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Autore: Relie Diadamat    27/02/2015    7 recensioni
Un libro, quattro vite, destini incrociati.
L'amore che sfida il futuro.
Il passato che si mescola al presente.
Una scelta per cambiare la propria vita. Per sempre.
Arthur lo guardò indignato, arrendendosi nel lasciargli campo libero «Oltre ad essere uno scrittore da strapazzo è anche un idiota.»
«Terribilmente idiota.» precisò il corvino, chinandosi per prendere un pacco sigillato e porlo al giovane «Ma fa parte del mio fascino.»
«Cos’è?» chiese il giovane, indicando con lo sguardo il pacco.
«Il pacco che non ho avuto il coraggio di gettare al rogo.» l’uomo insistette, porgendoglielo ancora una volta, finché il biondo non parve convincersi, rigirandoselo tra le mani con fare indagatore.
«Sei una brava persona, Arthur Mecoalt e meriti le risposte che desideravi.» gli disse solamente, per poi incurvare le labbra in un sorriso nostalgico. Arthur lo guardò allontanarsi, rigirandosi ancora per una volta quel pacco tra le mani, poi decise di entrare.

[Quarta classificata al contest "A time of magic" indetto da hiromi_chan sul forum di EFP.]
[Merlin/Morgana] [Modern!Arthur/Mithian]
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Mithian, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Morgana
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Autore: Rita221b (Forum) / Relie Diadamat (EFP)
Titolo: Never Write Forever – Favola Moderna
Coppia: Merlino/Morgana; Arthur/Mithian; accenni Arthur/Gwen (nel passato); accenni Gwaine/Morgause (cap.4)
Pacchetto scelto: Merlin

Pacchetto Merlin 
prompt: rogo, bacio, libro 
genere: malinconico, drammatico, fluff 
avvertimenti: what if
citazioni: 
1)Sai che cosa mi piace di lui/lei? Non si aspetta mai una lode. Tutto quello che fa lo fa per il gusto 
di farlo. 
2)Una metà non può veramente odiare ciò che la rende completa. 
3)Sei una domanda che non è stata ancora mai posta. 
extra: nella storia è presente almeno un incantesimo 

Rating: Arancione
Genere: Malinconico, Drammatico, Fluff
Avvertimenti: Tematiche delicate; AU; What if?

NdA (facoltativo): Arthur, Merlin e Uther cambiano nome/cognome per questione di trama, ma sono esattamente gli stessi personaggi del telefilm. Mecoalt è l’anagramma di ‘Camelot.’ Il simbolo (*) indica un breve stacco temporale; il simbolo (**) indica i parallelismi o un completo stacco tra i due paragrafi. La trama del ‘libro’ non segue gli eventi reali del telefilm, ma ne prende spunto. Se in alcuni pezzi il dialogo passa dal formale/informale e viceversa, non è una mia dimenticanza, ma una scelta voluta.
Never write ‘forever’-Favola Moderna
 
“Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.”
- Divina Commedia
 
 
1. C’era una volta…
 
Era stanco.
La mattinata era appena iniziata ed era già stanco. Sapeva che gli sarebbe toccata una nuova ramanzina paterna, siccome stava facendo – come tutti i giorni del resto – tardi a lavoro. Era una vera seccatura avere un padre come datore di lavoro, se poi ci si aggiunge anche quel piccolo particolare che il vecchio aveva un’ossessione per la perfezione e il senso del dovere…beh, non restava che sospirare e – se si era anche devoti ad una gentile e illustre credenza di devoti insoddisfatti – pregare…e poi lavorare!
La verità è che in quei giorni si era ripromesso di incentrare tutta la sua attenzione nel lavoro, cercando magari di non pensare ad altro, a non ricordare quello che era successo pochissime settimane fa.
Adesso, ritto in piedi, nel solito bus che prendeva puntualmente ogni mattina – dal giorno della disgrazia – aveva lo sguardo fisso nel vuoto, ripensando a quanto la vita gli volesse male.
Lasciò ricadere la sua nuca, ricoperta da fili dorati che si ritrovava per capelli, contro la sbarra metallica del bus, utilizzata come appoggio da tutti i passeggeri normali. Ma lui non era normale, di questo ne era fortemente convinto. Le persone normali non avevano una vita piena di problemi surreali.
I suoi occhi azzurri si puntarono sul suo cellulare, un costosissimo Iphone 6, uscito fresco fresco dalla Apple Store. Tra le poche cose buone della sua vita, c’era il lavoro. Era solo grazie al suo posto nell’azienda di famiglia che si era potuto permettere un tale gioiellino.
Certo, avrebbe preferito trovarsi nella sua Porshe Panamera che emanava un grazioso profumo di menta, con la radio in muto per non recargli fastidio di prima mattina (la trovava davvero irritante).
Ma siccome la buona sorte era bendata, ma la sfiga ci vedeva benissimo, la sua adorata bambina era sotto la cura estrema del suo meccanico di fiducia, dopo nemmeno tre settimane di vita nelle sue mani.
Sbuffò sonoro, per almeno la terza volta da quando si era svegliato. Dopo il lavoro avrebbe dovuto catapultarsi fuori scuola, dove un mucchio di marmocchi – a suo avviso molte capre ricoperte da grembiuli colorati – pascolavano isterici all’uscita, ansiosi di correre nelle auto dei propri genitori e sfuggire da quelle stupidisse quattro mura imperniate di infantilismo e stucchevole dolcezza.
Ma cosa ci faceva il signor Arthur M. fuori le porte di una scuola infantile, circondato da marmocchi agitati?
La sfiga.
Era sempre questa la causa di tutti i suoi mali.
Ginevra, la sua ex con la quale aveva condiviso la casa per ben due anni, aveva pensato bene di tradirlo con un altro – il suo miglior amico, per giunta – lasciandolo con una lettera nel giorno del suo compleanno.
Settimane fa, si ripresenta alla porta, Lancelot, il suo carissimo e fedele amico, con una faccia da prendere a schiaffi, irrimediabilmente bagnata dalle lacrime. Stringeva una marmocchia per le spalle, fingendo un tono di voce indifferente e non rotto dall’emozione.
Lo fece accomodare in casa sua, siccome, era un signore… lui.
Vide Lancelot spaesato, con una faccia inespressiva, entrare nel salotto e posare leggermente una mano sulla poltrona in pelle, accanto al tavolino basso. Lo vide rigirarsi più volte a guardare la piccola creatura, dai lunghi capelli biondi e dai grandi occhioni blu, scrutare casa sua.
Solo dopo un lungo tempo di esitazione gli rivelò che lui doveva partire per la guerra – eh sì, era un soldato – e doveva cercare qualcuno a cui affidare la piccola, siccome Ginevra aveva smesso di respirare da pochi giorni.
Gli implorò quell’ultimo favore, fin quando non si fosse congedando e non avrebbe trovato una sistemazione migliore.
Arthur era stato educato da suo padre, dal quale aveva ereditato l’orgoglio come unico e sano principio ma, purtroppo per lui, aveva anche un muscolo chiamato cuore che gli impedì di cacciare a calci dalla sua residenza l’uomo che la sua ex deceduta aveva preferito a lui e la loro bambina; si era così accollato anche quell’insopportabile responsabilità.
«Permesso, mi scusi.»
Una ragazza dai lunghi capelli castani, mossi al punto giusto, lo aveva tamponato e con lui anche il suo Iphone, che irrimediabilmente cadde a terra.
«Merda!» sbottò, irritato.
 La sfiga sembrava davvero perseguitarlo.
Si era accovacciato per raccoglierlo, per poi tirarsi subito su.
«Mi scusi! A volte non so proprio dove metto i piedi…» la ragazza dagli enormi occhioni nocciola aveva iniziato a scusarsi, cercando invano di sdrammatizzare, ma non si rese conto di avere di fronte a sé un furibondo Arthur, il quale non aspettava altro che una scusa per sbollire la sua rabbia «Eh, ho notato infatti!»
La mora si mantenne alla sbarra per non perdere l’equilibrio, mentre il bus riprendeva la sua corsa alla nuova fermata; guardò imbarazzata e un po’ impacciata il biondo che le si parava dinanzi: era avvolto in un costosissimo completo da uomo che lo rendeva semplicemente attraente, più di quanto non lo fosse già in viso. I capelli erano ribelli, tirati in alto e tradivano l’eleganza firmata dal vestiario. Tipi come lui erano pericolosi, perché erano tremendamente affascinanti. Lei conosceva a memoria i tipetti come il biondino: erano viziati, egoisti, boriosi e tremendamente stronzi. Sì, la stronzaggine li contraddistingueva e li rendeva tremendamente adorabili. Perché sotto quella maschera, nascondevano un animo nobile, invidiabile.
Ma gli occhi… non aveva mai visto un azzurro così accecante in tutta la sua vita. Occhi così, dovrebbero essere illegali, pensò.
Si ritirò da quei pensieri malsani, ritrovandosi a giustificare quella sua distrazione «Mi dispiace, spero non si sia rot-»
Neanche il tempo di finire la frase, che già il biondino ritto nel suo completo l’aveva ammonita «La prossima volta faresti meglio a guardare dove vai!»
La giovane sentì la sua pelle tingersi di rosso dalla rabbia. Aveva chiesto scusa, forse anche più del dovuto e quelle sue accuse stavano iniziando davvero ad innervosirla. Era stata sbadata, okay, ma quel tizio stava esagerando «La prossima volta dovresti fare più attenzione alle tue cose!»
«Scusami?!» Arthur aveva aggrottato la fronte, con fare accusatorio. Sicuramente, doveva aver sentito male, si disse.
La ragazza scosse la testa, capendo di aver a che fare con un caso perso, per poi voltarsi verso il vetro leggermente sporco del finestrino. Non era in vena di controbattere ancora, poi suo padre glielo diceva sempre: “la miglior arma è la noncuranza.”
Una frenata brusca di quel cartoccio con le ruote, bastò per far perdere l’equilibrio al biondino, che si schiantò contro il corpo della mora, mentre il suo cellulare dovette scontrarsi contro il duro pavimento scurito del bus.
«Dovrebbe stare più attento a dove mette i piedi.» un’alzata del sopracciglio bastò a ricalcare l’aria di vendetta della giovane, ancora poggiata alla sbarra grigiastra.
Il biondo la fulminò con lo sguardo, non riuscendo ad accettare di essere in fallo «E’ colpa di quell’autista da strapazzo! Vorrei proprio sapere chi gli ha regalato la patente.»
«Mantenersi a qualcosa no? Ah, no certo: il cellulare dove l’avresti poggiato poi?» aveva celatamente rimproverato il biondino, facendolo sentire sempre più idiota e dalla parte del torto. Arthur odiava sentirsi così! Ma la mora non demorse finché non si sentì appagata «Le tasche delicate del completo non avrebbero di certo retto l’insopportabile peso di uno stupido aggeggio elettronico.»
«Iphone, cara. Per la precisione l’ultimo modello lanciato dalla casa Apple, e pagato in contanti.» si abbassò per riprenderlo - per la maledettissima seconda volta - da terra, e rialzarsi lanciando una sguardo di superiorità alla mora, riprendendo vittorioso «Cosa che tu, non potresti mai permetterti, visto che vai in giro con magliette bucate e jeans strappati! »
Gli enormi occhi nocciola si tinsero di fuoco, incenerendo quel biondino viziato solo col suo sguardo «Si chiama moda.» disse, cercando di mantenersi calma, mentre il bus aveva frenato e le porte si erano spalancate «Informati!» gli strappò il costosissimo Iphone dalle mani, per gettarlo con violenza ai suoi piedi e poi sparire dietro le porte, ormai serrate del bus.
Pazza. Quella ragazza doveva essere decisamente pazza, pensò sconcertato.
Si catapultò sul suo gioiellino, notando una netta spaccatura sullo schermo. Bene, andava decisamente tutto bene, pensò digrignando i denti. Cos’altro sarebbe potuto andare storto?
*

Dopo aver compreso di aver saltato la fermata – ed aver maledetto più o meno una quindicina di volte chiunque lo stesse sentendo dall’alto – riuscì ad arrivare a lavoro, con più o meno un’ora di ritardo.
La ramanzina paternale non tardò ad arrivare ed il lavoro si era decisamente accumulato. Grazie a lui, suo padre aveva perso una riunione con un’importante società, alla quale anche Arthur, in quanto socio avrebbe dovuto partecipare.
Se la mattinata non era iniziata nel migliore dei modi… sperò solo che nel pomeriggio non fosse morto.
Quando arrivò il momento della pausa pranzo, il biondo si sentì rinascere. Avrebbe potuto concedersi una mezz’ora di assoluto relax. Eppure gli sembrava di aver dimenticato qualcosa…
 
Scuola primaria, ore 14.30
La scuola era ormai deserta.
Da poco aveva anche smesso di sentire il rumore della scopa, graffiare il pavimento. I bidelli si erano sicuramente concentrati ai piani superiori, dopo aver finito di ripulire l’entrata.
La piccola, d’altro canto, se ne stava seduta sulle grate dell’uscita, ormai deserta, con la testa poggiata tra le mani e lo sguardo ormai perso nel vuoto.
Un taxi posteggiò appena dopo l’entrata, nello spiazzale. Arthur si era procurato un foglio da stampa sul quale aveva scritto con un pennarello nero, a caratteri cubitali, HOPE. Con un attimo di titubanza poggiò il pennarello appena più giù «Come aveva detto si chiamava?» cercò di spremere al meglio le meningi, ricordando come Lancillotto, avesse chiamato la piccola marmocchia; fu del tutto inutile, quindi decise che non ci sarebbero poi stati così tanti ‘Hope’ in quella scuola.
Quando aprì lo sportellino del taxi, e si avvicinò all’entrata, si rese conto che quel cartello non gli sarebbe più servito. Per una volta, in vita sua, il ritardo era stato un toccasana: era stata la bambina ad aspettare lui.
«Sei qui da molto?» d’un tratto si rese conto che forse, avrebbe fatto bene ad instaurare un qualche rapporto con la bambina, per poter convivere – il più breve possibile – serenamente.
“E vissero tutti felici e contenti.” Il giovane ripensò alle ultime righe di ogni dannatissima favola valutando come dopo quella fatidica frase, come a seminare gufate, si materializzavano le due paroline magiche, quelle che mai e poi mai andrebbero scritte. “Per sempre…”
Quelle parole, quelle due maledettissime parole, segnavano la fine di ogni favola e, come per magia, anche quella di ogni storia.
 
Dimora Mecoalt, ore 22.30
 
La bambina avrebbe dovuto essere tra le braccia di Morfeo da almeno già mezz’ora o qualcosa in più, ma non ne voleva proprio sapere di chiudere le palpebre... e la bocca.
Continuava a frignare da un lasso di tempo per Arthur interminabile. Si era catapultato nella stanza dove la piccola sbraitava da sotto le lenzuola, con gli occhi gonfi e la pelle paonazza.
Prima di entrare nella stanza non aveva pensato esattamente a cosa fare, voleva solo raggiungere la fonte di quella lagna infernale, ma una volta ritrovatosi faccia a faccia con la bambina in lacrime, qualcosa dentro di sé si spezzò. Sentì lo stomaco torcersi in un minuto e impotente come non mai, si era fatto coraggio per avvicinarsi alla piccola.
In tutta risposta, la vide scomparire sotto le lenzuola, dalle quali emergeva solamente una chioma dorata. Un vago senso di nostalgia lo pervase. Quella bambina, la figlia di Ginevra, aveva i capelli del suo stesso colore e questo bastò ad Arthur per sentire una seconda morsa nello stomaco.
«Voglio la mia mamma!» urlava la piccola a squarciagola, interrotta da ritmici singhiozzi.
Quello fu un colpo in pieno petto per il giovane. Arthur Mecoalt, in tutta la sua vita, aveva amato solo una donna, la stessa che l’aveva tradito. Se n’era andata dalla sua vita per condividerla con un altro, ed ora se n’era andata di nuovo, abbandonando la propria bambina al suo destino. Per sempre.
Nel letto della dimora Mecoalt, nello stesso letto dove lui e Ginevra, anni addietro si erano amati per la prima volta, c’era sua figlia. Il frutto del suo amore con Lancillotto, che piangeva. Piangeva e chiamava disperatamente la sua mamma, che non sarebbe più tornata.
Si avvicinò al letto, proprio ad un passo dal materasso, gli occhi forse lucidi e una voce malferma «La mamma non c’è.» aveva trattenuto in gola quel groppo dolorante, aveva represso in fondo al palato il dolore per non permettergli di fuoriuscire.
 L’aveva sentita singhiozzare ancora per un po’, prima che riuscisse a parlare di nuovo «Quando tornerà a prendermi?» non si era voltata verso il giovane, forse stava immaginando di aver accanto la sua mamma.
Arthur si sentì morire in quell’esatto momento. Si era sentito così già una volta, anni fa, quando Ginevra era andata via e gli aveva irrimediabilmente spezzato il cuore. A distanza di anni, avvertì il suo cuore spezzarsi ancora, e comprese che mai nessuno meritasse di sentirsi così. Quella donna, non meritava di mandare in frantumi, piccolissimi e dolorosi, il cuore di una bambina. Si fece coraggio, mandando giù il boccone più amaro che avesse mai deglutito «Presto. Tornerà presto.» mentì.
«Davvero?» la piccola si era voltata, finalmente verso di lui, osservandolo.
Arthur lasciò che i suoi occhi oceano incontrassero quelli arrossati della bambina. Non avrebbe voluto vederli lacrimare per colpa di quella donna «Sì, davvero.»
La bambina sembrò convincersi. Si mise a sedere sul lettone, ritrovandosi più fiduciosa nei confronti di quel goffo biondo che si era ritrovata come tutore, così serio da far ridere «Me la leggi una storia?» riprese dopo un secondo di silenzio «La mamma mi leggeva sempre una storia, prima di dormire.»
Quello era un problema: nella biblioteca di Arthur non c’era assolutamente nessun libro della buona notte, siccome non ne vedeva l’utilità. Sospirò, restando autoritario «Non ho libri di favole.»
«Inventa!» aveva proposto la piccola, come una delle più grande idee che la Madre Terra avesse mai ascoltato.
Lo sguardo del giovane si fece più rigido, riconoscendo un suo limite (cosa che odiava) «Non ne sono capace.» disse a denti stretti, quasi imbarazzato. Qualche minuto di silenzio seguì quell’imbarazzante rivelazione, interrotto da Arthur stesso «Ma, se prometti di addormentarti, domani andrò a compararne uno.»

*
 
Era sceso a patti con la peste, di questo ne era cosciente, ma non aveva trovato un’altra possibile soluzione al problema.
Così, il giorno dopo, si era recato nella libreria più vicina a casa sua. Non ci era mai entrato, poiché non gli piaceva più tanto l’odore di carta nuova che si respirava in quel posto.
Dopo un attimo di esitazione, si convinse che entrare fosse la cosa più giusta e sensata da fare, così aprì la porta e il fastidioso rumore di un campanello – disposto appena sopra l’ingresso – annunciò a chiunque vi fosse in servizio dell’arrivo di un nuovo cliente.
Sembrava non ci fosse nessuno, così iniziò a curiosare in giro, tra i vari scaffali. Non era abituato a vedere così tanti libri insieme. L’ultima volta che ne aveva visti in tale moltitudine, era ai tempi dell’università e non gli erano per niente mancati. Anche se a volte, un salto nel passato si potrebbe rivelare piacevole.
Lasciò scivolare lo sguardo sui vari titoli, leggibili dal solo dorso esposto. Si soffermò su uno di questi, Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
La mente sembrò volare via, indietro nel tempo.
“E così con un bacio, io muoio.” Gli occhi di Ginevra brillavano come due stelle, ogni volta che rileggevano quelle righe.
 Arthur rimaneva scettico alla bellezza della letteratura, tenendosene alla più larga possibile “Perché ti piace così tanto questa roba? Non ha senso!”
“Perché narra del primo amore. Quello che tutti noi custodiamo gelosamente nel nostro cuore, senza dimenticarlo mai. E’ l’amore immortale, quello che vive in eterno.” gli aveva risposto, con aria sognante, quella che aveva fatto impazzire Arthur sin dal primo giorno. Quella ragazza gli aveva mandato in tilt il cervello e gli aveva rubato il cuore, nessun’altra c’era mai riuscita.
“Io muoio ogni volta che mi baci.” Sorrideva, bella come non mai “Sento il mio cuore fermarsi ogni volta che le tue labbra toccano le mie.”
Erano giovani e inesperti, avevano il cuore non provato da vecchie ferite e non ancora sanguinante. Il primo amore cambia la vita e questo, Arthur e Ginevra lo avevano scoperto quell’estate, all’ombra degli alberi e nel frastuono della città. L’avevano imparato nelle righe di Shakespeare e nel retrogusto agrodolce dei loro baci.
“E sarà così per sempre.” Sentenziò lei, richiudendo il libro, riponendolo in grembo, sul suo vestito bianco di seta.
“Per sempre.” Affermò lui a sua volta, lasciandola morire con un suo bacio. Labbra acre, si congiungevano a labbra dolci, creando il sapore del primo vero amore.
«Serve aiuto?»
Quella voce bastò ad Arthur per riportarlo al presente. Mandò giù anche quel boccone agrodolce, per poi voltarsi verso quella voce femminile; una donna era senz’altro molto più avvezza di lui per procurargli una degna favola della buona notte «Stavo cercando una favola per la buonanotte, ma non riesco a trovar-» l’ultima sillaba gli morì in gola quando riconobbe nello sguardo della donna, l’unico che non avrebbe mai voluto ritrovarsi di fronte.
«Ma, tu sei la pazza del bus!» era indietreggiato di un passo, riscoprendo nella mora una vera minaccia per se stesso.
La donna, in tutta risposta, incrociò le braccia, finendo per lui le presentazioni «Ah, l’idiota dell’Iphone…»
Il biondo roteò gli occhi, riconoscendo in quella donna una vera seccatura. Odiava essere ripreso, ma per di più odiava essere colto in fallo e la mora sapeva farlo bene, fin troppo.
«Lo sai, vero, che Giorgio Armani non ha scritto nessuna favola della buona notte.» quel tono d’ironia bastò ad irritare a dovere il biondo.
 «Il sarcasmo, come la moda, mia cara, è qualcosa che non ti appartiene.» le aveva fatto notare puntiglioso, cercando di sedare la sua corsa nell’umiliarlo.
Lo vide avanzare verso l’uscita, evidentemente aveva dimenticato del perché si trovasse lì «Ehi, Valentino!» canzonò lei «Non ti serve più la favola?» un sorriso beffardo in volto, tradiva un’aria velata di sfida. Era chiaro che quella donna volesse stuzzicarlo, facendogli infine ammettere che avesse bisogno del suo aiuto.
«Allora, mettiamo in chiaro le cose.» aveva detto, dirigendo il suo sguardo sicuro e deciso in quello della mora «Io sono Arthur Mecoalt.» proferì, come se con quella semplice frase avesse risolto un enigma inspiegabile «E non ho bisogno di nessuno.»
Vide la donna alzare le mani in segno di resa, sorridendo lievemente «Beh, in questo caso… buona fortuna, Arthur Mecoalt.» si dileguò, come per magia dallo sguardo del biondo, lasciandolo solo. Solo insieme ad una moltitudine di volumi, tra i quali si sentiva completamente spaesato.
Ginevra… lei avrebbe di sicuro saputo cosa fare. I suoi occhi, troppo piccoli per brillare così tanto, s’illuminavano alla vista di ogni tipo di manoscritto. Che fossero qualificabili o meno poco le importava, fatto stava che riusciva a capirne tutto con un solo sguardo.
Sapeva, anche solo con un’occhiata, capire se quel libro l’avrebbe fatta piangere o se l’avrebbe annoiata; Arthur ne rimaneva strabiliato, soprattutto quando si accorgeva che ciò succedeva.
Si sforzò a tirar giù anche quell’amaro sapore dal palato; Ginevra avrebbe di sicuro scelto il libro giusto per sua figlia, mentre lui non sapeva nemmeno dove orientarsi.
“Che differenza fa! E’ un libro ed i libri sono tutti quanti uguali.”
Ginevra lo rimproverò con uno sguardo, tornando poi a parlare col suo solito tono dolce e pacato, il tipico tono di voce di una principessa, immersa, del tutto focalizzata nel suo mondo “Nessun libro è uguale ad un altro, così come nessuna pagina o nessuna riga. Anche se ne vedrai scritte le stesse parole, con la stessa punteggiatura, assumeranno un significato diverso a seconda della storia che narrano.” tornò con lo sguardo sugli scaffali immensi di quella libreria.
Arthur si era ripromesso che quando si sarebbero sposati, avrebbe fatto costruire una stanza piena di scaffali come quelli, solo per lei. Lo avrebbe fatto solo per ricevere un suo sorriso, come quel pomeriggio, in quella libreria.
“E’ inutile. Non saprei proprio quale scegliere!” il suo sguardo si spostava da un libro all’altro, da un titolo ad un altro.
Una dolce risata risuonò dalle labbra della ragazza “Ma non devi essere tu a scegliere il libro adatto a te. Sarà lui a scegliere te.”
Sbuffò sonoro. Ancora doveva capire perché quella bambina dovesse per forza addormentarsi con un libro delle favole: insomma, la tivù andava più che per bene, a parer suo.
Un lieve colpo di tosse lo distolse dai suoi pensieri. La mora, seduta dietro il suo bancone, teneva volutamente lo sguardo abbassato su un libro, quasi come se non avesse volutamente attirato la sua attenzione. Ma Arthur non avrebbe ceduto: avrebbe trovato da solo un fottutissimo libro della buona notte adatto alla piccola peste e si sarebbe dileguato in fretta e furia da quel posto, sventolando vittorioso il libro dinanzi al naso della ‘pazza del bus’.
Un sorrisetto gli si disegnò in volto, così fece per prendere un volume qualsiasi, nella mischia.
«Oh, Neruda…» la mora aveva canzonato con chiaro sarcasmo «Sei l’unica persona su mezza popolazione a ritenerlo soporifero, sai?» una finta aria di interesse le si era disegnata in volto.
Il biondo, irritato dalla sua intromissione, alzò stizzito un sopracciglio, riponendo il libro al suo posto, per poi afferrarne un altro, subito dopo.
Sentì la ragazza far schioccare le labbra «Beh, non penso che la piccola gradirà una favola con Christian Grey…» continuò più seccante di prima, fingendo con teatralità una finta faccia sconvolta «A meno che non sia attratta da “Cinquanta Sfumature di Biancaneve!”»
Arthur, irato, lasciò ricadere anche quel volume nel mucchio, accorgendosi solo in quel momento delle targhette gialle in cima ai vari scaffali su cui, a caratteri cubitali, vi era scritta la categoria.
Strinse i pugni, infastidito dalla risata cristallina che seguì quella sua sbadataggine. Si avvicinò allora alla categoria ‘bambini’, ma non vi trovò nulla di consono al suo scopo. Nessun libro sembrava attrarlo, nessun titolo sembrava colpirlo.
Erano troppo… stupidi!
«Io le consiglierei di prendersi una bella collana dei Grimm, ma solo entro la mezzanotte, altrimenti…»
Basta. Odiava quando fingeva di portargli rispetto, solo per punzecchiarlo come meglio poteva.
«Buona giornata.» disse secco, avviandosi verso la porta.
«Ma come? Rinunci così presto alla tua favola?»
«Esisteranno altre librerie, con addette magari più qualificate.» scocciato, fece per andarsene, quando l’arrivo di un’altra cliente gl’impedì il passaggio. Per galanteria si scostò, dandole così tutto lo spazio necessario per passare. Se ne sarebbe andato subito dopo se il suo sguardo non fosse caduto sul bancone, appena lasciato vuoto dalla mora, corsa incontro alla nuova cliente.
C’era un libro.
‘La storia del mago e della sua sacerdotessa’, vi era scritto sulla copertina. Era sicuramente un libro di favole, pensò tra sé e sé, il biondo; appena lo vide qualcosa scattò nella sua mente, come se avesse la vaga sensazione che quel libro fosse quello giusto.
La sfortuna era però, inesorabilmente, dalla sua parte: vi era un segnalibro quasi a metà volume, il che stava a significare che era della mora e non era in vendita, almeno non ne aveva viste altre copie tra gli scaffali.
Si chiese se fosse la cosa giusta da fare. Non aveva mai rubato niente in tutta la sua vita, siccome i soldi non erano mai stati un problema, ma in quel momento non vedeva vie di fuga. In fondo, non lo stava rubando, più che altro lo prendeva in prestito. Avrebbe restituito il libro alla ‘pazza’, prima ancora che si accorgesse della sua assenza.
Si guardò furtivamente intorno, accertandosi che la ragazza non lo stesse guardando. Prese il libro tra le mani e lo nascose accuratamente sotto la giacca, uscendo poi di corsa da quel posto.
 
*
 
Dimora Mecoalt, ore 21.30
 
Arthur sfoderò vittorioso il libro che aveva tra le mani e subito gli occhi della piccola divennero due brillanti. A quanto pareva, amava addormentarsi cullata dalla lettura di mille righe, con chissà quali puerili avventure e stucchevoli storie d’amori. Ma ormai aveva dato la sua parola alla peste, e non poteva tirarsi indietro.
«Allora…» il giovane si rigirò più volte il libro tra le mani «Iniziamo?» chiese retorico, anche se un po’ di impaccio c’era da parte sua: non aveva mai letto per nessuno in tutta la sua vita.
«Iniziamo!» tuonò euforica la bambina, mettendosi comoda nel suo lettone, rimboccandosi da sola le calde coperte.
Arthur inspirò, cercando di farsi coraggio e di trovare un senso logico a tutta quell’assurda situazione, ma siccome non ne trovò traccia, si decise ad aprire il libro.
Si schiarì la voce, rileggendo mentalmente quella famosa riga che caratterizzò i primissimi anni della sua infanzia. Poi un attimo di esitazione, si decise, finalmente, ad iniziare la lettura della storia «C’era una volta…»
 
Libro, pagina 1
 
C’era una volta, su una collina verdastra, un castello imponente.
Sulle sue torri, in alto, sventolavano le rosse bandiere con lo stampo di un drago, mosse dal pungente vento inglese.
Dietro la roccia fredda delle mura che circondavano il castello, si udiva un miscuglio variopinto di voci, dalle più cristalline alle più gravi; il popolo di Camelot animava la città bassa e costringeva chiunque a sentirsi nel centro del mondo.
Un giovane ragazzo, dal viso troppo chiaro e gli occhi troppo azzurri, era arrivato nel regno dei Pendragon un mercoledì mattina, col sole splendente alto in cielo.
Appena fu nel centro esatto della folla, si fermò. Osservò l’andazzo allegro delle mille persone, popolani e cavalieri, nobildonne e serve, e per un secondo sentì una particolare scarica di energia partire dallo stomaco ed invadergli ogni centimetro di pelle.
Si diresse allegro e trotterellante nelle stanze del medico di corte, così come, la sua cara mamma rimasta ad Ealdor gli aveva indicato.
Merlin, quello era il suo nome. Era scappato dalla sua città perché era un mago e la cosa sembrava spaventare tutti. Tutti lo guardavano come se fosse un mostro, una bestia e man mano se ne stava convincendo anche lui.
Gaius, il medico di corte, fu il primo a scoprire il suo segreto a Camelot e doveva assolutamente rimanere anche l’ultima persona a saperlo: la magia, nel regno Pendragon, si pagava con la morte.
Ma il giovane si fidava del medico: aveva uno sguardo gentile, anche se apparentemente potesse apparire burbero; i tanti capelli bianchi, lunghi fino al collo, s’ intonavano perfettamente col suo volto segnato dalle rughe che gli donavano un’aria sapiente e saggia.
Il primo incarico di Merlin a Camelot, come aiutante di Gaius, fu quello di portare un rimedio soporifero alla figliastra del re.
Il giovanotto dai capelli corvini, si muoveva agile tra le scale, tra le mura fredde del castello, quasi stesse vivendo un sogno.
La porta appena aperta gli suggerì di azzardare un’occhiata all’intero. Ebbe una mezza intensione di bussare, ma il suo sguardo venne rapido da ciò che si ritrovò dinanzi.
Una ragazza, dalla pelle candida come la neve e le labbra rosse come il fuoco, si tratteneva i capelli tra le mani, quasi come a legarli. Di scattò li lasciò e s’incamminò verso il divisorio.
Merlin non riuscì a fiatare neanche per un secondo. Per un attimo si dimenticò come si riuscisse a respirare, incantato dalla voce gentile della giovane che pensava di parlare alla sua serva.
Un profumo di cedro aleggiava nella stanza, mentre tutto il mondo sembrò fermarsi. I movimenti della ragazza, corvina esattamente come lui, diventarono più lenti ai suoi occhi, quasi volesse imprimersi per sempre quelle immagini nella mente.
Sorrise come un ebete, disarmato in così poco tempo da tanta bellezza. Avrebbe potuto restare così per tutto il tempo. I suoi occhi non si sarebbero mai stancati nel guardare quelle onde nere incorniciare il volto candido della castellana o il semplice movimento delle sue labbra rosse, accese. Labbra dalle quali, già sentiva di pendere.
Tutti i suoi sogni si bloccarono nel momento preciso in cui la ragazza, stranita nel non ricevere risposta, si voltò oltre il divisorio.
Merlin si abbassò, senza farsi notare, cercando di annuire simulando una voce femminile. Vide allora la ragazza proseguire nello spogliarsi, mentre il giovane deglutì a vuoto. Doveva assolutamente uscire di lì, per quanto gli pesasse.
Poggiò la piccola boccetta di vetro contenente il rimedio soporifero e si affrettò ad uscire. Un attimo appena fuori dalla stanza, si poggiò con le spalle accanto alla parete fredda del castello. Nella sua mente l’immagine della ragazza si ripeté in continuazione, fino a farlo sorridere senza volerlo. Subito dopo, un’amara convinzione si fece spazio nella sua mente: era lì in incognito, ma per quel regno rimaneva una bestia. Chi avrebbe mai potuto amare un mostro? Di certo non la figliastra del sovrano.
I giorni a Camelot passarono veloci, soprattutto da quando Merlin, scoprì di dover proteggere il giovane Pendragon, il principe Arthur. Il Drago, rinchiuso nelle viscere del castello, gli rivelò che il suo Destino era unito, legato a quello del biondo.
Così, dopo aver salvato la vita al principe durante un banchetto, Uther Pendragon, re di Camelot, assegnò, come ricompensa, il ruolo di valletto personale del figlio.
A causa di quella folle idea del monarca, il giovane mago fu costretto a passare gran parte della sua giornata a soddisfare tutte le richieste ed i bisogni del principe, ma al tempo stesso, ebbe anche l’opportunità di incontrare Morgana più di frequente.
Imparò a comprendere le sue idee, i suoi modi di fare, persino il suo disappunto verso le leggi del regno che vedevano condannati tutti coloro che praticassero magia.
Morgana, a differenza degli altri, non temeva quelli come lui. Fu per questo che, forse anche consapevolmente, Merlin se ne innamorò.
Vedeva in lei un riparo, anche se la nobildonna non era a conoscenza del suo segreto. Ma era così bella, così decisa, così forte, da fargli perdere la testa.
 
Libro, pagina 12
(Diario segreto di Morgana)
 
Arthur è un idiota.
Riesce a farmi arrabbiare anche senza motivo. Non lo sopporto.
E’ troppo pieno di sé, troppo arrogante. Qualcuno dovrebbe fargli capire che il suo corpo è composto da semplice carne, sorretta da comuni ossa.
È un gradasso! Combatto ogni giorno con la tentazione di sfiorargli il petto con una lama o con una mano. Penso che rimarrà un emblema irrisolto, per me.
Ho smesso di scrivere per un attimo perché mi è venuto da sorridere. A parlare di emblemi mi si è figurato dinanzi agli occhi quel servo impacciato e mingherlino del mio fratellastro.
E’ sempre lì, al fianco di Arthur. Sempre allegro, sempre spensierato.
Si catapulta in ogni missione pur di restargli vicino, lo serve con una devozione tale che non avevo mai visto innanzi in tutta la mia vita.
Ma, sai che cosa mi piace di lui? Non si aspetta mai una lode. Tutto quello che fa lo fa per il gusto di farlo.
Si è fatto tardi, la prima veglia sarà già passata da un pezzo e molto probabilmente Ginevra starà già arrivando nelle mie stanze. Spero solo di non fare altri incubi, non ho proprio voglia di passare un’altra nottata a lottare tra il sonno e la paura.
Chi lo sa, forse pensare a Merlin, goffo com’è mi aiuterà.
Forse, dovrei provarci.
   
 
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