Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    18/02/2015    5 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Oggi pomeriggio ho finito la roba dell'università quindi eccomi qui dopo interminabili ore di proof-reading... non ho ancora toccato i commenti ma domani li traduco e li invio all'autrice, quindi aspettate risposta quanto prima ;). Il prossimo capitolo, dal momento che è corto, lo pubblicherò lunedì, quindi poi si torna ai normali ritmi, a meno che non ci siano novità di sorta. Volevo ringraziare di nuovo, sia da parte mia che da parte dell'autrice, tutti quelli che hanno inserito la storia tra i preferiti/da ricordare/seguiti, ovviamente chi la commenta <3, ma anche chi sta solo leggendo. Siamo ancora all'inizio, ma fra un paio di capitoli inizierà la vera e propria montagna russa xD. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: a parte i soliti errori di battitura... niente da dire... vengono citate molte bevande alcoliche, ma sono abbastanza comuni o, se proprio vi interessa sapere cosa è cosa, si trovano subito su google xD


The 6th ward
CAPITOLO 8: Orari di visita e tequila sunrise

4 mesi, 19 giorni

I giorni di visita erano una sorta di esibizione per gli abitanti del reparto sei, un po’ come se ognuno di loro volesse far vedere agli altri a quante persone mancava e, soprattutto, quanto gli mancava. Certo, era un po’ triste vedere i loro cari fissare i loro corpi immobili, incapaci di dire una parola di conforto, ma, generalmente, tutti sembravano farsi bastare il fatto che c’era qualcuno che li pensava. Levi non credeva fosse poi questa grande pretesa.

I sabati, di solito, erano i giorni in cui veniva più gente in reparto, e, infatti, oggi era pieno come non lo era mai stato.

Reiner, Bertholdt e Annie non avevano mai nessun visitatore, a causa del loro estraniamento dalle rispettive famiglie. La squadra di football di Reiner era venuta a visitarlo un paio di volte, ma, apparentemente, aveva perso le speranze dopo circa sette mesi. La cosa non sembrava aver turbato molto il ragazzo, che precisava sempre che non aveva senso fare visita ad un cadavere, e che comunque la cosa aveva poca importanza, considerando che l'aver affidato le sue decisioni mediche allo stato richiedeva così tanta burocrazia che sembrava che lui, e gli altri due pazienti nella sua condizione, sarebbero rimasti attaccati alle macchine per sempre, nonostante gli sforzi di Erwin di dare fine a questa eternità di respiratori e monitor.

Neanche Bertholdt aveva una famiglia che lo visitasse. All’inizio dei suoi giorni nel reparto sei, alcuni dei suoi colleghi erano venuti a portare dei fiori, ma nessuno si era azzardato ad accompagnare nessuno dei suoi studenti. Essendo un maestro delle elementari, sembrava ovvio per tutti che un gruppetto di bambini non avevano bisogno di essere soggetto alla vista del corpo del loro quasi-morto maestro.

Per quanto riguardava Annie, invece, era difficile da spiegare, ma visto che anche per lei era lo stato a prendere le decisioni, sembrava ovvio dedurre che non aveva una famiglia o un tutore. Tra l’altro, nessuno l’aveva mai veramente visitata, quindi c’era ben poco da raccontare, anche quando lei era quella a trovarsi lì da più tempo. Levi aveva controllato la sua cartella clinica per curiosità, notando che la sua data di ammissione al reparto sei risaliva a quasi due anni prima. Non lo sorprendeva che Erwin volesse dare a questi ragazzi un po’ di pace.

Connie e Sasha avevano molti visitatori, dal momento che erano nel reparto da giusto un mesetto in più di Eren. Essendo cresciuti insieme, le loro famiglie erano in rapporti amichevoli, ma c’era sempre una sorta di atmosfera tesa tra loro, come se nessuno fosse veramente sicuro su a chi dare la colpa dell’incidente che li aveva resi entrambi cerebralmente morti. Sasha poteva essere quella alla guida, ma la famiglia di Connie sembrava covare una sorta di segreto imbarazzo riguardo alla situazione in cui lui l’aveva messa. Secondo Levi, era difficile che la decisione che non fosse stata presa insieme dai due. Per qualche motivo misterioso, era come se avessero un cervello solo, e guidare sotto l’influenza di un paio di drink di troppo era probabilmente stata una decisione congiunta, ma lui non avrebbe mai detto una cosa del genere alle loro famiglie. I ragazzi morti non parlano, e Levi non sarebbe stato quello a sfatare il mito.

Jean aveva raramente dei visitatori. Faceva parte di una famiglia tranquilla che si fermava in ospedale per dei brevi momenti, a stringergli la mano o a rimboccare le coperte al suo corpo immobile. Levi pensava che non gli piacesse un granché venire a fargli visita, ma che lo facessero soprattutto per una questione di dovere familiare. Tuttavia, uno dei migliori amici di Jean, veniva ancora a fargli visita. Si chiamava Marco, se Levi non ricordava male. Il giovane uomo era gentile e stranamente scherzoso quando veniva al centro di riabilitazione per quasi-morti e, come l’amica di Ymir, Christa, spesso leggeva qualcosa a Jean, o rimaneva a parlargli per un paio d’ore.

Lo stesso avveniva con Ymir: lei aveva solo Christa, e le sue visite la rendevano così felice che nessuno dei mocciosi si permetteva di invadere quei momenti sacri.

Qualche volta Levi guardava i visitatori andare e venire e si chiedeva chi l’avrebbe mai visitato se non si fosse svegliato dopo il suo incidente d’auto, finendo nel reparto sei. Hanji avrebbe probabilmente tentato di trascinare il suo cadavere nel reparto di ricerca e sviluppo per fare qualche esperimento su di lui. Per amore, ovviamente, o qualche altro motivo filantropico, volendo rimanere positivi. A parte ciò, Levi non credeva che qualcuno che non lavorava in ospedale sarebbe anche solo venuto a sapere che era quasi morto. La cosa non era un fastidio di per sé, ma era sicuramente gli dava a riflettere.

Eren era visitato incessantemente da Armin, un suo amico stretto dai tempi della scuola. Armin portava qualsiasi tipo di enciclopedia e brochure di viaggio e libro di storia musicale, per parlare nelle orecchie senza vita di Eren per un paio d’ore. Senza mai smentirsi, il biondo finiva per raccontare di qualche posto dove loro due sarebbero voluti andare o di qualche cosa che avrebbero voluto fare, ma poi si bloccava e tentava disperatamente, per i successivi minuti, di non scoppiare a piangere di fronte Levi. A meno che lui non fosse presente, perché in quel caso l’infermiere aveva dato per scontato che Armin semplicemente si lasciasse andare.

Era strano, ma alla fine erano le cose che non succedevano quelle che facevano star male i pazienti del reparto sei. Chi avrebbe mai detto che un sacco di nulla sarebbe stato più triste della somma di ogni cosa che avevano mai fatto?

Oggi c’era praticamente un convengo nel reparto. Marco si era presentato, e, come lui, anche Christa, vari membri delle famiglie di Connie e Sasha, e Armin che si trascinava dietro una riluttante Mikasa. Levi si sentì un po’ male per lei. A Mikasa non piaceva venire, perché aveva la stessa dolorosa visione della vita che Levi riconosceva in sé stesso. Per lei Eren era morto, e questo era tutto.

Levi cercò di finire i suoi doveri mattutini in fretta, in modo da poter lasciare Armin e Mikasa da soli in stanza. Lei lo guardava sempre male quando era dentro, come se tutti i suoi problemi, e la stessa situazione di Eren, fossero colpa sua. Armin, invece, gli lanciava uno sguardo di scuse, o anche due, perché, a quanto pare, era semplicemente lei che era fatta così. Levi se ne stava per andare quando Eren lo fermò vicino la porta. “Non devi andartene, sai.”

Levi alzò un sopracciglio con fare interrogatorio.

“Non potresti almeno provare a parlare con loro?” lo pregò Eren.

Levi fece spallucce e cercò di fargli comprendere con urgenza la sua totale inabilità di socializzare con degli esseri umani. Che cosa avrebbe mai potuto dirgli?

“Chiedigli come vanno le cose senza di me o, non lo so,” lo pregò ancora Eren. “Qualsiasi cosa. Loro non hanno idea del fatto che posso sentirli.”

Non dopo non avergli lanciato uno sguardo da mi-devi-un-sacco-di-cose-per-questo, Levi si rigirò verso i due ragazzi posizionati vicino al corpo di Eren, e si schiarì la gola goffamente. “Allora, ehm, come vanno le cose?”

“Che cazzo dici?” disse Eren, spalancando la bocca. “Hai mai parlato con un altro essere umano? Oh Cristo, vai via, sei un disagiato.”

Levi diede una discretissima gomitata ad Eren. Ora era una sfida.

Armin e Mikasa lo stavano guardando come se non fossero sicuri del fatto che era un essere umano, e comunque, probabilmente avevano più prove del contrario. Levi testò il terreno, cercando di sembrare compassionevole, ma probabilmente risultando semplicemente arrabbiato. Come sempre.

Armin puntò un dito interrogativo verso sé stesso, chiedendosi se Levi stesse parlando con lui, e l’infermiere annuì. “Ah,” il ragazzo cercò di trovare la voce. “Alla grande,” riuscì a dire sospettosamente. “C’è stata qualche sorta di cambiamento nella condizione di Eren?”

“No.” rispose Levi, rendendosi conto di dover aggiungere qualcosa. E’ quello che le persone facevano, no? “Come ve la passate senza Eren?”

Mikasa lo stava guardando male, ma non era poi una cosa così inconsueta. Fu di nuovo Armin a prendersi la libertà di rispondere per entrambi. “Meglio di quanto ci si sarebbe aspettati.” spiegò educatamente.

Levi si stava velocemente scocciando delle chiacchiere di convenienza. “Sentite,” disse, andando al punto. “Forse, se per qualche strano miracolo Eren fosse ancora qui, vorrebbe sapere come state. Del tipo: ‘Ehi, stiamo alla grande, Eren.’”

Mikasa lo stava ancora guardando male, ma i suoi occhi sembravano essersi raddolciti un pochino. “Infatti,” disse piano. “Sta andando tutto bene.”

Non desiderando tirarsi indietro, Levi si avvicinò risolutivamente al corpo di Eren. “Principianti,” borbottò, spingendo la sedia di Armin al lato, con Armin ancora sedutovi sopra. “Ehi, Eren!” urlò al corpo senza vita, allungandosi verso il suo volto inespressivo. “Vuoi saperla una cosa, moccioso?” disse, ancora urlando per qualche motivo sconosciuto, “Lo so che sei quasi morto e probabilmente scocciato talmente tanto da sentirti ancora più morto, ma indovina cosa mi è successo? L’altro giorno mi sono comprato un caffè ed era il dannatissimo caffè più buono che ho bevuto dall’inizio dell’anno! Era fottutamente fantastico! Sai, pensavo di fartelo sapere e renderti parte della mia vita invece si trattarti come un pezzo di carne!” Detto ciò, Levi incrociò le braccia e fece un passo indietro, occhieggiando Mikasa con tono di sfida.

Lei sembrava un po’ frastornata e non del tutto soddisfatta da quello che aveva appena fatto Levi. Ma lo spinse con forza e afferrò il bavero del pigiama di ospedale di Eren con un’intensità allarmante, strattonando il suo corpo fiacco in modo che fossero faccia a faccia. “Dal momento che so già che non ti interessa affatto della tazza di caffè di questo stronzo, permettimi di illuminarti su alcuni recenti eventi,” ringhiò. La sua voce non era alta quanto lo era stata quella di Levi, ma lui aveva chiaramente acceso un fuoco in Mikasa di cui non si aspettava di poter essere testimone. “Sono tornata all’università, e Armin si laureerà alla magistrale molto presto. Io, invece, dovrei prendere la triennale in circa tre semestri. Non grazie a te ovviamente. Perché cazzo non ti sei messo il tuo caschetto? Anche se non avessi avuto sfortuna, Eren, comunque non ti sarebbe andata bene!”

Il vero Eren era in piedi, immobile, dall’altra parte della stanza, con gli occhi spalancati dalla paura.

“Che cazzo ti ho detto riguardo a metterti quel dannatissimo caschetto?” Lo sfogo di Mikasa si stava trasformando in una terrificante combinazione di sarcasmo e ovvia frustrazione. Levi era affascinato, ma, perlopiù spaventato a morte. “Manchi tantissimo a me e Armin, figlio di puttana.” lei stava ancora gridando, notò Levi, ma cercando disperatamente di dominare il desiderio di nascondersi. “Ma va tutto bene! E continuerà ad andare tutto bene anche quando morirai. Non ci hai distrutto, Eren,” disse Mikasa, fieramente. “Ci hai fatto del male, ma lo supereremo,” terminò, lasciando la stretta sui vestiti del ragazzo, il cui corpo crollò senza tante cerimonie sul letto. Poi ci pensò un attimo, e ritornò a mormorare nella voce silenziosa con cui parlava di solito: “Ci manchi comunque tantissimo, stronzo.”

Armin stava piangendo di nuovo. Il che non era di certo una grande novità, tranne che per il fatto che era un pianto più felice del suo solito desolato piagnisteo, accompagnato da un leggero tremolio di spalle.

Dall’altro lato della stanza, Eren sembrava ancora voler scappare il più lontano possibile, ma, dominando il suo terrore, si avvicinò lentamente a Mikasa e posò una mano sulla sua spalla con affetto. “Sì, mi dispiace.” disse, sorridendo con tristezza.

Mikasa fece un lungo sospiro, come se avesse trattenuto ogni sua emozione nei polmoni per quell’intero mese e mezzo. “E lo so che ti dispiace,” mormorò, “E devo ammettere, che, contro ogni buonsenso, ti perdono.” Poi sorrise leggermente, il primo vero sorriso che Levi vide fare a quella donna accigliata.

“Non me lo merito affatto.” rispose Eren, posando la sua fronte contro la spalla di Mikasa.

“Ma non te lo meriti affatto.” disse Mikasa affettuosamente, a nessuno in particolare.

Levi fece un sorriso soddisfatto ad Eren, prima di scusarsi e uscire dalla stanza.





L’orario di visita terminò nel giro di un’ora, e Levi guardò lo strano gruppo di estranei andarsene insieme. Armin sembrava dieci anni più giovane, e stava sorridendo veramente dalla prima volta in cui Levi lo aveva incontrato, e persino Mikasa gli concesse un sorrisino prima che i due se ne andassero. L’uomo non poté far a meno di sentirsi compiaciuto della sua piccola vittoria.

Eren era poggiato contro il bancone, unitosi a lui nella supervisione dei visitatori che uscivano. “Prima che tu dica qualcosa, quella è stata solo fortuna.” disse.

Levi cercò di non sembrare troppo presuntuoso, ma falli miseramente, mentre rispondeva: “E’ solo che sono un tipo persuasivo.”

“No, tu fai letteralmente schifo a interagire con altri esseri umani.”

“Parla per te,” ridacchiò Levi. “Mi devi parecchio.”

Il resto dei pazienti si radunò lentamente nella hall, e vi era un’aura allegra che aleggiava su ognuno di loro. Le giornate delle visite erano un ‘vinci o perdi’ per loro, qualche volta li rendevano depressi, mentre altre li rincuoravano, e, per qualche strana ragione, quel giorno, tutti sembravano particolarmente soddisfatti.

Un silenzio socievole era caduto su di loro mentre indugiavano insieme nella sala, fino a quando Ymir non interruppe le loro fantasticherie. “Credo che mio padre staccherà presto la spina.” disse, in modo sorprendentemente disinvolto.

All’annuncio della ragazza, l’atmosfera piacevole di prima fece spazio alla tensione, e nessuno sembrava voler parlare per primo. Tutti erano lì a trattenere il fiato, aspettando che Ymir si rompesse in mille pezzi davanti a tutti, ma lei fece solo uno sguardo incredulo. “Ah, smettetela,” rise, mentre tutti la fissavano. “Seriamente, cosa vi è preso? Avrò finalmente l’occasione di darci un taglio con questa situazione, e tutto quello che vi viene da fare è stare impalati con le mascelle spalancate?”

Reiner fu il primo a recuperare la voce: “E tu sei – ” iniziò, ma poi chiuse la bocca, ripensandoci. “Va tutto bene, allora?”

“Bene?” Ymir scosse la testa affettuosamente, guardandoli. “Sono stata qui per un po’, e sono pronta per i grandi prati fioriti, o qualsiasi altra diavolo di cosa mi sta aspettando. Sinceramente, mi basterebbe anche se ci fosse solo un bel po’ di rhum.”

La tensione sfumò e tutti sembrarono ritrovare la calma, sia fisica che mentale. Levi annuì ad Ymir, mentre osservava: “Proprio il mio genere di drink.”

Ymir alzò un bicchiere immaginario verso l’uomo. “Ritiro ogni cosa possa aver detto sui tuoi cattivi gusti.” rispose diplomaticamente.

“Io preferirei un whiskey liscio.” disse Reiner.

Bertholdt gli sorrise. “Anche io.”

“Bourbon invecchiato.” aggiunse Annie. Tutti la guardarono allibiti per un secondo, prima di sciogliersi in una calda risata. Persino lei cercò di nascondere un sorrisino.

“Siete un branco di vecchi,” li sbeffeggiò Connie. “Screwdriver e martini.” suggerì, e Sasha annuì energicamente.

“Birra,” dissentì Eren. “O un bel tequila sunrise.” rettificò. Levi lo guardò incredulo, ma Eren alzò un mano, allertandolo. “Non parlare male dei cocktail fruttati con l’ombrellino, Levi, non ci provare nemmeno, perché sono fottutamente fantastici e non lascerò che tu dica qualcosa di male su di loro.”

“Ucciderei per un drink o due prima di andarmene,” disse Ymir con rimpianto. “O anche dieci.”

“Ma potete mangiare o bere?” chiese Levi con scetticismo.

“Sono quasi sicuro che non possiamo,” rispose Bertholdt. “O comunque non ci viene mai fame.”

“Credimi se ti dico che non possiamo,” li interruppe Sasha. “Credimi sulla parola.”

Connie guardò Levi maliziosamente. “Tu puoi però.”

Tutti fissarono lo sguardo su Levi, il quale, ebbe un cattivo presentimento riguardo al modo in cui tutti lo stavano guardando pensierosamente. “Non mi piace dove sta andando questa conversazione.”

Ymir si rimise in piedi, staccandosi dal muro al quale era poggiata, gesticolando per attirare l’attenzione di tutti i presenti. “Io credo, e sono quasi sicura di stare parlando a nome di tutti, che noi dovremmo raccogliere qui tutti i nostri drink preferiti.” Levi sapeva esattamente dove questa situazione stava andando a parare. Stava per protestare, ma Ymir fermò ogni sua lamentela. “E credo che Levi dovrebbe berli al nostro posto. Così saremo noi a berli indirettamente, tramite il nostro fedele infermiere.”

Ci fu una serie di esulti di approvazione, e Levi seppe di aver perso in partenza perché sarebbe stato largamente superato in numero. Se iniziava a correre subito, però, forse sarebbe riuscito a lasciare la città prima che i ragazzi potessero raggiungerlo. Eren, però, sembrò avvertire i suoi pensieri e lo afferrò per un braccio, strattonandolo al suo fianco. “Forza Levi, credo che abbiamo un negozio di liquori da saccheggiare.”

Una legittima fuga sarebbe stata meno gravosa per la sua salute e il suo portafoglio, rispetto a questi ragazzi morti.





Levi ed Eren fecero una passeggiata verso ‘la città dei liquori’, che era ad una discutibile distanza dall’ospedale e dal centro di riabilitazione dove gli alcolisti anonimi si incontravano. Eren aveva una sorprendentemente ottima memoria, e diresse tutti gli acquisti di Levi, che finirono con un conto decisamente troppo salato, che l’infermiere rimpianse silenziosamente. Il commesso gli lanciò uno sguardo stranito, come se stesse considerando di chiamare la polizia per avvisare di un tentato suicidio, e Levi sotto sotto sperò che l’uomo facesse veramente la telefonata. In realtà era più un tentato omicidio, soprattutto se i mocciosi intendevano veramente propinargli tanto alcool quanto lui sospettava, ma, alla fine, il tizio decise di non chiamare la polizia, e Levi si trovò a tornare al reparto sei, con abbastanza alcool da poter far ubriacare tutti gli esseri umani nel raggio di ottanta chilometri.

Fortunatamente, l’ospedale era praticamente deserto quando lui ed Eren tornarono, il che volle dire che Levi non dovette fornire spiegazioni a nessuno mentre tornava in reparto, anche se, fondamentalmente, non era molto convinto di avere una spiegazione plausibile da dare.

Reiner aveva messo su della musica jazz ad alto volume e dal tono allegro sullo stereo di Eren, che, così come il cd, era un regalo di Levi. Lo stesso Levi, che stava desiderando ardentemente di poter passare i suoi sabati sera con delle persone vive, come tutti i comuni mortali facevano, ma che, invece di pensarci troppo intensamente, mollò il contenuto delle buste a terrà, procurandosi alcuni bicchieri di carta dalla saletta delle infermiere, prima di lasciarsi cadere su una sedia e attendere la sua inevitabile intossicazione da alcool.

Da quel momento in poi, non era più sicuro di come si fosse evoluta la serata. Era certo che il primo drink che gli era stato dato era uno screwdriver, sotto richiesta esplicita di Connie. Ed era un irresponsabilmente forte screwdriver, a dirla tutta. Era anche certo che gli erano stati serviti abbastanza drink da poter riconsiderare l’idea di guidare per la successiva settimana, perlomeno. E, infine, era certo di aver letteralmente assaggiato e annusato la rumorosa musica jazz, ad un certo punto, per quanto la potesse suonare come folle. L’unica cosa buona era che si trovava in un ospedale.

E pensare che lui era anche il tipo che teneva bene l’alcool. Eppure, tutt’ad un tratto, realizzò che c’era bisogno di un termine oltre ‘ubriaco’ che potesse descrivere il suo livello di intossicazione. Poteva praticamente vedere attraverso il tempo dopo il secondo bicchiere di whiskey.

La mera presenza di alcool e l’allegria della musica ad alto volume, insieme al fatto di stare preparando i drink, sembrava essere bastato per far ubriacare anche i pazienti del reparto sei. Quando Levi riuscì finalmente a mettere insieme dei pensieri quasi coerenti, riuscì a notare che erano tutti esaltati oltre il loro normale livello emozionale.

Ad un certo punto, Eren finalmente fermò Levi, o, piuttosto, fermò tutti dall’intossicare ulteriormente Levi, avvertendoli che avrebbero finito per ucciderlo. E Levi era d’accordo. Ma, per sua grande sfortuna – come al solito – , a quanto pare Erwin lo stava cercando, ed era anche riuscito a trovarlo. Sentendo il rumore delle scarpe dell’uomo sulle piastrelle del pavimento, tutti si affrettarono a far sparire l’alcool, i bicchieri, e tutti i segni della festa, nell’armadietto basso di fianco al letto d’ospedale di Eren. Levi non cercò nemmeno di alzarsi.

Quando Erwin entrò nella stanza, Levi si mise composto, facendo del suo meglio per focalizzare lo sguardo sulla sua faccia. Erwin lo occhieggiò sospettosamente. “E’ terribilmente tardi, Levi.”

Levi non si fidava del fatto che le sue corde vocali avrebbero collaborato, dunque optò per annuire in quella che sperava fosse una maniera sobria.

“Mi chiedevo se sapevi che a uno dei tuoi pazienti verrà staccata la spina tra alcuni giorni. Ymir, credo che si chiami?” Erwin lo stava ancora guardando in modo strano, e Levi desiderò di avere abbastanza consapevolezza di sé da capirne il motivo.

Nonostante ciò, annuì di nuovo, cercando di sembrare assorto e interessato. Probabilmente sembrava solo nauseato e ignaro delle circostanze in cui si trovava.

“Va bene Levi,” disse Erwin con un certo disagio. “Ti auguro buona serata.” Scusandosi, l’uomo lasciò la stanza, accompagnato dal rumore dei suoi passi che si allontanava dal reparto sei.

Levi sbatté gli occhi rapidamente. “Vomiterò addosso a tutti se non mi portate un cestino in questo istante.” disse con calma.

Tutti si affrettarono a cercarne uno, prima che Eren, trovandolo, lo mise tra le braccia di Levi. Ovviamente, Hanji scelse quell’esatto momento per spalancare la porta, non essendo una persona da niente di meno che un’entrata in scena grandiosa. “Levi!” lo salutò calorosamente. “Erwin dice che sei completamente ubriaco. Totalmente andato, abbastanza da stare male una settimana.”

Levi agitò la testa in un ubriaco diniego. “No-non vero.”

“Oh merda,” rise Hanji. “E io che non ci avevo creduto.”

Una vocina nella sua testa lo stava esortando a dire la verità ad Hanji e pregarla di riportalo a casa. Invece, cercò di obbiettare di nuovo, finendo solo per crollare sul cestino incriminatorio che giaceva sul suo grembo.

Hanji si guardò intorno nell’apparentemente vuoto reparto. “Tu sì che sai come fare baldoria, Levi.” disse seriamente. “Ma la prossima volta che decidi di ubriacarti con un gruppo di fantasmi, me lo devi dire. Ci sono rimasta male.”

“Portami nel mio fottutissimo appartamento.” grugnì lui.





Quello che successe da quel momento in poi fu abbastanza confuso per Levi. A quanto pareva Hanji l’aveva riportato a casa, come lui le aveva chiesto, e, a quanto pareva, c’era anche Eren con loro. Evidentemente anche i ragazzi morti avevano una coscienza. Il reparto sei aveva applaudito alla sua uscita, esultando il suo coraggio nella battaglia contro una quantità spropositata di liquore. Perlomeno si erano divertiti.

Hanji lo aveva messo a letto, lasciando un secchio al suo fianco e una boccetta con degli antidolorifici sul comodino. “Me la vedo io con il tuo turno di domani,” disse di spalle, lasciando l’appartamento.

“Voglio morire,” si lamentò Levi contro il suo cuscino. “Ti prego uccidimi.”

Eren era anche lui lì, per qualche ragione, e fece una risatina. “Hai idea di quanto sia difficile trascinarti da un posto all’altro quando sei ubriaco?”

“Risparmiami la lezione.” Levi spostò il cuscino in modo da coprirsi la faccia. “Perché cazzo sei ancora qui?” chiese, sentendo il punto in cui il peso di Eren pressava sul materasso, sul quale si era seduto senza permesso, ma la sua voce uscì come un farfuglio incomprensibile.

“Vai a dormire, dannazione,” rispose Eren. “Mi assicurerò che non farai cadere il secchio e via così. Me la vedo io.”

Levi attese che il sonno lo trovasse, ma invece, per qualche strana ragione, si trovò ad aprire la bocca. “Sei fantastico.” Che cosa cazzo stava dicendo. “Non voglio che tu muoia. Non lo fare.” Perché cazzo non si stava zitto? “Sei un tale stronzo.” Oh Cristo, questo era il motivo per cui non beveva: la fottuta diarrea verbale. “Non morire, dannazione. Sarebbe così stupido.”

Poteva immaginare il sorrisino di Eren anche da sotto il suo cuscino. “Levi vai a dormire, cazzo.” rise Eren.

“Perché sei così morto?” Levi chiede, desiderando che Eren lo soffocasse nel sonno.

“Probabilmente per la stessa ragione per cui hai deciso di bere il tuo stesso peso in superalcolici stasera. Il mondo è strano, Levi,” disse Eren piano, fallendo nel suo tentativo di non ridere. La luce si spense e una coperta fu fatta cadere su di lui. “Seriamente, ti ucciderò se non ti metti a dormire.”

“Per favore fallo.” rispose Levi, prima di lasciarsi cullare dalla soffocante oscurità di un sonno ebbro.

   
 
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