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Autore: graciousghost    15/02/2015    4 recensioni
[Prima classificata all'"Abnormalize - crack pairing multifandom contest" indetto da Amens Ophelia sul Forum di EFP.]
[MadaMito; AU!storica, ambientata nel tardo periodo Heian, Giappone (1179-1189)]
Il passato è come la risacca; anche a un passo dalla morte, i ricordi tornano a galla con più furia della corrente marina - come il dolore, come i rimpianti.
La rievocazione è letale; l'uomo non possiede la forza necessaria per contrastare un tale riflusso d'acqua.
E le onde, alla fine, s'infrangono a riva.
«Non credo che voi due potreste mai andare d'accordo».
«Hai intenzione di spiegarti?»
«Siete fiamme che hanno bisogno che il legno le accolga per ardere. Ma, bruciando con la stessa intensità, l'incendio è l'unico esito possibile».
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha, Mito Uzumaki
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Hiems alma

- tempesta che infonde vita -



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15 giugno 1189, castello di Koromogawa

Ricordi?
L'avevamo promesso quella mattina d'estate di tanti anni fa; il fulgore delle stelle che allora sanciva la nostra alleanza è opaco, se messo a confronto con lo scintillare delle armature che adesso brutalmente mi sottrae a voi – a te, a lei.

"Mai per amore, nella morte per sempre", recitavano le nostre labbra da ragazzi, mentre le voci all'unisono si fondevano in un patto, reo dell'unico peccato d'eccessiva innocenza.
Mai divisi da una donna, avremmo scelto una morte che ci avrebbe colti nello stesso istante – perché nessuno si riteneva degno di vivere nemmeno un secondo in più dell'altro; questo ci eravamo giurati, gli astri ne erano testimoni.

Ma del sincero tremolio che un tempo colorava i nostri giuramenti non rimane che un torvo fragore di spade. La pelle candida delle mani, unite l'una nell'altra in un atto di tenera devozione, si è macchiata del rosso che sgorga – dal corpo, dal petto.
La mano si attarda – sulla piuma o sulla spada? – perché non riesce a decidere quali saranno le ultime parole vergate dal suo tratto.
Forse parole d'odio, Hashirama? E per chi, se non per me stesso?
Non sono stato io a violare il sacro patto che ci univa, tradendo la fiducia dell'unico uomo che in me la riponeva ciecamente?
La stretta sull'elsa si fa più energica; è l'Uchiha che freme per porre fine a Madara – l'Uchiha che trabocca d'orgoglio e non sopporta d'essere accostato al debole e umano Madara.

Non t'odio, Hashirama, come potrei?

Forse parole d'amore?
Ah, empio peccatore! Un nome tanto puro non dovrebbe più sfiorare la tua bocca, già profanata da troppi baci illegittimi!
La stretta sull'elsa si fa più energica; è Madara che si batte per pugnalare l'Uchiha – Madara che vorrebbe saper amare, pur con il cuore troppo angusto dell'Uchiha.

T'amo, Hashirama, come non potrei?

Se le più profonde passioni umane non spiegano fino in fondo il tormento che affligge il mio cuore, allora di quali sfumature, di quali sentimenti, si è tinta la nostra tragedia?
Se non riesco neppure a odiarti e continuo ad amarti, a che è valso l'ardore che provavo per lei?
Tutto è stato vano, dunque?
Non parole, allora, ma silenzio: silenzio cala sulla dipartita dell'antieroe.
Perché stupirsi? La mia sconfitta era già segnata nelle stelle di una volta – quelle a mio favore non risplendevano della stessa luce che faceva brillare le tue.

Eravamo come astri nella notte, fra cui la luna rischiara le tenebre; ma la luna cadde giù, fra noi.(*)


* * *

12 gennaio 1179, Heian-kyo, residenza dei Senju

«L'esercito prepara il suo ritorno, Hashirama-dono. È tutto pronto per la nuova guerra».
Il capostipite del clan Senju non si preoccupò di distogliere l'attenzione dalla tazza di pregiato gyokuro che stringeva tra le mani, annegando lo sguardo nella miscela di colore verde chiaro.
Rimase in silenzio a lungo, lasciando che le parole del suo generale si disperdessero nell'aria, fuse insieme alla nota vellutata del tè; parole di guerra che s'infrangevano contro pareti di fumosa bellezza.
«Le cerimonie dei nostri antenati non ci salveranno dalla furia dei Taira», schernì la voce cupa che risiedeva nell'uomo inginocchiato davanti al capo clan, irrigidito nella seduta in seiza.
Hashirama levò la mano destra e le proteste del generale si spensero all'istante, messe a tacere dalla potenza di quelle cinque dita elegantemente distese – quasi a fermare il tempo.
«Non prima del prossimo anno, Madara», si decise a proferire il Senju, sollevando finalmente il capo verso il suo fedele sottoposto. Si sfidarono a lungo, impedendo a qualunque suono di intromettersi in quel tacito duello, in cui ognuno tentava di convincere l'altro della fermezza delle proprie posizioni.
«Il prossimo anno?» capitolò sconfitto l'Uchiha, non senza colorare l'inflessione delle sue parole di un vago scetticismo, estremo residuo di diffidenza.
«Il prossimo anno», ribadì Hashirama, accompagnando la sua vittoria con un lieve movimento affermativo del capo. « Ora, finisci il tuo tè. Potrai tornare dai tuoi uomini solo dopo aver esaudito le sciocche richieste di un uomo nostalgico».
«Siete troppo all'antica, Hashirama-dono», sbuffò Madara, costretto a riprendere in mano la sua tazza di tè nero, lievemente seccato dall'influenza che l'autorità di Hashirama esercitava su di lui.
«Probabile», concesse il capoclan. «Ah, Madara? Non riferirti mai più a me con quel suffisso. Non trovi sia fuori luogo per rivolgersi a un fratello
Il generale sorrise, chinando il capo con deferenza – e
affetto – quando l'altro si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta scorrevole.
«Sì, Hashirama».

* * *

23 marzo 1179, Heian-kyo, residenza degli Uzumaki

«Come fai a non essere emozionata per il giorno del tuo miai, oneesan?» protestò la voce infantile di Nanami Uzumaki, mentre si apprestava a pettinare con devozione i capelli della sorella maggiore.
Mito si sciolse in una risata composta, quasi temesse d'infrangere i limiti di rigore che ella stessa si era imposta. «È solo un tentativo,
Nanami-chan. Non è affatto detto che oggi incontrerò l'uomo della mia vita!», pronunciò quell'apostrofe con scherno; lei, regina di divina intransigenza, non poteva concedersi di credere a qualcosa di effimero come l'amore eterno.
«
Oneesan, sei scorbutica!» le fece il verso la sorella minore, roteando gli occhi con sufficienza. «Ad Hashirama-sama non piacerai nemmeno un pochino!»
Mito Uzumaki si permise uno sguardo fugace al
proprio riflesso nello specchio, prima di lasciare il suo rifugio all'interno della casa paterna. Nonostante i suoi genitori avessero insistito affinché acconciasse i capelli in un pettinatura ordinata, degna di una futura moglie, lei aveva ribattuto irremovibile che li avrebbe lasciati sciolti, sulle spalle. Non ammetteva restrizioni da nessuno, se non da se stessa.
Lasciò scorrere una mano sulle pieghe del
kimono che aveva scelto per quel primo incontro con colui che la sua famiglia sperava sposasse; le dita scivolano veloci sulla seta, non incontrando alcuna grinza a fermare il loro irrequieto affanno.
Posò un bacio sulla fronte di
Nanami, sebbene quest'ultima ancora non l'avesse perdonata per la leggerezza con cui si era preparata al giorno del miai, e si accinse a raggiungere l'uomo che l'attendeva nei giardini.
«Non mi avrai mai, Hashirama».

Nanami non ne era certa, eppure giurò di aver percepito la presenza di quelle parole, scura e minacciosa, ad affollare la stanza da letto in cui di Mito non rimaneva altro che la scia del suo profumo di pesco.

* * *

23 marzo 1179, Heian-kyo, residenza dei Senju

Hashirama si muoveva concitato, disegnando linee frenetiche sul pavimento di cedro dell'engawa, mentre un fiume di parole, quasi prive di connessione logica tra loro, investiva il suo interlocutore.
Madara lo fissava stranito, non riconoscendo il
suo vecchio amico, da sempre munito di proverbiale pacatezza, in quell'atteggiamento inquieto. Si risolse a intervenire, posando le mani salde sulle sue spalle, costringendolo così a fermare la folle danza in cui si era lanciato.
«...oh, ed era così
bella. Più bella di qualunque cosa i miei occhi abbiano mai incontrato», continuò a vaneggiare il Senju, rivolgendosi al subordinato.
«Non credevo che una donna potesse stordirti tanto», lo derise l'Uchiha, appena nauseato dalla
nuance languida e melensa che avevano assunto gli occhi, un tempo saldi, del futuro sposo.
«Non è una donna qualsiasi, affatto», ribatt
é Hashirama, svincolandosi dalla stretta. «Sai, mi ricorda te, in un certo senso».
Madara alzò un sopracciglio, incuriosito dalla piega che aveva preso il discorso. «Che intendi?»
«Per tutta la durata del nostro appuntamento, non ha mai abbassato la guardia con me. Sceglieva ogni parola con cura e soppesava le mie, si moderava nei gesti e pretendeva che il mio comportamento si adeguasse al suo», Hashirama lasciò vagare lo sguardo sulle increspature dello stagno, riconoscendo in un'ognuna le asperità del carattere di Mito Uzumaki.
«Come biasimarla? È saggio essere prudenti, in amore come in battaglia».
«Ora lo vedi perché siete simili?» rise il capo clan. «Adesso capisco come ho vinto la sua resistenza, portandola ad accettare un nuovo incontro. Anche se non credo che voi due potreste mai andare d'accordo».
Hashirama incrociò le braccia dietro la schiena e prese a passeggiare sull'engawa, ritrovando la consueta moderazione; toccava a Madara mostrarsi impaziente di proseguire il dialogo.
«Hai intenzione di spiegarti?», chiese visibilmente seccato, seguendolo a ruota.
«Siete fiamme che hanno bisogno che il legno le accolga per ardere. Ma, bruciando con la stessa intensità, l'incendio è l'unico esito possibile».

* * *

8 maggio 1179, Heian-kyo, residenza dei Senju


Le lanterne illuminavano il sentiero lastricato di ciottoli e ghiaia su cui i passi di Mito rimbombavano sicuri, dirigendosi verso la figura di spalle al centro del giardino.
Gli astanti si strinsero in un religioso silenzio, mentre la futura sposa li superava decisa, avvolta nel tradizionale
shiromuku bianco, e raggiungeva Hashirama, rischiarato appena dai riverberi dorati dei lumi.
I due si riconobbero con una delicata stretta di mano, troppo intima perché qualcuno dei presenti osasse violarla con uno sguardo di troppo.
Gli occhi di tutti i partecipanti alla cerimonia erano catalizzati dall'alchimia
vibrante tra gli sposi e brillavano dei colori tenui degli alberi di albicocche che incorniciavano le nozze.
Un solo paio di occhi – più tetri di un cielo senza stelle – non condivideva l'euforia generale, incapace di andare oltre quel viso che per la prima volta scorgeva.
Il Fuoco riconobbe il suo simile e la combustione non lasciò altro che braci spente
.

~

«Credo di aver già conosciuto tutti, Hashirama!», protestò Mito, stremata dal giro di presentazioni con il clan Senju in cui suo marito l'aveva trascinata.
«Non tutti», sorrise di rimando il novello sposo, mentre scandagliava ogni angolo del giardino alla ricerca dell'ultimo invitato che mancava all'appello. «Cerca di essere gentile», la ammonì bonario, una volta incontrato lo sguardo del suo fido secondo, più distante di quanto si aspettasse di trovarlo.
La coppia gli fu accanto in pochi passi, troppo pochi perché Madara potesse sottrarsi alla loro intrusione.
«Non sei un tipo da cerimonia, avrei dovuto aspettarmelo», lo derise Hashirama, indicando con un gesto della mano l'ingresso del tempio shintoista in cui l'Uchiha si era rifugiato.
«Nemmeno un tipo da preghiere», replicò con un ghigno Madara, «dubito che possano davvero fare qualcosa per me».
«Chi può, allora?»
Mito s'intromise nella discussione, leggera e pungente allo stesso tempo, sfidando l'uomo appena incontrato con uno sguardo fermo e autoritario. «Gli uomini, forse?», obiettò, inarcando un sopracciglio.
«Una divinità inesistente, forse?», rilanciò ombroso il generale, drizzando la schiena.
«Farò finta di non aver sentito», ridacchiò Hashirama, il cui buonumore era incrollabile quella sera. «Potrei incarcerarti per blasfemia, lo sai».
«Sì, certo», Madara si unì alla risata spensierata del suo migliore amico, rimanendo però guardingo per esaminare il comportamento austero della donna.
«Non devi essere per forza un tipo da preghiere», continuò Mito e in un attimo il suo tono di voce schiarì ogni velo di scherno. «Ma credere in una giustizia divina è l'unica difesa che abbiamo per i mali terreni».
«Preferisco fare affidamento sulla mia giustizia», rispose l'Uchiha, facendo correre la mano sull'elsa della spada, riposta nella custodia al suo fianco. «È di gran lunga più efficace per i mali terreni, principessa».
Mito abbozzò un sorriso, avvicinandosi ancora di più alla figura che gli stava davanti. Madara, di contro, s'irrigidì ulteriormente, osservandola circospetto.
«Il tuo metro di giudizio è fallace. Ne rimarrai ucciso», gli sussurrò all'orecchio in un sibilo, prima di accostarsi nuovamente a suo marito.
Madara la fissò inebetito – il profumo della sua pelle gli stordì i sensi, le sue parole gli pugnalarono il cuore.
«E io non sono la tua principessa».

* * *

18 settembre 1179, Heian-kyo, residenza dei Senju

Mito sorseggiò senza fretta il primo tè del mattino, mentre passeggiava nei dintorni della villa dei Senju, sua nuova casa da ormai qualche mese.
Il vagare senza meta dei suoi passi la condusse alle porte delle stanze riservate all'esercito che Madara Uchiha aveva insistito per adibire a campo di addestramento per le reclute e di allenamento per i veterani.
Il sole era sorto da poco e si contendeva lo stesso frammento di cielo roseo con una pallida luna, prossima a sbiadirsi; Mito adorava quel momento del giorno, le faceva credere che tutto fosse possibile.
«Cosa ci fai qui, principessa?». Sebbene la donna odiasse il soprannome, Madara non aveva smesso di riferirsi a lei con quell'apostrofe, quando Hashirama non era nei paraggi per rimproverarlo.
«Devo forse rendere conto a te dei miei spostamenti?», lo interrogò fiera l'altra, distogliendo lo sguardo dal cielo per puntarlo sull'uomo che le stava venendo incontro. Non senza imbarazzo, notò la muscolatura ben definita del samurai che, privo di indumenti, iniziava i suoi allenamenti mattutini.
«Qualcosa ti turba?», la derise Madara, notando il lieve rossore di cui si erano imporporate le guance della donna, solitamente riluttante a scomporsi per qualunque motivo.
«Affatto», rispose Mito, scrollando il capo e riappropriandosi della propria dignità.
«Questo non è posto per te. Torna in casa», tagliò corto Madara, decisamente restio all'idea che Hashirama potesse attribuirgli la colpa per quella gita fuori porta della moglie.
«La guerra non è posto per nessuno. Nemmeno per uno come te».
«Io sono nato per questo destino», ribadì il generale, brandendo con presa più salda la spada.
«Ti sbagli. Tu non sei un portatore di morte, per quanto ti sforzi di dimostrare il contrario».

* * *

11 ottobre 1179, Heian-kyo, mercato est

«Ripetimi ancora una volta perché sei qui».
«Perché si dà il caso che tuo marito abbia un certo potere su di me e possa costringermi anche a questo», sbuffò annoiato Madara, indicando con un gesto eloquente della mano il mercato in cui essere la scorta di Mito l'aveva condotto. «E i Taira hanno già colpito qualcuno dei nostri in momenti simili, non gli è parso il caso di rischiare», aggiunse più serio, aguzzando la vista tra la folla che si accalcava tra le bancarelle variopinte.
«E tu sei d'accordo con lui, vedo», annuì Mito, accennando con uno sguardo discreto ai samurai in incognito, scelti personalmente da Madara per quell'incarico di sorveglianza. «Non sarà che ti preoccupi per la mia incolumità, dopotutto?»
«Sinceramente, non credo che una spada possa ucciderti», le rispose, fissandola accigliato.
«Cosa, allora?», domandò l'Uzumaki, interessata al parere dell'altro. Non poteva negare di trovare stimolante – attraente – quella continua sfida verbale con l'Uchiha.
Madara sorrise appena nel capire di avere il coltello dalla parte del manico e approfittò della calca per farsi un passo più vicino; le sfiorò appena la mano, per convincersi di avere la sua più completa attenzione.
«Un amore che ti costringa a rivalutare te stessa e quello in cui credi. Ne rimarrai uccisa», le sue parole non furono più che un soffio nel lobo di Mito, ma lei rabbrividì all'istante nel riconoscere la stessa perifrasi che aveva utilizzato il giorno del loro prima incontro.

Madara non credeva nelle preghiere, ma quella notte provò sul serio ad appellarsi a un aiuto divino; sapeva di essersi spinto oltre quel confine che nessuno dei due era mai riuscito a definire con chiarezza.
Da lì, non potevano più fare ritorno.

* * *

22 dicembre 1179, Heian-kyo, residenza dei Senju

«Ora basta temporeggiare, Hashirama. Il nuovo anno è alle porte, così come l'esercito dei Taira. I tuoi uomini sono impazienti di prendersi la loro vendetta».
La consueta passeggiata mattutina tra i sentieri del giardino innevato aveva fatto presto a trasformarsi in un consiglio di guerra, sebbene Hashirama avesse tentato di posticipare quel momento il più possibile.
Madara aveva ragione, lo sapeva, ma era forse da stolti desiderare che la felicità da poco raggiunta durasse in eterno?
«Perché fremi tanto dall'impazienza di versare il sangue di altre vite umane?» chiese, ma il suo tono non era di accusa, piuttosto animato da sincera curiosità.
L'Uchiha si trattenne dal rispondere, distratto dalla figura inginocchiata, oltre il vetro della finestra, che sistemava i fiori appena recisi secondo l'arte dell'ikebana. La osservò per pochi secondi; infondeva vita, con i gesti sapienti delle mani, in creature ormai morte.
«Perché spero di versare il mio».
Perché sono pronto a subire qualunque tormento, ma non questo.

* * *

15 giugno 1189, castello di Koromogawa

Dal giorno in cui la vidi, il mio animo non conobbe pace.
Ogni anno, in me si accese un fuoco diverso – quanto a lungo può durare lo strazio di un cuore lacerato?

* * *

7 febbraio 1180, battaglia di Uji

Il stanco incedere di Madara si trascinava in quel cimitero di cenere e ossa, alla ricerca di un paio di occhi – era utopico sperare di trovarne di più – in cui si riflettesse un barlume di vita. Il suo sguardo, ancora accecato dalla polvere sollevata nel campo di battaglia, soppesava amaramente i corpi dilaniati e scomposti degli uomini – dei ragazzi – trapassati dal ferro nemico.
Alla sua destra scorse suo fratello minore Izuna, accovacciato accanto a un giovane soldato cui non restavano che pochi istanti, prima di naufragare nel silenzio eterno.
I due fratelli si scambiarono un'occhiata fugace; “Allora?” - “Non sopravviverà alla notte.”
Il maggiore degli Uchiha annuì cupo e passò oltre, tornando ad affogare nel mare spettrale della morte.
Non riconobbe l'esatto momento in cui desiderò esserne parte – non spettatore – ma avvertì l'oscura e ingombrante esistenza di quel pensiero funereo.
Qualunque tormento, ma non quello che lo attendeva al suo ritorno a casa.

* * *

16 febbraio 1180, Heian-kyo, residenza dei Senju

«Nonostante la sconfitta, sei ancora vivo, vedo».
«Sì ed è la mia colpa».
«Anche la mia».
Mito non lo guardava, sebbene sentisse gli occhi dell'Uchiha profanarle la pelle – scavavano sotto la stoffa – e contaminarle il cuore col desiderio. Teneva il viso rivolto verso il riflesso della luna nello specchio d'acqua turchese; si rifugiava in fittizi ologrammi per scampare alla vivida realtà del tradimento.
«So a cosa stai pensando», Madara prese l'iniziativa, prendendole il volto tra le mani – purezza che s'incrinava al contatto con la bestia. «Le mie labbra non hanno mai conosciuto le tue, Mito. Tu non hai peccato».
«Vorrei che fosse vero», sorrise amaramente l'Uzumaki, «ma il mio petto ti ha già accolto da tempo e non esiste, per noi mortali, forma di tradimento più imperitura».

* * *

2 giugno 1181, Ohara, tempio Sanzenin

«Quando?»
«Tra due settimane».

L'estate colorava le foglie d'acero di venature castane; la natura effimera del tempo bussò alle porte degli amanti infelici.

«Cerca di non tornare».
«Ci provo ogni volta».

Il muschio umido rinfrescava il marmo – già gelido – delle statue di Jizo; la sposa del vento(**) fu senza pietà.

«Questo è il nostro ultimo incontro».
«Permettimi di dirti addio, allora».

I raggi dorati filtravano tra le fronde degli alberi; le bocche si saggiavano per la prima volta e le lingue si esploravano avide, le mani s'intrecciavano ai capelli e i bacini aderivano con foga.

«Addio».

L'ultimo sospiro contro la pelle dell'altro; poi, più nulla.

* * *

5 agosto 1183, Heian-kyo, residenza degli Uzumaki

Nanami Uzumaki aveva sognato, sin da bambina, il momento del suo miai; non passava giorno senza che lei controllasse meticolosamente il vestito che avrebbe indossato, cui era stato riservato un posto d'onore all'interno dell'armadio.
Ma tutti quei riti infantili perdevano di colpo la loro importanza, quando
Nanami osservava il sorriso spento di sua sorella maggiore, l'unica che aveva voluto al suo fianco nella cerimonia di preparazione.
«Se con me non ha funzionato, non vuol dire che anche il tuo matrimonio debba finire allo stesso modo», cercò d'incoraggiarla Mito, ma nulla riusciva a placare il tremolio spaventato delle mani della più piccola delle Uzumaki.
«Quando hai capito di esserti innamorata del suo migliore amico,
oneesan

* * *

21 febbraio 1184, Ōtsu, battaglia di Awazu

Il corpo della donna samurai troneggiava tra i cadaveri dei nemici, la freccia scagliata da Izuna piantata nel cuore.
«Ho...ucciso una donna», continuava a balbettare l'Uchiha, sorretto a fatica dal braccio saldo di suo fratello.
«Non potevamo aspettarci che Tobirama ci avrebbe traditi», sentenziò impassibile Hashirama, mentre esaminava con un'espressione imperscrutabile il volto della donna che aveva da sempre considerato parte della famiglia. «Dopo aver finalmente sconfitto i Taira, non credevo che mio
fratello mi si sarebbe rivolto contro».
«Nessuno poteva saperlo», tentò Madara, ma il Senju non rispose, mentre chiudeva le palpebre del suo
otouto, donando loro il sonno eterno.
Hashirama lasciò il campo e si ritirò nelle sue tende, con l'unico desiderio nel cuore di fare presto ritorno a Heian-kyo per abbracciare sua moglie.
Madara, al contrario, si attardò ancora qualche minuto a contemplare i resti delle due persone con cui aveva combattuto fianco a fianco la maggior parte delle battaglie, in quegli ultimi anni.
Tomoe e Tobirama, insieme, erano invincibili; di una precisione letale negli attacchi combinati, rappresentavano la loro arma
offensiva più potente.
Quel giorno, Madara invidiò la loro morte – a lui non sarebbe mai toccata la fortuna di condividere il riposo celeste con la donna di cui s'era infatuato.

Quel giorno, Madara desiderò che al posto del corpo esangue di Tomoe Gozen ci fosse quello di Mito Uzumaki.

* * *

25 aprile 1185, Shimonoseki, battaglia di Dan-no-ura


La guerra quinquennale era finita.
Aveva causato innumerevoli ferite – alcune più visibili di altre – e lacerato più vite di quante avrebbero annoverato i libri di storia, ma era
finita.
Madara era crollato in ginocchio davanti al
suo signore, il sapore amaro della confessione ancora pungeva le labbra tremanti.
La postura diritta di Hashirama non lasciava trapelare alcuna emozione, per quanto Madara avrebbe preferito di gran lunga essere giustiziato sul posto, piuttosto che condannato a una vita di espiazione e vergogna.

«Torna e dille addio. Poi fuggi, il più lontano che puoi, e spera che io non ti trovi mai».

* * *

3 maggio 1185, Heian- kyo, Residenza dei Senju

«Dimmi, sei forse immortale?»
«Sarebbe la mia paura più grande».

«Dov'è Hashirama?»
«Mi ha detto che sarebbe rientrato un giorno più tardi».
Mito annuì, riponendo ordinatamente il
futon nell'armadio; tutto, pur di non incrociare quello sguardo.
«Gliel'hai detto, non è così?»,
non intendeva incolparlo, ma soltanto conoscere la verità.
«Che ho baciato sua moglie? Sì», rispose l'altro senza battere ciglio. «Che lei ha risposto al mio bacio? No», confessò infine.
«So difendermi da sola, Madara», ribatté la donna con una punta di orgoglio.
«Credimi, lo so bene».
In tutti quegli anni, nessuno dei due aveva mai versato una lacrima – né per il senso di colpa, né per il sentimento che provavano l'uno per l'altra. Entrambi etichettavano le lacrime come umane debolezze, per loro che non appartenevano alla sfera terrena; un
demone e una divinità, sebbene ciascuno si rivolgesse a se stesso con il primo appellativo.
Ma in quel momento, Mito desiderò essere semplicemente
ordinaria, una mortale come tante capace di piangere. E, neppure allora, le sue guance s'imbrattarono di gocce diamantine.
«Ogni volta che ti ho detto addio, non ho mai creduto che tu potessi non tornare», dichiarò, alzando il viso verso il compagno. «Ma ora è davvero per sempre».
Madara desiderò abbracciarla –
farla sua una prima e ultima volta – ma rispettò la sua distanza e si limitò a restare in silenzio, annuendo a quelle parole.
«Neanche adesso mi dirai che mi ami, vero?», Mito sorrise del
suono puerile della sua richiesta, ma non se ne vergognò.
«Io non ti amo», replicò Madara, stizzito che la donna potesse pensare il contrario.
«Oh, io sì, invece», ammise lei, tentando un primo passo nella direzione dell'altro. «E credimi, mi strapperei volentieri il cuore dal petto, se tanto bastasse per smettere».
L'uomo non aspettò un ulteriore avvicinamento; le si
accostò bruscamente e la baciò con irruenza, sorprendendosi di trovare le labbra di lei già pronte per accogliere le proprie. Le schiusero entrambi nello stesso istante, permettendo alle loro lingue d'intrecciarsi con foga, mentre con una mano svestivano l'altro – o se stessi? – degli indumenti; il cotone soccombeva alla carne con arrendevolezza.
Il pavimento li accolse con livore, restio a ospitare chiunque non riconoscesse come padrone,
ma gli amanti infedeli non si curarono della superficie gelida e inospitale che considerarono solo una minima parte della meritata punizione.
Con
quella bocca sottile che non conosceva gentilezza, Madara reprimeva sul nascere i gemiti impastati di Mito e li canalizzava nel proprio corpo, dove essi si condensavano in un unico e immenso piacere.
I muscoli –
effimera e apparente facciata del proprio animo – erano tesi, mentre la sovrastava e la possedeva, ma la mente – più profonda espressione del suo sentimento – era sgombra da qualunque pensiero.
Tennero gli occhi aperti per tutto il tempo, per timore di perdere anche una sola espressione di estasi dell'altro;
assassini spietati che godevano nel lacerare l'unità indissolubile di un corpo sotto i colpi brutali del proprio basso ventre.
Le unghie di entrambi squarciavano l'epidermide, desiderando intaccarne l'integrità per raggiungere al più presto la meta tanto ambita;
il muscolo cardiaco di Mito palpitò furiosamente quando Madara esplorò con la lingua i suoi seni torniti e un nuovo lamento si fece strada tra i suoi denti serrati.
Questa volta, l'uomo lasciò che l'orgasmo esplodesse in lei e lo accompagnò involontariamente con un fremito d'eccitazione che non riuscì a placare.
Mito si morse il labbro inferiore, nel tentativo – fallito – di porre un freno al suo appagamento; persino in quei momenti non rinunciava a
l contegno che la caratterizzava.
I primi raggi del sole schiarirono i loro corpi nudi e la contemplazione di quella nuova alba concesse loro di riprendere fiato.

«Quando ti troverà, lui ti ucciderà».
«So bene anche questo».
«Adesso vorrei che tu fossi
immortale».
«Sarebbe la mia paura più grande».

* * *

15 giugno 1189, castello di Koromogawa


Non ho mai messo in discussione l'amore che provavo per te, Hashirama; amarti era facile, veniva naturale a chiunque incrociasse il tuo cammino.
E
ppure, mi sono sempre chiesto: “Chissà se l’amo?”
Era forse possibile, amare qualcuno all'infuori di te? Qualcuno che fosse te e me insieme, qualcuno che sapevo di detestare con tutto me stesso, qualcuno che ci comprendesse e ci dividesse allo stesso tempo?
È un dubbio che m’accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l’amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.
(***)

A te dono ciò che resta della mia anima; è qui, nera come l'inchiostro di cui mi sono servito per raccontarla.
E ora che anche Izuna è caduto – estremo baluardo, ultima roccia a cui aggrapparmi – il mio epilogo deve fare il suo corso; la lama brama di scavare la carne.

Resterai ucciso dal tuo senso di giustizia”, mi disse il giorno che la incontrai; forse solo ora capisco che mai ci fu anima più affine alla mia.

Se puoi, perdonami.

Madara Uchiha


* * *

5 agosto 1183, Heian-kyo, residenza degli Uzumaki

«È stato nel giorno del mio matrimonio. Il Fuoco riconobbe il suo simile e la combustione non lasciò altro che braci spente».

Sopra livide rupi
precipita ebbra di morte
l’ardente sposa del vento.
(****)



* * *


Note dell'Autrice:

La storia partecipa all' "Abnormalize - crack pairing multifandom contest" indetto da Amens Ophelia sul Forum di EFP.

Mi scuso già da ora per questa note piuttosto prolise e dettagliate, ma, trattadondosi di un'AU storica, ho ritenuto necessario fornire ai potenziali lettori tutte le informazioni necessarie per inquadrare contesto storico e protagonisti. Siete liberissimi di saltare in toto quanto segue - tanto più che non credo la mancata lettura delle note infici in qualche modo la comprensione del testo; ci tenevo soltanto a sottlineare che ogni personaggio di questa fanfiction prende ispirazione da personaggi storici realmente esisiti.

  • Rapido glossario dei termini giapponesi presenti nel testo:

- gyokuro: pregiata varietà di tè verde giapponese.
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seiza: tradizionale posizione in ginocchio.
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miai: giorno del primo appuntamento ufficiale tra i due futuri sposi, secondo l'antica usanza del matrimonio combinato.
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engawa: veranda.
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shiromuku: tradizionale abito da sposa.
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ikebana: arte giapponese della disposizione dei fiori recisi secondo i principi dello zen.
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futon: materasso tradizionale giapponese.

  • Contesto storico:

La storia s'interseca con la storia del clan Minamoto, seguendo gli sviluppi della Guerra Genpei (1180-1185); nella mia fanfiction, ho semplicemente modificato i nomi di personaggi storici realmente esistiti, servendomi della caratterizzazione dei personaggi dell'opera di Naruto.

Passo a presentare brevemente i protagonisti delle vicende:

Yoritomo Minamoto [Hashirama Senju]: capofamiglia del clan Minamoto e capo dell'esercito nella lunga guerra civile contro il clan Taira. Dopo aver vinto trionfalmente nella battaglia conclusiva a Dan-no-ura, prende il titolo di shōgun nel 1192 e fonda lo shogunato di Kamakura.
Yoshitune Minamoto[Madara Uchiha]: fratellastro (nella storia: amico fidato e “fratello” non di sangue) di Yoritomo e generale del clan Minamoto. Ė passato alla storia per le eccezionali abilità militari e strategiche – fu lui a ideare la tattica vincente a Dan-no-ura – e per l'altrettanto famosa morte cruenta. Dopo aver ingaggiato una guerra fratricida con Yoritomo (nella storia: causata dal suo rapporto con Mito), viene costretto al seppoku nel castello di Koromogawa.
Masako Hōjō
 [Mito Uzumaki]: sposò Yoritomo nel 1179. Il loro matrimonio aveva chiara valenza politica, per garantire ai Minamoto l'appoggio del clan Hōjō.
Saitō Benkei [Izuna Uchiha]: leale sottoposto (nella storia: fratello) di Yoshitune, ha collezionato innumerevoli imprese al suo fianco. Muore mentre il suo signore sta praticando seppoku all'interno del castello, colpito da mille frecce mentre difende il ponte d'ingresso dai nemici.
Yoshinaka Minamoto
[Tobirama Senju]: cugino (nella storia: fratello) di Yoritomo e marito di Tomoe, sfida (e tradisce) Yoritomo per il titolo di shōgun. La morte lo coglie il 21 febbraio 1184, nella battaglia di Awazu.
Tomoe Gozen
 [Tomoe Gozen]: coraggiosa e leggendaria donna samurai che ha combattuto al fianco di suo marito nella Guerra del Genpei, rivelandosi un'abile spadaccina. Non si hanno notizie certe sulla morte, dunque mi sono attenuta a una delle tante versioni possibili, secondo la quale ella sarebbe morta nella battaglia di Awazu.

Ho fatto ricerche su milioni di altri siti, dunque non mi pare il caso di elencarli – e linkarli -tutti xD

Tutte le date e i luoghi delle battaglie – così come quelli del seppoku di Yoshitune e della morte di Benkeisono storicamente esatti; le date e i luoghi relativi alla – fittizia – storia d'amore clandestina tra Masako Hōjō e Yoshitune Minamoto sono di mia invenzione, così come il personaggio di Nanami Uzumaki.

  • Spiegazione del titolo e riferimenti al dipinto “La sposa del vento”:

Perché Hiems alma; tempesta che infonde vita?
L'ossimoro del titolo è voluto per due ragioni fondamentali:
1- è riflesso della nevrosi e della psiche scissa – tra ragione e sentimento, passione e colpa – di Madara Uchiha (e di Zeno, le cui parole si ritrovano nella lettera che il protagonista scrive ad Hashirama).
2-
"Ecco la sposa del vento, matrice e culla elementare, grembo d’energia perpetua che in eterno distrugge e rigenera." Ho riportato un estratto significativo di questo articolo che propone un'analisi davvero interessante del dipinto "La sposa del vento" di Oskar Kokoschka, ispirazione dell'intera storia. La sposa del vento è Mito che infonde vita in anime morte – i fiori, Madara – e al contempo è foriera di guerra e distruzione – il conflitto tra Hashirama e Madara, il senso di colpa di quest'ultimo e il suo seppoku.

Ho scelto questo titolo per altri due motivi:
1- Alma è il nome della donna amata dal pittore, rappresentata appunto ne “La sposa del vento”.
2- “La tempesta” era il titolo provvisorio scelto da Kokoschka per il dipinto.

  • Citazioni:

* : Parte dell'elegia funebre composta dalla poetessa araba al-Hansā', in memoria della morte di uno dei suoi fratelli.

**: Riferimento al dipinto “La sposa del vento”.

***: Riporto la citazione senza interruzioni, tratta da “La coscienza di Zeno” (I. Svevo): Chissà se l’amo? È un dubbio che m’accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l’amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.”

****: Parte della poesia “La notte”, composta di getto dal poeta Georg Trakl davanti al dipinto di Kokoschka e ispirazione per il titolo dello stesso.

Vi saluto con affetto e vi lascio un link a un'altra versione possibile di questo triangolo (MadaHashi, 'stavolta!), sperando che possa incuriosirvi (Eucrasia).


Ayumu


   
 
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