Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early
Summer Girls
Capitolo 2
Quando tutto è nuovo, anche tu ti rinnoverai
Ed il giorno tanto
atteso finalmente arrivò, con un mattino di sole cocente.
Appoggiata sopra la
scrivania stava la seconda conferma delle cinque prescelte. Leggendola
e
rileggendola tutte le volte che le capitava sotto gli occhi, Iris si
rendeva conto
di aver fatto uno sbaglio.
Sentiva che qualcosa
dovesse andare storto: quando doveva barrare la casella per accettare
la
partecipazione e firmare con la sua calligrafia inclinata non le aveva
lasciato
un tremore alle mani intenso quanto l’afferrare la maniglia
dell’armadio.
E tutto iniziava da
lì, in quella camera: come si sarebbe dovuta vestire?
L'abbigliamento era
il suo ultimo pensiero quotidiano, eppure aveva concepito l'idea che un
Allenatore di successo dovesse vestirsi in una certa maniera, in modo
che tutti
lo riconoscessero in mezzo ad una folla di semplici dilettanti e lo
ricordassero come un modello da imitare.
Il concetto di
basarsi soltanto sull'immagine per dimostrare il suo valore era
un'idiozia, lo
sapeva. E allora lei era la prima degli idioti, quando a tavola
chiamava le
varie personalità del mondo delle lotte “tizio dai
capelli ics” o la “signora
(che era qualsiasi donna oltre i 25 anni) con il vestito ipsilon" in
attesa che fosse suo nonno a ricordarle.
«Quelle diciture
stanno bene nei problemi di
algebra, non per appellare persone con una serie di vittorie il triplo
più
lunga della tua.»
Sicuramente le altre
Allenatrici non si erano poste il suo problema: loro già
avevano un'immagine ed
una carriera, mentre lei era solo una nullità venuta dal
caso.
«Devo
essere me stessa.»
Si ripeteva invano.
Ancora si chiedeva perché Nardo avesse scelto proprio lei.
«Inutile
darsi arie. Sono uno zero, non posso nasconderlo.»
Iris si
lanciò sul
letto, schiacciando il viso contro il cuscino. Sentiva di aver perso. Senza neppure
combattere, senza conoscere le sue avversarie, a dispetto del suo amore
per le
lotte e per le sfide. Non si sentiva degna di essere chiamata
"Allenatrice".
Axew le
saltò fra i
capelli, solleticandole leggermente la testa, come faceva sempre per
consolare
la sua piccola amica; la ragazzina lo abbracciò forte, per
sfogare nel piccolo
draghetto la frustrazione che la stava divorando.
«Andiamo.
Se faccio
tardi farò una figura orribile.»
Si disse, indossando
i suoi abiti casual ai quali non avrebbe rinunciato solo per
trasformare la sua
immagine in quella di un'estranea che contasse solo un poco
più di lei: la
maglia larga di colore giallo pallido, nelle cui maniche aveva lo
spazio per
tenere le sue Poké Ball, la gonna rosa, che le donava un
pizzico di femminilità
e le scarpe da ginnastica preferite sarebbero bastate a farla sentire
chi
voleva essere: se stessa al massimo del proprio potenziale.
«Vado.»
Si limitò a
dire questo per salutare Aristide, presa dalla tensione di quegli
istanti
fatidici.
«Essere
Campioni non
significa solo lottare. Ricordatelo, cara.»
Le rispose l'anziano
Domadraghi, per fornire una perla di saggezza alla sua”
nipotina”, che in quel
momento era più cresciuta che mai.
Iris
sembrò ignorare
quel consiglio; alle sue orecchie pareva insensato e privo di logica.
«Ma
non sarà uno di quei consigli che i vecchi danno per
incasinarti la vita ma che
ti tornano utili quando sei nei guai fino al collo?! Almeno spero che
sia
così...»
❁
Il cammino per la
Lega Unima non era più impervio e difficile: la vecchia Via
Vittoria era stata
chiusa e un passaggio più agevole collegava la
città di Boreduopoli con la
Lega.
In poco tempo Iris,
in tutta la sua piccolezza, si ritrovò davanti l'edificio
più maestoso che
avesse mai visto in vita sua: un'enorme scalinata introduceva gli
sfidanti a un
ampio padiglione dorato, che si ramificava in quattro scalinate
(dovevano
condurre alle stanze dei Superquattro).
Le pareti ritraevano
dipinti con scene di lotte, vittorie e sconfitte di chi aveva lanciato
la
stessa sfida prima di lei e delle altre ragazze, contribuivano a
rendere quel
posto talmente spettacolare che a stento si riusciva a distaccarvi lo
sguardo:
il Campione doveva averla progettata così per far sentire
gli sfidanti che vi
entravano infimi ed insignificanti. E l'effetto aveva rivelato la sua
efficacia
su Iris, che non si era mai sentita così piccola e impotente.
Salita la gradinata,
la ragazzina riprese fiato: stupore, paura e curiosità si
mescolavano nel suo
cuore, sentiva esploderle nel petto. Dopo poco capì di non
essere sola, o
meglio, la sola: due ragazze, sicuramente più grandi di lei
di qualche anno,
erano sedute a ridosso dell'enorme statua che si erigeva nel centro
dell'aurea
sala.
Iris, in silenzio, le
analizzò attentamente, spinta da forte curiosità:
una si mordicchiava
nervosamente le unghie, fissando lo schermo del cellulare; aveva
capelli rosso
fuoco un po' disordinati legati in una coda sul lato, la carnagione
abbronzata
simile alla sua ed uno sguardo preoccupato, che però
lasciava intravedere
un’espressione gentile dietro due grandi occhi azzurro cielo.
Iris aveva voglia di
andarle a parlare, almeno di potersi presentare. Ma dovette resistere,
seppellire la sua indole di bambina curiosa e nascondersi dietro la
freddezza
ed indifferenza di un'Allenatrice adulta.
«Ma
a quindici anni... Si è già adulti?» Pensò.
Cercò di
focalizzarsi
sull'altra, che pareva l'esatto opposto della rossa: capelli neri -
tinti
probabilmente - con una singolare acconciatura che somigliava ad un
semplice
taglio corto, se non per due lunghi ciuffi che le ricadevano lungo le
spalle,
arricciati vagamente come una saetta o un tuono.
Un'altra cosa che
Iris non poté fare a meno di notare era l'abbigliamento
delle due giovani: una
tuta di colore azzurro, molto attillata, che copriva il petto della
rossa,
lasciando scoperta la pancia, e il top color argento della mora, con
una
scollatura che lasciava intravedere il seno in maniera intrigante ed
esibizionista.
La ragazza, dalla
pelle bianca e diafana, continuava a sistemarsi il mascara, guardando
superba
il suo riflesso nello specchietto, come se fosse inconscia del fatto
che
intorno a lei ci fossero altre persone.
«Chissà
perché so già chi non sopporto... Il tipo di
persona che ha almeno due Pokémon
rosa in squadra e si fa insegnare le mosse dal suo fidanzato, ma cosa
ci fa
qua? Almeno non sono io quella presa peggio…»
Pensò
Iris,
continuando a fissarla con aria incuriosita e disgustata allo stesso
tempo.
Ma appena la mora
sentì che qualcuno la fissava con così tanta
presunzione, chiuse violentemente
lo specchietto e fulminò Iris con lo sguardo più
freddo e accusatorio che la
ragazzina avesse mai visto.
Incrociare i suoi
occhi la spaventò a morte.
«La smetti
di
fissarmi, ragazzina?!»
La mora le
graffiò
l'autostima con quelle parole velenose. Le fece stringere le palpebre
per un
attimo, un sollievo nel dischiuderle e ritrovarla impegnata con il suo
trucco,
lontana dalla sua visibile paura.
Iris sentì
il sangue
gelarle nelle vene: sarebbe sopravvissuta contro avversarie che
avrebbero fatto
di tutto pur di metterle i piedi in testa?
Una voce maschile
chiamò le tre ragazze, non per nome, disse semplicemente:
«Entrate».
Un ascensore era
nascosto sotto la statua al centro del padiglione: dopo essere sceso di
un paio
di piani, una grande scalinata di marmo si erigeva di fronte a loro.
Lei e la rossa
continuavano a fissare tutto con immenso stupore; la mora invece,
sembrava del
tutto indifferente, come se avesse visto di meglio nel corso della sua
vita.
«Benvenute,
aspiranti
Campionesse!» Le accolse Nardo, che stava in cima alla
gradinata di fronte a
loro.
Quella scala...
Doveva rappresentare il loro cammino, lungo e impervio per diventare
ciò che
sognavano.
E salire fino in cima... Il privilegio di guardare tutti dall'alto, di
poter
sottovalutare i propri nemici, di potersi sentire grande...
Persa nei suoi
pensieri, Iris notò con sorpresa che a loro tre si era
aggiunta un'altra
ragazza.
Cercò di
non fissarla
a lungo, per evitare di scatenare in ella la stessa reazione della mora
di un
attimo prima: dimostrava più o meno vent'anni. Aveva capelli
mossi e lunghi,
color biondo chiarissimo e il loro dolce profumo di vaniglia li rendeva
i
capelli più belli che Iris avesse mai visto.
Non riuscì
a
guardarle bene tutto il viso, perché la sua attenzione era
stata catturata
dagli occhi di lei: non erano i classici occhi profondi che attirano
l'attenzione
con i loro riflessi di luce, di questi ne aveva visti miriadi nei film
e nelle
pubblicità; erano occhi vitrei e vuoti, che quella teneva
quasi socchiusi, in
un’espressione che non faceva trasparire alcun sentimento.
E Iris ne era
alquanto spaventata, anche se continuava a fingere un atteggiamento
calmo e
rilassato, come le sue avversarie.
A ridestare la sua
attenzione fu la prorompente voce di Nardo.
«Ragazze...
Sono
commosso. Sapevo che nessuna di voi avrebbe rifiutato questa
possibilità. Vi
chiederete perché proprio voi. Ma questa non è la
domanda a cui ho intenzione
di rispondere. Infatti voglio spiegarvi cosa dovrete fare se vorrete
arrivare
quassù, dove sono io...»
«Questi
discorsi non mi fanno paura...» Pensò
Iris, assaporando quel retrogusto di pericolo e di sfida che si celava
dietro a
quelle parole.
Ma le azioni del
vecchio Campione contrastavano totalmente con i pensieri della ragazza:
alle
sue spalle un enorme braciere d'improvviso si accese e la sua ombra era
proiettata
al cospetto delle ragazze: grande, nera e minacciosa danzava tra le
fiamme
rosse al suono di una risata spaventosamente potente.
«Mi
correggo, questo fa paura!» Riuscì
a
ribattere la ragazzina, in preda a quell'improvviso spavento. Tutte le
ragazze
avevano già avvertito che la loro sfida per diventare
Campionesse non sarebbe
stata semplice.
«Non fatevi
alcuna
illusione! - Riprese Nardo - non dovrete combattere l'una contro
l'altra. Non
osate neppure considerarvi "avversarie"!
Le regole sono
semplici:
vi sottoporrò a una serie di prove di lotta di vario genere:
in singolo, in
doppio, multipla... E a prove di altro tipo. Vi insegnerò
tutti i trucchi e le
nozioni per essere in grado di guidare una regione e allo stesso tempo
di
eccellere nella lotta.
Alla fine della
stagione vi scontrerete l'una contro l'altra nel Torneo Regionale di
Unima
Femminile, che per ragioni di tempistica potrete abbreviare con la
sigla TRUF,
e da qui sarà decretata la nuova Campionessa in carica da
quest'anno.
Non conoscerete alcun
risultato dalle
vostre prove e per evitare che tra di voi vi siano contrasti e
rivalità sarò io
stesso giudice e arbitro di ogni prova e siete tutte e cinque molto
belle e
dotate, non farò alcun favoreggiamento.
Detto
questo...»
Nardo si interruppe bruscamente.
A causa della
vecchiaia doveva aver dimenticato cosa dire; è normale,
quando si deve
formulare un accurato discorso d'incitazione o si ha di fronte ben
quattro
ragazze in età prematura.
«Detto
questo...» La
rossa cercò di invitarlo a riprendere il senso della frase.
«Questo lo
ha già
detto.» Ammise con aria sarcastica la mora, che tratteneva a
stento una risata
di commiserazione.
Se è vero
che quattro
secondi bastano a creare imbarazzo, il momento aveva già
perso la sua serietà
da un bel pezzo.
«Nardo, non
mi hai
ancora presentata a queste adorabili ragazze. Mi dispiacerebbe passare
inosservata.»
Una voce femminile,
profonda e dolce ravvivò immediatamente il calore perduto
con il gelarsi
dell'atmosfera.
Più che ad una ragazza sembrava appartenere ad una donna.
L'attenzione delle
quattro ragazze era stata attirata come da una calamita: scendendo la
gradinata
con passo leggero e aggraziato, si avvicinò a loro.
Continuava a
sorridere, scostandosi i lunghi capelli biondi dal viso, con un gesto
perfetto
della mano.
A vederla da vicino
pareva finta; era abbastanza bella da aver attirato l'attenzione di
tutte e
quattro le giovani, che non riuscivano a staccarle gli occhi di dosso.
Iris si
sentì avvolta
dalla sensazione più strana della sua vita, che superava
anche la frustrazione
e l'imbarazzo degli attimi precedenti: sentiva le mani sudarle,
tastando con le
dita gocce calde che scendevano lungo i palmi bagnati.
Avrebbe voluto dirle
qualcosa ma, in quel posto esageratamente grande, di fronte ad una
persona così
importante si sentiva troppo piccola perfino per proferire parola.
Si limitò
a fissare i
suoi occhi: grigio platino, lucenti come gocce di rugiada al sole, dai
lineamenti perfetti e naturali. Sul viso non sembrava
avere make-up, cosa di cui si
compiacque parecchio, dato che neppure lei si truccava.
«Sono
Camilla Kuroi, Campionessa della regione di Sinnoh. Non
parteciperò
effettivamente a questa competizione: semplicemente vi
aiuterò nel vostro
cammino grazie ai miei anni di esperienza. In poche parole
sarò la vostra
leader.
Sarà un piacere per me lavorare con delle ragazze carine
come voi.»
Iris la fissava, come
tutte le altre del resto, ma con la sensazione di aver tralasciato
qualcosa.
Lo sguardo della
ragazzina fu attirato da altro: abbassando il viso, le sue voglie di
bambina
vennero represse da uno stimolo adulto, che la spingeva a non staccare
le
pupille da una visione tanto dolce quanto oscena.
Si sentiva spaventata, non più dalla ragazza che aveva di
fronte, ma da se
stessa e dalle sue voglie irrefrenabili e perverse.
Iris chiuse gli occhi
per un secondo, cercando di dimenticare ciò che aveva fatto,
anche solo
vagamente. Era lì da neanche poco tempo e già si
stava trasformando.
«Cosa
cavolo ho appena fatto? Nulla, ho... solo guardato per un secondo,
senza
toccare. Toccare sarebbe... -
Continuava a bisbigliare agitata nella sua mente, come se le altre la
potessero
sentire e giudicare come perversa. - Eh?! Basta,
basta, basta... Non è
successo niente e non succederà niente.»
Iris tirò
un sospiro
di liberazione, cercando quasi di esalare quegli attimi di paura ed
agitazione.
Con un briciolo di ottimismo, provò a ribaltare la
situazione a suo vantaggio,
per trovare una giustificazione alle sue gesta assolutamente
paranormali.
E ci
riuscì.
«Se
ho sentito il desiderio di vederle il seno... Significa che non sono
più una
bambina... Si! Diventerò più grande.
Diventerò più forte... Diventerò
più
adulta.»
❁
Ed eccolo, il
fatidico momento.
La tensione era
paragonabile a quella di un primo giorno di scuola: nuove compagne,
completamente sconosciute, dalle quali non si poteva prevedere alcun
gesto o
alcuna risposta. Bisognava solo essere se stessi.
Ora che erano sole,
loro cinque, come se il destino avesse voluto far incontrare proprio
lì e
vederle crescere insieme, essere loro stesse sarebbe stato difficile
per tutte.
Infatti nessuna
proferiva parola. Solo un lungo e vuoto silenzio riempiva la sala.
Per un'ultima volta
Iris, confidando in tutto il suo coraggio, cercò di capire
chi avesse di
fronte: una mora sarcastica e viziata, una rossa che sembrava
determinata ma
nascondeva un velo di paura dietro ai suoi occhi azzurri, e due bionde:
una
disinteressata e assorta, ed un'altra che sorrideva con orgoglio alle
sue
apprendiste.
E lei: una ragazzina.
Ma non trovava gli aggettivi adatti a descrivere chi fosse.
«Sono
solo una ragazzina.» Iris giunse
a questa conclusione solo perché
la mora esibizionista le aveva sputato quell'etichetta in viso pochi
minuti
prima.
Ad interrompere le
sue riflessioni fu la voce della ragazza dai capelli rossi che, con
chissà che
coraggio, si era sforzata di sorridere e di presentarsi per sciogliere
quell'atmosfera gelida come il ghiaccio.
«Io mi
chiamo Anemone
Reyez. Ho diciassette anni e sono Capopalestra a Ponentopoli... Se la
conoscete. Piacere.»
Si era limitata
all'essenziale, non avrebbe potuto fare altro.
L'unica che
sembrò
ricambiare la presentazione fu la bionda sorridente che le diede due
baci sulle
guance come atto di gentilezza, ridendo dolcemente per ricambiare il
suo
coraggio.
«Il piacere
è mio.»
La accolse calorosamente.
Ora era il momento di
farsi avanti.
Iris raccolse in un
intrepido respiro tutta la sua audacia, ricordandosi che anche le sue
compagne,
per quanto autoritarie e fredde potessero sembrarle, erano umane e
quindi
potevano, anzi dovevano, serbare un po' di ansia, o la situazione
sarebbe
rimasta bloccata a quel gelido silenzio in eterno.
«Il mio
nome è Iris
Calfuray, piacere di conoscervi. Ho quindici anni e vengo
da...»
Iris si interruppe un
attimo, per decidere che dire, per decidere che impressione dare a
quelle
ragazze. Avrebbe davvero rivelato le sue origini? Voleva che le sue
avversarie
la commiserassero? E se invece di commiserarla se ne fossero altamente
fregate,
o peggio, l'avessero derisa?
Non serviva una
bugia. Una mezza verità sarebbe bastata a coprire quella
parte di lei che
riemergeva con ogni genere di ambiguo pretesto.
«...
Boreduopoli. Non
sono ancora un'Allenatrice qualificata ma - e qui una frase ad effetto
ci stava
proprio bene - spero di diventarlo.»
Ovviamente Camilla la
accolse con i classici baci sulle guance, il premio che Iris si
aspettava dopo
aver dimostrato il proprio coraggio, nel suo piccolo.
«Quindici
anni...
Come sei giovane! Sei la più piccola del gruppo,
sai?»
Iris non riusciva ad
essere sarcastica, a risponderle un secco "grazie,
fin lì c'ero
arrivata anch'io".
Non stava parlando con una ragazzina come lei, ma con una donna bella e
fatta
alla quale poteva solo portare rispetto (e quindi evitare di farsi trip
mentali
in sua presenza).
Ora l'atmosfera era
più calda. Non ancora calda come una coperta di lana, ma non
più fredda di un
blocco di marmo, una situazione già più piacevole.
Camilla la ispirava
davvero
tanto. Se voleva davvero diventare Campionessa lei era il modello
giusto da
seguire. E magari sarebbe potuta perfino diventare sua amica, con un
briciolo
di fortuna.
Ma, come in tutte le
situazioni non totalmente calde, ancora si sentiva un pizzicante
refrigerio
nell'aria.
Infatti la mora e la
bionda spenta non avevano ancora proferito parola, ma non per via
dell'ansia: i
loro volti (uno sorrideva perfidamente, mentre l'altro non lasciava
trasparire
alcuna emozione) non parevano umani. Gli umani percepiscono il caldo ed
il
freddo e la felicità, l'ansia e anche la paura.
Camilla
camminò
davanti ad Iris con il suo passo deciso, porgendo una mano alla ragazza
vuota,
che sembrò stupita e un po' disturbata dal gesto della
Campionessa di Sinnoh.
«Catlina,
dovresti
presentarti anche tu. Sono certa che queste ragazze sarebbero molto
contente di
conoscerti.»
Iris si
sentì un po'
turbata da quell'affermazione. Si sentiva invadente, anche se non
poteva averne
colpa. Del resto, prima o poi avrebbe dovuto conoscerne almeno il nome.
Camilla si rivolse di
nuovo a lei e alle altre due ragazze.
«Io e lei
ci
conosciamo già, veniamo entrambe da Sinnoh. -E sorridendo
alla bionda, che
sembrava innervosita e imbarazzata allo stesso tempo, la
invitò a farsi avanti.
- Siamo amiche d'infanzia.»
«S-Sì...
- la giovane
si bloccò un attimo, per riprendere respiro da quella
situazione snervante -
Sono Yamaguchi-Haato Catlina, lavoro qui alla Lega, piacere di
conoscervi.»
Ancora Iris non aveva
capito.
Non capiva
perché avesse
così tanta paura di presentarsi, perché
continuasse a guardare tutti con quello
sguardo spento e annoiato, perché i suoi capelli
continuassero ad accarezzarle
il naso con quello strano odore di vaniglia.
Non capiva neppure
come facesse una ragazza aperta e gentile come Camilla ad essere stata
amica di
un cadavere parlante del genere...
Ma nessuno
è se
stesso nei momenti gelidi. Se avesse aspettato di vederla in un altro
stato era
sicura che sarebbe stata diversa.
«Hai dei
capelli
bellissimi, Catlina.» Disse la ragazzina, imitando la tattica
che aveva usato
Camilla su di lei.
E quella non si
dimostrò del tutto insensibile, del resto.
Le tornò indietro un "grazie", in un misto fra il nervosismo
e
l'imbarazzo.
Interessante. Iris non poté non pensarlo.
Ora ne mancava una;
mancava la più tosta però.
Iris si sentiva
forte: due su tre già la consideravano una a posto, ed era
un buon risultato
per una che era partita con il presupposto di non potercela fare.
Scambiò
un'occhiata
con Anemone, intendendola al volo (o almeno sperando di avere inteso,
altrimenti avrebbe solo fatto la figura della stupida), e si diresse
davanti
alla ragazza mora, che non smetteva di sorridere nascondendo a fatica
quanto
ritenesse in realtà tutto ciò patetico.
«Vorrei
sapere che ci trova da ridere... Ma del resto il riso abbonda sulla
bocca degli
stolti...»
Pensò
Iris, cercando
forza nella saggezza. Un make-over totale di trucco e capelli non
poteva
arrivarle in dieci secondi, ma era comunque abbastanza tempo per
elevarsi per
intelligenza rispolverando armi usate da generazioni di ragazzine
insicure.
Iris aveva bisogno di
forza morale per affrontare gli occhi di quella ragazza, quegli occhi
che prima
l'avevano trucidata e che continuavano a perforarle la pelle,
paralizzandole le
membra.
Almeno con lei c'era
un'altra, che doveva essere immune alle sue prepotenze, e quindi le
avrebbe
garantito sicurezza, come quando si affronta un bullo non con qualcuno
più
grande, ma uguale all'ostacolo.
Iris provò
ad
attaccare bottone, con la frase più lecita in quel momento.
«Ciao.
– la salutò
dolcemente, cercando di dimostrare una minima felicità nel
conoscerla - Tu
sei...» Cercò di invitarla a risponderle.
Grave errore. Grave,
gravissimo errore.
Tutte le ragazze,
persino Camilla, si erano accorte dello sbaglio enorme, del crimine
contro la
persona, dell'oltraggio al mondo adulto che aveva involontariamente
commesso.
Una ragazza libera e
ribelle come Iris, che viveva le travagliate vicende dell'adolescenza
in bilico
tra una bambina ingenua e un'adulta emancipata non poteva leggere
riviste,
stare sui social network o chattare: ma la mora non sembrava averlo
capito;
come dice il proverbio, non conoscendo poteva solo disprezzare e per
farlo si
sarebbe servita della sua arma migliore: i suoi occhi azzurri.
«Davvero
non sai chi
sono? È un po' strano, vedendo come mi fissavi
prima...»
Ecco che iniziava con
una delle sue freddure, che potevano abbattere anche un muro.
«S-Scusa,
abbiamo
iniziato con il piede sbagliato - cercò di scusarsi chinando
leggermente il
capo la ragazzina, che era tornata a sentirsi piccola ed impotente con
una sola
frase - ti chiedo di perdonarmi. Mi chiamo Iris, piacere.»
«Riesco
quasi a
toccare la paura che provi in questo momento, - rispose guardandola
dritto
negli occhi, fingendo di tastare qualcosa di astratto con la mano - se
fossi
davvero dispiaciuta scoppieresti a piangere. Miliardi di mie fans lo
fanno
quando glielo chiedo.
...Almeno quanto
detesti il fatto che tutte le ragazze in questa stanza abbiano le tette
più
grandi delle tue.»
Solo sentendo quella
frase, Iris era letteralmente morta nell'animo.
Quelle parole erano state definitivamente crudeli, aveva ragione quella
ragazza, erano così dolorose che stavano per farla piangere.
Quella modella l'avrebbe schiacciata come un Rulloduro.
«Non
è divertente,
smettila di comportarti come se fossi in una anime.» Anemone
si pose con
scioltezza davanti alla modella, come per difendere Iris.
La rossa non avrebbe
permesso che tra le due nascesse un'antipatia che si sarebbe protratta
fino
alla sfida finale: sapeva benissimo che una ragazzina non
può competere contro
le elaborate, spietate e pesanti offese che quella mora sapeva lanciare.
Perché
sì, Anemone
aveva avuto l'occasione di leggere in una rivista di quella ragazza dai
capelli
nero tinto.
Camelia si fece
più
seria. Si avvicinò alla rossa, sorridendole beffarda come se
quella avesse
assestato un colpo assolutamente nullo.
«Sta' zitta
tu. I
tuoi vestiti valgono la metà di te, io mi farei delle
domande.»
Anemone si
paralizzò,
come un Tipo Volante colpito da una forte scarica elettrica... Si
notava così
tanto che i suoi vestiti erano di seconda mano?
Continuò a
fissarla,
sperando di non essersi messa ancora contro la persona sbagliata.
Sarebbe stata una gara di sguardi ed avrebbe vinto chi avesse ridotto
l'altra a
distogliere lo sguardo per l'umiliazione.
Iris però
era stufa.
Non voleva farsi odiare.
Lo aveva detto anche Nardo che non erano avversarie, ma compagne.
E l'intervento
salvatore di Camilla glielo fece ricordare.
«Sei
Camelia Taylor,
la top model più famosa di Unima... Vero? - domanda
retorica, non sapere chi
fosse lei era pari a non sapere chi fosse Arceus - Dovresti accettare
le scuse
di questa ragazzina. Non credo avesse cattive intenzioni, mi sembra
troppo
giovane per pensare a quel genere di cose. Per favore riflettici, non
intendeva
insultarti.»
Iris non aveva
seguito tutto il discorso, si era fermata a "quel genere di cose",
chiedendosi se Camilla fosse troppo ingenua per considerarla una
pervertita o
se fosse lei un'ottima attrice.
Ma era certa di una
cosa: Camilla le aveva salvato la pelle. Ancora.
E spettava a lei completare l'opera, considerandosi definitivamente
un'ottima
attrice.
«Scusami
tanto. Se ti
fissavo - iniziò, con tono adulatore - è
perché sei molto bella... I tuoi fan
te lo avranno già fatto notare, ma io ti ho conosciuta solo
adesso e già ti
ammiro molto. Se sei così attraente d'aspetto, sarai anche
un'Allenatrice
fortissima...»
E lì si
interruppe,
ansiosa di vedere la reazione della tanto divina quanto fredda Camelia.
«E va bene,
ti
perdono. - e sorridendo sarcasticamente ancora una volta - Del resto,
sei più
piccola di tutte noi. In tutti i sensi... - poi si rivolse alle altre
tre
apertamente - non è vero?»
Poi la modella si
girò, accarezzandole con la punta delle dita la guancia:
sentire quel tocco
caldo sul viso la fece leggermente rabbrividire.
Quali
potessero
essere le sue intenzioni, cosa volesse trasmetterle con quel gesto
ancora non
le era chiaro.
❁
Ma l'unico modo per
far svanire tutte le domande, tutti i dubbi e tutte le incertezze di
quel
momento era aspettare: forse in poco tempo si sarebbero rivelate grandi
amiche...
O forse no.
Come
c’è sempre un
lato positivo, in tutto ce n'è anche uno negativo.
Nella vita ci sono
amici e nemici, ed una semplice regola non poteva impedire alle ragazze
di
serbare odio l'una per l'altra; in una competizione ci sono vincitori e
vinti., quindi una vincente
e
ben quattro perdenti. C'era quindi maggiore probabilità di
restare a mani vuote
per lei.
Iris non sapeva
più
che cosa pensare. Voleva andarsene da tutta quella paura e a tutti
quegli
sbalzi d'umore che la stavano portando ad un esaurimento nervoso.
Si era presentata,
aveva rivelato il suo nome, le sue presunte origini ed il suo ruolo
nella
società.
Ora, dicendo
addio,
desiderava sparire nel suo anonimato, nella sua piccolezza ed
insignificanza.
Sicuramente le sue
compagne si sarebbero comportate in maniera più adulta di
lei.
«O
forse no...»
Pensò
Iris,
osservando quelle ragazze che per ragioni a lei ignote non riusciva
ancora a chiamare
"compagne".
❁
«È incredibile, no, anzi, terribilmente imbarazzante! Com'è possibile che a io quindici anni non abbia neppure un accenno di seno?! Ci sono sempre passata sopra, era un dettaglio abbastanza trascurabile... Finché quella maledetta tettona non me lo ha rinfacciato!
Su cinque ragazze quattro - e mi vergogno più ad averlo notato che a dirlo - hanno le tette incredibilmente grandi! Okay, detto così non sembra terribile.
Immaginate di essere completamente piatte... No aspettate, probabilmente chi legge è un maschio. Quindi, ricominciamo.
Immaginate
di essere una femmina quindicenne completamente piatta, che si ritrova
a dover convivere con delle ragazze con le tette enormi, che solo a
guardarle si sciolgono le palpebre per l'invidia e che tu sogni di
avere da quando sei nata.
Ma così sembra la trama di un manga pornografico...
Immaginate ancora una volta, per favore. Immaginate... le mie compagne
(le chiamo così solo per formalità).
Anemone (è molto carina secondo me...), capelli rossi, grandi occhi azzurri e tipico seno da anime-ecchi; ha anche la pelle del mio stesso colore.
Camelia, capelli neri, trucco in ogni centimetro della faccia e fisico da classica modella francese (ma sinceramente, quelle freddure le vengono al momento o se le fa scrivere?).
Catlina, con i capelli di una principessa, gli occhi di uno spettro, e il petto che sembrava esploderle in quel vestito così raffinato (chissà che shampoo usa...).
E Camilla... Non so se essere spaventata o incantata da lei. Di solito le ragazze belle come lei vantano un meraviglioso fidanzato... Come deve essere fortunata, la nostra leader.
j
❁
Behind the Summery Scenery #2
2. Il titolo di questo capitolo è leggermente cambiato ancora: prima era “Quando tutto è nuovo, anche te stesso”, poi "Quando tutto è nuovo anche tu lo sei".
3. Non
capisco perché, ma cliccando sul titolo della storia dal
menù delle ultime aggiornate verrete indirizzati qui al
secondo capitolo invece che al primo, e ancora non riesco a spiegarmi
il perché dopo sei mesi.
Update 2.0: falso allarme, sono riuscita a risolverlo. Mi sento una
hacker, lol.
4. La scena in cui da un braciere infuocato l'ombra di Nardo si proietta minacciosa è puramente reale: nella Hall of Fame in Pokémon Nero e Bianco c'è davvero un braciere, spento però. Inoltre, riguardandola bene, la struttura esterna della Lega Unima è tutt'altro che maestosa e ammaliante: sembra un'aborto figlio di un tempio greco, una ziqqurat e la Cappella Sistina.
5. Ho adorato descrivere la scena in cui Camelia rinfaccia ad Iris l'avere un seno piccolo e ancor di più ho adorato scrivere il monologo finale: penso che questa insicurezza renda il personaggio di Iris più sexy dal punto di vista caratteriale. E no, non ho nulla contro le sue tette, se ve lo stavate chiedendo.
6. Questo è l'ultimo capitolo in cui le ragazze indossano i loro vestiti originali del gioco/anime/manga fino alla fine della storia.
7. Ho fatto una modifica nella versione 3.0 della storia. "Grazie per aver avvisato adesso, mongoloide." Sì, grazie.
Parto dicendo che dare dei cognomi a dei personaggi in un franchise che dà nomi di persona così eccentrici non è facile.
Inventi dei cognomi tu: ti senti un cretino. Scegli dei cognomi preesistenti: ti senti un cretino poco originale. Mescoli le due opzioni: ti senti un doppio cretino. E, cosa incredibile, non mi piace sentirmi più cretina di quello che già sono.
Ora, prima le ragazze avevano tutte e 5 dei cognomi giapponesi. Perché, se Unima è ispirata all'America queste 5 whitebeasts devono fare cultural appropriation ed avere dei cognomi che non rispecchiano la loro nazionalità?
Quindi, ho detto, proviamo così.
Catlina
e Camilla sono effettivamente giapponesi (Sinnoh = Hokkaido = isola
nord del Giappone. Due giapponesi bionde e tettone, ma pur sempre
giapponesi, lol), quindi i loro di cognomi, Yamaguchi-Haato e Kuroi
rimangono uguali. Guardate, ve li so scrivere anche con i kanji
山口・心音 e 黒井、sono tutti kanji facili da scrivere.
Così sì mi diverto a scrivere 50 e 84 tratti,
giappominchia che non sono altro.
Tornando a noi: Anemone fa di cognome Reyes ora. In qualche modo è latina/messicana e questo cognome me gustava, olé. No, non me ne frega niente se gli spagnoli nella realtà non dicono olé.
Per Camelia, un mio amico simpatico e poco razzista, ha scelto Taylor, perché appena senti Taylor pensi subito ad una bianca (mep) con gli Ugg ai piedi (che ho anch'io) che beve un caramel macchiato da Starbucks (come piace a me) e usa "totally like" ad ogni interiezione (this is like, totally me, n'stuff).
Per il Calfuray di Iris ho dovuto fare ricerche, quindi link qui perché sono stufa di scrivere.
Ancora scusatemi per aver scombussolato l'ordine del cosmo a metà storia.