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Autore: MalkContent    15/02/2015    0 recensioni
È in questa notte profonda, la più lunga, che alla luce fredda della magia lei riflette. Si specchia negli occhi di quegli uomini, nel loro desiderio divorante e cerca nel numero di quelle forme raggelate il conto degli inverni che ha lasciato trascorrere su di sè, immutabile come il ghiacciaio su cui ha posto dimora.
Esisteva da sempre, come la neve, come l'inverno? O un tempo era stata di calda, fragile carne come quelle creature che ora la fissano dal ghiaccio?
Genere: Angst, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Solstizio d'inverno.

La notte più lunga.

Nella grotta in cima alla montagna, sotto il ghiacciaio, è tutto un gioco di riflessi, di specchi e trasparenze. Il ghiaccio la riveste come una cascata di diamanti freddi, taglienti.

La rossastra luce del tramonto ha indugiato a lungo tra le mille sfaccettature delle stalattiti che ornano il soffitto. Ora che le stelle splendono in cielo è il grande lampadario che pende dalla volta ad illuminare la grotta di luce fredda.
Le è bastato un pensiero e uno schiocco di dita che risuona a lungo, vibrante, lungo le pareti di cristallo. E' l'unico suono in quel limpido gelo. Non c'è respiro, non c'è battito nella figura seduta sul suo trono di neve.

La sua pelle è bianca, le labbra bluastre dei cadaveri assiderati.

Aveva occhi azzurri un tempo: l'azzurro s'è sbiadito, lasciando la pupilla ingrigita a navigare in un mare candido tra le ciglia bionde. C'è ancora una traccia d'oro tra i capelli, sotto il sottile strato di brina che la incorona come fosse un diadema di diamanti, ed è la brina a vestire quel corpo di fanciulla, dalle curve appena accennate. Non c'è sensualità in lei: è sottile e lancinante come il dolore. Attorno a lei, come sculture ornamentali, si stagliano statue di ghiaccio.

Se qualcuno fosse tanto coraggioso da raggiungerla per passeggiare tra quelle figure, comprenderebbe con orrore che no, non sono statue, ma cadaveri di uomini sigillati in uno scrigno di ghiaccio. Hanno tutti la stessa espressione: un'espressione adorante, le mani protese verso di lei come se agognassero ancora toccarla.

Lei non l'ha mai permesso. Non di nuovo. Non da quando lei è l'Inverno.

 

È in questa notte profonda, la più lunga, che alla luce fredda della magia lei riflette. Si specchia negli occhi di quegli uomini, nel loro desiderio divorante e cerca nel numero di quelle forme raggelate il conto degli inverni che ha lasciato trascorrere su di sè, immutabile come il ghiacciaio su cui ha posto dimora.
Esisteva da sempre, come la neve, come l'inverno? O un tempo era stata di calda, fragile carne come quelle creature che ora la fissano dal ghiaccio?

Aveva avuto un nome, un tempo?

Lei non lo sa. E questa è l'unica notte in cui osa chiederselo. E' l'unica notte in cui lascia emergere il suo primo ricordo nitido.

 

È un ricordo spiacevole, sporco.

È un ricordo che comincia con rozze mani che la spingono con la bocca nella neve per impedirle di urlare e con il morso del vento gelato sulla pelle, attraverso i vestiti strappati. La legna che stava raccogliendo è sparsa tutta attorno. Il pensiero che si cristallizza nella sua mente, assurdo e incoerente come tutti i pensieri che giungono quando la razionalità affoga nella disperazione è "dovrò raccoglierla ancora da capo, dopo. Non posso tornare a casa senza la legna.."

Il freddo della neve che si scioglie al contatto con il suo corpo le striscia sin nelle ossa, anestetizzando il dolore, il disgusto. Quando alla fine la abbandonano nella neve, è quasi irriconoscibile per i lividi e fatica a respirare, le costole rotte stridono ogni volta che tossisce contro i morsi letali del vento, lottando con la sensazione sempre più pressante di soffocare, contro il desiderio di acciambellarsi a terra e lasciare che la neve la ricopra. Deve tornare. Deve assolutamente tornare. Dov'è lui?

 

C'è un ricordo di mani calde e delicate sulla sua pelle, un ricordo concatenato per antitesi a quella memoria che ogni anno si ostina a riportare in vita. Un ricordo che non sa di sangue, di disgusto e del cuoio impregnato di sudore. È un ricordo pulito, piacevole, ma così appannato da sembrare piuttosto la traccia di un sogno al risveglio, di un desiderio di qualcosa che a stento si osa ad immaginare. Un ricordo che aleggia sulle note di una canzone e di una voce profonda e dolce che la cantava per lei.

Lei non dorme mai. Non sogna. Quella traccia calda, odorosa di mele secche, di latte caldo e miele e cannella non è un sogno, questo lo sa. Odori che non sono di neve e di sangue e sporcizia, ma di pelle tiepida e amica e candele di cera d'api.

 

...Verrò da te dalla neve e dal ghiaccio...
....Verrò da te, mio fiore d'inverno...

 

È là che il ricordo si impiglia e inciampa nello scalino della morte.

Il buio e il freddo le strappano via la memoria del calore. È quasi piacevole lasciarsi andare tra le braccia della neve. Nessun dolore, solo il riposo, mentre i fiocchi si posano su di lei, sul suo corpo spezzato. Un velo candido che nessuna vergogna potrebbe mai intaccare. Neve pura, pulita e intatta.

Morire così sarebbe bello, così bello, abbandonarsi all'oblio di un sonno eterno. Ma lei ricorda distintamente il battito del suo cuore sempre più lento, i pensieri e la memoria che si fanno ingarbugliati. Ricorda il respiro che si spezza, ma che non fa poi così male. Ricorda il freddo stringersi attorno al suo cuore, un freddo che non è più doloroso, ma amico e confidente.

È il vento carico di neve ad aiutarla ad alzarsi. E la fanciulla che si alza non ha più memoria di dove dovesse portare la sua legna. Non ha più colore sulle guance e sulle labbra, e tutto ciò che prova è rabbia, vendetta.

 

Là nella sua grotta ripercorre il ricordo camminando tra le statue di quegli uomini. Rivede nei loro occhi il desiderio, ma anche il terrore. Cosa videro quella notte? Non è difficile da immaginare. Le basta specchiarsi nei mille riflessi della sua dimora per saperlo. Videro il morso dell'inverno incarnato in forma di donna. Una donna che avevano desiderato possedere. Lei era morta e l'inverno l'aveva presa. E l'inverno non conosce pietà.

Perchè si ostini a tenerli in bella vista attorno al suo trono di ghiaccio non è ancora riuscita a capirlo. Ai primi quattro se ne sono aggiunti molti, molti altri, almeno un paio per stagione. Ricorda il cacciatore, quello che le sparò addosso scambiandola per un cervo. Ricorda lo scalatore. Era bello, piacevole da guardare, almeno sin quando non cercò di toccarla. Quasi tutti hanno cercato di toccarla, di sporcare il suo corpo.

Lei non gliel'ha permesso. Nessuno l'avrebbe toccata. Mai più.

 

Quando esce dalla propria grotta scavata nel ghiacciaio, lasciandosi alle spalle le sue statue segnatempo, la luna strappa bagliori di diamante alla corona di cristalli d'acqua gelata tra i suoi capelli. L'ultima statua è là, al confine del bosco, dove la neve ha ricoperto il suo stesso sangue. Là dove comincia il ricordo e dove ogni anno lei si reca perchè quel tormento abbia fine. Perchè di quella di quella canzone che sa di calore, di carezze volute e amate lei ricorda soltanto due miseri versi, che una volta risvegliati la pungolano ad ogni stagione sin là dove tutto è cominciato. Dove una fanciulla ha perso il suo nome, e l'inverno ha trovato un volto e un corpo di donna.

Lei non sente mai freddo, ma quando affonda le mani nella coltre bianca per scavare il gelo le striscia sulla pelle, sino a morderle il cuore.

Non guardare, sembra dirle la neve.

Non guardare, le sussurra il vento.

La regina dell'inverno scava senza mai smettere di canticchiare tra sè e sè, in una lingua che da secoli nessuno parla più su quella montagna.

 

 

...Verrò da te dalla neve e dal ghiaccio...
....Verrò da te, mio fiore d'inverno...

 

Perchè non riesce a ricordare la melodia? C'è solo l'urlo del vento a risponderle.


 

...Verrò da te dalla neve e dal ghiaccio...
....Verrò da te, mio fiore d'inverno...

 

Le dita incontrano il sarcofago di ghiaccio. Le mani bianche, scheletriche della Regina dell'Inverno scorrono un'ultima volta sul cristallo gelato per cacciare via l'ultimo strato di neve che lo rende opaco. C'è un giovane, bellissimo uomo in quella prigione eterna. Ha i capelli biondi, un'espressione felice e sorpresa negli occhi azzurri, la bella bocca atteggiata in un sorriso di gioia e sollievo. Ha ancora una mano protesa verso di lei, il palmo verso l'alto. Un invito, non una costrizione.

 

Come l'acqua di una cascata spezza a primavera la gabbia di ghiaccio imposta dall'inverno, così il ricordo la travolge, trascinandola lontano. C'è la musica, nel ricordo. C'è quella voce calda, maschile, che le sussurra all'orecchio quella canzone:

 

...Verrò da te dalla neve e dal ghiaccio...
....Verrò da te, mio fiore d'inverno...
...Verrò per te nel sole e nel vento...
...Verrò con te, mio fiore di maggio...

 

C'è il calore di un corpo vivo e amato contro la pelle, il piacere di carezze volute e amate. L'accordo perfetto di una melodia suonata all'unisono, le note fatte di istanti passati davanti al fuoco del camino, l'inverno chiuso fuori da una porta sicura, il tepore conservato in un abbraccio sotto una coperta. Il calore di risate e di tazze di latte caldo, il profumo dolce della torta di mele che cuoce nel forno e delle bucce d'arancia trafitte dai chiodi di garofano adagiate sulla stufa.

Un bacio che non è il morso crudele dell'inverno, ma un incontro di labbra quasi esitante, nel rispetto del desiderio dell'altro. 
 

Adesso la strega dei ghiacci ricorda.
Ricorda di come lui la trovò là, al limitare del bosco, in piedi tra le statue congelate dei suoi assassini. Ricorda il suo sorriso sollevato e il sole del mattino del solstizio d'inverno sui suoi capelli biondi, la sua mano protesa verso di lei, la canzone sulle sue labbra.

Oh... aveva provato a strapparle un sorriso. Aveva provato a ricordarle il suo nome.
Ma lei aveva già dimenticato, rapita dalla magia dell'inverno e sul volto della sua primavera vide soltanto un altro assassino, un altro pronto a violare il suo corpo.

 

Rimane così, adagiata sul freddo cristallo che racchiude ciò che resta della sua estate. Aspetta che la neve si accumuli su di lei, una fredda coperta che ancora una volta smorza il dolore e il disgusto. Questa volta il disgusto per sè stessa. In quegli attimi desidera soltanto poter tornare a casa e sciogliere il proprio gelo davanti al fuoco, nel ricordo di quella melodia, di quelle carezze scambiate alla luce delle fiamme.

Come ogni anno, la neve la copre, ovattando la sofferenza, gelando di nuovo il suo cuore.

 

Al sorgere del sole sarà di nuovo sovrana dell'Inverno, assisa sul lucente trono di neve sotto il ghiacciaio che copre la montagna, intoccabile e intoccata da mano umana. In lei solo un frammento di calore, un singolo battito di cuore che il prossimo solstizio d'inverno le riporterà alla mente quei versi lontani, a memoria che un tempo anche lei era stata mortale e tanto, tanto amata.

 

...Verrò da te dalla neve e dal ghiaccio...
....Verrò da te, mio fiore d'inverno...
...Verrò per te nel sole e nel vento...
...Verrò con te, mio fiore di maggio...

 

  
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