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Autore: Lusivia    04/03/2015    3 recensioni
[STORIA IN VIA DI REVISIONE: primi SETTE capitoli aggiornati.]
Un tempo credevo che quelle piccole sferette bianche fossero la sola cosa che mi impedisse di impazzire, quel filo stretto attorno alle rovine della mia mente, e tutto ciò che dovevo fare per evitare il collasso era chiudere gli occhi e buttarle giù.
Per diciotto anni avevo vissuto nella convinzione che fosse giusto così, che non poteva esserci via d'uscita da quella villa nascosta tra le colline, ma spiriti antichi avevano cominciato a sussurrare le loro verità.
Un giorno, da un debole atto di ribellione scoprii che ciò che vi era dentro di me era molto più che il riflesso della malattia; era qualcosa di più antico, l'eco del sangue versato in nome di quell'eterna battaglia che continuava ad emettere i suoi clangori, ma l'umanità era ormai troppo giovane per ricordarne il suono.
Ho dovuto vivere le favole narrate dalle antiche voci nella mia testa per scoprire la verità su di me, sul mondo, sull'autentica faccia dell’umanità, e ancora non sono sicura che sia davvero tutto.
Ma ora dimmi, Laura: quanto indietro vuoi tornare per scoprire che la tua vita è, ed è sempre stata, una bugia?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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                                                                                   Capitolo 8

                                                                                    Rosso cremisi.




Il materasso sudicio squittì sotto il peso del mio corpo e, sebbene avessi i brividi di disgusto, non disdegnai di raccogliere quel poco di calore che il modesto giaciglio della cella mi offriva contro il freddo di quella notte.
Ma l’oscura umidità delle segrete aveva completamente prosciugato le mia energie.
Tollerare i primi quattro giorni era stato abbastanza facile, anzi, ero quasi orgogliosa di poter testare i miei limiti, di vedere quanto sarebbe passato prima che cedessi del tutto.
Non dovetti attendere molto.
Al sesto giorno, infatti, il bisogno di sentire sulla pelle il tiepido soffio del vento era diventato un’agonia, la sensazione di elasticità dei muscoli un miraggio, la fame continua che mi divorava lo stomaco una amica dolorosamente presente.
Per lo meno la prigionia era riuscita ad acquietare un po’ gli animi, soprattutto di Rauf, che decise di oziare sulla branda della cella dinanzi alla mia per tutta la durata della detenzione.
Ogni tanto mi lanciava occhiate truci, ma preferivo quelle che il silenzio inspiegabile di Kadar.
Si era chiuso in se stesso da quando eravamo arrivati lì.
Mi misi a sedere sul materasso con un lungo sospiro, indugiando su una crepa del muro prima di tentare un’ultima volta di spronare il prigioniero dall’altra parte.
-Kadar, sei sveglio?- mormorai flebile.
Silenzio.
-Stai tranquillo, puoi parlare, non ci sente nessuno.
Ancora silenzio.
Esattamente come la notte prima, e quella ancora, e quella ancora.
Come se la mia voce fosse solo un fastidioso fantasma errante che rimbalzava sulle mura.
A quel punto, mi misi in ginocchio e provai a sentire un suo movimento dall’altra parte poggiando l’orecchio sulla parete, poi picchiettai le nocche sulla superficie, sperando in un rimando.
Ma, proprio come le volte precedenti, l’unica risposta che ricevetti fu il bisbigliato del fuoco che scoppiettava nel braciere.
Il cuore mi si gonfiò di sentimenti contrastanti, tra cui anche una voglia matta di prendere a calci il muro e inveire a vanvera, ma se davvero fossi stata sincera con me stessa avrei ammesso che, in verità, avevo un disperato bisogno di conforto.
Rassegnata ormai all’idea di dover passare la settima notte chiusa lì dentro, mi accucciai a terra come un cane rabbioso, passando la mano tra il lerciume dei miei capelli con un gesto stizzito.
Così, lasciai che i minuti mi scivolassero addosso, almeno fino a quando l’ombra di un Assassino fermatosi davanti alla mia cella riuscì a catturare la mia curiosità.
L’oscurità m’impedì di riconoscere i suoi lineamenti celati nell’ombra della cappa lattea, ma poi un guizzo vivace della brace alle sue spalle gli illuminò il viso e riconobbi nel buio il riverbero dorato degli occhi di Altaïr.
-Come diavolo sei entrato qui?-domandai a bassa voce- Ci sono delle guardie in giro, a controllarci!
-Nulla che non possa abilmente raggirare- Altaïr s’inneggiò con tono asciutto, poi guardò velocemente attorno a se e tornò a fissare lo sguardo sulla mia sagoma, continuando- Ed ecco che, infine, sei finita dietro le sbarre gelide di una cella. Mi chiedo, a questo punto, che cosa tu abbia combinato perché l’ira di Al Mualim si scagliasse su di te.
Ci mancava solo lui con la sua fastidiosa ironia.
-Non vedo il motivo per cui debba interessarti- brontolai, decidendo in quell’istante che avrei scaricato tutto il nervosismo su di lui.
Quello tirò un sorriso irrisorio, affermando- Sai, Laura, il mio interesse nei tuoi confronti è più accentuato di quanto tu possa mai immaginare.
Improvvisamente, un cigolio anomalo mi portò ad abbassare lo sguardo sulle sue dita che erano intente ad aprire la cella con un mazzo di chiavi, sgraffignato a qualche guardia un po’ sbadata.
Egli entrò nella modesta celletta con passo felpato, si piantò dinanzi a me si sedette sui propri calcagni.
Poi, senza staccare lo sguardo dal mio, sfilò un foglietto sgualcito dalla cintura.
E sventolò la lettera del Templare Thorpe tra le sue dita con la stessa soddisfazione di un giocatore d’azzardo che spiattella la sua vittoria.
Istintivamente, portai il busto in avanti e provai a strappargliela di mano ma Altaïr si ritirò e la ripose al sicuro nella sua cintura, soffiandomi sulla fronte la sua risata roca.
-Come l’hai avuta?- mormorai, ritirandomi in buon ordine, con le unghie conficcate nel cuoio morbido dei guanti senza dita.
-Non ha importanza. Allora, siccome mi sento magnanimo ti concedo il beneficio del dubbio- iniziò lui, puntando i gomiti sulle sue ginocchia aperte, e con aria intimidatoria riprese - Ti do dieci secondi per spiegarmi il motivo per cui mi hai mentito riguardo alla lettera. E ti consiglio di essere molto persuasiva, perché inizio seriamente a credere in un tuo coinvolgimento dell’assassinio del Rafiq Samir.
-Cosa?- balbettai sconcertata.
-Sette secondi.
-Io non sono una Templare, se è quello che stai insinuando! Andiamo, Altaïr, non crederai davvero che io sia una spia?
-Quanto parli. Tre secondi.
Grugnii, serrando i pugni sulle gambe-Non ci posso credere! E va bene, vuoi che ti racconti la verità?
-Se non ti è di disturbo.
-Eccoti accontentato. Prima di morire, Samir mi ha supplicato di distruggere la lettera, ma non so se fosse a conoscenza del suo contenuto - esitai, analizzando il suo sguardo asettico, e per un momento mi sembrò quasi che stesse attendendo il momento giusto per scagliarmisi contro.
Invece, la sua reazione fu molto pacata- L’hai letta?-chiese.
Esitai, poi annuii. -Io…io non so perché abbia scelto proprio me-aggiunsi sconcertata- Non so come spiegarlo…ma era come se lui…mi stesse aspettando. Ecco, ora crederai che sono pazza.
Altaïr serrò la mandibola, picchiettando nervosamente le dita della sinistra contro il suo ginocchio-Si, penso che tu sia pazza. Cionondimeno, i tuoi occhi dicono la verità. Forse, i miei occhi sono troppo stanchi, troppo logorati a causa della continua ricerca di un nemico cremisi, troppo avvezzi al rosso per vedere oltre il colore…
-Che intendi dire?
Tuttavia, egli preferì non rispondere, invece si alzò dai talloni e si diresse all’uscita, affrettandosi a richiudere la cella prima che le guardie rifacessero il giro di controllo.
-Aspetta. Prima di andare, dimmi: cosa farai adesso, Altaïr?- chiesi a quel punto, piantando le mani attorno alle sbarre- Se hai letto il contenuto della lettera, dubito che quella sia un’informazione che terresti nascosta ad Al Mualim. O sbaglio?
Egli si fermò a un passo dall’arcata nel corridoio, lanciandomi uno sguardo lampeggiante. - No, in effetti, no- disse sicuro.
Chiusi gli occhi- Certo…
-Laura.
Alzai lo sguardo verso di lui e lo vidi che mi fissava intensamente, come a volermi mettere bene a fuoco, come se qualcosa di me non gli fosse ancora chiaro, come se non si fidasse di ciò che vedeva.
-Non ho mai dubitato dei miei occhi e loro non hanno mai fallito. Ma ora arrivi tu, Laura, e metti tutto in discussione. So che mi pentirò d’averti protetto per una seconda volta.
Così, Altaïr sparì, dissolvendosi come un gelido vento che tra le mura della fortezza addormentata.

*    *      *

Stavo male.
Stavo tanto, troppo male.
Era iniziato quella stessa notte, dopo che Altaïr se ne era andato.
Qualcosa di molto simile a una coltre soffocante e fumosa aveva preso a risalire dall’oscurità del mio animo fino al petto e lo aveva invaso, ostruendomi le vie respiratorie.
All’inizio provai a resistere, a ignorare quella strana presenza che lentamente s’impossessava di me, che si espandeva, che cresceva come un mostro nel mio grembo vergine, che si divertiva a scorticare la linea sottile che mi separava dalla rottura.
Sperai che alla fine si sarebbe annoiato di mescolare la realtà con la finzione nella mia testa e che mi avrebbe lasciata andare, come faceva sempre.
Ma quella volta non fu così.
Sembrava quasi deciso a distruggermi una volta per tutte.
Arrancai un’altra volta verso il materasso, pensando di volermi sdraiare un momento per far smettere alla cella di vorticarmi attorno, ma poi temetti che potessi addormentarmi, così mi girai e mi abbandonai a pochi passi dal muro.
Sentivo che tra non molto non avrei più visto nulla.
Dischiusi le labbra livide e abbassai le palpebre esauste, in un ultimo e disperato tentativo di chiamare Kadar, ma la mia voce era stata rubata da quel mostro che aveva cominciato a salirmi in gola con i suoi artigli neri.
No, dovevo restare sveglia e riprendere il controllo del mio corpo.
Svegliati.
Quella voce.
No, non adesso, non ero ancora pronta!
Scossi vigorosamente la testa, piantando i palmi sulle orecchie- Taci, non voglio sentirti! Vai via!
Il tempo è arrivato, devi svegliarti.
-No!- cercai di mantenere la voce bassa, ma sentivo che la mia gola era sul punto di squarciarsi in un urlo disperato. - Non sono ancora pronta!
Malgrado le mie suppliche, però, quel processo non si arrestò, anzi, saldò la presa sul mio corpo e lo scagliò un silenzio di luce, sicché per un momento non fui né lì né qui.
Ero sospesa nel vuoto della mia mente.
Ma non faceva paura.
Torna nel tuo corpo, Laura.
E fui scagliata nel vuoto.
Spalancai gli occhi e le braccia si gettarono nel vuoto, cercando di arraffare un lembo di quella luce per evitare di cadere nel buio, ma ciò che sentii fu solo il tessuto soffice delle lenzuola in cui mi ero risvegliata.
A riaccogliermi nella mia vita, il battito sordo del pendolo tedesco di noce chiaro nella mia camera, che pareva non aspettasse altro se non il mio ritorno per intonare il suo canto gioioso.
Ero a casa.
-Ben tornata, tesoro mio.
Spostai lo sguardo verso la porta e vidi una donna che ritornava dalla cucina con un vassoio di biscotti, una teiera fumante di un the all’arancia e limone e due tazzine decorate con delle coccinelle.
Era vestita con abiti disinvolti, una camicia borgogna, da cui sbucavano delle scure spalle muscolose, e un pantalone stretto che finiva in un paio di scarponi grigio topo.
-D’accordo…sono in un sogno o in un futuro dove le suore indossano jeans e camicette?- balbettai scioccata e Suor Agata sorrise, poggiando il vassoio sul tavolino a sinistra.
In quelle nuove vesti, ella pareva più giovane di quanto non fosse mai stata nel suo velo grigio.
-Non temere, sei sveglia e nel presente, Laura- rispose, versando il contenuto fumante in una delle due tazze.
-Ah. E perché sei vestita come una di quelle attrici ammazza-zombi?
Riuscii comunque ad abbozzare una battuta di spirito che allentasse i miei nervi tesi, ma che riuscì anche a provocare la sua risata trillante, ma si ricompose quasi subito.
Agata si voltò per offrirmi il thè, ma si bloccò quando vide che stavo piangendo come una bambina.
- Laura- immediatamente, la donna ripose la tazzina sul tavolino e si precipitò a cingermi in un abbraccio di conforto.- Laura, non piangere. Sei al sicuro, non ti faranno più del male- mi sussurrò all’orecchio, strofinando il palmo lungo la mia schiena per incoraggiarmi a smettere di singhiozzare in maniera incontrollata.
Eppure, non sapevo perché stessi piangendo così.
Ero tornata a casa, finalmente, lontana da tutte quelle lotte e sangue.
Allora perché mi sentivo così triste?
-Dov’è mamma?- chiesi a quel punto, staccandomi da lei quel tanto che bastava per fissarla diritta negli occhi, ora così seri e turbati.
La donna sospirò- Laura, prima mangia, hai dormito per così tanto tempo che il tuo corpo qui è quasi deperito…
-Dimmi dov’è- insistetti, con la voce gonfia a causa del pianto trattenuto.
-Lei…lei è ancora in viaggio. Starà via per molto, questa volta. Davvero, davvero molto.
-Dov’è andata?
Agata tacque, gelata in una cupa tensione.
Non l’avevo mai vista così seria.
Un po’ m’intimorì.
Poi, la donna si alzò e si diresse verso l’entrata, fermandosi solo per invitarmi con espressione risoluta a seguirla.
-Vieni.
La solenne freddezza con cui pronunciò quelle parole m’indusse ad alzarmi all’istante, come se dalle sue labbra non fossero uscite parole ma incantesimi oscuri a cui non poti resistere.
La seguii in un silenzio religioso verso i piani inferiori, dove le ampie stanze erano tinte dai primi chiarori dell’aurora, e ci fermammo davanti allo studio di casa.
Agata spalancò le porte scorrevoli ed entrò, trascinandomi con lei come se qualcosa d’invisibile mi tenesse legata per la vita.
Non avevo mai notato quanto fossero le pareti di quella stanza fossero rosse.
Rosse come il sangue…
-Comunque- Agata si schiarì la gola, prendendo a salire su una scala a ridosso della libreria in cedro-Se il mio abbigliamento ti fa ridere, dovresti vederti un po’ allo specchio- disse e  prese a passare con l’indice il dorso dei libri più in alto, quelli sulla chimica organica che mamma usava quando andava all’università.
Fu in quel momento che notai di aver addosso una delle pompose camicie da notte in seta , souvenir dei viaggi di mia madre, e storsi il naso con un mezzo sorriso.
Quando ebbe trovato ciò che cercava, la donna si calò giù dalle scale con inaspettata agilità, poi mi fece cenno di aprire entrambi i palmi.
Eseguii l’ordine e Agata fece piombare un libro grigio sulle mie mani.
Arcuai un sopracciglio e sotto il suo invito aprii il libro, facendo scorrere le dita fino al frontespizio decorato con le miniature di due cavalieri in sella a un destriero, che marciavano circondati da un cerchio che formavano le parole “sigillum militum”.
Al centro della pagina nivea, una frase spiccava sulla carta come se fosse fatta di fuoco e bruciò dietro i miei bulbi oculari, potandomi a cercar sollievo negli occhi neri di Agata.
-Pauperes commilitones Christi templique Salomonis- ripetei memonicamente, chiudendo il libro in uno scatto quando aggiunsi-Questa è un’incisione Templare. Perché è su queste pagine?
-Sei sempre stata molto brava in latino- Agata rigirò la discussione con una scrollata di spalle e si portò verso la grande finestra. –Mi sarebbe piaciuto, però, che tu avessi messo lo stesso impegno nello studio del greco.- poi rise, poggiando i palmi sul bordo della scrivania- Del resto, però, il Padre della Comprensione semina in noi le abilità che meglio possono permetterci di servire la sacra Causa.
-Sacra Causa?- mormorai sconvolta- Di che Causa stai parlando? I Templari sono solo una vecchia favola dei secoli bui, il loro ordine fu annientato secoli addietro grazie al re di Francia!
All’udire di quelle parole, la donna si voltò a guardarmi e lanciò un’occhiata carica di disapprovazione, portandomi a ritrarmi di un passo.
-Non annientato. Solo momentaneamente addormentato.
Detto ciò, la donna sfilò il ciondolo che le pendeva dal collo e costrinse ad accoglierlo sul palmo stringendo poco la presa su polso, che tremò alla vista quel simbolo rosso, del vessillo Templare.
Toccare quella croce cremisi ebbe lo steso effetto di un feroce uragano: il castello di carta in cui avevo vissuto fino a quel momento si dissolse nella polvere, le fondamenta delle bugie della mia esistenza furono distrutte, e mi ritrovai a precipitare giù dal burrone.
-Laura, per anni ho sopportato i sensi di colpa perché non potevo salvarti, perché eri troppo piccola per impedire che comparissero nella tua testa. Ma ora…ora la tua mente è abbastanza forte. Nel tuo sangue scorre la linfa di un Ordine antico, che ti ha scelto nel grembo di Erica quando eri solo un feto. Adesso, però, ti reclama a sé, come sua legittima proprietà. I Templari t’invocano in battaglia per combattere l’ombra dell’umanità. Gli Assassini.

*   *    *

Agata mi stava fissando dall’altra parte della stanza, con le mani conserte e le spalle rivolte verso la luce che filtrava dalla finestra.
Io, invece, ero seduta immobile sul divano poco più in là, con i pugni serrati sulle ginocchia e quel groppo alla gola che ancora mi dissuadeva dall’intento di iniziare una discussione, poiché di certo avrei emesso solo rantolii incomprensibili.
Ma i colpi ansiosi del suo piede continuavano a distrarmi.
-Potresti essere un po’ paziente? Sai, ho appena scoperto che tutta la mia vita era una menzogna.
Il piede di quella si fermò all’istante, il petto si alzò impercettibilmente in un sospiro teso.
-Se vuoi, adesso puoi farmi delle domande- disse a quel punto- Cercherò di essere quanto più esauriente possibile, promesso.
Io strinsi le labbra, un po’ restia.
-Sei una Templare?- avanzai la prima domanda con tono incerto.
-Si- rispose- E sono anche una suora. In verità, è un po’ complicato.
-Bene- deglutii impercettibilmente- Mia madre. Anche lei è una Templare?
-Si.
-Da quanto?
-Da quando aveva quindici anni. I giovani dell’Ordine vengono ammessi ufficialmente a sedici anni, ma Erica era…speciale. Sarebbe stata un membro di prestigio nella confraternita, era scritto nel suo destino.
Agata sembrò voler aggiungere altro, ma alla fine fece cadere il suo pensiero e attese la mia prossima domanda, che tardò un po’ ad arrivare poiché non sapevo bene come formularla.
-Quindi, questo fa di me una proprietà dei Templari?- non nascosi il mio disappunto.
Lei annuì- Sì, direi. Il tuo sangue è Templare.
-Non sono d’accordo- esordii e mi alzai dal divano, cominciando a girovagare distrattamente nella stanza, tutto sotto l’occhio vigile della mia tutrice. - Un’altra domanda. Mio padre sapeva di mia madre?
Silenzio.
Gettai un’occhiata alla donna da sopra una spalla e la sorpresi che mi fissava con occhi gravidi di oscuri pensieri, tuttavia non mancò di celarli con uno dei suoi soliti sorrisi morbidi.
-Diciamo solo che ne era a conoscenza- ammise semplicemente.
-Ah- mormorai, ma non volli sapere altro, perché di lui non mi era mai importato nulla.
Invece, cominciai a scrutare tra gli scaffali.
-Prima, hai detto che gli Assassini mi hanno contaminata da quando ero solo una bambina- ripresi a parlare, sfiorando appena il dorso del volume I Promessi Sposi. – Cosa intendevi dire?
-Che comparivano nelle tue allucinazioni, ovvio.
Spostai il mio sguardo scettico su di lei, osservando- Erano solo allucinazioni. Io non sapevo che fossero Assassini…né che il loro Ordine esistesse!
A quel punto, la donna si staccò dalla finestra e cominciò ad avanzare lentamente verso di me, intensificando il suo sguardo serio man mano che le distanze diminuivano tra di noi.
-Te l’ho detto. Ti hanno contaminato senza che te ne accorgessi. Ma non è propizio parlare di questo adesso, lo faremo quando verrà il tempo- si bloccò a pochi passi da me, che la fissavo freddamente, e con un sorriso aggiunse. - Ma per fortuna, alla fine, la tua mente si è liberata dalla menzogna.
-Intendi dire che sono caduta vittima della mia mente!
Agata scoppiò a ridere.
-Sei uscita dalla tua prigione, invece!- esclamò gioiosa, allargando le braccia scure in un sorriso colmo d’orgoglio- Non capisci? Finalmente hai lasciato che la tua mente ti mostrasse la guerra  millenaria che solo pochi eletti conoscono, tra cui hai un posto anche tu, Laura! Sei strisciata alla luce con il marchio dei Templari impresso nel tuo destino e morirai facendo ciò per cui la Confraternita è nata: uccidere gli Assassini.
Per quanto le parole di Agata fossero ben misurate, calme, cariche di una verità quasi ovvia, non riuscii a crederle.
-Quindi, ora dovrei entrare ufficialmente nell’Ordine di famiglia e stanare gli Assassini per ucciderli?-chiesi.
Ella annuì.
-E…se io mi rifiutassi?- continua a voce flebile.
Lei si fermò a riflettere, tirando su un’espressione indecifrabile.
- Avresti gettato via ogni sacrificio che tua madre e tuo padre hanno sempre fatto per te- brontolò- Che io ho fatto per te. Davvero vuoi questo? Davvero vuoi vivere nell’ignoranza, non sapere mai la verità?
Se avessi risposto di getto, sicuramente avrei detto di sì, perché accettare tutto quello significava perdere la mia libertà, quella che avevo da poco riscoperto tra gli Assassini, e sarei finita con l’essere ingoiata nelle viscere di un Ordine che era piombato nella mia vita dal nulla.
Ma una parte di me esitava.
Colei che mi aveva messo al mondo e colei che mi aveva cresciuto pazientemente, sperando, un giorno, di poter accogliermi nella Confraternita di famiglia, erano Templari e bugiare.
-Non…non lo so, sono confusa- balbettai.
-Confusa perché i tuoi Assassini ti hanno convinta che i Templari sono un nemico, che vogliono piegare la volontà altrui. - Agata s’animò di una controllata ironia- Quelli ti hanno solo mostrato le cose attraverso la lente distorta del loro Credo. Ma se tu me lo consentirai, Laura, ti mostrerò che l’Ordine è mosso dal volere della Giustizia. Fidati di me.
Fidarsi.
Non sapevo più di chi potevo fidarmi.
Templari, Assassini, complotti, guerre segrete affogate nel sangue…
Non ero interessata a quelle cose.
Non era ciò che volevo.
-No.
-Cosa?
-Ho detto di no! – strillai e mi gettai fuori dalla porta.
Corsi verso le scale, Agata mi venne dietro e tentò di bloccarmi per un polso, allora mi voltai e provai a divincolarmi con tutta la forza che avevo.
Le sue dita allentarono la presa sotto il mio strattone più facilmente del previsto e mi ritrovai a incespicare i piedi contro il gradino, finendo con il perdere l’equilibrio.
Provai a mantenermi al corrimano, ma l’angolo aguzzo arrivò più velocemente.
Il clangore di una spada che colpiva il ferro della mia cella e immediatamente ripresi conoscenza sul pavimento dei sotterranei di Masyaf, intontita più che mai e con la sensazione della fame che mi perforava lo stomaco.
Ero tornata nel sogno.
O forse avevo solo immaginato di tornare nel presente e la discussione con Agata non era mai avvenuta?
Strizzai gli occhi mentre mi rimettevo a sedere nell’angolo, mettendoci un po’ per schiarire le siluette di una guardia Assassina che si stava accingendo a infilare le chiavi nella serratura della mia cella.
-Forza, fuori. - disse la voce cavernosa della guardia.
-Sono passate già due settimane?- chiesi incredula mentre uscivo all’esterno, faticando per mantenere l’equilibrio sulle gambe improvvisamente pesanti.
-No, sconto di pena.
Nel frattempo, una guardia aveva aperto la cella di Kadar e gli aveva fatto cenno di uscire, provocando la curiosità di Rauf, che si era svegliato per il baccano e ora era piantato dietro le sbarre con il naso infilato tra le aste e gli occhi curiosi che analizzavano la scena.
Kadar uscì dalla prigione confuso, chiedendo al confratello perché mai fossimo fuori prima della scadenza della punizione, e gli indicò l’Assassino che ci stava aspettando con le braccia conserte all’entrata.
Altaïr.
-Cosa significa?- domandò a gran voce Kadar, mentre l’altro si avvicinava disinvolto.
-Siamo usciti prima del previsto, come è possibile?- borbottai stringendomi con loro per evitare che le guardie curiose sentissero la nostra conversazione.
-Ho ben pensato di aiutare due sciagurati a ricevere la grazia- ci schernì lui.
-E il prezzo?- chiese il ragazzo.
-Sostegno in missine. Un nostro fratello è stato bloccato da un drappello Templare che batteva la strada verso Acri ed è stato fatto prigioniero. Ma non indugiamo oltre, seguitemi.
Così, Altaïr ci guidò all’esterno delle segrete, su, all’aria aperta, e con mia grande gioia potei finalmente sentire sulla pelle il vento tiepido di mezzogiorno.
Stirai le braccia verso l’alto e rivolsi un’occhiata a Kadar, che stava meditando assorto sulla mia figura, l’espressione di chi avrebbe tanto voluto avere il coraggio di parlare per primo.
-Laura…
-Non ora, Kadar- lo freddai in un attimo e continuai a seguire il nostro cicerone verso l’armeria.
Non sapevo bene perché, però mi sentivo stranamente infastidita dalla sua presenza, e per ora preferivo ignorarlo.
Kadar recuperò le armi e l’armatura, che ci era stata tolta durante la perquisizione, mentre io dovetti accontentarmi degli strumenti a disposizione per il mio rango, ovvero una spada leggera presa dalle rastrelliere al muro.
Uscimmo da Masyaf velocemente, prendendo i cavalli che già erano stati preparati all’entrata, e battemmo un sentiero sdruccioloso che conduceva ad un passo di montagna.
Mentre procedevamo lungo il sentiero, Kadar, che fino  a quel momento era rimasto all’estremità del caravan, diede un colpetto ai fianchi dell’animale e si portò alla mia destra.
-Laura, ho bisogno di parlarti- disse.
-Ti sembra il momento?- ribattei, indicandogli con lo sguardo Altaïr poco più avanti.
Lui mi guardò deciso-Si.
Sospirai, stringendo le redini in grembo, certa che sottrarsi non avrebbe fatto altro che incaponirlo ancor di più.
-D’accordo, parla, ti ascolto.
-Io non volevo ignorarti nelle celle, te lo giuro.
-Ah, sì? Perché è quello che hai fatto.
Colpii le costole della cavalla e questa accelerò un po’ il passo, ma subito il destriero rossiccio del Novizio si frappose fra me e la strada, bloccandomi dall’andar dietro al cavallo di Altaïr.
-Laura, tu non capisci. Io non volevo abbandonarti, non lo avrei mai fatto. Ma ero confuso e avevo bisogno di starti lontano.
Sorrisi amaramente –Perché, t’infastidisce avermi intorno?- borbottai offesa.
Ma le mie parole lo allietarono soltanto, perché percepì invero il desiderio capriccioso di un’amante inappagata.
Sorridendo amabilmente, egli si sporse dalla sella e poggiò la fronte sulla mia, facendomi sobbalzare da un fremito smanioso, che, però, ingioiai in un baleno.
- Perché averti vicino m’incasina incredibilmente. E i pensieri vertono immancabilmente su di te.
Titubai, emozionandomi un poco. - Non prendermi in giro, per favore- mugolai.
-Perché mai dovrei prenderti in giro?- esclamò piano lui- Laura, forse il mio bacio non è stato abbastanza sincero? Credi forse che lo abbia fatto solo per sedurti e spingerti verso il mio letto?
Kadar tese le labbra calde verso le mie, io trattenni il respiro e girai la testa di lato, facendo scontrare la sua bocca con la mi guancia incandescente.
Lui si ritrasse sulla sella, l’espressione accorata.
-Ci vuole più di un bacio per farmi entrare in un letto!- grugnii risentita, poi mi affrettai ad aggiungere-In oltre, sei un grande arrogante se credi che avrei ceduto così facilmente alle tue lusinghe.
-Non mi aspettavo che tu le accettassi.
Riportai lo sguardo su di lui, che aveva rigirato il cavallo e ora guardava dinnanzi a se per nascondere il suo orgoglio ferito, poiché conscio, ormai, di aver tirato troppo la corda.
-Mi pento di averti baciato, non avrei mai dovuto cedere a quell’impulso. Dimentica il mio gesto, te ne prego. In cambio, ti assicuro che nessuno verrà mai a sapere del nostro fraintendimento, nemmeno Malik. Mi limiterò a essere un fratello per te, Laura, e non ti turberò più in alcun modo.
Si congedò con un mezzo inchino del capo, dopo di che strattonò il cavallo e riprese ad avanzare lungo il cammino.
Già, forse era giusto così.
Forse.
Raggiunsi i due Assassini quando questi avevano già legato i cavalli all’ombra degli alberi e si erano appostati a pochi chilometri da dove si poteva osservare l’intero accampamento dall’alto. indisturbati all’accampamento poco più avanti, dove delle guardie pattugliavano il perimetro e bloccavano l’accesso.
Lasciai anch’io la cavalla e mi riunii a loro, che nel frattempo avevano cominciato ognuno per conto proprio a passare in rassegna con lo sguardo potenziali punti deboli per trovare una breccia nella pattuglia esterna.
-Faremo così- fu Altaïr, ovviamente, a prendere in mano la situazione- Kadar, tu proverai a penetrare il fianco dell’accampamento e sabota le sentinelle. - poi si voltò a guardarmi, con aria incerta- Quanto a te, non saprei…in effetti, sarebbe meglio se rimanessi a guardare i cavalli.
-Allora perché mi hai portato qui, scusa?- rimbeccai irritata.
Quello alzò le spalle, focalizzando l’attenzione su una guardia distratta che si era allontanata dalla sua postazione. - Visto la tua bravura nell’eccitare gli uomini, potresti sempre travestirti da prostituta e distrarre le guardie.
-Che stronzo…- brontolai a denti stretti.
Kadar ingoiò una risata strofinando una nocca contro il naso, appagato, in fondo, dal mio atteggiamento critico nei confronti di un altro uomo all’infuori di lui.
Contrariamente a quanto mi aspettavo Altaïr ingoiò il boccone con ironia. -Mi sta bene. Allora, lingua lunga, verrai con me e proveremo a raggiungere la tenda dove è ostaggio l’Assassino.
A Kadar, però, non piacque l’idea di lasciarmi con lui -Un momento, magari è meglio se vado io con lei…
-No, si fa come ho deciso io- Altaïr, però, ignorò l’evidente gelosia del ragazzino e andò avanti, costringendomi a seguirlo per evitare di rimanere indietro.
C’infiltrammo nell’accampamento mantenendo il profilo basso e prendemmo ad aggirarci circospetti tra le tende, cercando, tra la fuga da un gruppo in pattuglia e l’altro, di trovare la tenda interessata.
-Sei sicuro di sapere dove andare?- chiesi, vedendo che Altaïr aveva preso a scrutare il terreno, come un segugio nero che fiutava impronte invisibili sulla polvere.
Senza alcun preavviso, egli stese il braccio ed io andai a sbatterci contro.
Notai che con l’altra mano mi stava indicando una tenda blu da cui erano appena usciti tue soldati.
-Fammi indovinare, i tuoi occhi possono vedere anche attraverso le cose?- domandai in un mezzo sorriso.
-No, però mi mostrano i bersagli.
Sgattaiolò veloce verso il tendone e si acquattò in un angolo riparato da una fila di casse, poi alzò di  poco il bordo e spiò all’interno, dopo di che, assicuratosi che la via fosse sicura, mi segnalò con un fischio di raggiungerlo.
Nell’oscurità del tendone  un uomo in bianco era piegato su se stesso, immobilizzato ai polsi da catene massicce e bendato con una fascia sgualcita e sporca di sangue che, notai dopo, proveniva dalla ferita sul suo sopracciglio scuro.
Una volta riabbassato l’orlo del tendone, Altaïr mi fece cenno di rimanere in silenzio, poi si avvicinò furtivo al suo confratello e lo osservò con aria assorta, quasi indeciso se liberarlo o no.
Alla fine, però, allungò il braccio con un sospiro e strappò la benda intorno alle tempie di quello, che subito chiuse gli occhi feriti dalla luce improvvisa e si ritirò con un grugnito, mettendoci un po’ prima di riconoscere il familiare cappuccio bianco della sua setta.
-Che ci fai tu qui?- domandò l’uomo, increspando le labbra sotto la folta barba nera.
-Sono venuto a salvarti Abbas. Non sei felice di vedermi?- lo punzecchiò l’altro, prendendo a girare attorno alla colonna di legno, poi si drizzò seccato quando capì che l’unico modo per liberarlo era trovare le chiavi.
Abbas rise graffiante, sfoderando un carattere scontroso e ostile. - Preferisco leccare il deretano di un Templare piuttosto che farmi aiutare da te- sputò veleno.
-Potrei anche lasciartelo fare, sai?- sminuendo l’ira dell’uomo legato, Altaïr tornò al mio fianco e dando le spalle ad Abbas cominciò a mormorarmi il piano – Laura, devo trovare la guardia che ha le chiavi. Tu rimani qui, con Abbas, e nel caso in cui qualcosa vada storto…
Altaïr sfilò la balestra che portava alle spalle e la ripose tra le mie braccia goffe, che la sorressero a stento mentre quello cominciò a illustrarmi fiducioso il suo utilizzo.
-Presta attenzione- incatenò il mio sguardo nel suo, poi m’indicò un meccanismo a gancio-Come prima cosa, tendi la corda con il crocco, ci vuole un po’ di forza-cominciò- Poi bloccalo con la noce, infine, tira giù il piolo e la freccia farà il resto. Hai capito?
Rigirai l’arma tra le braccia, calibrando la sua pesantezza, poi la strinsi al fianco e brontolai- Sì, credo di aver capito.
Lui mi fissò per un istante, poi annuì e mi diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla.
Una volta che quello sparì fuori dalla tenda, caricai l’arma come mi aveva mostrato e mi nascosi vicino all’entrata, con il cuore che palpitava forte e le dita umide che contavano i minuti pesantemente appollaiati nell’aria.
-Oh, Novizio- la voce di Abbas provenne roca nella semi oscurità della tenda, portandomi ad alzare di scatto la testa dalla balestra.- Sei il nuovo protetto di Altaïr ?-domandò incuriosito.
M’incupii, stringendo la presa sulla balestra- No, il mio maestro è Malik Al-Sayf- dissi, dando le spalle all’entrata. - Altaïr mi ha solo chiesto di accompagnarlo in questa missione. In verità, non ci sopportiamo molto.
-Lo vedo- l’Assassino si accomodò sul terreno a gambe incrociate, poi arcuò un sopracciglio, precisando – Tuttavia, quell’idiota non porta mai nessuno con sé in missione. È troppo pieno delle sue fottute convinzioni per ammettere di aver bisogno, ogni tanto, di qualcuno che gli pari il culo dalle frecce Templari. Evidentemente, devi essere speciale per lui.
Speciale, io?
Non direi proprio, piuttosto, iniziavo a credere che avesse richiesto la mia presenza lì solo per tenermi d’occhio.
Era plausibile, tutto sommato, che sospettasse di me.
Chi poteva assicurargli che quel giorno, sul ponte di Damasco, il nostro incontro fosse stato solo frutto del destino?
Per quando ne sapeva lui, potevo anche essere una spia Templare mandata lì, proprio in quell’istante e in quel carro, per far sì che venissi salvata da loro e portata nel covo degli Assassini.
E forse era davvero così.
Chissà, la mia presenza lì poteva essere davvero un piano architettato dal giorno in cui ero nata.
Presa com’ero dal flusso dei miei pensieri, quasi non mi resi conto della guardia che si era affacciata nella tenda e che, adesso, stava sguainando la spada, avanzando a grandi falcate  alle mie spalle.
Fu l’avviso di Abbas a farmi voltare, inducendomi a puntargli la frecci alla gola proprio quando la lama lucente del cavaliere era sollevata sulla mia testa, bloccata in un attimo fatale.
Sebbene i miei occhi lucidi lo stessero guardando diritto negli occhi, il soldato tenne ostinatamente la guardia alta, spavaldamente incurante del fatto che mi sarebbe bastato un semplice scatto del dito per trapassargli il pomo d’Adamo.
A quel punto, uno dei due sarebbe morto.
Restava solo da vedere chi.
Ma premere il grilletto era per me impossibile.
Non potevo uccidere quell’uomo.
Non ci riuscivo.
-Che cazzo stai aspettando?-ringhiò agitato Abbas- Uccidilo, presto!
Mi umettai le labbra, cercando di controllare il respiro, ma non mossi le braccia né il dito.
Non m’importava se agli occhi dell’Assassino ero una pavida o una traditrice, doveva esserci un modo per farlo arrendere senza ucciderlo, magari colpendolo alla tempia…
Ma, proprio mentre aprivo la bocca per intimarli di lasciare la spada, uno zampillio vischioso schizzò dal collo della guardia e finì sulla mia guancia cerea, mentre una lama lucente fiorì davanti ai miei occhi come una rosa rossa.
Rabbrividii d’orrore quando sentii la lama celata di Altaïr continuare a lacerare a ogni suo più flebile spostamento la carne e le vene di quell’uomo, mentre un cascata rossa prese a scivolare dal suo collo e ad esplodere in gocce rosse sul terreno.
Per quanto quella visione mi ripugnasse, non potei far a meno di accompagnare l’uomo nei suoi  ultimi ansimi di vita, quando, finalmente, la lama venne sfilata dalla carne e quello cascò a peso morto nella pozza del suo stesso sangue.
Ero ancora rapita dal riverbero cremisi del liquido che continuava a dilagare sotto il cadavere quando Altaïr mi gridò contro di preparare la balestra e coprirgli le spalle, per poi precipitarsi a liberare Abbas.
Cercando di rinvenire dal mio stato di confusione, alzai la balestra tra le braccia molli e la puntai verso l’entrata, pronta a scoccare il dardo se avessi scorto anche solo un’ombra.
Infatti, da lì a poco scorsi qualcuno avvicinarsi di corsa alla tenda, così preparai velocemente il colpo e avrei lasciato andare il meccanismo se  Kadar non fosse entrato con le braccia all’aria, boccheggiando- Non uccidermi, sono io!
Abbassai l’arma all’istante, esclamando con aria sconvolta-Kadar, maledizione !Avrei potuto ucciderti!
Il Novizio sfoderò uno dei suoi meravigliosi e inappropriati sorrisi innocenti, quando un guardia si precipitò alle sue spalle con la spada tratta e gli occhi furenti di ira cieca, scagliandosi su di lui troppo velocemente perché quello potesse schivarlo.
Così, mossa dall’istinto cieco di che voleva salvare la vita del ragazzo a tutti i costi, sollevai la balestra e  lanciai un urlo a Kadar, che si chinò appena in tempo per evitare che l’arma gli colpisse le tempie.
Il Templare rimase tramortito dalla botta e rotolò al fianco di Kadar, che si scansò con espressione ammirata e allo stesso tempo sbigottita dal pensiero che quello a terra avrebbe potuto essere lui.
Nel frattempo, Abbas era stato liberato e, una volta riacquistato il suo equipaggiamento, ci aveva raggiunti in prossimità dell’uscita assieme ad Altaïr.
- Altaïr, la prossima volta assicurati che il Novizio sappia usare la balestra, così non la dimenerà a caso in aria!- Abbas non mancò di farmi pesare il comportamento di poco prima, spingendomi via per uscire all’esterno della tenda.
-Che gran simpaticone- brontolai- Mi ricordate perché lo abbiamo liberato?
Sia Kadar che Altaïr sospirarono, dopo di che il primo uscì in strada e il secondo mi chiese indietro la balestra, che fui ben felice di restituirgli, poiché avrei in tal modo potuto correre senza impedimenti.
All’esterno l’accampamento era scoppiato in un turbine folle di grida e piedi che battevano di qua e di là, ogni singolo soldato Templare ci stava cercando.
Ma noi eravamo già spariti.




Angolo autrice:

Cavolo, non posso crederci, finalmente sono riuscita ad aggiornare! Questa settimana è stata un parto, davvero. Mi scuso tanto per aver tardato così, per questo motivo avviso che molto probabilmente il capitolo nove arriverà la settimana prossima, quando i miei impegni dovrebbero essersi sfoltiti (almeno spero)!
Allora… Hai capito a Laura, eh, fa la doppiogiochista! Poverina, mi diverto proprio a metterla in situazioni complicate, vediamo come se la sbriga adesso!
 Come sempre, colgo l’occasione per ringraziarvi tutti, ragazzi.
Sono sempre felicissima di condividere con voi questa follia!
Baci, Lusivia.








 




   
 
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