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Autore: Saya_Zhao    11/12/2008    6 recensioni
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Rinoa81, assistente amministratrice.

- Vogliono proprio distruggere tutto, eh? – esclamò Kankuro.
- Sta zitto, idiota – ringhiò la dolce sorellina bionda – Stai terrorizzando Gaara. –
Il bambino annuì, mostrando la lingua al fratello maggiore. Kankuro sorrise, accarezzando la testolina rossa del fratellino. Anche lui, come tutte le famiglie nel rifugio, cercavano disperatamente di nascondere l’angoscia che ogni esplosione creava. Era morto qualcuno che conoscevano? Oppure la prossima bomba avrebbe distrutto proprio quel rifugio? Qualcuno sarebbe sopravvissuto? E poi, cosa sarebbe accaduto?
Ma, soprattutto, quando tutto quell’orrore sarebbe finito?
Temari strinse ancora di più il fratellino a sé. Dopo la morte dei loro genitori nel bombardamento di qualche settimana prima, aveva il terrore di perdere anche i suoi due fratelli. Era l’unica famiglia che le restava. E Gaara aveva solo cinque anni, dannazione!
[ShikaTema] [SasuSaku] - FanFiction Storica sull'Eccidio di Cefalonia.
AGGIUNTO IL SECONDO CAPITOLO.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Non vivere con la paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto.
 

 γλυκό ενόχληση
( Dolce Seccatura )

 

Capitolo Uno: 28  Gennaio 1943
L’inizio è un suono.

Booooom.
- Nee-san… ho paura… -
Temari strinse il piccolo terrorizzato fra le braccia, circondandolo col calore del suo corpo. Era inutile – e lo sapeva – ma sperava che il battito impazzito del suo cuore riuscisse a calmarlo.
- Andrà tutto bene, Gaara… andrà tutto bene… - 

Booooom.

Il rifugio sotterraneo tremava ad ogni esplosione. Briciole di terra crollavano dal soffitto, i barattoli impilati pazientemente sugli scaffali il legno minacciavano di cadere e rompersi a ogni vibrazione. I rumori  che penetravano dalla superficie erano spaventosi: crolli, esplosioni, raffiche di spari. Ma soprattutto, grida atterrite.

 Booooom.

 - Vogliono proprio distruggere tutto, eh? – esclamò Kankuro.
- Sta zitto, idiota – ringhiò la dolce sorellina bionda – Stai terrorizzando Gaara. –
Il bambino annuì, mostrando la lingua al fratello maggiore. Kankuro sorrise, accarezzando la testolina rossa del fratellino. Anche lui, come tutte le famiglie nel rifugio, cercavano disperatamente di nascondere l’angoscia che ogni esplosione creava. Era morto qualcuno che conoscevano? Oppure la prossima bomba avrebbe distrutto proprio quel rifugio? Qualcuno sarebbe sopravvissuto? E poi, cosa sarebbe accaduto?

Ma, soprattutto, quando tutto quell’orrore sarebbe finito?
Temari strinse ancora di più il fratellino a sé. Dopo la morte dei loro genitori nel bombardamento di qualche settimana prima, aveva il terrore di perdere anche i suoi due fratelli. Era l’unica famiglia che le restava. E Gaara aveva solo cinque anni, dannazione!

 Booooom.

 Silenzio.
- E’ finita. – sentenziò sollevato Kankuro.
Già. Era finita. Per ora.

 
Sei  Mesi dopo

 Finalmente, dopo giorni in cui il cielo sembrava un unico ammasso di nuvole grigie, il sole tornò a illuminare la piccola isola greca. Faceva un gran caldo, nonostante la primavera fosse iniziata da pochi giorni. Le pesanti piogge avevano rinfrescato l’aria, ma ormai l’effetto benefico era agli sgoccioli: il sole era tornato a  picchiare forte sulle rocce che costituivano la bella Cefalonia. E, nonostante la guerra fosse nel pieno del suo sviluppo, i rombi degli aeroplani inglesi erano  stranamente lontani. I vecchi dicevano che quella non era altro che una pausa, la calma prima della tempesta. Ma molte persone erano già tornate alla loro vita, ricominciando a dissodare l’arida terra. Gli alberi d’aranci e di limoni fiorivano, lasciando che il buon odore dei loro frutti permeasse tutta la terra. E l’isola, la loro bella isola, sembrava aver assorbito tutti i danni della guerra. L’acqua, una volta trascinati via tutti i detriti, era tornata limpida e azzurra, talmente trasparente da far intravedere il fondale. Le grotte incavate nei promontori sembravano ancora più belle, ora che non servivano più come rifugi antibombe. Si poteva assaporare la morbida sabbia dei golfi sotto i propri piedi senza vedere al largo una nave porta aerei nemica, i pescatori potevano uscire al largo con le loro traballanti barche senza rischiare di venire affondati. Gli animali si facevano di nuovo sentire e i loro versi riempivano di nuovo l’isola.
Temari s’asciugò la fronte, imperlata di sudore, e inspirò fondo. Era stanca, ma il lavoro non era ancora finito.
- Gaara, non ti allontanare troppo! – gridò, ma il bambino annuì sfuggente e seguì i suoi piccoli amici su per il fianco roccioso della montagna. Temari sbuffò, ma non disse nulla. Erano pochi i periodi in cui il fratellino poteva giocare spensierato, seguendo le capre fin sopra le rocce più alte dell’isola.
E lei…lei doveva fermarsi a metà strada. I panni non si lavavano con la terra della cima, ma con l’acqua del ruscello accanto al sentiero.
Dannazione, odiava essere donna.
Perché lei doveva lavare, stirare, cucinare… e invece voleva aiutare suo fratello Kankuro. Voleva aiutare il suo paese, combattendo di nascosto coi partigiani.
Buttò sgarbatamente il lenzuolo bianco nel cesto di vimini e afferrò, di malavoglia, la camicia del fratello. Lurida, come al solito. Prese il sapone e iniziò a sfregarla per bene; non sia mai che Sabaku no Temari facesse male un lavoro, qualunque esso fosse.
- Tsk – borbottò. Una macchia di sangue. Per fortuna che Kankuro non era rimasto ferito, l’ultima volta. Quello stronzo… non capiva che non dicendogli nulla la faceva preoccupare ancora di più?
E anche la camicia, una volta pulita, fece la stessa fine del lenzuolo.
-
γλυκό ενόχληση… buongiorno, seccatura. –
- la giornata non poteva andare peggio, capitano Nara. -

- Sei sempre così  incredibilmente acida, Temari. -
- Mah… dicono che le greche sono fatte tutte così –
Temari sorrise, guardando in volto il giovane soldato dell’esercito Italiano. Capitano Shikamaru Nara.
- E che dice, capitano, le piacciono le donne greche? – mormorò, alzandosi in piedi per mostrarsi in tutta la sua bellezza. Il sole alle sue spalle, che sottolineava le sue forme e illuminava i suoi caotici capelli, non faceva che esaltarla. La pelle bronzea scottata dal caldo sole Mediterraneo, gli occhi stranamente azzurri per l’isola in cui era nata. I capelli biondi scuri ma con striature quasi bianche che le attraversavano i meravigliosi ricci. Ultimamente – o almeno da quando Shikamaru l’aveva vista per la prima volta, nella piazza del paese - li raccoglieva in quattro disordinati codini. Lui amava quei quattro disordinati codini, perché regalavano alla padrona un’aria vagamente ribelle. E poi… lei. Anche se infagottata in un abito marrone lungo fino alle ginocchia, era sempre bellissima. Formosa, ma resa comunque snella dalle alture rocciose della sua isola natia. Una bellissima donna Mediterranea con gli occhi azzurro mare.
- Sei bellissima,
ενόχληση  - esclamò, meravigliato.
Temari si rabbuiò. – Sei Italiano – sottolineò.
- Così mi dissero. Ma un Italiano non è forse un discendente dei tuoi stessi antenati? Credevo che la Magna Grecia si chiamasse così per un buon motivo. -
- Sei un alleato dei Tedeschi! –
- Mah, alleato è Benito Mussolini, il resto dell’Italia non è molto d’accordo… -
 - Shikamaru… tu sei un soldato… -
- Ma il mio è un cuore contadino! -

Temari si morse un labbro – Tu non mi piaci. -
- Neanche tu, Seccatura – rise, baciandola su una guancia.
- Sparisci, Ιταλικά! -
Ma l’uomo rimase fermo dov’era, comodamente seduto sull’erba. Sorrise e, afferrandole un braccio, la costrinse a sdraiarsi accanto a lui. L’erba era morbida, ancora fresca di rugiada, la terra profumava di bagnato e di nuova vita.
- Dovresti rilassarti di più, Temari – mormorò sbadigliando. - Guardiamo insieme le nuvole. -
La bionda alzò lo sguardo, perplessa. Quel giorno c’era vento forte e il cielo era tutto un susseguirsi d’azzurro e di bianco. Quelle nuvole non stavano abbastanza ferme nemmeno per giocare a riconoscervi delle immagini al loro interno. Correvano e basta, sorpassando Cefalonia per lasciare posto al sole.
- Ma come diavolo fai! – sbottò, alzandosi a sedere. Dio, non riusciva a resistere più di cinque minuti a guardare quelle incostanti e giocose nuvolette. Se almeno la vita fosse stata così semplice…!
- Sei proprio figlia di quest’isola, sai? – ridacchiò l’Italiano – Tutta rocce e vento, incapace di stare ferma e tranquilla per più di dieci secondi. Ma quando imparerai a rilassarti? –
- Quando la guerra sarà finita e archiviata. – ribatté acida.
- Ecco che ricomincia… -
- Ricomincio cosa? – esclamò indignata Temari – Solo perché a te non interessa un benemerito nulla! I miei genitori sono morti per questa guerra, la mia terra è stata invasa da te e i tuoi compari, ogni giorno ho il terrore che Gaara o Kankuro spariscano per colpa di quei tedeschi! Tu, invece? Guardi le nuvole e non fai nulla per far smettere questo dannato strazio! Tu canti, balli, ridi; non hai la minima intenzione di pensare che non sia il momento giusto per farlo! –
Era arrabbiata, e si vedeva. Aveva parlato con foga, sputando con rabbia ogni parola. E ora respirava profondamente, per far sbollire tutta l’indignazione che di colpo era salita.
- E quand’è il momento giusto, quando la guerra sarà finita? – ribatté con calma Shikamaru. – Nel frattempo, dobbiamo solo disperarci e vivere nella paura di morire? Io non vivo con la paura di morire, e spero di morire con la gioia di aver vissuto. Non aspetterò semplicemente la morte senza essermi goduto tutto prima. Con la dovuta calma. – sottolineò – e per questo canto coi miei compagni, ballo e rido anche con i tedeschi e faccio la corte ad una greca. - E sorrise, abbracciandola da dietro. Aveva due belle spalle forti, questo Temari doveva ammetterlo. La circondavano completamente, dandogli quella meravigliosa sensazione di protezione e sicurezza. Quando lui l’abbracciava… le ricordava l’abbraccio di suo padre; lui, per calmarla e farle passare la paura, la stringeva forte, lasciando che immergesse la sua piccola testolina bionda nel suo petto. Quella meravigliosa sensazione… faceva sparire la scorbutica e arrogante Temari, lasciando trasparire quella parte di lei che tremava per la paura, che chiedeva protezione e conforto. Quella parte sempre nascosta dal suo smisurato ego.
Solo suo padre – e ora, anche Shikamaru – era in grado di farlo.
- E quando ci sarà da combattere, che farai? – disse, con la voce semi roca.
- Mi sembra ovvio, combatterò per te. – rispose lui, con semplicità.
- Per me? Non per il tuo paese? -
- Il mio paese mi ha spedito qui, in una guerra già persa in partenza. Quindi, direi che non ha bisogno di essere protetto dato che s’è inguaiato da solo. Tu invece, seccatura, ne hai bisogno, eccome! –
Temari sorrise. S’alzò di scatto, ritrovando il suo carattere abituale.
- E chi avrebbe bisogno di protezione, scusa? - gridò, saccente.
- Ah, le donne. Come sono prevedibili. – sbuffò il moro. Poi estrasse un piccolo foglietto dalla tasca e lo porse alla ragazza. – Toh, seccatura. Spero che verrai a questa nostra inutile festicciola. Che bisogno c’era di fare tutto ‘sto casino per fare una sorpresa agli abitanti di quest’isola… se prendo Naruto lo spenno vivo… -
Si era allontanato, lamentandosi, come al solito. Temari strinse quel minuscolo foglietto. C‘erano scritte poche parole:

Spiaggia, al tramonto. Sorpresa sorpresina per tutta Cefalonia.

Temari spalancò gli occhi, incredula. Sorpresa sorpresina? Chi era tanto… idiota da scrivere così?
Con uno sbuffo o buttò via il biglietto e riprese a lavare i suoi panni.
Ma tanto sapeva che ci sarebbe andata.

Temari si buttò stremata sulla logora sedia in paglia. Era tutto il giorno che lavorava. Non ne poteva più! Kankuro era seduto poco più in là, fumando la sua preziosissima sigaretta giornaliera. E Gaara giocava con il piccolo modellino in legno costruiti dal padre. Era un bellissimo cavallo, con delle ruote al posto degli zoccoli e un lungo fino per trascinarlo dovunque il bambino andasse.
C’era calma, era quasi incredibile. La lampada illuminava appena il piccolo porticato, lasciando quella penombra che rende speciali le sere estive. La casa dei Sabaku era molto distante dal paese. Costruita sul promontorio più alto della zona, proprio nel bel mezzo del piccolo boschetto che arrivava fino alla spiaggia. Lì c’era il panorama più bello di tutta l’isola; la scogliera si apriva in una grande baia altra quasi cinque metri, che sembrava circondare il mare e l’immensità dell’orizzonte.
- Gaara, non ti allontanare troppo! – gridò Temari. Badare a quel bambino era una vera impresa. Tenerlo lontano dai guai era letteralmente impossibile! Ancora si chiedeva come diavolo faceva sua madre a badare non a uno, ma a ben tre mostri iperattivi come loro. Kankuro ridacchiò. S’era proprio immedesimato alla perfezione nel ruolo di “capofamiglia”. Era quasi ironico, il modo in cui cercava di proteggere e comandare tutto e tutti; al limite dell’ossessione, si poteva dire. Però… però era incredibile: avere solo diciassette anni e sentire il peso di una famiglia intera sulle spalle non era cosa da poco, e questo sembravano capirlo tutti gli isolani.
Ispirò profondamente, inalando il fumo della sigaretta.
- Come va? – mormorò Temari. Kankuro rise, sapendo benissimo cosa voleva sapere la sorella.
- Alla grande. – ridacchiò.
- Dai, Kankuro! – sbottò, infuriata. – Scuciti la bocca! –
Tirò la sigaretta, sorridendo soddisfatto.
- Da qua! – ringhiò la bionda, afferrando la sigaretta e aspirando un lungo tiro – reggo anche meglio di te questa stupida sigaretta, quel tuo dannatissimo goccetto di grappa serale lo bevo con te e gestisco una famiglia esattamente come te! -
- Fai la baby-sitter a un bambino. –
- A due bambini. Ti devo ricordare che lavo anche le tue, di mutande? –
Il ragazzo rise, ma tornò subito serio. – Lo sai, Tem. Non dovrei nemmeno nominare i partigiani. –
- Ma che scatole! Segreti, segreti e segreti! La verità è che sono una femmina… -
- … una femmina che civetta con un Italiano. – concluse acido Kankuro.
Temari ingoiò il colpo. Non era la prima volta che Kankuro tirava fuori questo argomento. Odiava i tedeschi, e ancora di più gli italiani. Li chiamava “i cani” perché avevano vinto in Macedonia solo grazie all’arrivo dei tedeschi e avevano invaso Cefalonia per merito altrui. E, prima di tutto, avevano ucciso un sacco di suoi amici partiti per quella guerra.
- Mi sembra che ne abbiamo già parlato. –
- Sì, ma tu continui a vederlo. –
- Non mi puoi comandare.
- E io non posso dirti nulla sul gruppo. –
E, come da copione, scendeva un ostinato silenzio.
- Ma perché cavolo non capisci? – ringhiarono insieme.
- Cosa, non capisco? – sbottò furioso Kankuro – non capisco perché mia sorella si comporta come una puttana con un invasore? Non capisco le malelingue del paese? Non capisco che, in questa situazione così fragile, la prima a rimetterci potresti essere tue  proprio per mano dei tuoi stessi compaesani? -
Temari inspirò a fondo. – Non capisci e basta. Non capisci che è quello stronzo che mi gira intorno e… -
- E allora perché non dirgli che non lo vuoi più vedere? Sei in grado di essere molto diretta, quando vuoi. -

Colpo basso.
- Yuuichi l’hai dimenticato così in fretta? –
Colpo basso, molto basso.
- Come osi? – ringhiò, furiosa. – Come osi?
- Oso e basta. Perché mi sembra che tu stia dimenticando che sei greca. –
Temari strinse i pugni fino a sbiancare le nocche. Tenne la testa bassa, per impedire che il fratello vedesse le lacrime e la colpa che le sgorgavano da dentro. Il corpo tremava, sia per la rabbia che per il disgusto che provava per se stessa. –
- Sei uno stronzo. – sibilò, non sapendo che altro dire. Si voltò e scappò via.

La casa più vicina che Temari conoscesse era quella degli Haruno. O meglio, dell’Haruno, l’ultima rimasta.
Dio, quanto si odiava.
Detestava quella parte di sé che cercava disperatamente amore e disprezzava quell’altra che invece le urlava che non era giusto dimenticarsi così in fretta di chi aveva perso. Si odiava perché desiderava essere morta con loro. Detestava non trovare nessuna ragione per vivere nonostante ci fossero ancora tante persone che le volevano bene.
Ma, soprattutto, si odiava perché sentiva di prendere in giro quel bell’Italiano.
E non c’era nulla che le facesse più male.
Con un gesto rabbioso si asciugò le lacrime. Ecco, si odiava perché non sapeva far altro che piangere! Proprio come un’inutile donna. Aveva ragione, Kankuro a impedirle di entrare nei partigiani greci!
Mollò un fortissimo calcio alla pietra più vicina, urlando come una matta per far uscire tutta la frustrazione.
- Temari? – Doveva aver fatto molto baccano. La finestra della casa più vicina s’era illuminata, e una voce più che stupita aveva constatato la sua presenza. Rumore di passi che scendevano frettolosi le scale e, poi, la fiamma di una candela che compariva nel piccolo cortile.
- Tutto bene? – mormorò dubbiosa Sakura. La guardava stupefatta. Nella fretta di correre il più lontano possibile, Temari aveva ignorato qualsiasi cosa le si parasse davanti. I capelli erano scompigliati, ancora più disordinati del solito. Qua e là dei rametti e delle piccole foglioline s’erano incastrate fra i riccioli. Il vestito era infangato in più punti e le ginocchia scorticate. Doveva essere caduta parecchie volte.
- Volevi terrorizzare gli scoiattoli? – ridacchiò la rosa, aiutandola a sedersi. Temari le mostrò la lingua, scocciata. Ma non rifiutò la sua ospitalità né il disinfettante o le fasciature pulite.
- Ahia… - sbottò, quando le toccò il ginocchio.
- Che brutta caduta. Ma, stare più attenta, no? Potevi spaccarti il ginocchio! –
- Sei tu il medico, no? –
- I medici non fanno miracoli – ringhiò in risposta la ragazza.
Prese un batuffolo imbevuto di acqua ossigenata e tamponò con decisione la ferita, ignorando le proteste dell’amica.
- Cos’ha detto Kankuro, stavolta? – mormorò poco dopo, quando finalmente Temari diede segni di essersi calmata.
- Yuuichi… - bisbigliò appena lei. Quasi le faceva male dirlo.
- Ancora! – urlò infuriata Sakura. – Quel bastardo! –
- Ehi, piano, è sempre mio fratello! Uno stronzo senza palle, ma mio fratello! –
- Scusa. Ma tutte le volte che non sa cosa tirare fuori ritorna sulla questione Yuuichi. Ok, era il suo migliore amico, ok che eravate una meraviglia insieme… -
- Questo non mi aiuta… - sussurrò seccata Temari.
- Ma è morto. Da quasi due anni, ormai.– concluse la rosa – sepolto, andato. Per quanto tempo vuoi che ti impedisca di vivere, Tem? –
- Ma… -
- Per quanto tempo vuoi ancora desiderare di essere assieme a loro? – continuò, spietata.
- Non lo so, dannazione, non lo so! - ringhiò. – Però è difficile, cazzo! Soprattutto con quello stronzo che continua a ricordarmeli! –
- Sicura che sia colpa di Kankuro? – domandò Sakura – Non è che invece sei tu ad aver paura di… riprendere il controllo sulla tua vita? Paura di trovare qualcosa oltre alla guerra? –
Temari rimase in silenzio. Dio, quando voleva Sakura sapeva arrivare al punto.
- Paura di… amare ancora? –
Silenzio.
- Shikamaru sembra averlo capito, sai? – sorrise, colpendo in pieno le difese della bionda.
Silenzio.
- Cazzo, Sakura. Sei un mostro. – rise Temari. – Sembri tanto docile e indifesa, però…! -
- Potere degli Haruno! –
E risero a crepapelle.
- Guarda! – esclamò all’improvviso Sakura, piazzandole una mano davanti agli occhi. Sull’anulare c’era un anello, che brillava nonostante l’oscurità. Una pietra piccola, ma che sapeva farsi notare per la bellissima trasparenza.
- Un…anello! – disse senza fiato la bionda.
- Già – mormorò Sakura, accarezzandolo con amore. – Me l’ha dato…Sasuke. –
- Sasuke?! – esclamò stupita Temari. Oh, quelli si che erano guai. Sasuke era tedesco.
- Ti prego, non farmi la ramanzina pure tu! –ringhiò la rosa, alzandosi di scatto. – Non mi interessa se è tedesco. Io amo un tedesco, e sono pronta a urlarlo al mondo intero! –
Silenzio.
- Sono felice per te – esclamò Temari, sorridendo entusiasta. E lo pensava davvero.
- Oh, Tem! – strillò la rosa, abbracciandola.
-Ehi, piano, piano! A proposito, hai sentito della “festa” di domani degli Italiani? –

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Ops... XD mi sono dimentica di mettere i "commentini dell'autore."

Beh, questa fic era nata inizialmente per partecipare al contest "Aforismi di Jim Morrison" . Dovevo scegliere un'aforisma e scriverci la Fic. L'aforisma è la prima frase; vi piace? ho fatto bene a sceglierlo? ^O^

Il tema è un po' forte, vi avverto; durante la seconda guerra mondiale, gli Italiani furono mandati nei vari territori senza le dovute e adegaute munizioni; spesso e volentieri venivano considerati "giullari" più che "conquistatori". Il problema ha iniziato a sussistere quando il generale Badoglio sostituì Mussolini... perchè gli Italiani (soprattutto quelli in Grecia) si ritrovarono in mezzo a amici diventati nemici e viceversa...

Uno storia bellissima per una coppia altrettanto bella^O^

Commentate, è tutto quello che vi chiedo^O^

Saya

  
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