.

Fumiko, sbrigati!” trillò una voce femminile. “È mezz’ora che aspetto”.

“Arrivo, Hana, calmati” rispose la ragazza chiamata in causa. “Non vedi che è presto? Le terme sono ancora vuote”.

Un sorriso ebete si dipinse sul volto di Jiraya. Forse quella non era l’attività più nobile per uno shinobi come lui: nulla a che vedere con qualche missione di livello S, ma di certo altrettanto appagante.

Tsunade ti ha detto qualcosa?” chiese nuovamente la prima voce. “Ieri pomeriggio ha detto che ci saremmo incontrate qui…”.

Lo stupido sorriso di Jiraya si allargò ulteriormente e per la seconda volta da dieci minuti a quella parte, pensò di aver avuto un’idea a dir poco geniale. Quando il giorno prima, al ritorno da una missione, aveva udito la compagna di squadra parlare con altre due amiche non aveva potuto fare a meno di origliare. E gli era bastato fare due più due per unire i suoi passatempo preferiti: osservare le ragazze alla terme -il termine ‘spiare’ non gli era mai piaciuto, aveva un’aria troppo cospiratoria- e infastidire Tsunade.

Soddisfatto della propria trovata accostò nuovamente l’occhiò destro, socchiudendo quello sinistro, allo spiraglio che era riuscito a creare.

“Ciao, scusate il ritardo” disse finalmente una voce conosciuta. “Sono passata da quell’idiota di Jiraya per consegnargli dei documenti da parte del Sensei, ma non l’ho trovato… chissà dove diavolo si è nascosto”.

Dopo pochi istanti la figura di una ragazza bionda entrò nella sua visuale ma, sfortunatamente indossava ancora un asciugamano affrancato sopra il seno. Jiraya imprecò silenziosamente.

“Magari è andato ad allenarsi” commentò una delle due ragazze arrivate per prime, presumibilmente Fumiko. “Rilassati!”.

Tsunade sbuffò, sedendosi su una roccia.

È difficile, sai? Non posso stare calma se penso che quel pervertito potrebbe essere da qualche parte a ‘fare ricerche’ per il suo libro” chiosò truce, sempre senza accennare a liberarsi dell’asciugamano.

“Ricerche? Non sapevo stesse scrivendo un libro”.

“Credimi Hana, in certi casi è meglio non sapere” la redarguì Tsunade, ricordando i gusti letterari del compagno di squadra. “Spero solo per lui che non sia nei dintorni” concluse poi, spaventosamente seria.

Ecco, fu esattamente in quel momento che le convinzioni di Jiraya iniziarono a vacillare. Ma solo un po’. Infatti fece appello a tutta la sua forza per ignorare gli inquietanti rivoli di sudore gelido che avevano iniziato a scendergli dal collo, percorrendo tutta la colonna vertebrale e causandogli violenti tremiti. Forse avrebbe dovuto fare più attenzione.

“Ho sentito che la scorsa settimana l’hanno beccato negli spogliatoi femminili delle terme di Aikawa” disse nuovamente Hana. “Nessuno sarebbe così stupido da commettere lo stesso errore due volte”.

Tsunade roteò gli occhi.

“Stiamo parlando di Jiraya” sbottò spiccia. “Lui può esserlo”.

Jiraya fece un passo indietro, spalancando occhi e bocca sul punto di fare una smorfia irritata.

Ma come si permettev… ops.

Nell’arretrare offeso ed indignato aveva commesso un errore tanto stupido che un qualunque genin avrebbe saputo evitare.

Aveva pestato un rametto.

E mentre quell’inequivocabile ‘screeek’ riecheggiava ancora nel silenzio delle terme, gli occhi di Tsunade si assottigliarono, rivolti all’alta palizzata che riparava il luogo da occhi indiscreti. O almeno così si pensava.

“L’avete sentito anche voi, vero?” chiese rivolta alle altre due ragazze. Queste annuirono, impallidendo improvvisamente.

Jiraya, dal canto suo, dopo quel fatale errore era rimasto immobile. Nonostante l’istinto gli dicesse di scappare, fuggire il più lontano possibile o magari nascondersi due o tre metri sotto il suolo, nessun muscolo del suo corpo accennava a muoversi. Era come paralizzato dalla paura.

Bastò una frazione di secondo affinché una tremenda consapevolezza s’impossessasse di lui. No, pensò, diciassette anni erano decisamente troppo pochi per morire.

Quello che successe in seguito fu soltanto una sequenza sfocata di avvenimenti, inframmezzati da grida e lividi, quando si risvegliò dolorante nella sala dell’ospedale.

Ricordava Tsunade che aveva avanzato nella sua direzione con ampie falcate nervose, poi, come se fosse stata di polistirolo, aveva frantumato la parete lignea trasformandola in un pulviscolo di minuscole schegge. Jiraya non si era ancora mosso, terrorizzato dalla quantità di chakra emanato dalla ragazza. Sempre immobile l’aveva udita urlare qualcosa nei suoi confronti, molto probabilmente insulti e altre poco gentili invettive, e infine aveva visto quello. Aveva visto il pugno di Tsunade abbattersi inesorabilmente su di lui, con una velocità ed una potenza impressionanti.

Poi, il buio.

 

Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si sentiva come se fosse stato calpestato da una mandria di buoi, la testa gli doleva e apparentemente l’unica parte del corpo che gli era possibile muovere erano gli occhi. Il soffitto asettico e il tubo della flebo che correva poco sopra la sua testa gli fecero capire che, con ogni probabilità, doveva trovarsi all’ospedale di Konoha.

Bene, fin lì era tutto chiaro, si disse. Ora non gli rimaneva che far luce su altri due irrilevanti punti: da quanto era lì? Ma soprattutto, perché?

L’ultima cosa che riusciva a ricordare era un’insulsa missione con Orochimaru e Tsunade, ovviamente concluse brillantemente. Poi…?

Poi erano tornati a Konoha e si erano diretti al palazzo dell’Hokage per fare rapporto, desiderosi di andarsene quanto prima. Stava battibeccando con Tsunade quando, proprio davanti al palazzo, avevano incontrato due amiche di quest’ultima che, con la scusa di salutarla, l’avevano invitata alle ter….

Oh.

Tutto di fece improvvisamente nitido, fino a farlo rabbrividire al solo ricordo del pugno della compagna di squadra. Il senso di onnipotenza che aveva provato la mattina del misfatto era misteriosamente sparito, così come la baldanza e quella sottile nota di perverso autocompiacimento. Ora nella sua mente non vi erano altro che terrorizzanti flash di Tsunade adirata, il rumore della palizzata in frantumi e il dolore provato successivamente.

Provò a dimenarsi nel vano tentativo di voltarsi di fianco: doveva sapere da quanto tempo era ricoverato.

“È inutile che ti agiti tanto, sei completamente immobilizzato”.

Tsunade?!” chiese Jiraya stupefatto, riconoscendo la voce.

“No, la fatina dei dentini” ringhiò lei avvicinandosi al letto.

P-perché mai non riesco a muovermi?” domandò incerto quando la ragazza si chinò su di lui, entrando nel suo campo visivo.

“La risposta più azzeccata sarebbe ‘perché sei un deficiente’” soffiò. “Ma clinicamente parlando possiamo dire che ti ho quasi sfondato il petto, rotto una manciata di costole e una tibia”.

Jiraya sgranò gli occhi.

“Ma sei pazza?!” urlò quanto più forte la sua condizione gli permise. “Avresti potuto uccidermi!”.

La ragazza scoppiò in una risata isterica, ricominciando a passeggiare nervosamente per la stanza.

“Ucciderti? Sì, l’idea era quella” sbottò in seguito. “Perché devi sempre fare queste cazzate?! Non hai più cinque anni, Jiraya”.

“È vero” le concesse. “…a cinque anni certe cose non mi interessavano tanto!” concluse cercando di ridere.

Tsunade socchiuse gli occhi, cercando di ignorare le parole del compagno di squadra.

Forse ci sono andata troppo pesante” disse imponendosi controllo. “Ma tu dovresti smetterla con queste cose da… da… pervertito!”.

“Ehi, non sono un pervertito!” si difese lui.

“Ah, no? E come lo chiami uno che passa il suo tempo libero a spiare le ragazze alle terme?”.

Jiraya cercò di scuotere la testa.

Quello è un semplice pervertito. Io non spio, io osservo” chiosò altezzosamente. “Mi sto documentando per la mia grande opera: Il paradiso della pomiciata”.

“Il paradiso di cosa?” domandò Tsunade alterata. “Ringrazia di trovarti già in un letto di ospedale, altrimenti io… io…”.

“Sì lo so, lo so” la interruppe lui.

“Ecco”.

Passarono alcuni istanti in silenzio. Jiraya avrebbe potuto giurare che Tsunade se ne fosse andata, se non avesse udito il suo respiro regolare scandire il tempo.

Tsunade…?” provò a chiamarla dopo qualche minuto.

“Sì?” rispose lei secca.

Sei arrabbiata?”.

”.

“Intendo, molto arrabbiata?” si accertò.

Tsunade sollevò un sopraciglio.

“Sì Jiraya, molto arrabbiata” rispose nuovamente lapidaria.

“Quantifica molto!” esclamò lui, alquanto infantilmente.

“Mettiamola così: sono tanto arrabbiata quanto tu sei idiota. Infinitamente, quindi”.

“Capisco”.

Nuovamente silenzio.

“Pensavo fosse un’idea geniale” ammise il ragazzo.

“Pensavi? Ah, ecco qual era la falla del tuo grandioso piano” si sentì rispondere, con tono sarcastico.

Ancora, dannatamente silenzio.

Tsunade-chan?” trillò questa volta, melenso. “Mi prude il naso”.

La ragazza si limitò a rivolgergli un brevettato sguardo compassionevole.

“…e allora?” chiese con sufficienza.

Non posso muovermi” le ricordò, cominciando a dimenarsi sommessamente.

Tsunade sorrise.

“Non è un problema mio, sai?”.

“Non sto scherzando, Tsunade… ti supplico”.

E se mi rifiutassi?”.

“Ti scongiuro!”.

No-o!” scandì la ragazza, divertita.

“Sei crudele!” esclamò Jiraya, storcendo freneticamente il naso nel tentativo di far cessare il prurito.

“Dopo quello che hai fatto due giorni fa questo è il minimo!”.

Due giorni fa? I pugni di Tsunade dovevano essere veramente tremendi.

“Crudele E rancorosa”.

Nuovamente silenzio.

Se sei davvero così arrabbiata, cosa ci fai ancora qui?” domandò il ragazzo, divenendo serio. “Da quanto ho capito ti sei infuriata non poco… perché non mi lasci bollire nel mio brodo?”.

Tsunade spalancò gli occhi.

P-perché altrimenti non sarebbe divertente” rispose poco convinta.

“Davvero?”.

“Certo!” esclamò convinta, arrossendo. “Ora non farti strane idee”.

Jiraya chiuse gli occhi, arrossendo a sua volta.

“Certo, che idee vuoi che mi faccia? Con una ragazza manesca come te, poi…”.

E invece credi che a me possa piacere un maniaco come te?” mugugnò Tsunade, imbarazzata.

“L’importante è che questo sia chiaro!”.

“Bene!”

“Bene!”.

 

 

 

“…mi spiace averti fatto così male, scusa”.

“…e io sono contento che tu sia qui”.

 

 

 

Spiare Tsunade si era rivelata una pessima idea, realizzò Jiraya anni dopo, grazie al tanto famoso “senno di poi”. Un’esperienza agghiacciante, la definì, assolutamente da non ripetere. E nonostante la paura del momento, si accorse di non rimpiangere affatto il proprio gesto: probabilmente quelle scuse sussurrate erano il miglior antidolorifico, e la mano di lei appoggiata sulla sua valeva più di qualche osso rotto, dei lividi e delle parole dure.

Non sarebbe bastato un libro a raccontare tutto quello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credo. L’ho finita?!

Yay!

Questa sarà una raccolta ispirata alla Writing Community 31 Day, con i temi di dicembre <3 Ovviamente impiegherò ben più di un mese per completarli (sono 31) ma questo non ha importanza.

Spero che la storia vi sia piaciuta ^^

 

 

Mela

   
 
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