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Autore: SunliteGirl    01/03/2015    6 recensioni
A volte Russia si ferma a ricordare.
Olga amava leggere
Tat’jana si sentiva sola
Marija era una creatura dolce
Anastasija era come un girasole
Aleksej era fragile

Quando Russia si ferma a ricordare lo fa per immagini. Piccoli squarci di persone, giornate, luoghi. Gli appaiono davanti, se solo prova ad abbassare le palpebre. E allora si siede sulla poltroncina rossa nel suo salotto, la schiena rigida contro la stoffa morbida, e chiude gli occhi.
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[dedicata a End of me]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pamyati
 







 
A volte Russia si ferma a ricordare.
Succede soprattutto a febbraio, quando l’inverno russo è talmente gelido da penetrarti nelle ossa e ghiacciarti il sangue nelle vene.
Olga amava leggere
Tat’jana si sentiva sola
Marija era una creatura dolce
Anastasija era come un girasole
Aleksej era fragile
 
Non è facile collezionare memorie quando gli anni ti passano sulla pelle con la stessa leggerezza dello scorrere delle ore.
Non è facile far incastrare frammenti di date ed eventi, soprattutto se hanno portato dolore e cicatrici. La memoria di una Nazione è mutevole quanto la sua stessa natura. È un esercizio che richiede tempo, ma soprattutto volontà, oppure va perduta.

Per questo quando Russia si ferma a ricordare lo fa per immagini. Piccoli squarci di persone, giornate, luoghi. Gli appaiono davanti, se solo prova ad abbassare le palpebre. E allora si siede sulla poltroncina rossa nel suo salotto, la schiena rigida contro la stoffa morbida, e chiude gli occhi.
 
 
 
 
 

Olga amava leggere.

Era dotata di intelligenza e spirito arguto.
A Russia era stato raccontato che lei aveva un cuore buono,
ma questo non sempre era visibile a prima vista.
La prima volta che aveva visto Russia, lo aveva squadrato da capo a piedi,
poi si era voltata verso il padre.
«Questo signore fa paura. Non mi piace neanche un po’».
 
 
Olga amava leggere.

Però aveva un certo caratteraccio che spesso faceva dannare la zarina.
Aleksandra la rimproverava sempre per il suo comportamento disdicevole,
ma Russia lo trovava divertente.
Olga disubbidiva spesso
e spesso pretendeva di potersi comportare come preferiva.
Lei voleva essere libera, e Russia poteva cercare di capirla.
Ma quando si trattava di libri,
Olga e Aleksandra sembravano essere d’accordo.
«Hai preso uno dei miei nuovi libri senza chiedere il permesso…»
«Madre cara, ho paura che dovrete aspettare che io abbia finito di leggerlo.
Devo assicurarmi che il suo contenuto sia appropriato per voi».
E le sue labbra si piegavano in un sorriso scherzoso,
cui la madre non poteva che rispondere.
 
Olga amava leggere.
 
La sua migliore amica era la sorella Tat’jana.
A volte, le due si mettevano a parlare nella loro stanza, a bassa voce.
Tat’jana si copriva la mano con la bocca, quasi volesse
nascondere chissà quale segreto, e Olga ascoltava attenta,
la mano destra intenta a carezzare la sua gatta Vaska.
La forte risata di Olga riecheggiava nei corridoi.
Faceva venire voglia di sorridere anche a Russia.

 
Olga amava leggere.

Russia a volte le consigliava dei libri da leggere e lei, finita la lettura,
gli diceva quello che ne pensava.
Era sempre fin troppo sincera, ma Russia aveva cominciato a farci l’abitudine.
A volte discutevano anche di politica.
A Olga piaceva sfogliare il giornale,
le piaceva riflettere.
La Granduchessa aveva già capito tutto, prima ancora che arrivasse febbraio.
«Sta per accadere qualcosa di terribile, lo so».
Russia avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi,
ma invece rimase in silenzio.

 

 


 
 
Tat’jana si sentiva sola
Le sue sorelle la chiamavano “la Governante”.
Tat’jana, con la sua presenza elegante e riservata,
amava occuparsi della casa e delle faccende domestiche.
Quando non era impegnata a cucire, a organizzare attività di beneficenza
o a prendersi cura delle sorelle minori e del piccolo Aleksej,
le piaceva sfogliare le riviste di moda.
Era la figlia perfetta, la più popolare fra le Granduchesse,
tanto che quando si doveva chiedere un favore alla madre,
le sorelle mandavano sempre Tat’jana a parlarle.
Aleksandra non avrebbe potuto negarle nulla.
 
Tat’jana si sentiva sola
Ma desiderava degli amici tanto intensamente
che a volte Russia si rivedeva in lei.
Chiusa in quel Palazzo, senza la possibilità di conoscere dei coetanei,
non faceva altro che pensare a come sarebbe stato avere degli amici.
Aveva le sue sorelle, ma non era la stessa cosa.
Capitava che Russia passasse davanti alla camera di Olga e Tat’jana
e che la vedesse pregare, le ginocchia sul pavimento freddo e i gomiti
piantati nel materasso della brandina su cui dormiva.
Gli veniva voglia di unirsi a lei, ma non lo faceva mai.
 
Tat’jana si sentiva sola
Si rivolgeva a lui con una cortesia che lo lasciava sinceramente affascinato.
Una volta gli portò un regalino comprato con la mancia settimanale dei genitori.
Un paio di semplici guanti neri, per riparare le mani dal gelido inverno russo.
Russia li tiene ancora chiusi in un cassetto della sua stanza.
 
Tat’jana si sentiva sola
Russia ricorda ancora il giorno in cui una dama di compagnia della zarina
si rivolse a Tatj’ana con un “Vostra Altezza Imperiale”.
La Granduchessa la fissò sconcertata e, una volta che l’altra si fu seduta,
le tirò un calcio sotto al tavolo. «Sei pazza a chiamarmi così?» sussurrò.
Aveva fatto la stessa identica cosa qualche tempo prima,
quando Russia si era riferito a lei con un “Vostra Altezza la Granduchessa”.
Era rimasto colpito nel vedere che qualcuno osasse tirargli uno schiaffo al braccio,
per quanto debole. «Non chiamatemi così. Sono solo Tat’jana, o Granduchessa Tat’jana,
se proprio volete. Ma niente “Vostra Altezza”, vi prego».
L’educazione vittoriana della zarina Aleksandra era stata impeccabile,
su questo Russia non nutriva dubbi.
 
 



 
Marija era una creatura dolce.
 
Russia non avrebbe potuto trovare altre parole per descriverla.
Si aggirava per le stanze del palazzo con il portamento di una piccola donna, i boccoli castano chiaro
perfettamente pettinati e le guance paffute.
Nemmeno si accorgeva di quanto fosse bella.

 
 
Marija era una creatura dolce.
 
«Mi sembri tanto solo».
Russia, prima intento a guardare il paesaggio fuori dalla finestra,
si era voltato verso la bambina al suo fianco.
Lui aveva sorriso come sempre, ma non aveva detto niente.
Lei lo aveva guardato ancora, poi gli aveva stretto la mano ruvida nella sua.
«Sai, anch’io sono tanto sola. Possiamo essere amici, se vuoi».

 
Marija era una creatura dolce.
 
E anche fragile.
A volte Russia la trovava nascosta in qualche angolo del Palazzo, a piangere.
Si sedeva accanto a lei e Marija gli posava la testa contro il braccio, perché era troppo piccola per arrivare alla spalla.
«Hanno detto che non sono loro sorella. Che mi hanno adottata» gli disse una volta.
Tirò su col naso e lo guardò, gli occhioni azzurri pieni di lacrime.
«Hanno detto che sono troppo grassa per essere loro sorella».
Russia si era irrigidito. Lui, che era sempre stato solo, non sapeva come consolare gli amici.
«Sono bugie. Non credere a quello che ti dicono».
Lei aveva annuito, seria, poi si era chiusa nel suo silenzio.
Russia non capiva perché a volte i fratelli siano capaci di dire cose così cattive.

 
Marija era una creatura dolce.
 
Se c’era una cosa che Marija sapeva nascondere dietro il suo viso d’angelo,
era una natura che a volte sapeva essere forte e protettiva verso le sorelle.
Ma erano talmente rare le volte in cui disubbidiva agli ordini impartiti
o che cercava di imporre la propria personalità,
che nessuno avrebbe potuto immaginarlo.
Poi c’erano le volte in cui scappava alla domestica e correva nuda lungo il corridoio
chiamando a gran voce il padre, finché non veniva riacciuffata e portata a farsi il bagno.
Marija adorava suo padre.
Lui la prendeva sempre in braccio, la chiamava il suo piccolo angelo,
diceva che sarebbe diventata una bravissima madre.
Marija ne era contenta.
Quello di incontrare il suo grande amore e avere dei bambini era, in fondo,
il suo sogno più grande.
 
 


 
Anastasija era come un girasole

Non appena vedeva Russia, cominciava a correre e gli saltava addosso.
Lui la prendeva appena in tempo, prima che cadesse,
poi lei gli chiedeva di farla girare.
Le piaceva quella sensazione, gli diceva, era come se stesse volando.
Marija la rimproverava per il suo comportamento
e Anastasija rispondeva facendole la linguaccia.
 
Anastasija era come un girasole

«Sembri un gigante. Come hai fatto a diventare così grosso?».
Russia aveva risposto che non lo sapeva. Era cresciuto e basta.
«Mi servirai come guerriero, quando partirò per la mia esplorazione».
Aveva preso una mappa del globo e aveva segnato i punti che avrebbe voluto visitare
sotto lo sguardo incuriosito di Russia.
«Io diventerò una grande conquistatrice e tu aumenterai il tuo territorio.
Mi sembra uno scambio equo, che ne dici?».
Non gli sarebbe dispiaciuto se tutti quei Paesi fossero diventati parte
della Grande Madre Russia, così avrebbe avuto più amici.
Aveva accettato la proposta della piccola Granduchessa senza troppi ripensamenti.
 
Anastasija era come un girasole

La chiamavano “shvibzik”, monella.
Era in grado di far ridere chiunque.
Se ne andava in giro con passo sicuro e un sorriso beffardo stampato sulle labbra,
sempre pronta a intrattenere familiari e domestici con qualcuna delle sue storie.
Era particolarmente brava a fare imitazioni.
Russia pensava che sarebbe stata una fin troppo brava attrice.
E quando veniva colta nell’atto di combinare qualche guaio,
agitava le mani con aria melodrammatica e subito inventava le bugie più disparate.
I compiti? Lei li aveva fatti, ma poi era entrato un folletto dalla finestra e glieli aveva rubati.
Se si sentiva ispirata, riusciva a simulare anche una lacrima
Il nuovo vestitino era sporco? Non l’aveva fatto apposta a inciampare nel fango.
Lei voleva soltanto cogliere dei fiori per il caro professore di inglese e
poi era sbucata una radice dal nulla.
Il sasso dentro la palla di neve che aveva tirato a Tat’jana? Un errore innocente.
Marija chiedeva scusa ogni volta per la sorella minore,
ma una volta sole le faceva la ramanzina con le braccia conserte.
Durava poco, però.
Anastasija alzava gli occhi al cielo e poi le proponeva di andare a rubare qualche dolcetto,
perché le era venuta fame.
Marija si lasciava trascinare volentieri.
 
Anastasija era come un girasole

Russia la ricorda con quel sorriso da combina guai,
gli occhi vispi e furbi,
le guance paffute incorniciate da spettinati capelli biondo ramato.
Ma a volte a quell’immagine si sovrappone quella dei tempi della guerra,
quando alcune stanze del palazzo erano piene di brandine e
di soldati feriti e dell’odore acre del sangue.
Anastasija e Marija, troppo giovani per fare da infermiere come le sorelle maggiori,
si recavano in visita ai soldati e cercavano di risollevare loro il morale.
Scrivevano lettere per i loro cari sotto dettato, leggevano storie,
raccoglievano fiori per loro e cercavano di farli sorridere.
Anastasija aveva insegnato a un soldato a leggere e a scrivere.
Ogni giorno correva da Russia tutta entusiasta
per raccontargli i progressi del suo nuovo amico.
La ragazzina si presentava davanti a loro con un sorriso,
ma quando tornava nella sua stanza era seria come non mai.
Chiedeva a Russia di rimanere con lei e lui l’assecondava,
lasciandosi stringere la mano per tutto il tempo.
In quei momenti Anastasija rimaneva in silenzio,
lo sguardo perso in chissà quale pensiero.
 
 
 
 
Aleksej era fragile
Quando la zarina si presentò da lui con un fagotto fra le braccia,
Russia pensò di non averla mai vista così raggiante.
«Vi presento il nostro Aleksej» gli disse.
Russia si sporse un po’ in avanti. Il fagotto era un bambino,
le guance morbide e la pelle rosea, gli occhi chiusi e le manine strette
a pugno. Anastasija arrivò di corsa insieme a Marija
e insistette per essere presa in braccio, anche se ormai era cresciuta.
«Non è bellissimo il mio fratellino?».
A Russia sembrava un bambino come tanti, in verità.
«Certo. Sarà un degno erede per lo zar». 

 
Aleksej era fragile
A volte Russia lo trovava disteso sul prato, le braccia spalancate.
Fissava il cielo con aria assorta, ma un sorriso sulle labbra.        
«Penso a tante cose» aveva risposto a sua sorella Olga,
quando lei gli aveva chiesto cosa stesse facendo.
«Mi piace stare al sole. Magari un giorno mi diranno che non potrò più farlo».

 
Aleksej era fragile
Intelligente e dolce, dai bei lineamenti, e di natura timida,
era la gioia dei suoi genitori e delle sorelle.
Tutti lo adoravano e lo coccolavano.
Ma l’emofilia lo colpiva nei modi più improvvisi.
Quando stava male, si respirava un’aria pesante fra le mura del palazzo.

 
Aleksej era fragile
Quand’era piccolo, spesso gli era stata lasciata la libertà di fare quanto voleva.
Non gli era stato insegnato di doversi contenere.
Quando si trattava di fare scherzi agli ospiti, nemmeno Anastasija era capace di batterlo.
Era cresciuto con la sensazione di poter fare tutto quello che voleva,
che lui era libero, che tutti lo avrebbero amato comunque.
Ma si era ritrovato a dover crescere in fretta, durante la guerra.




 
Febbraio 1917.
Russia non riesce mai a ricordare bene quello che successe il 23 di febbraio.
Dov’era il 23 febbraio? Al fronte?
No, dal fronte era tornato da qualche mese. Era a casa.
 
Le rivoluzioni sono sempre dolorose per le Nazioni; si sente il peso della rabbia, delle morti, del cambiamento.
Il mutamento scorre infuocato nelle vene, ti segna la pelle.
Forse quel giorno aveva sentito qualcuno urlare, ma i suoni e le voci si confondevano nella sua testa senza che riuscisse a distinguerle.
 
Forse era stata Tat’jana. Oppure Marija?

Russia aveva dormito a lungo e quando si era risvegliato non era più lo stesso di prima.
La famiglia reale era sparita. Gli spiegarono che erano stati trasferiti giorni prima, per il bene della rivoluzione.
Lo zar aveva abdicato, ma non si poteva permettere che rimanessero nella capitale a incoraggiare i filo-monarchici.
Russia non avrebbe più rivisto la famiglia imperiale fino a luglio del 1918,
fino al giorno dell’esecuzione.
 
Ma quei ricordi preferisce tenerli sepolti.
 
 
 





 
A volte Russia si ferma a ricordare.

Olga amava leggere
Tat’jana si sentiva sola
Marija era una creatura dolce
Anastasija era come un girasole
Aleksej era fragile
 
Ma poi riapre gli occhi e i ricordi svaniscono.
È tempo di pensare al presente.

 
 
 










 
Noticine
Pubblico questa one-shot oggi semplicemente perché domani non so se ne avrò il tempo… Diciamo che in realtà avrei voluto pubblicarla ancora il 24 di febbraio, ma proprio quel pomeriggio ho avuto una serie di problemi e per non aspettare fino a luglio pubblico oggi (cioè, oggi perché domani non potrei), in quanto il 2 marzo 1917, secondo il calendario russo, lo zar Nicola abdicò.
Dedico questa storia a End of me, sperando che le piaccia. Russia è il suo personaggio preferito, perciò ero partita dall’idea di scrivere qualcosa su di lui, poi studiando Storia Contemporanea mi è venuto in mente che avrei potuto scrivere qualcosa per ricordare la famiglia Romanov. La loro fine mi rattrista sempre molto, soprattutto per quanto è successo ai cinque figli. Il mio intento non era quello di entrare nel merito della rivoluzione russa da un punto di vista storico e/o socio-politico, ma di immaginare come sarebbe stato il legame fra Russia e i figli dello zar (che poi, dal momento che si parla sempre solo di Anastasija, mi sembrava giusto e corretto dedicare il giusto spazio anche ai fratelli… Poi non so quale sia il risultato probabilmente pessimo, ma la buona volontà c’era :,) ). E… Niente. Russia non so quanto sia IC, è la prima volta che scrivo di lui e non lo conosco troppo bene…
Anyway, spero possa piacere a qualcuno e di non aver  deluso troppo End of me (perché, diciamocelo, questo sarebbe dovuto essere il suo regalo di Natale e… sì, sono una persona orribile e ritardataria. Yes).

Da svidàniya!
  
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