Buongiorno e buon anno a tutti! XD (insomma, è la prima cosa che posto dal 2014, così…)
Questa fic doveva essere una One-shot ma alla fine mi son fatta prendere un po’ la mano e siamo finiti a più di 40.000 parole. . . quindi mi è toccata dividerla a capitoli. XD
Io ringrazio infinitamente (in ordine alfabetico) ermete, Hotaru_Tomoe, Macaron e Yoko Hogawa per l’ENORME pazienza e aiuto (sto stressando da tipo. . . dicembre con questa storia? E ce l’ho in mente da Ottobre che sono andata in Giappone, quindi è strano non mi odino. . .) e quindi niente, vi lascio alla storia e spero vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverla (ma spero non vi stressi allo stesso modo XD) sottolineo il forte e pesante OOC ma essendo una AU di un certo tipo credo mi sia concesso aver sforato un pochino.
Grazie a Moni e Yoko per i consigli e il betaggio. <3
Per quanto riguarda la traduzione di A single girl in London (plus a Consultive Detective) ho ripreso in mano anche quella ma dovrete avere pazienza (chiedo scusa ma ho un miliardo di cose da fare e Marco ha anche da tradurre sottotitoli per telefilm, quindi non è proprio liberissimo manco lui. XD)
Ah sì, buon s. Valentino a tutti : )
PROLOGO
John pensa con un po’ di irritazione che il climatizzatore nel locale deve essere rotto e mortalmente fermo ai trenta gradi, perché sente un caldo secco e la pelle fastidiosamente appiccicaticcia contro i vestiti e, nel mentre, aspetta che la cameriera gli porti il suo dannato bicchier d’acqua per avere qualcosa da fare che non sia ascoltare quello che il suo interlocutore –un certo Paul- gli sta dicendo. Un certo Paul che gli sta parlando del suo lavoro, del suoi hobbies, del fatto che qualche anno fa avesse un cane ma che poi l’ex moglie –ex per motivi che ora a John sembrano ovvi- lo abbia portato via con sé e non gliel’abbia più fatto vedere e che lui si sente disperato come se avesse perso un figlio.
Lui nel frattempo vaga coi pensieri e si ritrova a rimuginare sull’inverno che sembra non voler arrivare mai, che sono già a novembre ma che lui è uscito in maniche di camicia e giusto una giacca a vento per la sera nel caso la temperatura si abbassasse improvvisamente. Pensa al fatto che il caldo proprio non lo riesce più a reggere, che l’Afghanistan gli ha tolto tutta la voglia d’estate che aveva una volta da ragazzo, che sente quasi la sua pelle ardere ancora sotto il sole e gli sembra che il suo colorito sia sempre quello di un uomo bruciato dai raggi costanti di un sole di mezzogiorno piuttosto che quello di un uomo abbronzato, e che spera che quella sensazione se ne andrà presto in pensione. Come la sua carriera.
Pensa a come si sia fatto incastrare in una cosa così assurda come uno speed date –un fottuto speed date- appena a qualche mese dal suo rientro in patria e ancora non riesce a crederci.
E poi un nome gli affiora nella mente: Mike.
Mike che lo ha riconosciuto e chiamato mentre stava attraversando un parco, zoppicando e appoggiandosi al suo bastone. Mike che lo ha salutato con un sorriso davvero felice di rivederlo e lo ha invitato a bere un caffè. Mike che alla fine gli ha anche dato una spintarella per un lavoro in un ambulatorio che gli ha permesso di andarsene dalla pensione militare e di prendere in affitto un monolocale da non dover dividere con nessuno.
Semplicemente Mike. Che lo ha incastrato in questa cosa assurda perché ti serve una distrazione, John, trovati qualcuno, o fatti una sana scopata ogni tanto.
John scaccia il pensiero di Mike e annuisce nuovamente a Paul, che non smette di cianciare per mezzo secondo, e si chiede se il vero motivo per cui la moglie lo abbia lasciato non sia tanto il fatto che sia evidentemente omosessuale ma il fatto che parli senza quasi mai prendere un attimo di respiro, senza lasciare all’interlocutore nemmeno un momento per esprimere un’opinione. Riesce quasi a figurarsi un litigio con un tipo del genere. Lo avrebbe fatto impazzire.
La cameriera finalmente arriva e John sorseggia svogliatamente l’acqua, nascondendo in parte l’espressione mortalmente annoiata all’uomo dinnanzi a sé.
I minuti di Paul finiscono e un campanello suona, facendo un enorme favore a John che non aspetta altro che Paul si alzi e se ne vada al tavolino adiacente al suo, così da mettere presto fine a tutta quella farsa. Ha pensato di andarsene un paio di volte, ma alla fine ha trovato anche delle persone con qualche interesse in comune con cui è stato piuttosto piacevole passare alcuni minuti chiacchierando, così ha rinunciato all’idea rimanendo fermo al suo posto, pensando che in fin dei conti non aveva nulla di meglio da fare.
È quando non sente il rumore della sedia davanti a lui scostarsi che John riporta l’attenzione verso Paul, che non si è minimamente alzato ma che, anzi, lo guarda con occhi quasi speranzosi.
John lo fissa per un attimo e non dice niente e spera che la cosa sia piuttosto chiara senza doverlo umiliare. Le regole sono chiare: se è evidente un interesse reciproco ci si alza e ci si allontana per continuare l’appuntamento da un’altra parte, altrimenti si passa al prossimo. John credeva fosse abbastanza ovvio dalla sua postura –totalmente abbandonato contro la sedia e minimamente desideroso di alzarsi- che non aveva nessuna intenzione di lasciare quel posto. E di certo non con Paul.
L’uomo però continua a guardarlo e ad un certo punto accenna persino un occhiolino al quale John non sa se ridere o piangere.
Non è che Paul sia una cattiva persona, semplicemente non è il tipo per lui. Per niente.
«Senti Paul, io…»
«Mi sembra più che evidente che John non abbia la ben che minima intenzione di portare avanti un appuntamento con lei, dunque, siccome i minuti sono già pochi, le sarei grato se si alzasse e lasciasse il posto per la persona subito dopo di lei. Che sarei io, giusto per renderle il concetto più chiaro.»
John sposta lo sguardo da Paul alla figura che ha parlato e per qualche istante non riesce a fare altro che sbattere le palpebre. Un uomo –più o meno della sua età, presume- alto, capelli neri, la pelle chiara e il colore d’occhi più indefinibile che John abbia mai incontrato in tutta la sua vita (un misto di azzurro e verde mescolati insieme) sta fissando Paul con malcelato fastidio, le mani nelle tasche del lungo cappotto (come possa indossare il cappotto con quel caldo per lui è un mistero) e un piede che batte ritmicamente a terra.
John abbassa pian piano gli occhi, seguendo la figura longilinea dalla testa ai piedi, apprezzando notevolmente le gambe lunghe fasciate da dei pantaloni scuri, finendo poi con gli occhi sul cartellino appeso al petto: Hamish.
John sbatte di nuovo le palpebre e ride mentalmente al nome dell’uomo davanti a sé. Beh, qualcosa in comune ce l’hanno già, evidentemente.
John fa un colpo di tosse e si rivolge a Paul dopo aver lanciato un’occhiata di sbieco all’altro uomo che lo guarda di rimando come se non avesse detto o fatto nulla di così strano.
«Nonostante il signore sia stato piuttosto scortese e non mi sembrava affatto il caso…» e detto questo guarda nuovamente Hamish, che sbuffa seccato muovendo una mano «Non sono davvero interessato, scusami.»
Paul posa lo sguardo su entrambi e infine si rivolge nuovamente a John. «Devo aver interpretato male, chiedo scusa.» e, detto questo, se ne va al tavolo successivo senza proferire altro.
John si sente un po’ in colpa nel vedere la postura rigida con cui Paul se ne va. Avrebbe preferito dire le cose un po’ più gentilmente ma proprio non gli era passato nulla per la testa (dannazione, è stanco anche lui e lì contro voglia), e non è propriamente carino averlo fatto vergognare nel bel mezzo di un locale –anche se probabilmente nessuno aveva prestato loro attenzione. Sarebbe dovuto essere un po’ più accorto.
Hamish allora scosta la sedia e prende posto, tamburellando con le dita sul legno del tavolo e guardandosi intorno con fare annoiato.
John si prende il suo tempo per inquadrarlo, almeno per quanto può.
Ha zigomi alti e aristocratici l’uomo seduto dinnanzi a lui, che sta piegando la bocca in un broncio con fare teatrale nemmeno avesse cinque ann; capelli ricci ed evidentemente indomabili, pelle chiara e occhi dal taglio affilato, uno sguardo circospetto che sembra annoiato a morte ma alla ricerca di qualcosa. Tutto, in quello sguardo, fa pensare a John che l’uomo davanti a lui sia un tipo intelligente. E se c’è una cosa che davvero John ama nella vita è l’intelligenza. La spocchia la sopporta un po’ meno, ma quel broncio da bambinetto lo fa sorridere leggermente.
È comunque abbastanza evidente che nemmeno quell’uomo vorrebbe essere lì a parlare con degli perfetti sconosciuti.
Interessante.
«Grazie.» dice allora John, ed Hamish si volta a guardalo, studiandolo con un sopracciglio alzato, aspettando una spiegazione. «Non avevo idea di come fargli capire di non essere interessato senza risultare scortese. Anche se la tua uscita è stata davvero esagerata, non se lo meritava.»
Hamish sbuffa e alza gli occhi al cielo. «Si risparmia molto più tempo ad essere coincisi che girandoci attorno. E io sono una persona che non ha tempo da perdere. Se fosse stato più sveglio quell’uomo avrebbe capito dall’inizio che le cose non avrebbero potuto funzionare, quindi è colpa sua. Lei invece come mai è qui?»
John alza la mano e la allunga verso l’altro, Hamish la guarda per un attimo e poi la stringe, facendo un mezzo sorriso.
«John.» dice allora il dottore, presentandosi. «Anche se credo che il mio cartellino parli chiaro quanto il tuo. E del tu, per favore, mi sento già abbastanza vecchio senza convenevoli come questo.»
Hamish stringe ancora per un attimo la mano di John nella sua e poi la lascia andare, annuendo brevemente. «Hamish.» si limita a dire anche lui. «Ma credo che la presentazione fosse superflua anche da parte mia. Quindi…» l’uomo si poggia le mani in grembo e lo guarda con fare curioso, sporgendo vagamente la testa di lato. «Cosa ci fa un ex medico militare in un posto come questo quando è evidente che preferirebbe essere da tutt’altra parte?»
John, che sta prendendo un sorso d’acqua, quasi soffoca e riappoggia il bicchiere sul tavolino da caffè tossendo lievemente, guardando l’altro come se avesse tirato fuori dal lungo cappotto un coniglio bianco. Per tutta risposta Hamish continua a fissarlo, per nulla sorpreso dalla reazione.
«Come… Cos-?» ma prima di iniziare una sequela di imbarazzanti balbettamenti si ferma, si schiarisce la gola e posa nuovamente lo sguardo su Hamish. «Okay, la cosa è stata sorprendentemente inquietante. Sei amico di Mike? Ti ha mandato lui? O ci conosciamo? Anche se dubito che dimenticherei un tipo come te.»
Hamish alza solo un lato delle labbra, in una specie di strano sorriso strafottente, fissando non il viso di John ma le sue mani incrociate sul tavolo. È come se stesse pensando a qualcosa. «Un tipo strambo come me?» si limita a dire sorridendo, ora sfidandolo con lo sguardo, e John sente una specie di groviglio inestricabile nello stomaco, come una specie di interesse per l’uomo che ha davanti e anche la voglia incredibile di tirargli un pugno per quell’aria arrogante e quel sorrisetto incredibilmente fastidioso.
John comunque si limita ad alzare un sopracciglio e ad ammettere candidamente quello che stava in realtà pensando. «Bello. Un tipo bello come te.» e lo guarda negli occhi mentre lo dice, facendo mentalmente un’alzata di spalle perché, diavolo, è lì e ci mancherebbe non dire una cosa del genere ad un ipotetico flirt. In fin dei conti è lì contro voglia, ma sembra che qualcuno d’interessante si sia davvero presentato in quel posto, anche se dubita che un tipo come l’uomo seduto davanti a lui potrebbe mai essere interessato ad un reduce zoppo ex medico militare.
Hamish lo guarda per un attimo con aria stupita e rompe il contatto visivo, tornando a fissare il tavolo. Sembrerebbe quasi imbarazzato.
John per un attimo si chiede cosa un tipo del genere ci faccia ad uno speed date perché, a conti fatti, è un uomo veramente molto bello ed estremamente particolare; il tipo che magari non piace al primo sguardo, ma che dopo un po’ ci si riscopre ad esserne infatuati senza nemmeno sapere come o perché (anche se il perché di John al momento sarebbero i suoi occhi, dai quali proprio non riesce a staccarsi) e la domanda gli sorge spontanea perché, per essere ancora single, deve avere o un carattere di merda o essere probabilmente un serial killer (opzione che gli sembra la più probabile dopo la domanda che gli ha rivolto). O uno incredibilmente pretenzioso, cosa che toglierebbe John da un probabile o possibile appuntamento con lui.
E John blocca per un attimo i pensieri perché se la sua mente è già giunta alla fase “appuntamento” –lui, che è talmente stanco di tutto (ma soprattutto di tutti) al momento da non aver nemmeno voglia di fare del sano sesso occasionale e senza strascichi- probabilmente il prossimo passo sarebbe quello del matrimonio e di un paio di marmocchi, giusto per accelerare un bel po’ le cose. Scaccia anche quest’ultima idea dalla testa e torna a prestare attenzione ad Hamish, che ha iniziato a snocciolare informazioni mentre lui si era perso nei suoi pensieri.
«…quindi no, non ho idea di chi sia questo Mike. Comunque la deduzione è stata piuttosto semplice. Partiamo dal presupposto che ti ho osservato quando sei entrato nel locale, la tua camminata, la postura, il taglio corto di capelli, in più il tuo colorito. All’inizio ero troppo distante per notare i dettagli come avrei voluto ma da qui, quando mi hai stretto la mano, sono riuscito a vedere che l’abbronzatura non supera i polsi proprio come pensavo quindi decisamente non eri in vacanza e quindi: militare. Ovviamente appena tornato e credo che la deduzione a riguardo sia piuttosto banale, ma comunque… congedato probabilmente per la ferita alla spalla che continua ad infastidirti. Com’è successo? Uno sparo? Coltellata? Se potessi vederla ne sarei più sicuro ma in questo frangente è il massimo che io possa fare.»
Hamish conclude quella specie di tiritera e John sente quasi un ronzio nelle orecchie per il silenzio appena calato sul loro tavolo. Ha parlato senza nemmeno prendere fiato ed ora lo fissa con aria seria e come se non avesse appena snocciolato una parte della sua vita dicendogli di averlo semplicemente osservato. John lascia anche perdere il fatto che Hamish lo stesse osservando da quando è entrato nel locale e quindi tenta anche di non sentirsi affatto lusingato senza motivo.
John apre la bocca e poi la richiude, prendendo un profondo respiro e cercando qualcosa di sensato da dire.
«È stato… fantastico.» afferma, tentennando, sorpreso lui stesso dalle sue parole, notando come il sopracciglio di Hamish si alzi a quell’affermazione. Hamish si guarda un attimo intorno e scioglie l’intreccio delle sue mani, iniziando a muovere le dita con fare nervoso.
«Davvero?» chiede, sembrando più sorpreso che altro.
John ci pensa un attimo ma torna a rispondere, stavolta in tono fermo. «Fantastico. Indubbiamente. Ti lascia addosso anche un po’ la voglia di spaccarti la faccia, ma decisamente brillante come cosa.» John sorride sghembo e la strana sensazione di essere appena stato letto come un libro aperto non lo lascia per mezzo secondo. È una sensazione piuttosto strana e forse un po’ spiacevole, ma non riesce ad essere davvero irritato.
«Non è quello che la gente mi dice di solito.»
John ride sotto i baffi e si allunga sul tavolo per avvicinarsi ad Hamish che, vedendo che gli si fa incontro per dirgli qualcosa, si avvicina di rimando.
«Fammi indovinare…» sussurra John come se gli stesse dicendo un segreto «“Fuori dai piedi” è nella top ten delle cose più carine che ti abbiano mai detto, vero?» e detto questo si volta a guardare un uomo seduto qualche tavolo dietro di loro.
John può pure raccontarsi balle da solo, ma anche lui non è stato affatto indifferente all’uomo con cui sta parlando adesso e l’ha notato fin da subito, da quando è entrato nel locale. Ma l’attenzione di John è stata totalmente catturata quando un uomo ha sbraitato contro Hamish di andarsene immediatamente o gli avrebbe tirato dietro la sedia, tempo non scaduto o meno. Aggiungendo per l’appunto un concitato “fuori dai piedi”.
In quel momento John si è chiesto cosa potesse aver mai fatto l’uomo dal lungo cappotto per aver fatto perdere le staffe all’altro in quella maniera ma ora come ora non gli è affatto difficile immaginarlo. Sorride divertito.
Hamish, che ha seguito lo sguardo di John, torna nuovamente sul dottore e rimane a fissarlo, l’ombra di un sorriso si fa largo sulle labbra. «“Fantastico” è appena entrato nella mia personale top ten e credo rimarrà al primo posto per molto tempo.»
Questa volta è Hamish che lo sussurra come se fosse un segreto e John inizia a chiedersi se è possibile morire per autocombustione per il solo suono di un timbro basso e roco e il respiro gli muore in gola quando fissa per qualche istante quella labbra atteggiate a sorriso e la luce ridente negli occhi dell’altro.
Esci con me. Andiamocene di qui e continuiamo il discorso da un’altra parte. Casa tua sarebbe perfetta.
John sta per dire tutto ciò che pensa quando l’espressione di Hamish si fa improvvisamente vigile e sposta l’attenzione da John a un punto indefinito dietro le spalle di quest’ultimo. John ne segue il movimento degli occhi e capisce che sta fissando qualcuno di preciso ed è concentrato come se avesse appena trovato la propria preda. L’atmosfera al loro tavolo si fa stranamente tesa e John vorrebbe quasi voltarsi per guardarsi alle spalle ma qualcosa gli dice che non sarebbe la cosa giusta da fare: è come se il suo istinto di soldato gli stesse dicendo di drizzare le orecchie perché qualcosa succederà a breve.
Una coppia se ne sta andando dallo speed date, ridendo e scherzando tra loro, e Hamish si volta verso John per non attirare l’attenzione ma con la coda dell’occhio continua a fissare i due.
Appena la porta si chiude dietro la coppia Hamish si alza e fa per andarsene, non fosse per un accenno di esitazione che lo fa voltare verso John. «Mi dispiace, devo andare.» si limita a dire, senza aggiungere nulla, senza chiedergli di rivedersi e senza dargli spiegazioni. E sarebbe la cosa più logica, da parte di John, lasciarlo andare senza dire nulla, invece si allunga sul tavolo adiacente al suo dove una coppia piuttosto annoiata sta parlando del più e del meno, prende la penna che ha adocchiato prima, ringrazia i due per la gentile concessione e scrive di fretta il proprio numero su un tovagliolo, porgendolo all’altro.
«Chiamami.» si limita a dire con la speranza che l’altro lo prenda, ed Hamish lo fa. Prende il tovagliolo, legge il numero una volta e poi se lo mette in tasca, annuendo.
John sa perfettamente che l’aver accettato il suo numero non vuole dire niente, che con tutta probabilità non verrà mai richiamato e che probabilmente lui non è nemmeno il tipo di Hamish, ma una briciola di speranza si è comunque accesa nel suo petto e lascia andare l’altro senza dire nulla.
Il campanello della porta tintinna -accompagnando l’uscita di Hamish- assieme a quello dello speed date e John sospira. Sente le sedie strusciare a terra e la gente spostarsi da un tavolino all’altro.
Un uomo gli si siede davanti e si presenta come John e il dottore pensa che del resto John è un nome molto comune, e al momento lui si sente comune proprio come il suo nome.
Ascolta l’altro parlare mentre pensa all’uomo che ha appena lasciato andare.
Il sole è tramontato da diverso tempo e John si ritrova ad indossare la giacca a vento, rabbrividendo per la differenza di temperatura tra dentro e fuori il locale. Dopo aver finito con l’altro John, il dottore ha acconsentito a conoscere ancora due persone e poi se n’è andato, stanco e stufo di tutta la questione e annoiato a morte. Non è nemmeno riuscito a tenere mezza conversazione in piedi, pensando a tutt’altro e fissando lo schermo del telefono ogni tot minuti.
Ovviamente non si è fatto sentire.
Tira fuori il cellulare ancora una volta e sblocca lo schermo ma, a parte un altro messaggio di Mike che gli chiede com’è andata a finire, non c’è nessuna chiamata da un numero sconosciuto, né un messaggio.
Rimette il telefono in tasca e tira su il colletto della giacca, mette una mano in tasca mentre con l’altra regge saldamente il bastone in acciaio e decide di fare una passeggiata fino al suo monolocale piuttosto di prendere la metro.
Fa pochi passi –zoppicando a causa dell’essere rimasto seduto davvero troppo tempo- prima di raggiungere un vicolo dove, a causa del vento, la sua visione periferica scorge qualcosa di bianco svolazzare nella stradina. Si volta più per mera abitudine che per vera curiosità e nota il tovagliolo con sopra il suo nome –scritto con la stilografica blu- continuare a svolazzare fino a finire contro il muro del vicolo, incastrandosi vicino ad altra spazzatura.
John si aggiusta ulteriormente la giacca a vento e torna a camminare verso il suo squallido monolocale. Improvvisamente la giornata gli sembra stata solo un enorme spreco di tempo.