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Autore: Stray_Ashes    01/03/2015    1 recensioni
"Il sole lentamente spariva, lasciando al suo posto uno strappo di cielo, tinto di un intenso colore scarlatto, ma non lo stesso rosso con cui si colorava il suo occhio sinistro, no... era un rosso molto, molto più bello. Un rosso che parlava di morte, e che allo stesso tempo parlava di vita, incorniciato dalle sihlouette dei ciliegi, ora in fiore.
Kaneki, guardando il sole perdersi oltre l'orizzonte, pensava a cosa aveva invece perso di sé, in tutti quegli anni, in tutti quei cambiamenti... ma nonostante i suoi mutamenti, non avrebbe mai dovuto dimenticare che, nel bene e nel male, aveva accanto e nel cuore persone meravigliose..."
***
Racconto bello lunghetto sui pensieri di Kaneki, scritto a caso perché avevo voglia di scrivere. Ah, già.. ho messo un po' di Touken, cosa buona e giusta.
Buona lettura.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kaneki Ken, Kirishima Tōka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Non so che dire... l'ho scritta per voglia di scrivere cose, mi son detta: "voglio partire con un tramonto" e così è stato. Tutto il resto, è stato brutalmente improvvisato durante la scrittura @-@ 
Anyway, in questa storia con un'impronta Touken, non sono sicura di aver lasciato tutti Ic, mi dispiace... ma non siate troppo cattivi.  
Per mettere in atto un'idea, ho riutilizzato una certa benda che Kaneki tiene appena inizia a collaborare con Banjou e Tsukiyama. Quindi fate finta che non l'abbia mai avuta prima... meh. 
Non dico altro, o faccio spoiler.
Buona lettura !

"Sunsets, Trees and Beautiful
Memories"

Era strano, ma bellissimo, e terrificante, il modo in cui il tramonto, le sue tonalitàaccese, quelle color del sangue e delle rose, si prendeva il cielo, e lo divorava, impadronendosi di ogni filamento di nube, ogni strappo di aria, ogni figura scura che solcava quel panorama, fosse questo un uccello, un aereo, o i sottili contorni degli alberi, là un po’ più lontano, fin sull’orizzonte.
A Kaneki piaceva guardare soprattutto i ciliegi, in questo periodo già in fiore. E gli piaceva passare per le strade, silenzioso, inosservato, il viso basso, con gli occhi, senza più alcuna benda adesso, coperti da ciocche di capelli bianchissimi, e una cartella a tracolla con qualche libro. In realtà, portava quella tracolla nonostante non avesse bisogno di libri, siccome si limitava a camminare lungo sentieri conosciuti e sconosciuti, usando le strade e i suoi passi per perdersi per un po’... perché si portava dei libri? Lo faceva perché il vecchio sé stesso li portava sempre. Come scusa si era detto che, durante quelle camminate, sarebbe giunta l’occasione di sedersi un po’ in un posto e leggere... ma non era vero. Non riusciva mai a fermarsi a leggere, i libri li portava dietro per puro, infantile ricordo, come se avere qualcosa che aveva prima potesse farlo credere di non essere mai cambiato.
Il vecchio Kaneki, il primo Kaneki, non portava mai bende, non serviva ai caffè o ai negozi, mangiava solo gli hamburger, e leggeva, leggeva moltissimo, portandosi quei libri in ogni dove, alzando sempre uno sguardo spaesato se distratto dalla sua lettura; a volte vedeva anche qualche bella ragazza, arrossiva, ne parlava un po’ con Hide, e poi semplicemente ritornava fra le parole stampate... anche fra le parole c’erano un sacco di belle ragazze, anch’esse molto vicine, anch’esse molto lontane.
Kaneki, anche oggi, fuggiva dalle sue preoccupazioni, ma invece di leggere camminava, girovagava, abbandonando per un po’ i suoi compagni: Banjou, Tsukiyama, Hinami... li abbandonava tutti per stare con sé stesso, per stare con un vecchio sé stesso... forse era davvero egoista, come gli era stato accusato.
E quando faceva queste camminate, seguendo i sentieri fuori Tokyo, dove si vedevano bene i ciliegi, lasciava indietro oltre ai suoi compagni anche la sua realtà... come oggi, come adesso, davanti a quel tramonto, Kaneki non aveva bende, non serviva ai caffè, e anche se non leggeva molto aveva dietro i libri, nella cartella. Però, non mangiava più hamburger, non aveva i capelli neri, non era più indifeso, non era più innocente, non era senza peccato, e ormai le ragazze non le notava neanche passare, troppi pensieri per sé stesso... e se le notava, sentiva ormai solo un invitante, affascinante odore di carne... cos’era rimasto di lui? Alcune cose provava a riportarle indietro, solo per finta, ma tutto il resto era sparito, scemato in mezzo a quel tramonto, che l’aveva tinto di rosso.
Aveva perso la sua innocenza, aveva perso la sua ignoranza nei confronti della difficoltà della vita e della morte... aveva sempre solo subito questo fatale ciclo, non aveva mai rischiato né deciso, prima, se far morire qualcuno o meno, se lasciar vivere o meno.
Kaneki socchiuse gli occhi e, per una delle prime volte, si fermò nel bel mezzo della sua camminata; volse lo sguardo e fissò il tramonto, che si riflesse nei suoi occhi, trasformandoli da grigi a rossi, ma un rosso diverso da quello con cui si colorava il sinistro se attivava il Kakugan, era infatti un rosso molto, molto più bello... e il tramonto glieli colorava entrambi di sfumature bellissime, rendendoli di nuovo uguali, sottraendo a Kaneki, per un istante, il peso e il ricordo di essere ormai diviso in due parti completamente differenti.
Tristemente, sorrise.
Avrebbe davvero voluto ricordare esattamente quanto aveva perso del vecchio sé stesso e quanto era invece rimasto, nonostante pensarci gli facesse male. Inclinò la testa, e sollevò una mano, sfiorando le labbra e quel suo inutile accenno di sorriso fuori luogo. Ecco, i finti sorrisi, quello era un vizio che, nel tempo, non aveva perso.
Scosse piano la testa e abbassò il braccio, soffermandosi ad ammirare le frastagliate punte delle onde del mare, lontano lontano davanti a lui, che rimanevano verniciate di macchie brillanti sfumate di rosso, giallo e arancione, come se tra quelle acque vi fosse un cimitero di lanterne. Ma a essere bellissimi erano i ciliegi... ed erano bellissimi anche se resi neri dal contrasto della luce del sole che spariva. A Kaneki piacevano, e piacevano anche a tutte le altre persone, perché quegli alberi erano splendidi sempre: erano meravigliosi d’inverno, spogli, erano meravigliosi in primavera, carichi di fiori dai colori armoniosi, ed erano meravigliosi di giorno, quando vedevi ogni ramo, lo erano al tramonto e all’alba, con la luce che di loro lasciava solo la silhouette nera, alle spalle una pennellata color sangue, il sangue del sole che spariva. Ed erano meravigliosi anche di notte, quando l’oscurità nascondeva ogni loro forma, e li mescolava perfettamente a tutto il resto.
In qualunque modo cambiassero, o venissero cambiati, i ciliegi erano sempre bellissimi, finché erano vivi... ed era proprio per questo che a Kaneki piacevano, e per questo motivo li invidiava. Lui era cambiato ed era stato cambiato, come i ciliegi aveva avuto dei fiori e gli erano stati tolti, come ai ciliegi il colore del sangue di lui aveva lasciato solo il contorno, divorandosi il resto, ma al contrario dei ciliegi, la sua silhouette era solo quella di un mostro. Nella notte i suoi occhi brillavano ancora scarlatto, neppure le tenebre sapevano nascondere quello che era diventato, neppure loro sapevano più renderlo parte di un mondo normale.
Kaneki mosse alcuni passi avanti, raggiungendo una piccola panchina, sotto l’ombra di uno di quegli stessi invidiati ciliegi. Il parco davanti a lui si estendeva per alcuni metri , e poi scendeva in una valle con qualche casetta sparuta, finché, oltre ad alcune collinette, si intravedeva il mare. Il vento scuoteva piano i capelli del ragazzo e le fronde dell’albero sopra di lui, e quelle degli alberi attorno; per terra, trai suoi piedi, sopra la ghiaia, era pieno di foglie e petali caduti. Adorava la zona fuori Tokyo, niente macchine, niente persone, niente grida, niente allarmi, niente pubblicità, niente preoccupazioni, niente inquinamento... lì, si coglieva parte della vera vita.
«Vieni spesso qui ultimamente, non è vero?»
Kaneki si irrigidì. Conosceva la voce che era risuonata alle sue spalle. «Touka-chan...» mormorò, socchiudendo gli occhi, senza voltarsi. Cosa ci faceva lei lì? «Mi hai seguito...?» aggiunse, con un’evidente nota di disappunto.
«Non c’è né stato bisogno. Hide, giorni fa, mi ha parlato di questo posto... da piccoli venivate insieme qui, e ci venivi anche tu da solo con tua madre... Hinami mi ha detto che in questo periodo certe volte sparivi, e mi è venuto in mente tale luogo»
Kaneki sentì un brivido gelato passargli nella schiena... Era vero, era venuto spesso lì, su quella stessa panchina, come aveva potuto dimenticarlo? Tuttavia non fiatò né rispose, restò a guardare solo il tramonto, che ormai diventava sempre più blu. La ragazza era in piedi dietro di lui, e la percepiva tesa, e un po’ a disagio.
«Però, è bellissimo...» la sentì mormorare. Kaneki si lasciò andare in un lungo, stanco sospiro.Touka gli passò davanti, e lentamente si sedette al suo fianco; Kaneki, con la coda dell’occhio, vide il tramonto riflettersi anche nel suo occhio, tingendolo di rosso... quell’immagine gli ricordò la forte, imbattibile Touka, e pensò al terrore degli umani e degli investigatori che lei, Rabbit, aveva annientato. Ricordò come lei lo spaventava nei primi giorni in cui lui era diventato un ghoul, come si fosse accorto della sua forza, fisica e psicologica, durante i loro allenamenti. Tutti quei ricordi gli rientrarono dentro, e Kaneki gli sentì gelosamente suoi. Molte cose erano cambiate, ma aveva ancora ricordi bellissimi...
Lei restava zitta, il mento sollevato, gli occhi socchiusi a guardare il cielo, restando solo lì al suo fianco. Kaneki non poteva sapere quanto fosse mancato alla ragazza, quanto lei l’aveva maledetto nel momento in cui se n’era andato, e quanto, quanto, avesse temuto di non vederlo mai più tornare. Era stato proprio come in un film, o come in un libro: solo mentre lo perdeva, si era resa conto di quello che aveva avuto. E Kaneki non poteva neanche sapere quanto le potesse ancora fare male il ricordo del loro ultimo incontro, quando lei per rabbia l’aveva attaccato e picchiato, dicendogli cose orribili... no, non poteva saperlo, e Touka si chiedeva cosa ancora lui pensava di questo.
Il punto, era che Kaneki non ci pensava più... nel senso, non pensava alle botte che aveva preso, pensava alle parole, al loro significato profondo...e ci avrebbe ragionato molto ancora. Abbassò lo sguardo, senza farsi notare, verso di lei: aveva come al solito una ciocca di capelli scuri che le copriva metà volto, vestiti semplici, scarpe alte, pantaloni di jeans, dalla cui tasca Kaneki vide la forma del cellulare, e attaccato ad esso notò con piacere il portachiavi che lui le aveva regalato per il compleanno,a Luglio. Aveva scelto un portachiavi a forma di coniglietto, sperando che lei avrebbe gradito... e a quanto pare, ci aveva preso. Sentì un moto di speranza, di orgoglio, di commozione, senza ben sapere perché.
Touka sembrava sempre la stessa, riservata, composta, misteriosa, pericolosa, fredda. Ma dal suo sguardo, Kaneki poteva indovinare la miriade di pensieri su cui lei si stava concentrando... e anche con quell’espressione concentrata, insicura, illuminata di riflessi rossi, Kaneki la trovò bellissima...
Scosse la testa, tornando in sé stesso. «Hey, a momenti comincerà a fare freddo...» mormorò, indicando con il mento l’ultimo spicchio di sole che andava sparendo.
Lei non disse nulla, sembrò quasi ignorarlo. «M-mi dispiace, per l’altro giorno.. per averti pestato...»
Kaneki sbarrò gli occhi, sorpreso. Forse non aveva mai sentito, o perlomeno mai spesso, Touka scusarsi di qualcosa... era quasi strano. Seppur ancora spiazzato, le sorrise tristemente, riuscendo ad incatenare lo sguardo di lei al suo. «Non importa, non ti devi scusare... avevi ragione» commentò, un po’ laconico.
Touka si sentì vagamentepiù consolata da quell’affermazione, ma non era molto... avrebbe voluto anche ringraziarlo per averla salvata da Ayato, e per averla aiutata anche prima, avrebbe anche voluto chiedergli qualcosa sulla sua università, la Kamii, a cui voleva andare anche lei, ma non si sentiva pronta a parlare liberamente con lui... erano cambiate troppe cose. E una scusa sincera, era già molto di quello che poteva dare. «Sei comunque un idiota». Ecco, l’aveva fatto di nuovo. Quando non sapeva come esprimere i suoi pensieri, si abbandonava agli insulti, che era troppo facile fare.
Tuttavia, in quel momento Kaneki ridacchiò, certo senza gioia, ma ridacchiò, e lei lo guardò stranita. «Pare che io lo sia proprio, a questo punto...»
Touka aprì e chiuse la bocca; avrebbe voluto ribattere, dire che non era stata sua intenzione insultarlo, ma non le venne niente... perché forse lui, nel senso buono e non, un po’ idiota lo era.
«Cosa farai ora...?»
«Non lo so... Aspetterò che il sole tramonti, poi... tornerò indietro».
La ragazza accolse quella vaga risposta socchiudendo gli occhi. Avrebbe voluto essergli d’aiuto, non gli interessava essere “protetta”, ma lui non l’aveva voluta... aveva voluto Hinami ma non lei... sentì l’amaro in bocca, ma lo ricacciò giù. «D’accordo...», si volse e afferrò la sua borsa, posandosela sulle ginocchia. Con dita sottili, aprì la cerniera e tirò fuori una pezzo di stoffa nera, che Kaneki non riconobbe subito, ma che, stesa sulla mano di lei, risultò essere una benda. Kaneki fissò confuso la benda nera, un po’ guardando quella un po’ guardando la ragazza, e sul volto di lei vide una cosa che non aveva mai visto prima... un rossore, di imbarazzo.
Lei si lasciò andare in un mesto sorriso. «Qualche giorno fa, io e Yoriko siamo andati a una festa... mi ha convinta a partecipare a un corso di cucina...» disse, evitando il suo sguardo e ridacchiando piano, ripensando alla comica scena e immaginando la faccia paonazza che doveva aver avuto. Quel giorno, Yoriko, senza saperlo, le aveva giocato un colpo davvero basso... «E poi mi ha portata a un corso di cucito e ricamo, ci siamo divertite, le si è fatta una borsetta, io un grembiule, per l’Ainteiku... ho fatto una cosa anche per Hina...» continuò, la benda nera ancora sul palmo. Kanekiosservò la ragazza, e anche se confuso, le sembrò stranamente tenera, e la tenerezza era una caratteristica rara da vedere su di lei. «Beh, avevo tempo e ho fatta una cosa anche per te... non avevo molte idee, non mi hai mai detto cosa ti piaceva, a parte i libri.. e allora io ecco... so che usi queste... e... » balbettò, maledicendosi per essere così impacciata.. non era da lei esserlo, e si sentiva così stupida. Gran bella figura...«Beh, non mi piace non ricambiare dei regali... ». Kaneki intuì che si riferiva al portachiavi, e allora rise, allungando una mano per sfiorare quella sollevata di lei, per farle capire che non c’era bisogno di giustificazioni. Prese tra le dita la benda, e la osservò: era nera, esul davanti Kaneki notò l’accurato ricamo argentato, che senza ombra di dubbio ritraeva una scolopendra stilizzata, arrotolata in un disegno contorto... artisticamente, era bellissimo. Ma quell’insetto risvegliò in Kaneki ricordi tremendi... ricordò il suono che aveva sentito nella testa, lo stesso suono che a volte sognava ancora, e ricordò di quando aveva perso il controllo, di quando era diventato un Kakuja... sobbalzò,  e la sua gola emise un gemito strozzato. Lei sussultò a sua volta. «K-Kaneki, tutto bene?»
Lui scosse la testa e tirò su la schiena, respirando e gonfiando il petto, passandosi una mano sul volto... lei non poteva sapere esattamente cosa significava quella figura per lui, e non la biasimò.
Lei lo guardò un po’ insicura. «Non so se avesse potuto piacerti... e non so bene perché ho ricamato questa figura... però mi hanno raccontato di com’eri, quella notte... non so cosa questo risvegli in te, ma io associo questo animale alla, non a quella di Rize, non a quella di Jason, tua forza.» detto questo, Touka, sentendo il bisogno di sottrarsi al suo sguardo, si alzò velocemente e fece per andarsene. «... e anche alla tua stupidità» aggiunse, un po’ più amara.
Kaneki per un attimo rimase imbambolato a guardare fisso davanti a sé, poi abbassò lo sguardo sulla benda nera. Era un regalo... era qualcosa che Touka aveva fatto con il cuore, per lui, solo per lui... e pensando a questo, riuscì a vedere quella scolopendra come un simbolo positivo. Simbolo della sua forza, aveva detto? Kaneki non era più tanto sicuro di avere delle forze, ma, stringendo forte nel pugno quel ricamo, sentì che nonostante i suoi cambiamenti, nonostante le sue sciocchezze, nonostante le sue mostruosità, c’era chi gli voleva bene.
E chissà Hide, chissà lui dov’era, chissà cosa pensava lui invece...
Kaneki si alzò di scatto, e riuscì ad afferrare Touka per un braccio, fermandola.
«G-Grazie Touka... Davvero. E’ bellissima» le disse, ma non abbozzò nessun sorriso... perché era serio ora, era riconoscente, non più finto.
La ragazza non rispose subito, non si voltò nemmeno; «Beh... se davvero ti piace, spero che ti possa aiutare a ricordarti di me, di noi... L’ho fatta perché so che vuoi andare via, via ancora più lontano, perché così non ti basta più. Sento che, probabilmente, non ci rivedremo ancora. E’ così, giusto?» e adesso si voltò a fissarlo, gli occhi umidi, ma freddi, amareggiati, severi. «Te lo si legge in faccia, Kaneki, quando vuoi fare qualcosa di stupido. E si legge sul viso di qualunque altra persona che vuole andare a morire. Non so dove, non so perché, ma tu vuoi morire, fare una cretinata anche per l’ultima volta...» sibilò, sentendo nel profondo tutto il dolore, ma lasciando uscire all’esterno solo l’asprezza e il risentimento che aveva.
Kaneki, si sentì gelare, lasciando il suo braccio... perché lei aveva ragione. Non avrebbe mai dovuto saperlo... lui stava per fare qualcosa di stupido, forse, stava per morire. Fino a poco prima, aveva pensato che non era poi così importante, persino i ciliegi muoiono. Ma ora...
«Touka-chan...» ormorò, avvicinandosi a lei. «Io non avrei mai voluto andarmene... non avrei mai voluto fare cose stupide. Ho sbagliato, ma... ora mi ritrovo costretto... è la fine dei giochi»
Lei lo guardò freddissima, anche se, trovarselo così estremamente vicino, le mandò un brivido di disagio e di novità. «Non mi importa se sei costretto. Se vuoi, vai. Se vuoi, muori» disse, provando ad allontanarsi di nuovo, ma lui la fermò ancora. Lei grugnì. «Ma se anche questa volta non muori: o non torni per nulla, o torni, e non te ne vai mai più»
Kaneki la guardò, sbarrando gli occhi, senza saper cosa dire... forse non sarebbe stato giusto farle promesse, ma voleva lasciarle qualcosa, qualcosa su cui sperare per un po’.
«Io tornerò. Per quanto possa valere la promessa di un Ghoul, io tornerò.» si avvicinò a lei e con un atto di coraggio che non sapeva appartenergli, le prese il viso tra le mani, sporgendosi per lasciarle, sotto lo sguardo sbalordito dei lei, un bacio appena sopra l’occhio, non osando di più. «E grazie per quello che hai fatto sin dall’inizio»
La lasciò andare, lei tentennò, poi velocemente si girò e semplicemente corse via.
Kaneki si voltò a sua volta, sospirando, la benda ancora in mano... sarebbe tornato, lo promise più a sé stesso che a lei. La guerra in cui si stava lanciando era troppo pericolosa per mantenere sempre fede a questo, così si avvicinò a uno di quegli stupendi ciliegi, si alzò sulle punte, e legò a uno dei rami quella benda, la legò stretta, in modo che nulla potesse portarla via. Durante quella guerra, si sarebbe ricordato di quel posto; motivato, si sarebbe rialzato per riuscire a camminare ancora fino a lì, e riprendersi il regalo di Touka. Guardò l’orizzonte, e notò che il sole era completamente scomparso, e che tutte le sfumature colorate si stavano tramutando in un blu scuro, denso. Era stato uno dei tramonti più belli di sempre, ma non sarebbe stato l’ultimo a cui assisteva. Si promise anche questo. E chissà, già da domani, avrebbe potuto essercene anche uno migliore... valeva la pena di morire e perderseli?
Abbandonò il cielo, i ciliegi e la benda, si voltò e si allontanò. Doveva andare da Yoshimura, e iniziare la guerra; ma sì, e se lo disse ancora una volta, sarebbe tornato.
Se solo avesse saputo quanto si sbagliava, e quanto aveva ragione.
 
Touka si appoggiò all’ampia spalla di Renji, perché altrimenti sarebbe caduta. Le lacrime le salirono agli occhi, salate e bollenti, prendendo a rigarle atrocemente il viso. Quello che stava davanti a lei era un rovina, non più il nido di meravigliosi ricordi, non più la culla di anni passati al sicuro... una sicurezza che a volte aveva voluto perdere e lanciarsi alle calcagna degli investigatori, ma che ora desiderava come non mai...
Singhiozzò, portandosi una mano sulla bocca. La guerra aveva distrutto tutto, anche le loro vite, e lei... lei non aveva fatto niente. Non aveva fatto niente mentre Yoshimura spariva, mentre tutti quelli dell’Anteiku morivano o venivano portati via. E non aveva mai fatto niente, neppure quando Kaneki...
Il cuore le sussultò, facendole male nel petto. Non aveva fatto niente quando Kaneki... cosa? Perché non era successo niente a lui, le voci era sbagliate... Avevano stretto un patto, loro due, lui le aveva promesso che sarebbe tornato. E lei si era promessa di credergli, e gli credeva ancora. Sarebbe tornato, non c’era altro a cui pensare.
Aveva fede in lui.
 
Haise, Sasaki Haise, investigatore di 1° grado, giovane mentore dei Quinckes, e... mezzo Ghoul sotto sorveglianza. Era questo il suo titolo.
Ma cos’altro era? Non lo sapeva, non era sciuro di volerlo sapere. Una voce gli sussurrava nell’orecchio, la voce del passato, ma non la voleva ascoltare perché lo terrorizzava... aveva paura del dolore, delle perdite, del pericolo, delle responsabilità, aveva paura della paura stessa: ed era sicuro che la sua vita passata era stata piena di tutto questo, anche se a volte gli sembrava di aver avuto anche persone meravigliose.
Haise scosse la testa, sospirando. Mosse alcuni passi, e si sedette su una panchina per riposarsi, appoggiando accanto a sé la sua valigia, una valigia “normale” questa volta, però: non la valigia delle altre Colombe, quella che conteneva i Quinque, ma una valigia piena di vestiti e attrezzi.
Akira l’aveva visto parecchio stressato nell’ultimo periodo, e l’aveva convinto a prendersi alcuni giorni per rilassarsi, magari viaggiare un po’, siccome oltre alla sede della CCG conosceva ben poco, a causa della completa perdita delle sue memorie. E quindi eccolo lì, con una valigia da vacanza ma con ancora addosso il cappotto degli investigatori, su una panchina davanti a un campo, a godersi un meraviglioso tramonto, incorniciato da ciliegi. Come paesaggio, era davvero suggestivo, ed Haise si chiese se anche il vecchio sé stesso ne avesse mai visto uno così bello, o se perlomeno gli piacessero.
Allontanò velocemente i pensieri, e tirò la testa all’indietro, guardando in su, con gli occhi socchiusi... e in quell’attimo, qualcosa attirò la sua attenzione: c’era un ramo poco più in là, annodato cui vi era qualcosa di insolito. La sua curiosità ebbe la meglio: il ragazzo si alzò e si posizionò sotto quel ramo, allungando una mano e provando a snodare quella fascia nera. L’operazione gli richiese un po’ di tempo, sembrava essere ancorata a quell’albero da un po’, si era quindi subita acqua, forse neve, tempeste, giornate di sole e di vento. Eppure, era ancora lì. Haise se la rigirò in mano, e capì che si trattava di una benda, nera, con un ricamo argentato che ricordava… una scolopendra? Appena riconobbe la figura, un brivido gelato gli attraversò la schiena, dalla nuca fino alle ginocchia, mentre il riaffiorare vago di alcune immagini gli fecero perdere l’equilibrio e la concezione degli spazi. Barcollò e cadde all’indietro, fissando quella benda col respiro mozzato… e non capiva perché. Sapeva che quell’oggetto avrebbe dovuto essere importante per lui, era una cosa che ricordava, ma… i ricordi non suggerivano altro. Haise s inumidì le labbra e si passò una mano fra i capelli bianchi  neri, cercando di calmare il giramento di testa. Qualunque cosa fosse stata quella benda, averla in mano ora gli diede anche un certo senso di soddisfazione  e di completamento, come se con quel semplice gesto avesse portato a termine una missione; il giovane si mise in ginocchio, e si legò la benda al polso, consapevole di non doverla perdere mai. Certo una benda non gli serviva, ma si promise che avrebbe conservato quel ricamo, in qualche modo.
Si alzò e tornò a pensare alle sue ferie… ma quella benda era stata l’ennesima prova che, bene o male, nel passato aveva avuto persone veramente meravigliose.

 
 .:Angolo della scrittrice_
Spero che qualcosa vi abbia detto questa... cosa nata per sbaglio. 
Mi ha fatto piacere parlare sia di Kaneki che di Touka, anche se mi smebra di aver fatto una cosa quasi innaturale... quei due non ce li fa avvicinare nemmeno per finta Ishida... stupido coso. Ma soprattutto Haise... è dolcissimo Haise, mi piace troppo scrivere usando la sua testolina fuffosa.
Non so mai cosa dire a fine storia, sono una di poche parole, e seriamente, intendo. Quindi boh, mi farebbe piacere una vostra recensione, o qualcosa del genere ^^
Bye bye,
_MoonStorm:.

Ps: gente, voi malati che leggerete e direte la vostra, e voi babbani che leggte in silenzio... sareste molto carini e ve ne sarei grata se nella sezione dedicata a Tokyo Ghoul cercaste in alto a destra la scritta "Aggiungi Personaggi", e con un piccolo dolce clic del mouse, votare per aggiungere personaggi alla sezione; potete votare tutti quelli della lista, non solo uno.... ve ne prego, ho un intenso bisogno di scrivere sul mio piccolo puccio dolce badass Urie... ç.ç 


 
  
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