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Autore: Lady Koyuki    15/02/2015    1 recensioni
La storia della più grande duellante di Demacia, raccontata sotto il suo punto di vista, dal suo parere e con i suoi contrastanti sentimenti verso colui che più amava e stimava...
Originariamente, questa storia era un regalo di compleanno, ma essendo una delle mie storie che apprezzo particolarmente, ho voluto pubblicarla.
Buona Lettura :D
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto: questa è appunto nata come un regalo, ma successivamente doveva diventare un progetto sulle storie dei vari campioni... Purtroppo non ho tempo materiale e, ammetto, voglia, di leggere tutte le "storie" di League of Legends e realizzare Fanfiction come questa, essendo i personaggi, gli intrighi e relazioni tra loro veramente tanti, per cui mi sono arresa a pubblicare soltanto questa, rispetto alle altre che ho scritto successivamente, ritenendola migliore e più coinvolgente.
Detto questo vi lascio alla lettura, sperando che possa piacervi,
un saluto e un ringraziamento,
Koyuki <3


La Grande Duellante
 


Non può essere. Non ci può credere. In realtà, non ci vuole credere, e lo sa bene.
Corre a più non posso lungo il corridoio poco illuminato del suo immenso palazzo, ornato da un tappeto rosso, cucito a mano, e quadri alle pareti; i suoi capelli neri, non troppo lunghi, svolazzano in aria per poi ricaderle sul collo, in un continuo circolo vizioso.
Appena aveva saputo la notizia, si era precipitata verso l’ala del grande palazzo destinata all’allenamento; era, è sicura tuttora di trovarlo lì. Aver saputo quello che aveva fatto è stato davvero un duro colpo per lei, anzi, pensa che in realtà sia tutta una messa in scena, che qualcuno abbia messo in giro la voce per screditare la sua famiglia. Ma l’unico che può risolvere questo quesito è lui. Ed è a lui che avrebbe chiesto.
Il continuare a pensarci mentre si avvicina l’ora del confronto non aiuta; piano piano i suoi passi, veloci e continui, rallentano sempre di più, fino a fermarsi. Si costringe a riprendere fiato, ma soprattutto la calma; si guarda intorno, incerta sul da farsi.
Andare a scoprire la verità, e magari esserne delusa, o continuare a fingere che non sia successo. Anche se non fosse successo veramente, la gente screditerebbe la sua famiglia comunque, tutte le prove imputano la colpa a lui.
Lentamente, si volta verso uno specchio incorniciato d’oro, osservandosi per un momento; non si era neanche presa la briga di mettersi qualcosa di più comodo. Addosso porta ancora la sua armatura da combattimento, compresa di spada. Certo, lei è abituata al suo peso, ma non aiuta se corri in mezzo al corridoio di un palazzo pieno di oggetti rari e preziosi.
Alza lo sguardo, notando la sua stanchezza, e sì, la sua delusione sul volto; ha la faccia tirata, come se non dormisse da tempo, e goccioline di sudore sulla fronte. Nonostante questo, appare come sempre bellissima, con il suo ciuffo ornato di ciocca rossa che le ricade alla sinistra del volto.
Quello che però attira il suo interesse, sono i suoi occhi, stanchi e tristi. Non sopportava l’idea che tutti quegli anni passati ad ammirare l’uomo che l’aveva fatta crescere e diventare quel che era, sono basati solo su menzogne e codardia. Sospirò, riprendendo il suo cammino, lentamente stavolta, cercando di ricordare i bei momenti passati con suo padre, che l’avevano fatta diventare la spadaccina che era. La campionessa che era.
 
- Quella volta ho vinto solo con un degno affondo! – disse sorridendo un uomo sui quaranta, cinquant’anni d’età; era seduto su una poltrona di velluto, probabilmente di un valore spropositato, grande abbastanza da contenere l’enorme corpo muscoloso. Seduti davanti a lui, su un morbido tappeto, erano presenti degli uomini, ragazzi che lo ascoltavano interessati, quasi rapiti.
Tre di loro erano maschi, tra i ventuno e diciotto anni; erano interessati ai racconti del padre, ma lo guardavano annuendo come avessero sentito già parecchie volte ciò che diceva, al contrario della quarta. Era una ragazzina sui quattordici, quindici anni, che continuava a guardare l’uomo senza staccargli mai gli occhi di dosso, ma soprattutto senza mai smettere di ascoltare le sue storie. Erano magnifiche, e lei era certa di voler seguire le orme del padre.
- C’è stata una volta in cui il mio contendente mi aveva infilzato gravemente – raccontò una volta – voleva colpirmi il cuore, ma mirò male, a causa del sangue sgorgante dalla ferita sopra il suo occhio; lì ne approfittai, ma mancai il bersaglio perché troppo veloce. Mi atterrò di nuovo, pensavo di aver perso, ma non demorsi. In qualche modo, riuscì a ribaltare la situazione e il mio nemico, causando una ferita più mortale di quel che avessi voluto. Però lui aveva lasciato me agonizzante nel mio sangue. Svenni. Dormì per giorni. Devo ringraziare solo il mio fisico se sono qui, la sua capacità di sforzarsi anche in momenti pericolosi come quello, di non perdere la calma nei momenti in cui non si può far altro che perdere il controllo -
Ogni volta che lui raccontava qualche aneddoto delle sue varie battaglie, lei era lì ad ascoltarlo, cercando di imparare più di quello che poteva dalle esperienze del padre; voleva essere come lui, la migliore di tutto il paese.
Si allenava tutti i giorni, e ogni sera duellava contro suo padre, ma era ancora troppo giovane per vincere; non con lui, ma riuscì a battere l’ultimo dei suoi fratelli, in quell’anno… Si pensò fosse fortuna, ma spinse lei ad andare avanti, ad allenarsi sempre di più. A diventare sempre più forte.
- Diventare la degna erede di mio padre –
 
Questo era il suo desiderio, e lo ribadiva ogni volta. Da almeno tre anni. Da quando aveva battuto l’ultimo dei suoi fratelli. Da quel giorno aveva sempre continuato ad allenarsi, ogni giorno, appena aveva tempo libero, si rinchiudeva nella zona di allenamento del palazzo, e combatteva, si allenava, provava ogni tipo di spada ma soprattutto sfidava chiunque pensasse di essere superiore a lei e osasse metterle i bastoni fra le ruote.
In quegli anni, era riuscita a duellare con gli altri due suoi fratelli, e a vincere, in grande stile. Però da quando aveva iniziato la sua scalata, aveva notato di come la gente si allontanava da lei, di come le parlassero alle spalle, di come diventavano acidi in sua presenza.
Non poteva dire di avere mai avuto veri amici, ma sentirsi così rifiutata dalla gente, nonostante il suo grandissimo talento, in parte la faceva ribollire di rabbia, in parte la spingeva a fare sempre meglio, per dimostrare che lei era il MEGLIO.
Pian piano iniziò a scoprire che tutta quell’antipatia era dovuta al suo talento; la ritenevano arrogante e invidiavano la sua bravura, ma la cosa non la buttò giù, bensì la rese orgogliosa. Stava diventando ciò che si era ripromessa, la degna seguace del padre.
Ogni giorno sfidava i migliori combattenti del paese, mirando ad essere la migliore di tutti. Il suo paese era contro malvagità e egoismo, ma quello per lei era solo ambizione, una grande e potente ambizione che la spingeva a duellare con chiunque potesse essere alla sua altezza.
 
All’età di diciotto anni era diventata la migliore, i racconti di suo padre la spingevano ancora avanti, li ascoltava sempre, nonostante la sua età; ma quelle storie l’accecarono, perché non la prepararono alla delusione che arrivò di lì a poco….
 
Ora è davanti alla porta, ancora incerta se aprirla o meno. Non sa cosa aspettarsi dietro a quei due metri e cinquanta di porta massiccia; lui stesso a terra, come dopo ore di allenamento, a riposare?
Lui in ginocchio che chiedeva perdono?
Oppure pietà?
Sospira, sconsolata. Deve entrare è inutile. Spinge lentamente i due grandi battenti, e inizia ad entrare.
- Figlia mia! – chiama l’uomo; non è più vispo come qualche anno prima, ma con ancora i segni della sua capacità con la spada e del suo fisico massiccio, grazie agli innumerevoli allenamenti.
Lei si ferma sulla soglia, in contemplazione.
Lui è seduto su una sedia accanto alla finestra, ora girato verso di lei, ma scommetterebbe che stava contemplando il panorama al di la della stanza. Sulla parete alla sua sinistra, tutte le armi, per lo più spade di qualunque fattura, sono esposte come al solito, senza niente in disordine. Sul fondo della stanza a destra, ci sono invece i manichini che si usano come allenamento, dietro ancora attrezzi da palestra, pesi, e tutto ciò per rinvigorire il corpo.
- Cosa ci fai tu qui? Pensavo ti stavi allenando fuori – dice dolcemente l’uomo, come se non fosse accaduto nulla. Forse non era accaduto nulla.
La mora si scosta il ciuffo dal viso, scostandolo dietro le orecchie, per poi avvicinarsi al padre.
- Padre, ho sentito delle voci. Delle brutte voci su di voi – a quella frase, l’uomo si agita leggermente sulla sedia, cercando di non darlo a vedere. Ma ciò non sfugge alla figlia.
- Voi siete il mio idolo, il mio obbiettivo, quindi sono venuta a chiedervi personalmente se queste voci fossero vere. Io non credo lo siano, ma dovrete essere voi a confermarlo – continua imperterrita, cercando di negare la tensione vista nel padre.
- Fiora, io…- cerca di articolare una frase sensata ma gli risulta difficile.
- Ditemi solo che non è vero. Ditemi solo che sono voci messe in giro dalle persone invidiose di noi. Così posso andare e farle rimpiangere di averlo fatto. Ditemi…-
- Fiora! – la interrompe l’uomo – fermati. –
La ragazza lo guarda stranito, domandandosi quale sia il problema.
- Io ieri sono andato dal mio sfidante, lo ammetto. Ho voluto vedere la sua abilità, le sue capacità, ed è molto bravo. Davvero molto bravo. Io non credo di essere da meno. Ma direi che morire per una sfida al cinquanta percento… dico solo non è una scommessa che farei –
- Cosa vorresti dire? – chiede non capendo la mora.
Un sospiro. Un lungo sospiro prima di dire ciò che non avrebbe mai voluto dire.
-  Si, la voce che gira è vera. Ho avvelenato il mio avversario. –
Il mondo della ragazza prese a girare senza sosta; le sembrava di non reggersi più in piedi. Tutto quello in cui credeva era un’illusione, forse anche le sue storie lo erano. Forse tutto non era reale.
- E tutte le storie? Hai inventato anche quelle? – urla disperata – o meglio, hai avvelenato anche tutti i tuoi altri rivali? – non ha più il controllo di se, e urla a squarciagola tentando di togliersi di dosso quella terribile sensazione di essere stata tradita e umiliata.
- Non erano tutte inventate – dice, ricevendo un sospiro dalla figlia – ma ho usato parecchie volte uno stratagemma simil….-
Non finisce in tempo la frase, che si trova costretto a terra a causa della spada piantata nello schienale della sedia; se l’uomo non si fosse buttato a terra, la punta dell’arma si sarebbe ritrovata dentro al suo cranio.
- Cosa diamine fai? –
- Sei un’umiliazione per questa famiglia! – urla Fiora, estraendo con tanta foga la spada dalla sedia da spostare nuovamente il suo ciuffo davanti agli occhi.
- Non meriti di essere a capo di questa famiglia, non meriti di vivere nello stesso palazzo con noi! – urla sempre più disperata.
Il padre osserva terrorizzato la figlia, con la spada puntata verso di lui.
- Cosa vorresti fare? Uccidermi? – chiede, terrorizzato dalla possibile risposta.
- No. Non sono meschina come te. – dice, indietreggiando. Lentamente prende una spada dal muro, e la lancia in lungo verso il padre.
- Non puoi battermi, non l’hai mai fatto. –
 - Ora lo farò, per me, per la mia famiglia – si ferma un attimo, tremante – per il mio onore, la cosa più importante al momento per me. Quella che tu hai rovinato –
Con uno scatto, si avvicina al padre, che velocemente raccoglie la spada, caduta violentemente a terra, e rotola di lato; Fiora affonda nuovamente, ma il padre la intercetta, con un cozzare violento di lame.
- Non puoi uccidere l’uomo che ti ha messo al mondo! – urla nel disperato tentativo di porre fine a quel duello.
- Tu per me sei solo un nemico ora! –
La mora affonda nuovamente, ancora e ancora, trovando sempre però la difesa del padre; lei era spinta dalla rabbia, lui non voleva attaccare la figlia, il che portava sempre a una situazione di stallo.
- Non mi batterai mai. Fermati e finiamola qui! Non voglio ucciderti – mormora l’uomo, mentre ferma un altro attacco della figlia.
“non perdere la calma nei momenti in cui non si può far altro che perdere il controllo”
Sospira. Ferma. Immobile. Nell’attesa di calmare il suo spirito.
-TI arrendi? –
-MAI! –
Riprende velocemente l’attacco, ora più diretta e precisa di prima; le è più facile localizzare i punti vuoti della difesa avversaria, cosa che non era mai riuscita in tutti quegli anni. Era spinta solo dal desiderio di batterlo per puro desiderio, senza un obbiettivo finale. Ora aveva un obbiettivo: il controllo sulla casata dei Laurent.
Il padre si difende alla meglio, continuando solo a fermare le scoccate della figlia, senza attaccare, cosa che fece più innervosire la donna.
Decise che doveva farla finita, e girando su se stessa, fece una finta, che spinse il padre ad alzare la parata verso destra, ma con un agile movimento, la spada roteò nella direzione opposta.
Un salto veloce riuscì a evitargli un taglio più profondo di quel che era, ma il sangue sgorgava comunque dalla ferita sul braccio sinistro.
- Sei migliorata figlia mia – disse compiacendosi il padre, distraendosi giusto quel secondo in cui non doveva farlo.
- Non chiamarmi figlia –
Lei ora punta la lama alla sua gola, tremante. Non è capace di uccidere suo padre, ma vuole recuperare il suo onore.
- Ora tu te ne vai di qui per sempre e lasci a me il comando della casata –
- Non puoi cacciarmi via! – urla l’uomo, sentendo però la punta della lama spingersi di più verso di se
- Preferisci questo? – chiede la donna, quasi in preda agli spasmi
- Ti lascerò la casata, ma – comincia l’uomo, sentendo sempre di più la lama contro la pelle – mi lascerai vivere ancora qui con voi –
Ci volle qualche minuto prima che Fiora decide il da farsi; infondo vivere lì, in casa sua non è così grave. Ma la casata deve dipendere da lei d’ora in poi.
Lentamente abbassa la lama e raccoglie la spada del padre.
- La casata è sotto il mio controllo. Tu però non farti mai più vedere da me. In nessuna occasione dovrò vederti a palazzo. Se io cammino in un corridoio, tu svolti da un’altra parte, se entro in una stanza tu te ne vai. Dovrai essere come un fantasma per me. Invisibile – conclude, girandosi e incamminandosi di nuovo verso il corridoio, lanciando la spada in più verso la parete dedicata alle armi.
Il padre cerca di dirle qualcosa, ma lei non lo ascolta. Pensa a come far rivalere il suo onore. E’ già la migliore del suo paese, nessuno in Demacia è capace di batterla, e nessuno ci prova più.
Ripercorre lentamente il corridoio dal tappeto rosso.
Tutta colpa di suo padre.
Se lui fosse stato un vero spadaccino, il suo onore non sarebbe stato compromesso. Niente sarebbe stato compromesso. E lei sarebbe stata la più grande spadaccina del paese, dopo suo padre. Ora non aveva nessuno con cui dimostrare che non è meschina come chi l’aveva messa al mondo. Tutti erano stati battuti e non volevano succedesse un’altra volta. E di certo, avrebbero infierito sul fatto che la sua famiglia barava.
Cammina sempre più veloce; la sala di allenamento è ormai lontana, e anche la voce del padre, che la chiama insistentemente, forse piangendo.
Non può neanche andare per gli altri paesi a sconfiggere spadaccini a caso; il paese l’avrebbe bandita già solo per entrare in contrade non sue, e probabilmente tutti l’avrebbero considerata scarsa provenendo da un altro posto. In più stanno istituendo la Lega, quindi sono tutt’ora vietati i combattimenti tra paesi diversi.
Si ferma in trance, tra dei quadri ad olio, ragionando sull’ipotesi che inizia a formarsi nella sua testa. La lega. L’istituzione per risolvere i conflitti di ogni stato. Dove incontrare gente proveniente da ogni angolo del mondo.
Alza lentamente lo sguardo. Lì avrebbe incontrato grandi spadaccini. Lì avrebbe sfidato combattenti provenienti da ogni paese. Lì avrebbe potuto riguadagnare il suo onore e la sua gloria. Si sarebbe iscritta alla lega, alla League of Legends.
   
 
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