Non
vivere con la
paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto.
γλυκό
ενόχληση
( Dolce
Seccatura )
L’inizio è un suono.
Temari strinse il piccolo terrorizzato fra le braccia, circondandolo col calore del suo corpo. Era inutile – e lo sapeva – ma sperava che il battito impazzito del suo cuore riuscisse a calmarlo.
- Andrà tutto bene, Gaara… andrà tutto bene… -
Booooom.
- Sta zitto, idiota – ringhiò la
dolce sorellina bionda – Stai terrorizzando Gaara. –
Il bambino annuì, mostrando la
lingua al fratello maggiore. Kankuro sorrise, accarezzando la testolina
rossa
del fratellino. Anche lui, come tutte le famiglie nel rifugio,
cercavano
disperatamente di nascondere l’angoscia che ogni esplosione
creava. Era morto
qualcuno che conoscevano? Oppure la prossima bomba avrebbe distrutto
proprio
quel rifugio? Qualcuno sarebbe sopravvissuto? E poi, cosa sarebbe
accaduto?
Ma,
soprattutto, quando tutto quell’orrore sarebbe finito?
Temari
strinse ancora di più il
fratellino a sé. Dopo la morte dei loro genitori nel
bombardamento di qualche
settimana prima, aveva il terrore di perdere anche i suoi due fratelli.
Era
l’unica famiglia che le restava. E Gaara aveva solo cinque
anni, dannazione!
- E’ finita. – sentenziò sollevato
Kankuro.
Già. Era finita. Per ora.
Temari s’asciugò la fronte,
imperlata di sudore, e inspirò fondo. Era stanca, ma il
lavoro non era ancora
finito.
- Gaara, non ti allontanare troppo!
– gridò, ma il bambino annuì sfuggente
e seguì i suoi piccoli amici su per il
fianco roccioso della montagna. Temari sbuffò, ma non disse
nulla. Erano pochi
i periodi in cui il fratellino poteva giocare spensierato, seguendo le
capre
fin sopra le rocce più alte dell’isola.
E lei…lei doveva fermarsi a metà
strada. I panni non si lavavano con la terra della cima, ma con
l’acqua del
ruscello accanto al sentiero.
Dannazione, odiava essere donna.
Perché lei doveva lavare, stirare, cucinare…
e invece voleva aiutare suo
fratello Kankuro. Voleva aiutare il suo paese, combattendo di nascosto
coi
partigiani.
Buttò sgarbatamente il lenzuolo
bianco nel cesto di vimini e afferrò, di malavoglia, la
camicia del fratello.
Lurida, come al solito. Prese il sapone e iniziò a sfregarla
per bene; non sia
mai che Sabaku no Temari facesse male un lavoro, qualunque esso fosse.
- Tsk – borbottò. Una macchia di
sangue. Per fortuna che Kankuro non era rimasto ferito,
l’ultima volta. Quello
stronzo… non capiva che non dicendogli nulla la faceva
preoccupare ancora di
più?
E anche la camicia, una volta
pulita, fece la stessa fine del lenzuolo.
- γλυκό
ενόχληση…
buongiorno, seccatura.
–
- la giornata non poteva
andare peggio, capitano Nara. -
- Sei
sempre così incredibilmente
acida, Temari. -
- Mah… dicono che le greche sono
fatte tutte così –
Temari sorrise, guardando in volto
il giovane soldato dell’esercito Italiano. Capitano Shikamaru
Nara.
- E che dice, capitano, le piacciono
le donne greche? – mormorò, alzandosi in piedi per
mostrarsi in tutta la sua
bellezza. Il sole alle sue spalle, che sottolineava le sue forme e
illuminava i
suoi caotici capelli, non faceva che esaltarla. La pelle bronzea
scottata dal
caldo sole Mediterraneo, gli occhi stranamente azzurri per
l’isola in cui era
nata. I capelli biondi scuri ma con striature quasi bianche che le
attraversavano i meravigliosi ricci. Ultimamente – o almeno
da quando Shikamaru
l’aveva vista per la prima volta, nella piazza del paese - li
raccoglieva in
quattro disordinati codini. Lui amava quei quattro disordinati codini,
perché
regalavano alla padrona un’aria vagamente ribelle. E
poi… lei. Anche se
infagottata in un abito marrone lungo fino alle ginocchia, era sempre
bellissima.
Formosa, ma resa comunque snella dalle alture rocciose della sua isola
natia.
Una bellissima donna Mediterranea con gli occhi azzurro mare.
- Sei bellissima, ενόχληση… - esclamò,
meravigliato.
Temari si rabbuiò. – Sei
Italiano – sottolineò.
- Così mi dissero. Ma un
Italiano non è forse un discendente dei tuoi stessi
antenati? Credevo che
- Sei un alleato dei
Tedeschi! –
- Mah, alleato è Benito
Mussolini, il resto dell’Italia non è molto
d’accordo… -
-
Shikamaru… tu sei un soldato… -
- Ma il mio è un cuore
contadino! -
Temari
si morse un labbro – Tu non
mi piaci. -
- Neanche tu, Seccatura – rise,
baciandola su una guancia.
- Sparisci, Ιταλικά!
-
Ma l’uomo rimase fermo dov’era,
comodamente seduto sull’erba. Sorrise e, afferrandole un
braccio, la costrinse
a sdraiarsi accanto a lui. L’erba era morbida, ancora fresca
di rugiada, la
terra profumava di bagnato e di nuova vita.
- Dovresti rilassarti di più, Temari
– mormorò sbadigliando. - Guardiamo insieme le
nuvole. -
La bionda alzò lo sguardo,
perplessa. Quel giorno c’era vento forte e il cielo era tutto
un susseguirsi
d’azzurro e di bianco. Quelle nuvole non stavano abbastanza
ferme nemmeno per
giocare a riconoscervi delle immagini al loro interno. Correvano e
basta,
sorpassando Cefalonia per lasciare posto al sole.
- Ma come diavolo fai! – sbottò,
alzandosi a sedere. Dio, non riusciva a resistere più di
cinque minuti a
guardare quelle incostanti e giocose nuvolette. Se almeno la vita fosse
stata
così semplice…!
- Sei proprio figlia di quest’isola,
sai? – ridacchiò l’Italiano –
Tutta rocce e vento, incapace di stare ferma e
tranquilla per più di dieci secondi. Ma quando imparerai a
rilassarti? –
- Quando la guerra sarà finita e
archiviata. – ribatté acida.
- Ecco che ricomincia… -
- Ricomincio cosa? – esclamò
indignata Temari – Solo perché a te non interessa
un benemerito nulla! I miei
genitori sono morti per questa guerra, la mia terra è stata
invasa da te e i
tuoi compari, ogni giorno ho il terrore che Gaara o Kankuro spariscano
per
colpa di quei tedeschi! Tu, invece? Guardi le nuvole e non fai nulla
per far
smettere questo dannato strazio! Tu canti, balli, ridi; non hai la
minima
intenzione di pensare che non sia il momento giusto per farlo!
–
Era arrabbiata, e si vedeva. Aveva
parlato con foga, sputando con rabbia ogni parola. E ora respirava
profondamente, per far sbollire tutta l’indignazione che di
colpo era salita.
- E quand’è il momento giusto,
quando la guerra sarà finita? – ribatté
con calma Shikamaru. – Nel frattempo,
dobbiamo solo disperarci e vivere nella paura di morire? Io
non vivo con la paura di morire, e spero di morire con la gioia di aver vissuto.
Non aspetterò
semplicemente la morte senza essermi goduto tutto prima. Con la dovuta
calma. –
sottolineò – e per questo canto coi miei compagni,
ballo e rido anche con i
tedeschi e faccio la corte ad una greca. - E sorrise, abbracciandola da
dietro.
Aveva due belle spalle forti, questo Temari doveva ammetterlo. La
circondavano
completamente, dandogli quella meravigliosa sensazione di protezione e
sicurezza. Quando lui l’abbracciava… le ricordava
l’abbraccio di suo padre;
lui, per calmarla e farle passare la paura, la stringeva forte,
lasciando che
immergesse la sua piccola testolina bionda nel suo petto. Quella
meravigliosa
sensazione… faceva sparire la scorbutica e arrogante Temari,
lasciando
trasparire quella parte di lei che tremava per la paura, che chiedeva
protezione e conforto. Quella parte sempre nascosta dal suo smisurato
ego.
Solo suo padre – e ora, anche
Shikamaru – era in grado di farlo.
- E quando ci sarà da combattere,
che farai? – disse, con la voce semi roca.
- Mi sembra ovvio, combatterò per
te. – rispose lui, con semplicità.
- Per me? Non per il tuo paese? -
- Il mio paese mi ha spedito qui, in
una guerra già persa in partenza. Quindi, direi che non ha
bisogno di essere
protetto dato che s’è inguaiato da solo. Tu
invece, seccatura, ne hai bisogno,
eccome! –
Temari sorrise. S’alzò di scatto,
ritrovando il suo carattere abituale.
- E chi avrebbe bisogno di
protezione, scusa? - gridò, saccente.
- Ah, le donne. Come sono
prevedibili. – sbuffò il moro. Poi estrasse un
piccolo foglietto dalla tasca e
lo porse alla ragazza. – Toh, seccatura. Spero che verrai a
questa nostra
inutile festicciola. Che bisogno c’era di fare tutto
‘sto casino per fare una
sorpresa agli abitanti di quest’isola… se prendo
Naruto lo spenno vivo… -
Si era
allontanato, lamentandosi, come al solito. Temari strinse quel
minuscolo
foglietto. C‘erano scritte poche parole:
Spiaggia, al
tramonto. Sorpresa sorpresina per tutta
Cefalonia.
Temari
spalancò gli occhi,
incredula. Sorpresa sorpresina? Chi era tanto… idiota da
scrivere così?
Con uno sbuffo o buttò via il
biglietto e riprese a lavare i suoi panni.
Ma tanto sapeva che ci sarebbe
andata.
C’era calma, era quasi incredibile.
La lampada illuminava appena il piccolo porticato, lasciando quella
penombra
che rende speciali le sere estive. La casa dei Sabaku era molto
distante dal
paese. Costruita sul promontorio più alto della zona,
proprio nel bel mezzo del
piccolo boschetto che arrivava fino alla spiaggia. Lì
c’era il panorama più
bello di tutta l’isola; la scogliera si apriva in una grande
baia altra quasi
cinque metri, che sembrava circondare il mare e
l’immensità dell’orizzonte.
- Gaara, non ti allontanare troppo!
– gridò Temari. Badare a quel bambino era una vera
impresa. Tenerlo lontano dai
guai era letteralmente impossibile! Ancora si chiedeva come diavolo
faceva sua
madre a badare non a uno, ma a ben tre mostri iperattivi come loro.
Kankuro
ridacchiò. S’era proprio immedesimato alla
perfezione nel ruolo di
“capofamiglia”. Era quasi ironico, il modo in cui
cercava di proteggere e
comandare tutto e tutti; al limite dell’ossessione, si poteva
dire. Però… però
era incredibile: avere solo diciassette anni e sentire il peso di una
famiglia
intera sulle spalle non era cosa da poco, e questo sembravano capirlo
tutti gli
isolani.
Ispirò profondamente, inalando il
fumo della sigaretta.
- Come va? – mormorò Temari. Kankuro
rise, sapendo benissimo cosa voleva sapere la sorella.
- Alla grande. – ridacchiò.
- Dai, Kankuro! – sbottò, infuriata.
– Scuciti la bocca! –
Tirò la sigaretta, sorridendo
soddisfatto.
- Da qua! – ringhiò la bionda,
afferrando la sigaretta e aspirando un lungo tiro – reggo
anche meglio di te
questa stupida sigaretta, quel tuo dannatissimo goccetto di grappa
serale lo
bevo con te e gestisco una famiglia esattamente come te! -
- Fai la baby-sitter a un bambino. –
- A due bambini. Ti devo ricordare
che lavo anche le tue, di mutande? –
Il ragazzo rise, ma tornò subito
serio. – Lo sai, Tem. Non dovrei nemmeno nominare i
partigiani. –
- Ma che scatole! Segreti, segreti e
segreti! La verità è che sono una
femmina… -
- … una femmina che civetta con un
Italiano. – concluse acido Kankuro.
Temari ingoiò il colpo. Non era la
prima volta che Kankuro tirava fuori questo argomento. Odiava i
tedeschi, e
ancora di più gli italiani. Li chiamava “i
cani” perché avevano vinto in
Macedonia solo grazie all’arrivo dei tedeschi e avevano
invaso Cefalonia per
merito altrui. E, prima di tutto, avevano ucciso un sacco di suoi amici
partiti
per quella guerra.
- Mi sembra che ne abbiamo già
parlato. –
- Sì, ma tu continui a vederlo. –
- Non mi puoi comandare.
- E io non posso dirti nulla sul
gruppo. –
E, come da copione, scendeva un
ostinato silenzio.
- Ma perché cavolo non capisci? –
ringhiarono insieme.
- Cosa, non capisco? – sbottò
furioso Kankuro – non capisco perché mia sorella
si comporta come una puttana
con un invasore? Non capisco le malelingue del paese? Non capisco che,
in
questa situazione così fragile, la prima a rimetterci
potresti essere tue proprio
per mano dei tuoi stessi compaesani?
-
Temari inspirò a fondo. – Non
capisci e basta. Non capisci che è quello stronzo che mi
gira intorno e… -
- E allora perché non dirgli che non
lo vuoi più vedere? Sei in grado di essere molto diretta,
quando vuoi. -
Colpo basso.
-
Yuuichi l’hai dimenticato così in
fretta? –
Colpo basso,
molto basso.
- Come
osi? – ringhiò, furiosa. – Come osi?
- Oso e basta. Perché mi sembra che
tu stia dimenticando che sei greca.
–
Temari strinse i pugni fino a
sbiancare le nocche. Tenne la testa bassa, per impedire che il fratello
vedesse
le lacrime e la colpa che le sgorgavano da dentro. Il corpo tremava,
sia per la
rabbia che per il disgusto che provava per se stessa. –
- Sei uno stronzo. – sibilò, non
sapendo che altro dire. Si voltò e scappò via.
Dio, quanto si odiava.
Detestava quella parte di sé che cercava
disperatamente amore e disprezzava quell’altra che invece le
urlava che non era
giusto dimenticarsi così in fretta di chi aveva perso. Si
odiava perché desiderava
essere morta con loro. Detestava non trovare nessuna ragione per vivere
nonostante ci fossero ancora tante persone che le volevano bene.
Ma, soprattutto, si odiava perché
sentiva di prendere in giro quel bell’Italiano.
E non c’era nulla che le facesse più
male.
Con un gesto rabbioso si asciugò le
lacrime. Ecco, si odiava perché non sapeva far altro che
piangere! Proprio come
un’inutile donna. Aveva ragione, Kankuro a impedirle di
entrare nei partigiani
greci!
Mollò un fortissimo calcio alla
pietra più vicina, urlando come una matta per far uscire
tutta la frustrazione.
- Temari? – Doveva aver fatto molto
baccano. La finestra della casa più vicina s’era
illuminata, e una voce più che
stupita aveva constatato la sua presenza. Rumore di passi che
scendevano
frettolosi le scale e, poi, la fiamma di una candela che compariva nel
piccolo
cortile.
- Tutto bene? – mormorò dubbiosa
Sakura. La guardava stupefatta. Nella fretta di correre il
più lontano
possibile, Temari aveva ignorato qualsiasi cosa le si parasse davanti.
I
capelli erano scompigliati, ancora più disordinati del
solito. Qua e là dei rametti
e delle piccole foglioline s’erano incastrate fra i riccioli.
Il vestito era
infangato in più punti e le ginocchia scorticate. Doveva
essere caduta
parecchie volte.
- Volevi terrorizzare gli
scoiattoli? – ridacchiò la rosa, aiutandola a
sedersi. Temari le mostrò la
lingua, scocciata. Ma non rifiutò la sua
ospitalità né il disinfettante o le
fasciature pulite.
- Ahia… - sbottò, quando le toccò il
ginocchio.
- Che brutta caduta. Ma, stare più
attenta, no? Potevi spaccarti il ginocchio! –
- Sei tu il medico, no? –
- I medici non fanno miracoli –
ringhiò in risposta la ragazza.
Prese un batuffolo imbevuto di acqua
ossigenata e tamponò con decisione la ferita, ignorando le
proteste dell’amica.
- Cos’ha detto Kankuro, stavolta? –
mormorò poco dopo, quando finalmente Temari diede segni di
essersi calmata.
- Yuuichi… - bisbigliò appena lei.
Quasi le faceva male dirlo.
- Ancora! – urlò infuriata Sakura. –
Quel bastardo! –
- Ehi, piano, è sempre mio fratello!
Uno stronzo senza palle, ma mio fratello! –
- Scusa. Ma tutte le volte che non
sa cosa tirare fuori ritorna sulla questione Yuuichi. Ok, era il suo
migliore
amico, ok che eravate una meraviglia insieme… -
- Questo non mi aiuta… - sussurrò
seccata Temari.
- Ma è morto. Da quasi due anni,
ormai.– concluse la rosa – sepolto, andato. Per
quanto tempo vuoi che ti
impedisca di vivere, Tem? –
- Ma… -
- Per quanto tempo vuoi ancora
desiderare di essere assieme a loro? – continuò,
spietata.
- Non lo so, dannazione, non lo so!
- ringhiò. – Però è
difficile, cazzo! Soprattutto con quello stronzo che
continua a ricordarmeli! –
- Sicura che sia colpa di Kankuro? –
domandò Sakura – Non è che invece sei
tu ad aver paura di… riprendere il
controllo sulla tua vita? Paura di trovare qualcosa oltre alla guerra?
–
Temari rimase in silenzio. Dio,
quando voleva Sakura sapeva arrivare al punto.
- Paura di… amare ancora? –
Silenzio.
- Shikamaru sembra averlo capito,
sai? – sorrise, colpendo in pieno le difese della bionda.
Silenzio.
- Cazzo, Sakura. Sei un mostro. –
rise Temari. – Sembri tanto docile e indifesa,
però…! -
- Potere degli Haruno! –
E risero a crepapelle.
- Guarda! – esclamò all’improvviso
Sakura, piazzandole una mano davanti agli occhi. Sull’anulare
c’era un anello,
che brillava nonostante l’oscurità. Una pietra
piccola, ma che sapeva farsi
notare per la bellissima trasparenza.
- Un…anello! – disse senza fiato la
bionda.
- Già – mormorò Sakura,
accarezzandolo con amore. – Me l’ha
dato…Sasuke. –
- Sasuke?! – esclamò stupita Temari.
Oh, quelli si che erano guai. Sasuke era tedesco.
- Ti prego, non farmi la ramanzina
pure tu! –ringhiò la rosa, alzandosi di scatto.
– Non mi interessa se è
tedesco. Io amo un tedesco, e sono pronta a urlarlo al mondo intero!
–
Silenzio.
- Sono felice per te – esclamò Temari,
sorridendo entusiasta. E lo pensava davvero.
- Oh, Tem! – strillò la rosa,
abbracciandola.
-Ehi, piano, piano! A proposito, hai
sentito della “festa” di domani degli Italiani?
–