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Autore: Vella    26/02/2015    1 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
Capitoli:
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La pazzia umana.

T
ra la diversità e l'uguaglianza, nasce un fiore che splende più del sole e guarda la sua vita passargli davanti talmente velocemente da togliere il fiato.
Le sfumature dell'alba erano ormai quasi scambiate su quella grande tela azzurra cielo e le nuvole camminavano come pecorelle al pascolo in cerca di pace e di un momento di pausa, cosa che il vento impediva.
La grande Winslow Hall era immersa in un caloroso abbraccio del sole e baciata da una tiepida temperatura che, dopo giorni di freddo e burrasche interminabili, risultava un toccasana per tutti coloro che vivevano lì, sia i grandi che piccini.
Le cucine erano un turbinio di indaffarato cibo che veniva cotto a metà o servito crudo, le cuoche erano alle prese con interminabili menù del giorno che facevano girar la testa a chiunque, le cameriere invece erano stufe come non mai di dover pulire la casa da cima a fondo. Era diventata insostenibile l'aria che aleggiava intorno a loro. La famiglia Griffiths era formata se non altro da un branco di barbari che stracciavano le lenzuola, mangiavano troppo e sporcavano dappertutto; d'altra parte Mr Jenkins trovava che tutto ciò fossero delle sciocchezzuole e che il personale si stava lamentando davvero troppo ed era persino pronto a sostituirlo nel caso gli fosse parso necessario.
Era passata più di una settimana dal ballo, forse dieci giorni, ormai nessuno più teneva conto del tempo, c'era troppo da fare! Troppo da mettere in ordine! Troppo da stendere, lavare, cucire, pulire, cucinare, intraprendere, aggiustare, rompere, scherzare, compiangersi addosso, vivere. La colazione era stata servita un'ora fa e Wendy si era svegliata da non più di dieci minuti. Aveva addosso una vestaglia color avorio che le scendeva fin oltre ai piedi ed era così aderente che non poteva proprio uscir dalla stanza, e se avesse incontrato George? Che Dio ce ne scampi! Non voleva affrontare il suo sguardo di prima mattina, così tremendamente assonnata e per nulla pronta a un simile trauma psicologico; per questo Sheila presto salì con un vassoio fumante che conteneva una cioccolata calda, del tè, un cornetto, fette biscottate, marmellata, latte caldo e freddo, caffè tiepido e una gran bella porzione di burro sfuso. Quando Wendy si ritrovò davanti tutta quella roba, faticò molto a non arrossire e si sentì gli occhi della governante fermi sul suo corpo e diligentemente aspettava che mangiasse, tutto.
―Dove sono le uova ed il bacon, Sheila?― Non riuscì a trattenersi la ragazza e la governante, visto che mai aveva ricevuto battutine vagamente ironiche sul suo operato da parte della rossa, era già pronta a scender nelle cucine per prendere ciò che le era stato chiesto ma Wendy, ridendo debolmente, la trattenne nella stanza: ―Ti prego, non farlo. Stavo solo scherzando; sai che non mangio tutto questo buon cibo e sprecarlo è un gran peccato.― Sheila arrossì e le disse che aveva bisogno di mettersi in forze, che quella voce debole proprio non le piaceva ed aveva un viso tanto lentigginoso che adesso pareva pallido, le lentiggini parevano pallide! No, non era possibile e con raccomandazioni che superavano ogni cosa, la governante fu cacciata gentilmente dalla stanza.
Wendy, come spesso era solita far la mattina, prese il tè e lo buttò nel vaso delle azalee, spezzò un po' di fette biscottate e le sbriciolò, ma non toccò cibo. Né quel giorno, né in quelli che erano già venuti.
Indossò un abito chiaro, di un colore che nemmeno lei sapeva specificare e lasciò che le fantasie disegnate su tutto il corpetto, le dessero un po' di allegria in quella che si prospettava una giornata terrificante.
O forse no? George sarebbe partito quel giorno per Londra con Elizabeth, e si era svegliata così presto per presentarsi adeguatamente al suo addio. Lo avrebbe rivisto forse in primavera, quando le giornate erano costantemente calde, il sole si nascondeva ma non privava del suo tepore. S'era svegliata così presto per tante cose, ma soprattutto perché Henry, un paio di giorni prima, le aveva domandato se avesse incontrato Daniel; non usciva dalle sue stanze dalla fine del ballo e questo stava preoccupando il giovane ragazzo. Wendy lo aveva rassicurato, dicendogli che forse s'era ammalato di un brutto raffreddore e che voleva stare un po' da solo, come i poeti fanno nel pieno della loro vena ispiratrice.
La verità che a lei poco importava di quell'uomo, di cosa facesse e perché non si fosse fatto vedere; certo, era una persona interessante, intrigante quasi, ma lei ormai aveva in programma ben altre cose. Il padre avrebbe parlato con George quello stesso giorno, prima che se ne andasse, avrebbero dovuto fissare la data del loro fidanzamento ufficiale e poi, chissà, forse per la fine di quello stesso anno si sarebbero sposati, o forse avrebbe dovuto aspettare altri anni, alla mercé di un uomo sempre indaffarato nella gran città.
Con tali pensieri, e anche perché il suo buon animo non riusciva a ribellarsi, tolse le briciole di fetta biscottata dal vassoio, si legò i capelli con un fermaglio malandato, e prese la sua colazione per portarla al poeta sconosciuto.
Le stanze da letto si trovavano sullo stesso piano, e per esser più precisi, quella di Daniel Shaw era situata alla fine del corridoio, molto lontana da quella di Wendy.
La rossa si diresse circospetta, mantenendo il vassoio con entrambe le mani e stando attenta a non inciampare nelle sue stesse pantofole.
Giunta davanti alla camera, per qualche secondo cercò l'equilibrio adatto e poi bussò, un paio di tocchi con le nocche, veloce e discreta, come solo lei riusciva a fare con due battiti.
Ma nessuno la rispose e lì Wendy pensò che ci fosse qualcosa che non andava, che forse Mr Shaw si trovava morente nel letto, che non aveva forza di parlare, che era nel pieno della sua vena quindi e stava scrivendo i più bei versi che i critici avessero mai letto in vita sua!
Bussò nuovamente, con più enfasi, un'enfasi che poteva nascondere una certa preoccupazione ma neanche questa volta la giovane dai capelli fulvi ricevette risposta e allora, con ancora della discrezione, girò la maniglia e spinse la porta con lentezza disarmante.
―Mr Shaw... posso?― Aveva la voce roca e alcune ciocche di capelli le ricadevano sul viso spigoloso, ma quando si decise a fare il primo passo nella stanza, non vide nessuno. Perché non c'era nessuno.
―Mr Shaw è qui?― Si sarà nascosto? Entrò del tutto, la porta spalancata e subito un odore di tabacco, di chiuso e di sudore le impregnò le narici. Si avvicinò alla scrivania e vi ci poggiò il vassoio. Che fosse scappato? Dio, e perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Lei non riusciva a trovare una soluzione plausibile, ma cosa ancor più grave, che ora la scombussolava ogni secondo di più, dalla testa ai piedi, con finta disarmonia, era l'odore, la stanza, tutto ciò che c'era all'interno. C'era un'attrazione del corpo, fiato che le mancava, un luogo invalicabile.
Per un attimo pensò pure ch'era entrata in un tempio sacro e che aveva appena commesso un sacrilegio indicibile. Tutto ciò in quella stanza, compresa l'aria, l'attraeva, la divideva, le dava e le toglieva tutto quello di cui possedeva.
―Ma dove sarà...― si domandò febbrilmente, lasciando lo sguardo vagare sulle lenzuola buttate sul pavimento, sullo specchio della stanza ridotto in mille schegge, alcune erano persino rosse, rosse sangue e ciò spaventò Wendy che decise di andarsene, ora o mai più.
Ma non ce la fece, qualcosa la trattenne, qualcosa ch'era più forte della gravità, dei sentimenti, della verità, della vita stessa: la curiosità.
Forse fu il destino? Forse fu l'odio? C'è da dire che i suoi occhi così profondamente verdi, si posarono sulla scrivania nuovamente e fogli ingialliti, scribacchiati, stracciati, strappati, osceni, la colmavano, eppur c'era qualcos'altro, una parola che risucchiò il suo essere in indicibili domande, in indicibili istanti. Le sue tremule mani si fermarono con forza inesistente sul foglio e lo strapparono avidamente da sotto il vassoio.
C'era un titolo quindi, un titolo di una poesia che distrusse e rianimò un nuovo animo, aprì gli occhi di Wendy e valicò i limiti massimi: Erato.
Si chiamava proprio così quella poesia e non riuscì a fermarsi, le pupille scorsero il foglio, su ogni singolar parola e la fece sua.
E quel rosso, quel rosso che sprigiona l'anima,
Annaspò.
la mia, la tua, la nostra.
Si sostenne alla scrivania.
Il candore delle gote si insinua nei miei brividi e la paura di possedere un briciolo di una falsa identità, stringendo, amando, illudendo.
Brividi immensi ancor più, quando gli occhi si inflissero sulle ultime parole della prima strofa:
Se solo potessi, se solo facessi, almeno amerei.
La rilesse almeno dieci volte, ed in ogni dove scorgeva una sfumatura nova, leggiadra, che schiacciava, schiacciava, schiacciava.
Ma prima che andasse oltre, prima di immergersi nel vero Erato, nella vera essenza, la sua essenza, sentì passi di piedi nudi che subentravano nella camera.
E si girò, così violentemente da rimanere ancor più scossa, presa in flagrante col foglio in mano dal poeta di tal poesia che ora era davanti a lei, in uno splendore nuovo.
Si coprì la bocca tremante come una foglia, e percorse il corpo dell'uomo con uno sguardo fugace: era nudo, nudo come non mai. Il fiato adesso non l'aveva più, era un'anima vagante con le guance in fiamme e le gambe molli. Oh Dio, salvala!
―I-io...― come poter parlare in una situazione tanto delicata? I capelli lunghi e neri di Daniel erano tirati indietro; il suo corpo nudo fremeva ad ogni suo sguardo, ad ogni suo tentativo di parola, ad ogni secondo che passava con il foglio di Erato nelle mani della sua Erato.
―Oh...― gemette, Wendy notò la porta semichiusa e il giovane poeta che le si avvicinava, con le labbra semiaperte, gli occhi ricolmi di strani pensieri e non riusciva neanche per un secondo a fermarsi sul sesso dell'uomo.
―D-dov-vreste c-coprirvi. I-io s-sono... q-qui p-...― ma non ebbe modo di concludere il suo primo pensiero, Daniel ormai distava di un solo passo ed espresse con una voce roca e pieno di rammarico, con occhi scuri e cerchiati da occhiaie: ―Sono io, Wendy. Sono io.―
La giovane avvampò ancor di più sentendo il suo nome pronunciato da lui, non aveva timore del suo sguardo, del suo viso sciupato, del suo corpo da uomo.
―I-io non c-capisco. Chi sei... tu?― biascicò e, in un batter d'occhio, Daniel le bloccò le braccia, il foglio cadde sul pavimento ed il corpo di lui si strinse a quello di lei, così tanto da non poter nascondere i pensieri a riguardo.
―Sono io, Wendy, sono io.― ripeté mentre le sue labbra si fermavano su quelle di Wendy ed una elettrizzante scossa scuoteva ad entrambi.
Sentì il sapore del brandy tra le labbra di Daniel, sentì la passione sfusa mentre le sue braccia la circondavano e la stringevano delicatamente a sé. Era imbarazzata, forse stava baciando un ubriacone ma... per un attimo ritornò alla sera del ballo, a tutto ciò che aveva vissuto, a quella stessa elettrizzante scossa, ai suoi sentimenti. Non c'erano più maschere che proteggevano i propri corpi. Non c'era più nulla.
Daniel si staccò, il suo viso era amaro, nascondeva un dolore interiore pari al peso di un montone.
―Sei tu la mia musa.― Lacrime vere solcavano il viso di Wendy.
L'imbarazzo di lei sciamò in un attimo, ciò che provava divenne cemento e ogni secondo che passava, si sentiva sempre più pesante. Avrebbe voluto piangere copiosamente, avrebbe voluto picchiare Mr Shaw e sfogare la rabbia e violenza repressa che viveva dentro di sé da troppo tempo.
Come aveva potuto tradire George? Come aveva solamente potuto pensare ad un altro uomo, lasciarsi baciare da un altro uomo? Come aveva potuto guardare un altro uomo nudo? Questo era adulterio e lei non era neanche sposata! La sua indole ora era macchiata irrimediabilmente ma purtroppo il cuore continuava a batterle con energia, così come mai aveva fatto in vita sua.
Le mani frettolose, quelle di un poeta, curate e per nulla callose, si insinuarono tra le scapole e sciolsero i primi lacci del corpetto, con un po' di impaccio. Quando Wendy lo sentì allentato abbastanza da farlo cadere sul pavimento, lei stessa non si ritrovava con i piedi per terra. Non aveva idea di cose stesse succedendo, era tutto un turbinio di emozioni, di quelle che ti colgono all'improvviso e sconvolgono il tuo animo senza alcun ritegno.
La gonna di quel vestito che non aveva colore le cadde da dosso come una piuma levigata e le mani di Daniel si fermarono sui seni mentre la spingeva verso il letto; la sua bocca cercava quella di lei con una smania intollerabile, le sue gambe adesso erano intrecciate a quelle di Wendy e non c'erano parole che potessero fermarli.
In quei brevi istanti, colmati dai fruscii della sottoveste e dal reggipetto che cadeva dietro il letto a baldacchino, Wendy non poteva fare a meno di pensare che non conosceva Mr Shaw, o meglio, forse lo conosceva più di tutti, ma che alla fine era uno sconosciuto.
Sconosciuto! Sconosciuto! Non c'era niente di sconosciuto in loro, c'erano i versi della poesia che le strapparono un gemito mentre Daniel le mordeva il collo, scendeva lungo il petto, fino ai seni e lasciava che il sesso premesse contro quello di lei, ancor coperto dai mutandoni.
―Cosa stiamo facendo?― Fu un sussurro di lui mentre ritornava a baciarla con foga, e i mutandoni venivano spostati senza grazia e Daniel le guardava il viso, forte, come un avvoltoio, e Wendy tratteneva il respiro; avrebbe dovuto dir di no, avrebbe dovuto dare un sonoro schiaffo a Daniel, si sarebbe dovuta opporre. Ma di cosa stavamo parlando adesso? Della sottomissione? Del fatto che non sapesse negare un qualcosa ad una persona? O stavamo parlando di una trasgressione? Di un volere profondamente spirituale?
Wendy non aveva risposta, ma non le importava, aveva smesso di pensare tempo fa, aveva dato tutto alla vita, alla convenzione, alla perfezione e al perbenismo di se stessi, ma adesso, con tutto il cuore, basta!
Sento il bivio che arriva― recitò ed allargò le gambe, perché l'istinto questo le diceva.
―Non aver paura, Wendy.― Annaspò Daniel tra l'incavo del suo collo.
Wendy sentì qualcosa, ma non sapeva bene dire cosa, era certa che così avrebbe perso per sempre la sua virtù e non c'era uomo che gliela avrebbe ridata, e non c'era più uomo che gliela avrebbe tolta.
e la fine prostrarsi tra il giusto e lo sbagliato. ― Tremava adesso e si ritrovò ad ansimare, a percepire un bruciore al basso ventre, un bruciore che diventava sempre più piacevole, un'eccitazione nuova.
Tra la scelta e la perdizione.― Urlò, qualcosa era entrato dentro di lei e la colmava come mai prima d'ora.
Daniel cominciò a muoversi con scatti rigidi, scatti che le davano un immenso piacere misto ad un pizzico di dolore, scatti ch'erano incendiati di un amore esasperante, mugugnò, spinse la testa di Daniel tra i suoi seni, voleva sentirlo di più, con un fervore nuovo, con una smania che cresceva di volta in volta.
Le braccia del giovane le circondarono la vita e l'alzarono, inginocchiati sul letto, uno di fronte all'altro, con i capelli ingarbugliati, i respiri affannati, gli occhi che luccicavano, il piacere che andava via via crescendo, lasciando nel corpo di Wendy un'inspiegabile maturazione. I seni alti e sodi venivano torturati da lui, e la ragazza cercò il suo petto, accarezzò i peli e scese lungo l'ombelico con l'esili mani, finché il poeta non le liberò i capelli dal fermaglio, non diede una spinta più decisa e sentì la sua amata tremare ancor di più, senza fiato in corpo, totalmente inerme, totalmente sua.
―Continua...― La voce di Daniel era ancora più roca, ancora più lontana, e tutto sembrava un viaggio senza fine.
Se solo potessi...― ansimò, e strinse il suo amante, lo baciò con foga e si lasciò sedurre come mai era stata sedotta.
Se solo facessi...― sentiva il limite, la fronte imperlata di sudore, l'impeto, i bacini che ad ogni movimento parevano di raggiunger la cima, di aver scalato la montagna.
E quando giunse finalmente l'attimo in cui Wendy Jenkins, la giovane e precaria ragazza, dalle mille sfaccettature, da tutto ciò che nulla era stato immaginato, venne per la prima volta e vide un mondo nuovo, un mondo fatto di ipocrisia, di magnifici poeti, di uomini che amano ma solo in luoghi terrestri, uomini che rubano la vita e la riconducono in un tunnel buio, lei urlò con tutto il fiato che aveva: ―almeno amerei.
―La mia Erato, la mia Erato...― sussurrava Daniel mentre l'accarezzava rimanendo dentro di lei, continuando ad amarla e i loro occhi si fondevano nell'ultimo bacio di una castità perduta.


Aveva cresciuto, amato, consigliato, accudito, curato fino allo sfinimento tutti i figli di Mr Jenkins. Mai una volta s'era comportata male nei loro confronti, li voleva bene come creature sue, anzi, le considerava come tali.
Sheila era una donna vecchia, che non comprendeva più il mondo dei giovani, che non riusciva più a stare a passo coi tempi. Preferiva la sua epoca, quella di quarant'anni prima, dove tutto era più rigido, dove nulla si dava per scontato, dove le ragazze erano totalmente immerse nei loro doveri, nelle loro attese, e l'unica che assomigliava di più a quel vecchio stereotipo di donna era Wendy, o almeno lo credeva, a differenza di mss Katherine.
Ricordava i momenti in cui le pettinava i capelli rossi quand'era ancora una fanciullina e già da allora rifiutava il cibo, ricordava quando le infilava i vestitini francesi portati dal padre e le raccontava poesie della sua infanzia nel letto, insieme a Katherine, la piccola Kath.
Ricordava tante cose, e credeva di conoscerli, di conoscerli tutti, di avere la coscienza e il cuore pieni di loro, credeva di poter ancora accudirli, impartirli le buone usanze, di sapere come e quando comportarsi.
Sheila era a conoscenza anche dell'omosessualità di Henry, e non fu qualcuno a svelarglielo, ma la sua esperienza, il suo amore, la conoscenza di quel ragazzo che tanto adorava, sia prima che adesso.
Certo, aveva sempre avuto un debole per Katherine, ma lei non lo considerava un debole, credeva più che altro che la ragazza avesse più bisogno del suo aiuto, della sua disciplina.
Sheila era una gran donna, una di quelle che sa cosa fare, sa come tenere una casa, avere dell'ordine, comunicare con i suoi padroni, con gli ospiti che arrivano e se ne vanno.
Sheila era il tutto, un perno fondamentale, un pilastro, una madre.
I suoi occhi erano di un nocciola profondo, i capelli erano striati d'argento e raccolti in una severa crocchia, il suo corpo era mingherlino, basso e tramava tutto, come una foglia, in preda ad un'uccisione, un'uccisione vera e propria.
La sua mano tremula era ferma sul pomo della porta socchiusa, il suo sguardo percorreva quei corpi che si erano uniti nell'amore e che ansimavano, osavano ansimare.
Si guardavano, erano occhiate d'intesa, un qualcosa che la disgustò completamente; dovette appigliarsi al muro, alla forza del muro e cercare di distogliere lo sguardo, di non dare retta a quel dolore lancinante che andava crescendo nel petto.
Non era possibile, pensava, non è possibile!
Quella chioma fulva, quel corpo mingherlino e bianco latte che aveva lavato mille volte, quell'innocenza che ora non c'era più e nulla gliela avrebbe restituita.
Nel corpo della governante ora dominava l'ira, l'impotenza, l'imbarazzo, il disgusto e la presa in giro. Si sentiva una madre tradita, una donna disabilitata dai suoi compiti e non riuscì a stare lungamente dietro quella porta, non riusciva a guardare il poeta dell'est che s'impossessava della sua piccola Wendy, che la toccava dappertutto e la bramava disastrosamente.
Non poteva permettere una cosa del genere, non poteva dare libero spazio ad una sciagura del genere! Una sciagura che si sarebbe abbattuta su tutti i Jenkins, sul suo padrone, la sua ancora di salvezza.
Si girò, distolse gli occhi riluttante e corse, corse come non lo faceva da anni, le gambe rallentarono l'andatura molto presto, il corridoio venne attraversato con le lacrime agli occhi ed il fiatone a mille, le scale divennero un ostacolo intramontabile e mentre la fuga, la voglia di recarsi in biblioteca, l'amarezza che l'attanagliava tutta, s'impossessavano di lei, perse l'equilibrio, inciampò nelle sue stesse scarpe nere che le erano state consegnate trentacinque anni prima e ruzzolò su tutti e venti scalini, la testa batté pesantemente, non comprese subito cosa le stesse accadendo ed il suo ultimo pensiero fu: “VERGOGNA!”
Mr Jenkins uscì di corsa dalla biblioteca, allertato dal rumore, e scorse il corpo inerme della sua fedele alleata in una pozza di sangue, ai piedi delle scale.
―Sheila!― Urlò l'uomo, catapultato in un'angosciante situazione.


Il viottolo di Winslow Hall era stato ricoperto con del cemento, le carrozze vi si sostavano nei giorni festivi ed era un passaggio onorevole per chi volesse uscire ed entrare in quella villa.
Il vestito di Katherine era di un azzurrino leggero, merlettato di bianco, che le stringeva il busto e slittava sulla sua figura davvero carinamente. Aveva il passo affrettato ed un sorriso nuovo sulle labbra, un sorriso che nascondeva una voluta felicità. Al suo fianco c'era Joseph, con i suoi capelli fluenti e un gessato nero, con un panciotto fantasioso davvero originale. Il ragazzo guardava l'orologio a taschino mentre con un orecchio ascoltava il blaterale di Katherine, che quel giorno era davvero di ottimo umore.
Appunto, per quell'umore nuovo, ci si poteva appigliare a molti avvenimenti. Era passata più di una settimana dal Ballo e dal ritorno di Viktor Mitchell, i due avevano ripreso ordinariamente le loro lezioni e si ritrovavano metà giornata rinchiusi nello studio per uno studio diligente. Si poteva dire che Katherine stesse apprendendo in fretta e che non aveva nessuna intenzione di far imbestialire il suo precettore, ma qualcosa di losco permeava in lei.
All'inizio aveva odiato quell'uomo perché era un uomo e perché aveva perso un'insegnante più che valida, adesso ce l'aveva con lui perché aveva osato sedurla, l'aveva maneggiata, o almeno così credeva, e non voleva mollarla più.
Quindi, come ben potete immaginare, era arrivata alla conclusione che per far risvegliare Viktor Mitchell, un precettore ch'era pronto a fare la prima mossa ma che non aveva il coraggio di proseguire, ci voleva qualcosa di forte ed innocente, qualcosa che non desse troppo nell'occhio.
Era mattina presto, il signor Mitchell faceva cinque ore di viaggio per raggiungere Winslow Hall ogni giorno e lei era sicura che proprio di lì a qualche minuto, sarebbe comparso con la sua carrozza.
―Ma cosa trovate di tanto interessante nell'orario?― Joseph arrossì e posò l'orologio, per nascondere del divertimento con un sorriso sincero.
I due continuavano a frequentarsi periodicamente dopo le lezioni di lei; giocavano a dama, scacchi, facevano lunghe passeggiate nel giardino, prendevano il tè, si dilettavano in conversazioni gradevoli riguardanti gli ospiti della villa e avevano in programma anche delle escursioni da fare.
Quel giorno dunque avevano deciso di far visita alla famiglia Boudès.
Viveva in una villa non più grande di quella di Winslow Hall a pochi isolati da quest'ultima e dopo aver avuto una conferma del loro incontro, erano decisi di incontrare la famiglia, formata da due vecchietti imperiosi ed una giovane ragazza che Katherine ricordava paffutella e timida, come uno scoiattolo.
―Nulla, nulla, Kath.― Rispose Joseph.
Katherine in quei giorni aveva scoperto anche l'adorabile presentazione di Joseph, il suo portamento, il parlato e i discorsi che intraprendeva. Erano sempre molto pertinenti, per nulla ovvi, che incantavano l'attenzione di lei e la lasciavano di stucco.
Era per certo ammaliata e non solo, anche contenta di un'amicizia che non credeva possibile; alle volte le dispiaceva usarla per quei loschi piani, ma dava comunque la colpa al suo precettore, era lui il problema, lei non poteva farci nulla, non più di tanto almeno.
―Sbrighiamoci allora, sapevate che Mrs Boudès ci ha chiesto di fermarci a pranzo? È tanto amabile quella donna, eppure non l'avrei mai detto a prima vista.―
Joseph le sorrise e strinse il braccio di Katherine intrecciato al suo.
―Me l'avrete ripetuto mille e una notte. Non state così tesa.―
Katherine gli diede ragione e continuarono ad interloquire degli alti e bassi, come due vecchi conoscenti.
Proprio quando avevano raggiunto la carrozza, i cancelli si aprirono per farne entrare un'altra e lì Katherine ebbe una nuova certezza.
La berlina era oscurata ma gli occhi del precettore si erano fermati dal principio sul corpo della sua allieva e dopo che il cocchiere avesse percorso cinque metri dall'entrata, lo fece fermare con una sonora martellata di bastone.
Viktor scese claudicante, un po' arrossato in viso e con i vestiti mal conciati. Aveva un aspetto pietoso: i capelli tirati all'indietro drasticamente, tenuti a bada da un volgare codino, la giacca era stropicciata in più punti e gli occhi arrossati.
Se non fosse che lo conoscesse, Katherine avrebbe osato dire che forse era ubriaco.
―Non mi avevate assicurato che il vostro istruttore era al corrente di questa escursione, oggi?― Accusò immediatamente Joseph. La ragazzo lo guardò, e notò del terrore velato.
Joseph aveva paura di Viktor, e la cosa la elettrizzante in una maniera pazzesca. Più del dovuto.
―Certo, ora glielo riferirò. Non agitatevi, Joseph, non agitatevi.― Lo ammonì lei, sciogliendosi dall'abbraccio ed avvicinandosi alla figura dell'uomo.
―Cosa state facendo?― La voce di lui era forte, come sempre, ma la donna non si lasciò scoraggiare ed abbassò il capo, facendo una reverenza, una di quelle che contrapponeva tra loro ancor più gelo.
―Mr Mitchell, dovete scusarmi! Scusarmi come non mai, davvero, non era mia intenzione essere così sbadata e sciocca, lo ammetto. Ho dimenticato di avvisarvi che oggi le lezioni non si sarebbero tenute. Io e Joseph Griffiths siamo stati invitati dai Boudès e rifiutare adesso mi risulta impossibile.― La voce petulante di lei diedero fastidio alla mente offuscata di Viktor.
Non voleva sentire ragioni, non voleva proprio sentirle, era in una bolla di sapone, le parole gli pervennero ovattate. Aveva un mal di testa imperiale, uno di quelli che vengono una volta nella vita.
―Era consono avvisarmi precedentemente, si può essere più scostumati, miss? Quand'è che imparerà le buone maniere? Per una volta tanto, perché non cerca di essere una ragazza di normale intelligenza e non sottostare al parametro comune?― Biascicò, gli occhi socchiusi, la fronte corrugata, le labbra strette, il maglione nero sotto il cappotto che gli accollava il collo.
Katherine abbassò gli occhi sul cemento, poi guardò Joseph e sospirò come se si fosse illusa di avere una risposta cortese per una volta.
Strinse forte le mascelle, fino a farle tremare, come se si trovasse sull'orlo di un pianto e disse, sussurrando: ―Mi dispiace Mr Mitchell, più di questo non posso dirvi perché altro non ho a disposizione.― E voltandogli le spalle, sculettò fino alla carrozza, superò Joseph e gli lasciò credere che si stesse asciugando una lacrima.
Viktor aveva un ghigno disgustato sulle labbra perché lui capiva sempre tutto, ma il giovane Griffiths vi si avvicinò e indurendo i suoi lineamenti, in un moto di coraggio gli disse:
―Siete un un villano, perché non imparate voi l'educazione ed il buon rispetto per una signorina? Mi chiedo come Mr Jenkins abbia potuto assumere una persona tanto inappropriata.―
Viktor rise, perché gli parve la cosa più ovvia da fare: deriderlo.
Un bamboccio che cercava di farsi bello agli occhi di Katherine e che sputava sentenze perché era figlio di papà, perché non sapeva nulla della vita e perché il suo perbenismo e la sua buona indole non gli permetteva di guardare oltre le persone, di conoscere quindi la sua amica, meglio di quanto credesse.
―Attento, ragazzo.― Digrignò.
Joseph scosse la testa ma non lo rispose più, si allontanò evasivamente e salì sulla carrozza che lo attendeva.
Viktor dal finestrino vide la sua allieva che abbracciava il ragazzo coraggioso e nel suo stomaco tante spille lo punsero.
La carrozza presto sparì al di fuori del cancello e Viktor fu indeciso se entrare in casa o meno. Il mal di testa gli impediva tutto, anche di vedere chiaro in questa faccenda, a malapena ricordava le parole che aveva pronunziato a Katherine.
D'improvviso però una cameriera giovane e dai capelli corvini uscì correndo dal retro e si diresse verso il viottolo principale, dove proprio lui si trovava.
―Mr Mitchell! Mr Mitchell! La governante è caduta dalle scale! È morta, è morta!―
Quelle parole riecheggiarono nell'aria per secondi interminabili.
Morta?


Spazio scrittrice:
So cosa state pensando: "È pazza."
In effetti sarebbe anche inerente al titolo del capitolo e non posso negare che forse la pazzia umana era riferita a me in primis.
Scioccati? Divertiti? Delusi? Nel dubbio, vi dico un paio di cosette.
La prima è che questo capitolo non è stato un parto ma un vero e proprio istinto, un istinto animale che doveva esserci. Non ho deciso io, la decisione è stata presa da Wendy! E beh, porella, se ha così scelto...
Inoltre, vorrei capire se le descrizioni che sono solita scrivere vi annoino. Insomma, io scrivo, scrivo, scrivo... i dialoghi sì, ci sono, ma tutta questa introspezione dei personaggi? Vi piace? Ah beh, vorrei proprio capirlo.
Prima che abbandoniate la storia perché è troppo "machecacchiettohaifattoVè!", vi mando un bacetto bacettino, la seconda cosa non ve la dico perché non c'è e quindi nulla, al prossimo aggiornamento che arriverà il prima possibile!

Un paio di avvisi amorevoli:
CORTOCIRCUITO SU WATTPAD! http://www.wattpad.com/story/28432757-cortocircuito
E UN GRUPPO PER VOI LETTORI! (tutte le newsss quiii! Tutti gli spoiler! Tutto, tutto, tutto! Non lasciatemi da sola u.u) https://www.facebook.com/groups/739028276178619/?fref=ts
   
 
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