Era l’ennesima giornata di
pioggia in quel triste autunno
che non sembrava volersene andare. Neko, come a suo solito, si
rifugiò in quel
che pareva essere un alloggio abbandonato di qualche barbone: era una
grossa
scatola di cartone posizionata strategicamente sotto ad una tettoia
parecchio
sporgente, così da limitare il danno degli agenti
atmosferici. Al suo interno
vi erano diversi giornali datati 2001 ed una coperta lugubre. In un
angolo
giacevano dei pennarelli colorati, abbandonati lì senza
apparente motivo.
La gattina cercò la postazione più calda sotto
alle coperte, poi si raggomitolò
e lasciò scappare un sospiro insoddisfatto, forse dovuto al
fatto che,
nonostante passassero mille mila persone ogni giorno in quel vicolo,
mai
nessuno si era fermato per raccoglierla, nemmeno per una carezza.
Tirò fuori la
testa e si specchiò in una pozzanghera: non aveva nemmeno un
brutto aspetto,
anzi, il suo pelo lucido e rosa la rendeva ancor più carina.
Ma qualcosa la interruppe, un urlo riecheggiò nel silenzio e
le fece rizzare le
orecchie mentre gli occhi vagavano alla ricerca della fonte. Un
ragazzino in
lontananza le puntò un dito addosso e richiamò
l’attenzione di altri individui.
Gli occhi di Neko si riempirono di gioia, era da tanto che sperava di
essere
notata e ora, finalmente, qualcuno la stava osservando, avvicinandosi
sempre di
più. L’ingenua gatta si accorse troppo yardo che
il gruppetto le scagliò delle
pietre addosso, così finì per rotolare in fondo
al vicolo, insieme alla scatola
ora bucata e trasportata dal vento. La pioggia consumò il
cartone e lo rovinò,
lasciando Neko completamente scoperta e al freddo.
I teppisti la circondarono, qualcuno di loro si divertì a
strattornarle la
coda, ignorando i miagolii soffocati. Non cercò nemmeno di
liberarsi, questa
ennesima delusione la colpì dritta al cuore, era pronta a
passare a miglior
vita e magari incontrare di nuovo Shiro, l’unico umano che
l’aveva sempre
protetta e accettata per come realmente era. Rimase per un buon lasso
di tempo
immersa nei ricordi, cosicché non si accorse che qualcuno
minacciò i ragazzi e
li costrinse ad allontanarsi con le cattive maniere.
Riaprì gli occhi solo quando non percepì
più il ticchettio dell’acqua sul suo
pelo e si sentì sollevata da terra. Un uomo parecchio
familiare la stringeva
protettivamente al petto, correndo a velocità moderata verso
non si sa dove e
consolandola ogni tanto con delle carezze e dei “siamo quasi
arrivati”.
Dopo circa dieci minuti, parevano finalmente giunti a destinazione: un
grosso bar
dall’aspetto molto vintage, con un bancone così
lungo da fare anche una curva
ad angolo; lì di fianco si scorgevano dei divanetti in pelle
nera, alle cui
estremità vi erano appoggiati uno skateboard e una chitarra.
Un fulmine schiarì
ancor di più la stanza, mettendo in risalto un jukebox
dall’aspetto parecchio
antico.
Neko venne appoggiata sullo scivoloso bancone, mentre il ragazzo
misterioso la
strofinò con un asciugamano parecchio ruvido. Dopo
un’attenta osservazione, lo
riconobbe all’istante. Capelli corti e biondi, pettinati in
modo alquanto
sbarazzino e degli occhiali blu, il tutto condito da giacca e cravatta
da uomo
in affari. Si trattava sicuramente di Izumo, uno dei rossi. In pochi
secondi
riordinò i tasselli della memoria e si spaventò
così tanto al pensiero di
essere stata catturata da loro, che passò alla sua forma
“umana” e scivolò
all’indietro,
giù dal bancone. Come a suo solito, era completamente nuda,
come madre natura l’aveva
fatta. Questo sembrò non disturbare minimamente il ragazzo,
che si limitò a
distogliere lo sguardo e schiarirsi la voce con un colpo di tosse.
“Qualunque cosa tu stia pensando, non ti ho portata qui per
farti del male”
Lei, in tutta risposta, tirò fuori la linguaccia e si
strinse su se stessa in
cerca di una fonte di calore. Izumo si sfilò la giacca e la
allungò oltre il
pianale, verso la ragazza, che però scosse la testa e si
lamentò.
“Neko non si fida dei rossi!”
Izumo non era tipo che perdeva facilmente la pazienza, ma quella vocina
irritante
gli rimbombò nella testa. “Metti questo o muori
congelata, decidi tu”
Ci fu una strana contesa fra i due, che si fissarono con aria ostile
per cinque
buoni minuti. Neko finalmente si arrese e sospirò,
infilandosi l’indumento che
le arrivava a malapena a coprire il fondoschiena. Si alzò da
terra e aprì la
bocca, già pronta a ribattere per qualcos’altro.
Lui la anticipò con uno
sguardo gelido e le indicò il divanetto sotto alla grande
finestra.
“Siediti e stai calma fino all’alba, decideremo
cosa fare con te appena
arriveranno tutti.”
I suoi occhi bicolore si illuminarono di speranza, immaginava
già una nuova
vita in una vera casa e con dei nuovi amici, ma i suoi pensieri vennero
disturbati dai ricordi della guerra dei sette re.
“Eh? Ma.. Io devo tornare al vicol- Cioè, a
casa!” Il suo tono tranquillo si
ruppe verso la fine della frase, ripensando al fatto che effettivamente
non
aveva più un posto dove tornare.
“Ti lascerei andare subito, i peli di gatto mi sporcano il
bar, ma la scelta
non è mia. Non sono io l’amante dei gatti che
voleva salvarti dalla strada.” Con
questo tornarono a ignorarsi, l’uno che lucidava i bicchieri
e l’altra che
sonnecchiava dolcemente, aspettando un’alba che
arrivò ben prima del previsto.