Rimarrai
Nel Mio Cuore Per Sempre
Ciao! Sono Hiroshi Agasa, ho 52 anni e sono un
inventore.
Quasi nessuno sa la vera storia di quando ero
bambino ma oggi ho deciso di raccontarvela. Anzi, per essere più preciso è la
storia della vita mia e di Elisabeth.
Tutto è iniziato alle elementari, è li che ci
siamo conosciuti. Era una piccola bambina, con occhi verdi smeraldo e capelli
lunghi di un biondo vivo, con le punte boccolose e il suo sorriso... Beh il suo
sorriso era degno della più bella principessa.
Vi chiederete perché tutti questi
"era", lo scoprirete presto, partiamo dal principio.
Come ho già detto ci siamo conosciuti alle
elementari, era la mia compagna di banco, sempre con il sorriso sulle labbra!
Non prendeva mai brutti voti ed era la prima della classe, amata e rispettata
da tutti; nessuno la odiava e nessuno le era nemico. Se qualcuno le faceva un
torto, passavano minuti, ore, massimo un giorno, ma quel qualcuno andava a
scusarsi pentito e lei lo perdonava sempre.
I ragazzi si battevano per il suo amore e, in
fondo in fondo anche io lo facevo, ma mai mi intrufola o in qualche discussione
o simile.
Restavo sempre in disparte a immaginare; sognavo
che lei era una bellissima principessa che veniva attaccata da mostri orrendi
(i nostri compagni) e che io con il mio cavallo bianco la andavo a salvare
uccidendo tutti i mostri, infine ovviamente lei saliva sul mio cavallo con me è
galoppavamo via verso il tramonto; il sogno di tutte le bambine in pratica,
solo vissuto dal punto di vista del principe.
Venimmo a saperlo entrambi poco dopo esserci
conosciuti che ci piacevamo a vicenda e a San Valentino ricevetti da lei una
scatola di biscotti al cioccolato preparati da lei che accettai volentieri
tutto rosso.
Ovviamente il mese dopo, 14 marzo, White Day, io
andai da lei regalandole una scatola di cioccolatini al cioccolato bianco. Era
talmente felice che mi salto addosso abbracciandomi. Il nostro fidanzamento era
appena iniziato.
Certo eravamo bambini inesperti allora ma
secondo il nostro parere eravamo fidanzati!
Usciti da scuola andavamo sempre al parco a
giocare, poco ovviamente perché poi tornavano a casa nostra a fare i compiti.
In prima media eravamo in classe insieme di
nuovo e li iniziammo a fare sul serio. Dopo scuola andavamo al parco, trovammo
una panchina sotto l'ombra di un bellissimo ciliegio e da quel giorno passammo
tutti i giorni li, su quella panchina, in quel parco. Era il nostro posticino.
Lì parlavamo sei nostri problemi, facevamo i compiti, giocavamo ma eravamo
sempre lì.
In prima superiore invece, avevamo all'incirca
14 anni, a San Valentino, la stupii facendole un regalo; erano due anelli, uno
per me e uno per lei, con su incisi i nostri nomi: per lei l'anello con su
Hiroshi e per me l'anello con su Elisabeth. Li tenevamo sempre su e tutti si
stupivano di come la nostra storia durava così a lungo e di come eravamo
affiatati.
Lei ricambiò il regalo donandomi il suo primo
bacio a stampo, come io lo donai a lei, e ogni giorno che ci incontravamo c'è
ne davamo almeno uno; ci amavamo, ci amiamo tutt'ora.
Ormai eravamo talmente uniti che ci eravamo
programmati il futuro; ci eravamo promessi che arrivati a 20 anni ci saremmo
sposati, che avremmo avuto due bambini e che saremmo invecchiati insieme.
Non mantenne mai quella promessa.
Passati due anni eravamo in terza superiore.
Finiti gli esami le vacanze estive ci attendevano.
Partimmo per il mare io, lei e due nostri amici,
una ragazza e un ragazzo.
Un giorno, mentre io ero a casa a finire gli
ultimi compiti, Elisabeth e i nostri due amici erano andati a fare un giro in
alcuni negozi del centro città. Ricevetti una chiamata dal ragazzo, diceva che
avevano lasciato Elisabeth in un negozio poco prima per andare a prendere
qualcosa da mangiare e che al loro ritorno il negozio era circondato da
poliziotti, una rapina era appena avvenuta in corso.
Mi fiondai da loro giusto in tempo: un
rapinatore stava per uccidere con un coltello la mia amata Elisabeth. Accecato
dall'amore per quella principessa corsi verso i due riuscendo a evitare i
poliziotti e protessi Elisabeth con il mio corpo. Il malvivente mi ferii a una
spalla ma spiazzato dal mio gesto si fece prendere dal panico e venne catturato
senza troppa difficoltà.
Tornammo tutti a casa e vedendo come dolcemente
e ansiosamente Elisabeth mi curava la ferita, i nostri due amici ci lasciarono
soli in casa.
Continuava a ripetere che le dispiaceva, che era
colpa sua se ero stato ferito, mi continuava a chiedere se mi faceva male, se
andava bene la fasciatura o se serviva altro. Di tutto! Quel giorno cambiò, non
fu più la stessa.
I giorni passavano e lei era sempre più
paranoica; qualunque cosa accadesse, banale o no, lei si prendeva la colpa. Non
andava bene.
Una mattina non la trovammo in piedi a preparare
la colazione come da routine, lei era sempre la prima ad alzarsi, e pensando
che volesse solo dormire un po' di più decisivo di andarla a svegliare.
Entrammo piano piano in camera sua e quello che
vidimo fu solo un letto vuoto e una lettera sulla sua scrivania.
Corsi verso questa e notai che sopra la lettera
c'era il suo anello; lo presi e mi misi a leggere ad alta voce quella lettera.
Diceva che non c'è la faceva più, che commetteva troppi sbagli e che si sentiva
troppo in colpa per vivere ancora; alla fine della lettera però c'era una
piccola parte dedicata a noi, dove diceva che qualunque cosa mi fosse successa
sarei dovuto restare felice e avrei dovuto vivere una bella vita, e per finire
diceva anche che mi amava, fin dai tempi in cui eravamo ancora nel pancione
delle nostre mamme, perché noi eravamo legati dal filo rosso.
Sentii gli occhi pizzicare. Mi accorsi, come gli
altri due, solo dopo della finestra aperta. Lasciati la lettera sulla scrivania
ma tenni l'anello con me e corsi verso la finestra. Guardai giù. Vidi quel che
non avrei mai voluto vedere: Elisabeth, in una pozza di sangue, con le mani
chiuse a pugno sul cuore, gli occhi chiusi, i capelli biondi sparsi intorno a
lei, un sorriso sulle sue labbra.
Urlai il suo nome disperatamente, in preda al
panico, con il volto rigato dalle lacrime ormai copiose. I due ragazzi dietro
di me dopo aver visto quello spettacolo mi portarono via da li e mentre lei mi
consolava, lui chiamava l'ambulanza. Lei era piena di colpe non sue, Lei non ce
la faceva più, Lei si era buttata, Lei era morta. La sua unica vera colpa era
l'essersi uccisa, e con lei anche una parte di me.
Qualche giorno dopo si tenne il suo funerale. La
lettera ormai era sempre sul mio comodino e ogni giorno prima di andare a letto
leggevo le sue parole sul nostro amore e mi chiedevo ogni volta perché lo avesse
fatto.
Mi aveva raccontato un sacco di favole quando
ancora eravamo fanciulli e così volli provare. Mi avvicinai a lei poco prima
che venisse sepolta e dolcemente le diedi un leggero bacio sulle labbra. Nulla,
non si svegliava, erano tutte bugie. Le rimisi dolcemente l'anello trattenendo
a fatica le lacrime che premevano per uscire e guardandola un'ultima volta le
dissi Addio.
Venne sepolta, mi venne portata via, per sempre.
Tornato a casa tolsi il mio anello e lo misi
insieme alla sua lettera sul mio comodino. Non ebbi più il coraggio di leggerla
ma solo oggi, all'età di 52 anni, ho avuto il coraggio di aprirla e rileggerla
ancora, ed è questo che mi ha spinto ha raccontarvi tutto.
I giorni passavano e tornai a casa quando
l'estate finì.
Ero cambiato, molto, e la cosa turbava un po'
tutti. Ero freddo e distaccato, sempre cupo, con gli occhi spenti ormai da
tempo.
Non piansi per più di 6 anni finché un giorno,
ormai ventenne, tornai nel nostro parchetto e sedutomi sulla nostra panchina
crollai. Iniziai a piangere, piangere come un disperato, piangere come mai
prima avevo osato fare, piangere per l'unica persona che riusciva a rendere le
mie giornate migliori, piangere per la mia anima gemella scomparsa. E urlai,
urlai il suo nome così che tutti sapessero per chi stavo soffrendo, una volta
però, solo una lo urlai, per svegliare la sua anima dal suo riposo eterno e
farle sapere che io la pensavo sempre.
Mentre fissavo la strada ancora in lacrime notai
quattro bambini. Erano due femminucce e due maschietti. Le due bimbe erano una
dai capelli biondi lunghi fino alla schiena, con gli occhiali e un sorriso
sulle labbra mentre la seconda aveva i capelli sul rossiccio, lunghi anche
quelli fino la schiena ma con dei boccoloni sulle punte. La prima teneva la
manina al maschietto dai capelli corvini, tutti all'aria spettinati e un
sorrisino sul volto, l'altra teneva la mano al secondo ragazzo, capelli corvini
anche i suoi ma tutti arruffati, con ciuffetti a coprirgli gli occhi e portava
un paio d'occhiali.
Me e Elisabeth.
Elisabeth e Me.
Mi ricordavano troppo Noi.
Quando mi videro piangere corsero a coppia verso
di me e si sedettero una coppia alla mia destra e l'altra alla mia sinistra. Mi
chiesero come mai stesso piangendo e la mia risposta fu un leggero -sto pensando
a una persona cara-. Non credo capissero cosa intendessi ma i loro sorrisini e
le parole delle due bambine mi resero un poco più felice
-Non devi essere triste, ora ci siamo noi con
te!-
-Se fossi quella persona e ti vedrei piangere
così ti darei una bella sgridata!-
Ecco le esatte parole che mi dissero anche se
non ricordo bene chi disse cosa.
Si presentarono poi uno ad uno.
La biondina si chiamava Eri e il suo
"accompagnatore" dai capelli spettinati Goro. La rossa invece si
chiamava Yukiko e il bambino accanto a lei Yusaku.
Erano davvero simpatici e mi divertii molto quel
pomeriggio di trent'anni fa.
Ci diedi mi appuntamento per il pomeriggio
seguente e fecimo così ogni giorno. I pomeriggi li passavo con loro, su quella
panchina, in quel parco, a studiare, parlare, giocare... Quello che un tempo
facevamo anche noi.
Tornai ad essere allegro e felice come una volta
grazie a quei bambini che ritenevo come dei figli, come i nostri figli.
Anni dopo venni a sapere della nascita dei loro
figli. Eri e Goro ebbero una bellissima bambina, la nostra nipotina Elisabeth,
di nome Ran. Yukiko e Yusako invece ebbero un meraviglioso maschietto, il
nostro nipotino, di nome Shinichi.
Si Elisabeth, loro erano e sono legati tutt'ora
dal filo rosso, come me e te.
Ti ho amato Elisabeth, ti amo ancora oggi.
Quella cicatrice che ho sulla spalla mi ricorda i bei tempi in cui io e te
eravamo ancora insieme. Ogni sera la guardo, e toccandola ti parlo e ti sento
più vicina.
Mi manchi Elisabeth, ma con il passare degli
anni e l'avanzare della vecchiaia ahimè!, ti raggiungerò anche io, e potremmo
vivere per sempre felici e contenti.
Ora sapete la mia storia, la nostra storia,
quella di Me e della mia bellissima Elisabeth, la donna accanto a me, seduta su
questa nuvola in cielo.
Insieme, per l'eternità.
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Non so voi ma io mi sono messa a piangere solo
scrivendola! T-T
Ehiiii gente!! Cosa ve ne pare?
Eh già! Dudi l'assassina è tornata! Più in forma
che mai!
Per questa storia ho preso spunto da un mio
messaggio mandato alla mia migliore amica su come pensavo potesse essere la
vita di Agasa da piccolo.
Lascio a voi le recensioni, perché recensirete
vero? :D
Grazie per aver letto questa piccola one shot!
:)
Baci <3
Dudi_Mouri