BRAVEHEART
Certo,
chi combatte
può morire... chi fugge resta vivo, almeno per un
po’... Agonizzanti in un
letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di
barattare
tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere
un'occasione,
solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri
nemici,
che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai... la
libertà!
Nella
seconda metà del XIII secolo, la Scozia
era oppressa dalla tirannia del sovrano inglese Edoardo I. Dopo la
morte del Re
di Scozia, senza eredi, la regione cadde nell'anarchia ed i nobili
locali
cominciarono ad azzuffarsi tra loro per salire sul trono. Il re,
approfittando
della contesa, decise di convocare tutti i pretendenti al trono ad una
riunione, con lo scopo di decidere quale sarebbe stato il futuro della
Scozia.
I nobili scozzesi, giunti disarmati su richiesta del re, caddero facili
vittime
della sua trappola, venendo impiccati proprio nel luogo in cui, Edoardo
I,
decise di incontrare i pretendenti.
Gordon
Wallace, un borghese, in attesa di
notizie dall'incontro, si recò sul luogo della strage,
insospettito dal fatto
che nessuno fosse ancora tornato dalla riunione. Qui con i due figli
Georg e
Thomas, scoprì il massacro e, la sera stessa, con altri
contadini del luogo,
organizzò un attacco contro gli inglesi alla frontiera.
Nello scontro però, sia
Georg che Gordon, vennero uccisi, lasciando orfano il piccolo Thomas;
egli
però, venne successivamente preso in affidamento dal
fratello di Gordon,
Gustav, insegnando al giovane diverse lingue, quali il latino e il
francese e,
soprattutto, come maneggiare una spada.
‹‹Un
giorno sarai un grande guerriero, Thomas.
Libererai la Scozia dall’anarchia
dell’Inghilterra.›› disse
l’uomo, durante uno
dei tanti allenamenti del ragazzo.
‹‹Come
potete prevedere il futuro, zio? Sono
ancora troppo piccolo per poter combattere contro gli
inglesi.››
L’uomo
posò una mano sulla spalla del giovane,
in segno di comprensione. ‹‹Io lo so, Thomas. Tuo
padre avrebbe voluto questo.
Che Dio l’abbia in gloria.››
l’uomo alzò gli occhi al cielo, facendo il segno
della croce, in memoria del fratello defunto.
A
quel punto, il ragazzo, strinse i pugni con
rabbia, facendo diventare le nocche delle sue mani, bianche.
Urlò, mentre
scagliava la spada contro un albero, infilzando con una grande
facilità.
Il
suo respiro era pesante ed affannato. Le
spalle si muovevano lentamente alzandosi ed abbassandosi ripetutamente.
Guardò
lo zio che, a sua volta, gli volse uno sguardo compiaciuto.
‹‹Io
vendicherò mio padre, un giorno. Mi
batterò per lui.››
*
La
moglie di Gustav, Susanne, aveva appena
chiamato l’unità familiare a tavola;
così, sia l’uomo che il giovane,
rincasarono.
Una
volta entrati, vennero invasi da un forte
profumo di zuppa e cinghiale arrosto. Lo stomaco di Thomas brontolava
già un
po’. Non aveva fatto colazione con il solito tozzo di pane
con le mele cotte.
Lui e lo zio, erano usciti presto per potersi allenare con la spada.
Inspirò
a pieni polmoni il pungente odore della
carne arrosto e, in maniera composta, si sedette a tavola, in attesa
che la zia
mettesse il cibo nei piatti.
‹‹Avete
visto Wilhelm?›› chiese poi Susanne,
rivolgendosi al marito. Gustav annuì.
‹‹Era
uscito con noi questa mattina, era a
raccogliere le more nel bosco. Presumo sia ancora
lì.››
Wilhelm
era il figlio di Susanne, ma non di
Gustav. La donna, in seguito alla gravidanza, era rimasta vedova del
suo primo
marito. Dopo la nascita del figlio, aveva incontrato Gustav, sposandosi
una
seconda volta.
Categoricamente,
Wilhelm, era il cugino –
adottivo – di Thomas; praticamente, lui lo considerava il suo
migliore amico –
aveva solo lui, per giunta – o forse anche qualcosa di
più. Gli voleva molto
bene, e si era legato particolarmente, nonostante avessero due anni di
differenza. Thomas ne aveva dodici, Bill dieci.
Passavano
ogni singolo istante assieme, fatta
eccezione di quando Thomas doveva imparare il latino e il francese,
oppure
allenarsi con la spada.
Si
dicevano i ‘segreti’, così come li
chiamava
lui; uscivano la sera di nascosto, andando a caccia di scoiattoli,
oppure di
lucciole. Un giorno vennero sorpresi da Gustav, a fare il bagno, in
piena
notte, nello stagno vicino la loro casa. Non aveva detto nulla alla
moglie;
sapeva che si sarebbe arrabbiata, se così avesse fatto.
‹‹Thomas,
caro, potresti andare a cercare tuo
cugino, prima che il pasto si raffreddi? Te ne sarei immensamente
grata.››
Il
giovane non disse nulla, si alzò dalla panca
di legno e, chiudendo la porta dietro di sé, corse verso il
bosco. Era poco
distante dalla loro abitazione e, soprattutto, poco fitto.
C’erano
prevalentemente arbusti di more, bacche e mirtilli; non ci si poteva
perdere,
lì dentro.
Quando
Thomas su abbastanza vicino, cominciò a
chiamare il nome del ragazzino.
‹‹Wilhelm!
È pronto il pranzo!›› urlò
Thomas,
mettendo le mani ai lati della bocca, come per farsi udire meglio. Lo
chiamò
due volte, prima di iniziare a vedere un’esile e piccola
figura incamminarsi
nella sua direzione. Sorrise inconsciamente, vedendo il ragazzino.
Wilhelm
portava un cesto – più grande lui –
colmo di more e di bacche. La madre era decisamente troppo brava a fare
delle
marmellate o delle crostate.
Vedendolo
impacciato, Thomas corse verso di
lui, cercando di aiutarlo con il cesto stracolmo di frutti.
‹‹Lascia
stare, Thomas, faccio io. Ce la
faccio.››
‹‹Ma
no che non ce la fai, Wilhelm. Lascia che
ti aiuti.››
Il
più piccolo lo guardò storcendo il naso.
Forse aveva ragione; una mano gli sarebbe stata d’aiuto.
‹‹Grazie.››
un flebile suono uscì dalla sua
bocca. Chinò il capo e sorrise lievemente, diventano
improvvisamente rosso.
Thomas inarcò gli angoli della bocca a sua volta, prendendo
il cestino e mettendolo
su una spalla.
‹‹Ti
sei dato da fare, oggi. Hai raccolto un
sacco di frutti.›› Thomas afferrò una
manciata di more e, in un gesto lesto, le
infilò tutte assieme in bocca, sporcandosi leggermente del
succo.
‹‹Ehi,
quelle servono per la marmellata.››
scherzò Wilhelm, tirando un pugno sulla spalla del
più grande. Thomas lo
canzonò, prendendo un’altra manciata di more e
mangiandole – a dispetto –
guardandolo negli occhi.
‹‹Vedi
che ho fatto un sacco di fatica a
coglierle.›› il più grande non disse
nulla, gli scompigliò i capelli e lo prese
per mano, incamminandosi verso la loro casa.
‹‹Ti
voglio bene, Tom››
disse il ragazzo più giovane, stringendosi ancora di
più al
maggiore.
‹‹Te
ne voglio anche io, Bill.
Molto.››
Quattro
anni dopo
Il
giovane Thomas Wallace, era diventano uno
dei più giovani ed abili maneggiatori di spade di tutta la
Scozia e, per
giunta, aveva imparato alla perfezione sia il latino che il francese.
Suo zio continuava
ad ogni modo ad allenarlo, ogni giorno, ripetendogli quale sarebbe
diventato il
suo destino. Doveva salvare la Scozia dalla tirannia. Doveva liberarla
una
volta per tutte, costi quel che costi.
*
‹‹Non
voglio che tu vada via, Tom. Non voglio.
Non farlo, per favore.›› il giovane ragazzo, ora
quattordicenne, supplicò
Thomas di non lasciare Lanark. Lo strinse forte a sé,
affondando il volto fra i
lunghi e castani capelli del moro, inspirando profondamente il suo
profumo.
Thomas
sospirò profondamente, carezzando
dolcemente i capelli del ragazzo inginocchiato davanti a lui.
Cominciò a
baciargli delicatamente la testa, socchiudendo gli occhi, perdendosi
nei suoi
pensieri.
‹‹Sai
che devo andare, Bill. Ho passato quattro
anni della mia vita a prepararmi per questo. È il mio
destino. Lo sai anche tu.
Devo partire prima che anche la nostra città venga
assediata. Farò ritorno
presto, Bill. Te lo prometto. ››
Il
più giovane non rispose. Lo strinse ancora
più forte e si avventò contro il petto del moro,
liberandosi in un pianto
struggente.
‹‹Tu
non mantieni mai le promesse. Il tuo
destino è già stato scritto. Devi passare la tua
vita qui con me, Tom. Non puoi
lasciarmi. Possono fare gli altri questo lavoro. Non
c’è motivo che vada tu, in
Inghilterra.››
Il
cuore del maggiore si distrusse, all’udire
di quelle parole. Ma non poteva fare assolutamente nulla. Lo zio aveva
già
preparato un cavallo per la sua imminente partenza.
L’indomani sarebbe dovuto
andare.
‹‹Chi
meglio di te, può capire quanto sia
importante la libertà,
Bill? Siamo
schiavi e succubi degli inglesi da anni.››
Il
giovane non fiatò. Thomas aveva pienamente
ragione. Suo padre era stato ucciso in battaglia proprio dagli inglese
e, la
sua povera madre, violentata da uno di loro, diversi anni addietro. Lui
non ne
aveva mai proferito parola con nessuno; ma lo sapeva. Lo sapeva
benissimo.
‹‹Proprio
per questo ti supplico di restare qui
con me. Non riuscirei a vivere sapendoti morto. Preferirei uccidermi,
piuttosto.››
A
quelle parole, Tom riuscì a stento a
trattenere le lacrime. Abbracciò ancor più forte
il ragazzo e, successivamente,
gli avvolse il viso fra le mani, guardandolo dritto negli occhi.
Il
suo sguardo era indecifrabile; lo era sempre
stato. Era un misto fra odio, rabbia, ribellione e, soprattutto, voglia
di
lottare; ma, nello stesso tempo, perveniva un grande
sentimento nei confronti del giovane Wilhelm. Non era
semplice bene, il suo. Con il passare degli anni aveva sviluppato
qualcos’altro, oltre al forte legame. Non riusciva a capire
con fermezza di
cosa si trattasse; ma quand’era in sua compagnia, sentiva una
forte morsa allo
stomaco, e il cuore prendeva a battere più forte del dovuto.
Quattro anni
orsono, ancora troppo innocenti, non avrebbero mai immaginato cosa
stesse
nascendo; ora però, ormai abbastanza grandi, capirono:
provavano quel
sentimento chiamato amore.
‹‹Io
non ti lascerò mai, Bill. Tornerò da
te.››
‹‹No.
Tu non tornerai. Non mantieni mai le tue
promesse.››
Thomas
sorrise, poggiando la propria fronte
contro quella del ragazzo più giovane. Non distolse mai lo
sguardo da lui. Gli
prese la mano destra e la poggiò contro il proprio petto.
‹‹Io
ti prometto solennemente che farò ritorno
a Lanark. Non ti abbandonerò, Bill.››
Il
cuore prese a battergli forte e il suo
stomaco iniziò a contorcersi.
‹‹Promesso?››
la voce di Bill era un flebile
sussurro, indeciso. Thomas non disse nulla. Socchiuse leggermente gli
occhi e,
cautamente, si avvicinò alle labbra del ragazzo. Le
sfiorò delicatamente, come
se avesse paura di fargli del male. Le loro bocche si toccarono a
malapena, in
un bacio talmente casto e delicato, da essere quasi impercettibile.
Bill vibrò
al loro contatto, e Tom ebbe timore che non volesse. Si
distaccò quasi
immediatamente.
‹‹Mi…mi
dispiace, Bill. Io…io non so cosa mi
sia preso. Non avrei dovuto. Perdonami.››
imbarazzato, Tom scattò in piedi, tentando
di uscire dal fienile nel quale si era rintanati e, proprio quando era
intento
ad uscire, si sentì afferrare per un lembo della propria
casacca.
‹‹Non
mi è parso che ti abbia detto di andare
via adesso.›› disse Bill, alzandosi lentamente,
fronteggiando così il ragazzo.
Era leggermente più alto di Tom, giusto un paio di
centimetri.
Il
silenzio incombeva nel fienile, si udivano
solo i respiri dei due ragazzi e, ogni tanto, il nitrire dei cavalli.
Si
guardarono intensamente negli occhi, fino a quando uno dei due non
cedette,
focalizzando la propria attenzione sulle labbra dell’altro.
Fu Bill a cedere.
Improvvisamente,
Tom venne sopraffatto dal
ragazzo più piccolo. Si avventò sulle sue labbra
famelicamente, come se volesse
divorargliele. Fu costretto ad afferrarlo per i fianchi, per evitare di
cadere
all’indietro. Fortunatamente, dopo parecchi passi indietro,
si ritrovò con la
schiena contro la parete in legno del fienile.
I
loro respiri divennero irregolari e sempre
più pesanti. I baci, dapprima delicati, presto divennero
morsi. Tom si era
sempre chiesto che sapore avesse Bill, e viceversa. Ora lo sapevano
entrambi.
‹‹Tornerai
da me, Thomas?›› ansimò nella sua
bocca il moro. Il maggiore non rispose e, con le mani leggermente
ruvide,
cominciò a tastare la pelle diafana e morbida di Bill, da
sotto la sua casacca.
Gli sfiorò la magra schiena, passando poi dal petto e
dall’addome. Lo sentiva
contorcersi ogni qual volta lo sfiorava.
‹‹Dimmi
che tornerai da me. Dimmelo, Tom.››
‹‹Tu
sai che sarà così, Bill. Tu mi appartieni.
Mi sei sempre appartenuto.››
Thomas
gli promise che, prima della sua
partenza, avrebbero dormito assieme nel fienile. Gustav non
obiettò, fu
pienamente d’accorso anche Susanne. Dopotutto, cosa
c’era di male nel dormire
da solo in un fienile assieme al proprio cugino adottivo? Nulla, se non
si era
a conoscenza dei sentimenti che provavano l’uno per
l’altro.
Quella
notte, i due ragazzi, si appartennero
per davvero. Fecero l’amore sul letto di paglia che, giorni
addietro, si erano
preparati; promettendo di amarsi per il resto della loro vita.
La
mattina dopo, Bill venne svegliato dal
chicchiricchio del gallo. Doveva essere l’alba, molto
probabilmente. I suoi
occhi erano ancora troppo assonnati per mettere a fuoco la situazione e
la sua
mente ancora annebbiata dalla sera prima. Era ancora nudo. Era avvolto
solo da
una coperta fatta di pelliccia di orso. Si strinse ancora di
più sotto di essa.
‹‹Tom…
ti amo.›› sussurrò il ragazzo.
Allungò un braccio alla sua sinistra dove, poco
dopo, aveva dormito assieme a Tom ma, quando si rese conto che accanto
a lui non
c’era nessuno, si levò in piedi di scatto. La
parte del letto era ancora
tiepida; ciò stava a significare che, il ragazzo, era andato
via da poco.
C’era
un foglio di carta, sul suo cuscino, con
accanto un fiore appena raccolto. Una margherita gialla: tornerò
da te.
‹‹Tom?››
urlò. Il suo cuore cominciò a battere
all’impazzata. Afferrò il pezzo di carta. Le mani
tremavano. Strinse forte il
foglio, stropicciandolo leggermente.
Indossò
la casacca e le scarpe ed uscì
velocemente dal fienile. Iniziò a correre verso il bosco,
poi verso la fattoria
e, successivamente, al campo, dove lui e il suo patrigno facevano
allenamento
con la spada. Quando si accorse che non c’era nemmeno
lì, lasciò che le
ginocchia cedessero, cadendo in terra. Si mise ad urlare e
cominciò a strappare
ciuffi d’erba. Susanne, spaventata, uscì di corsa
dalla sua abitazione,
dirigendosi verso il figlio.
‹‹Se
n’è andato, mamma. Tom è andato
via.›› la
madre, premurosa, gli avvolse il capo e lo mise contro il proprio
petto.
Cominciò ad accarezzarlo dolcemente, sussurrandogli che
sarebbe andato tutto
bene.
‹‹Tornerà,
tesoro. Tornerà.››
‹‹Non
ho potuto nemmeno dirgli addio, madre.››
Wilhelm stava stringendosi sempre di più contro il petto
della donna, cercando
conforto nel suo abbraccio. Susanne, dal canto suo, prese a baciargli
il capo,
poggiandovi successivamente la guancia.
‹‹Conosci
la determinazione di Thomas, figlio.
Sai che farà di ritorno qui a Lanark.››
Bill
voleva crederci; voleva crederci più di
ogni altra cosa; ma sapeva benissimo che non sarebbe mai tornato.
Dieci
anni dopo
Sguainò
la spada contro il soldato inglese,
recidendogli la gola con una maestria inaudita. Vide il corpo
dell’uomo cadere
di peso sulle ginocchia, per poi riversarsi in terra come un fantoccio
senza
vita. Aveva il respiro pensante.
La
prateria era completamente ricoperta dal
sangue e dai corpi degli uomini che erano stati uccisi. Thomas si
guardò
attorno. Molti inglese si erano ritirati e, centinaia dei suoi uomini,
erano
morti. Giacevano in terra. Erano morti per lui. Avevano giurato lui
fedeltà.
Fino
alla morte.
Aveva
combattuto assieme ai suoi uomini per più
di sei anni. Senza sosta. Una battaglia interminabile. Avevano
sterminato gran
parte dell’esercito del re ma, ovviamente, avevano perso
anche molti dei loro.
La
vittoria però, era ancora molto lontana.
Pulì
la propria fronte con il dorso della mano,
lavando via sangue, sudore e fango. Bruciavano gli occhi. Si diresse
verso un
suo compagno, stremato anche lui.
‹‹Quanti
uomini abbiamo perso, Craig?››
Thomas
si avvicinò all’uomo, seduto in terra.
Poggiava la schiena contro una parete rocciosa. Cercava anche lui di
riprendere
fiato.
‹‹Non
saprei dirti con precisione, Thomas. Ci
sono corpi dappertutto. Il nostro sangue è mischiato con
quello degli inglesi.
So per certo, però, che abbiamo perso una buona
metà dei nostri.››
Thomas
alzò gli occhi al cielo, socchiudendoli
successivamente.
‹‹Farai
ritorno a Lanark, adesso? Ho saputo che
si trova definitivamente sotto il dominio inglese da diversi
anni.››
Non
rispose subito. Erano passati dieci anni,
da quando aveva lasciato la sua città per dirigersi a York.
Aveva dei bei
ricordi, legati a quella città.
‹‹Il
mio compito qui è finito, Craig. Domattina
partirò per Lanark.››
Pulì
la propria spada dal sangue sul prato
grigio della prateria e la rinfoderò. Salì in
groppa al suo cavallo e tornò al
villaggio. Doveva rifocillarsi, in quanto, l’indomani,
avrebbe affrontato un
lungo viaggio; stava per tornare a casa.
Tornerò
da te.
*
Quando
arrivò a Lanark, il suo cuore perse un
battito. Tutto era esattamente come l’aveva lasciato dieci
anni fa. Il bosco,
il fienile, la sua casa.
L’unica cosa
che la differenziava, erano le bandiere dell’Inghilterra
piantate ogni cento
metri sul terreno. Questo stava a significare l’assedio.
Venne scosso da una
serie di brividi lungo la schiena. Avrebbe voluto distruggerli.
Il
suo cavallo fece qualche altro passo prima
di fermarsi proprio dove, l’ultima volta, aveva lasciato
l’altro. Scese con un
balzo e, guardandosi attorno, notò che nulla era cambiato.
Man mano che si
avvicinava alla sua vecchia dimora, il suo cuore, prendeva a palpitare
sempre
più forte.
Sarà
ancora lì?
Il
suo primo pensiero andò a Bill. Il suo
Bill. Il loro non era stato uno dei
migliori arrivederci. Thomas ricordò che, tempo fa,
l’aveva lasciato da solo,
nel fienile.
Sicuramente
si sarà
fatto una vita.
Pensò
poi, continuando a camminare verso
l’entrata di quella che, fino a dieci anni prima, era stata
la sua casa.
Deglutì con fatica e, quando fu proprio davanti la porta,
non ebbe nemmeno il
coraggio di bussare. Aveva la mano destra schiusa e pugno, tremante;
eppure con
quella aveva ucciso centinaia di uomini. Bussare a quella porta, ora,
gli
sembrava l’impresa più difficile del mondo.
Sospirò
rumorosamente. Alzò gli occhi al cielo
e, dopo svariati minuti, prese coraggio e bussò alla porta.
Si ritrasse immediatamente.
All’interno della fattoria, udì dei rumori di
pentole e di legna scoppiettante.
C’era sicuramente qualcuno. Bussò una seconda
volta.
Solo
dopo una manciata di secondi, la porta si
aprì lentamente. Uno zio piuttosto invecchiato gli si
presentò dinnanzi.
Inizialmente, il vecchio faticò a riconoscerlo, ma quando i
loro occhi si
incrociarono per un breve istante, un rassicurante sorriso si dipinse
sul suo
volto, susseguito da un forte abbraccio paterno. Thomas
ricambiò l’abbraccio
con affetto e sicurezza.
‹‹Figliolo,
sei tornato.›› il vecchio tossì
leggermente, continuando ad abbracciare il nipote ormai diventato uomo.
‹‹Dovevo
farlo. Questa è casa mia.››
Sugli
occhi del vecchio si leggeva una tale
amarezza. Thomas giurò di aver visto una lacrima ricadere
tristemente lungo la
guancia rugosa dell’anziano zio, per poi perdersi e morire
nella sua ispida
barba bianca.
‹‹Sono
cambiate molte cosa da quando sei andato
via, Thomas. Gli inglesi hanno preso il sopravvento. Hanno distrutto
tutto.
Hanno violentato le nostre donne. Hanno
ucciso…›› Gustav non
proseguì. Chinò il
capo, e questa volta le lacrime caddero copiose. Thomas
poggiò una mano sulla
sua spalla.
‹‹Hanno
ucciso mia moglie, Thomas.››
Il
giovane si incupì.
E
Bill? Cosa n’è
stato di Bill? Aveva
paura di sapere la risposta.
‹‹E…Wilhelm?
Dov’è, zio?››
‹‹Dove
potrebbe essere, secondo te? Da quando
sei partito, dieci anni fa, non ha fatto altro che trascorrere giorni
interi
nel fienile, senza mai uscire. Passava le ore a raccogliere le bacche.
Riempiva
i cestini e poi li gettava via. Da quando è morta sua madre,
lo vedo di rado.
Capisci vero? Ha perso in poco tempo le persone a cui teneva di
più. Credo sarà
molto felice, non appena ti vedrà.››
Il
suo stomaco prese ad infiammarsi. Come
avrebbe reagito Bill nel vederlo dopo così tanti anni?
‹‹Vuoi
entrare a mangiare? Immagino ti manchi
un buon piatto caldo.›› Thomas lo
ringraziò cordialmente, ma preferì salutare
suo cugino, prima.
‹‹Vi
aspetto per pranzo. Di a quel ragazzo di
farsi vivo, ogni tanto. Io sono sempre qui. Sono felice che tu sia
salvo,
figliolo.›› e solo dopo averlo stretto forte
un’altra volta, lo lasciò andare.
*
Il
fienile era esattamente così come l’aveva
lasciato. Il tempo l’aveva solo consumato leggermente da
fuori. Si fece coraggio
e scostò la grossa porta in legno. Un forte odore di paglia
e legno gli invase
le narici. Ebbe un tuffo al cuore quando si accorse del letto
‘provvisorio’ che
lui e Bill avevano arrangiato per l’ultima notte. Quella notte. Ebbe un altrettanto tuffo
al cuore quando si accorse
che, quel letto, non era vuoto.
Una
magra ed esile figura gli dava le spalle. Sembrava
dormisse. Thomas sapeva che era lui. Sorrise inconsciamente, mentre
iniziò ad
accorciare la distanza. Un passo dopo l’altro, si
ritrovò praticamente ai piedi
del letto in paglia. Non ebbe il coraggio di guardargli il viso. Erano
passati
dieci anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Ora
Wilhelm era diventato un
uomo adulto. Aveva ventiquattro anni. Come avrebbe reagito nel vederlo
dopo
così tanto tempo?
‹‹Wilhelm?››
sussurrò leggermente. Il ragazzo
non l’udì. Provò a scostargli i capelli
dal volto e, quando lo fece, Thomas
sentì una forte morsa allo stomaco, come se
l’avessero appena trafitto da parte
a parte con la spada. Il dolore, doveva essere senza dubbio quello.
Il
viso del moro, era angelico. D’altronde, lo
era sempre stato. La sua espressione, però, non era affatto
serena. Thomas lo
dedusse dal modo in cui le sue sopracciglia erano incurvate.
Provò a chiamarlo
di nuovo, spostandogli una ciocca dietro l’orecchio.
‹‹Wilhelm?››
Non
rispose. Provò di nuovo e questa volta,
posò le labbra accanto al suo orecchio, sospirando il suo
nome.
‹‹Bill?››
Il
moro si destò dal sonno spaventato. I suoi
occhi si aprirono di scatto e, il suo istinto, gli disse di sferrare un
pugno
dietro le sue spalle, proprio dove quella voce gli aveva sussurrato al
suo
orecchio. Poteva essere chiunque.
Tom
fu lesto ad afferrare il polso dell’esile
ragazzo, prima che questo gli desse un pugno dritto
nell’occhio.
‹‹Sono
appena tornato e già vuoi
picchiarmi?››
disse Thomas gentilmente, accarezzandogli delicatamente una guancia con
le
dita. Wilhelm, inizialmente, si ritrasse e fu pronto a strattonare il
polso per
potersi liberare.
Thomas
ebbe un tuffo al cuore, quando i suoi
occhi incrociarono quelli scuri del ragazzo moro. Poté
sentire il suo stomaco
contorcerci in modo alquanto brusco, quasi da fargli male.
Dio…i
suoi occhi.
‹‹Chi…››
sussurrò flebilmente il ragazzo,
cercando di focalizzare gli occhi del ragazzo che si trovava difronte.
Thomas
non rispose, gli bastò sorridere per fargli comprendere che
era tornato da lui.
‹‹Thomas?
Tom?›› Wilhelm si destò
immediatamente, mettendosi seduto sul letto di paglia. Cercò
di catturare ancor
di più lo sguardo del ragazzo.
‹‹Sono
tornato, Bill. Sono tornato da te.››
Gli
occhi del ragazzo si riempirono
improvvisamente di lacrime e, prima che Thomas potesse accorgersene, il
suo
collo venne avvolto da delle magre braccia. Di riflesso, lui gli cinse
i
fianchi. Pianse forte anche lui.
‹‹Dio,
Tom. Ho pregato giorno e notte. Chiedevo
al Signore che tornassi di nuovo da me. Ho sperato ogni sera. Ho pianto
ogni
notte, qui, in questo letto, dove ci siamo appartenuti per sempre. Il
tuo odore
è sparito tempo fa, da questo cuscino, ma io l’ho
sempre ricordato. Sempre.››
Inspirò
forte il profumo dei suoi capelli.
‹‹Pensavo
ti fossi sposato, avuto dei figli magari,
e che ciò che successe fra noi, quella sera, fosse rimasto
solo un lontano
ricordo.››
Bill
scosse convulsivamente il capo,
abbracciando ancora di più Tom. Si premette forte contro il
proprio petto,
socchiudendo gli occhi ormai troppo colmi di lacrime.
‹‹Non
ho potuto, Tom. Non potevo farlo. Guarda
qui…›› si allontanò in
maniera riluttante dall’abbraccio del ragazzo,
cominciando a trafficare sotto il suo cuscino. Dopo pochi istanti,
ritrasse le
mani. Ciò che Tom vide, gli procurò uno
sfarfallio nello stomaco, più forte
delle altre volte.
‹‹Non
ci credo…tu…tu hai…il mio
fiore?››
‹‹…e
il tuo messaggio. Ho conservato tutto per
dieci lunghi anni. Era l’unico ricordo di te, oltre al fatto
di averti avuto in
me. Non mi sono mai dimenticato di quella notte, Tom.
Mai.››
Thomas
non disse nulla, gli accarezzò una
guancia, e Bill vi premette la sua mano contro, per percepire ancora di
più
quel tocco che tanto gli era mancato.
‹‹Eri
sempre con me. Qui dentro.›› Thomas si
portò la mano sul cuore, e se la spinse contro il petto.
‹‹Anche
tu. Grazie a Dio, sei tornato.››
Una lacrima sfiorò dolcemente la ruvida mano
di Tom; lui l’asciugò piano con un pollice. Gli
occhi fissi sul ragazzo.
‹‹Non
andare via, Thomas. Non farlo mai
più.››
il minore socchiuse gli occhi, chinò il capo e, le lacrime,
iniziarono a
scendere copiose sul suo volto. A quel punto, Tom, lo
strattonò con forza a sé,
avvolgendogli il viso con le sue mani e portandolo alle sue labbra. Lo
baciò
con avidità e con possessione.
Le
mani del moro iniziarono a percorrere
avidamente lungo tutta la schiena del più grande,
graffiandogli leggermente la
pelle. Scorse numerose cicatrici, che tracciò una per una,
con l’indice.
‹‹Non
ricordavo questi segni sul tuo corpo.››
ammise Bill, continuando a baciarlo, restando quasi senza fiato, mentre
Thomas
iniziò a privarlo degli indumenti.
‹‹Sta
zitto, e continua a baciarmi.›› Tom si
avvinghiò al collo, iniziando a succhiare con forza la pelle
delicata e
sensibile del moro, lasciandogli un evidente segno violaceo.
‹‹Adesso
sei segnato anche tu…da me.›› si
allontanò dal collo diafano del ragazzo, con uno schiocco
della lingua,
ammirando il suo lavoro. Era un segno piuttosto evidente.
‹‹Ti
appartenevo già da prima, Tom. Ti sono
sempre appartenuto, da quando hai messo piede nella mia
famiglia.››
Lo
placcò, facendo cadere entrambi sul letto in
paglia. Tom sotto di lui. Continuarono a baciarsi, a rincorrersi, a
cercarsi
con lo sguardo.
‹‹Ho
ucciso tante persone, Wilhelm. Gli inglese
mi danno la caccia. Mi detestano.›› ammise
Thomas, tra un bacio e l’altro.
‹‹Non sei al sicuro qui con me. Possono arrivare
da un momento all’altro.››
‹‹Non
mi importa.›› disse lui, senza fiato.
‹‹Ormai non siamo più un popolo
libero, Tom. Se vogliono uccidermi, sono pronto
a morire.››
Con
un colpo di reni, Thomas ribaltò la
situazione. Gli portò le braccia in alto, bloccandogli i
polsi con le proprie
mani. Lo fissò con insistenza.
‹‹Non
permetterò a nessuno di farti del male, amore
mio. Sono pronto a tagliare la
gola di migliaia di inglesi, a bruciare centinaia di abitazioni, pur di
difenderti.›› lo baciò con prepotenza,
cercando avidamente la sua lingua. Si
insinuò con estrema facilità nella sua bocca e,
il contatto con il palato del moro,
lo fece rabbrividire, creandogli una scarica elettrica che
puntò direttamente
al suo inguine. Istintivamente, cominciò a spingersi contro
il ragazzo
sottostante, ansimando e gemendo nella sua bocca.
‹‹Sei
mio. Mi sei sempre appartenuto.››
‹‹Fammi
tuo un’altra volta, Tom. Voglio
sentirti.››
Il
maggiore non se lo fece ripetere, gli
afferrò i fianchi con entrambe le mani e gli
sollevò leggermente il bacino. Le
gambe del moro intrecciate ai fianchi di Thomas.
Entrambi
si scambiarono un intenso sguardo complice.
Bastò che Bill annuisse, per far comprendere a Tom che
poteva farlo.
*
Delle
urla provenienti da fuori il fienile,
fecero rinvenire entrambe i ragazzi che, dopo aver fatto
l’amore, si erano
beatamente addormentati l’uno fra le braccia
dell’altro.
Thomas
si destò immediatamente dal letto,
afferrando d’impulso la spada. Quando aprì la
porta in legno, vide l’inferno.
Donne, bambini, uomini ed animali, scappavano in maniera furiosa. Erano
appena
stati attaccati dall’esercito inglese del re. Gran parte
delle abitazioni,
erano state bruciate. Negli occhi di Thomas, le fiamme si
rispecchiavano in
maniera cristallina. Il suo villaggio stava bruciando.
‹‹Tom,
cosa sta succedendo?›› chiese il minore,
terrorizzato.
‹‹Resta
lì dove sei, Bill. Non uscire per alcun
motivo. Resta qui.›› ruggì Thomas,
afferrando i propri abiti.
‹‹Dove
credi di andare, Thomas?››
‹‹Bill,
il villaggio sta bruciando. Non ti
permetterò di uscire di qui.››
impugnò la spada e, proprio quando stava per
uscire dal fienile, si sentì strattonare. Voltò
rapidamente lo sguardo e poté
notale Bill con gli occhi colmi di lacrime.
‹‹Non
puoi andare lì fuori, Tom. Verrai
ucciso.›› con un tono di supplica, Bill
cercò di convincere l’amante a restare
lì con lui, ma sapeva benissimo che niente e nessuno al
mondo avrebbe fatto
cambiare idea al ragazzo. Ormai lo conosceva fin troppo bene,
nonostante fosse
mancato dieci lunghi anni. Era caparbio. Thomas sarebbe uscito
lì, in
quell’inferno.
Thomas
non rispose. Lo baciò sulle labbra e,
guardandolo intensamente negli occhi, gli sorrise.
‹‹Ti
amo, Bill. Ti ho sempre amato.›› Un fiume
di lacrime cominciò a rigare il viso del minore e, tra i
singhiozzi, provò a
rispondere.
‹‹Ti
amo anche io. Non puoi essere così
egoista. Non lasciarmi.›› uno strattone dopo
l’altro. Thomas restò immobile.
‹‹Non puoi lasciarmi di
nuovo.››
Urla.
Grida. Colpi di spada. Rumore di cavalli
in corsa.
Thomas
guardò dietro le sua spalle, dopodiché
volse nuovamente lo sguardo verso Bill.
‹‹Prendi
un cavallo. Aspettami al fiume. Io
arriverò presto. Ce ne andremo da questo posto, amore mio.
Te lo prometto.›› e
prima che Bill potesse rispondergli, lo baciò
un’altra volta e si lanciò tra le
fiamme dell’inferno.
*
Tagliò
la gola ad un soldato inglese, mozzò il
braccio ad un altro, tranciò la testa ad un altro ancora. Il
sangue schizzò sul
suo volto, misto tra terra, cenere e sudore. Bruciava maledettamente.
Era la
fine. Erano in troppi.
Non
riusciva a vedere suo zio, la gente che
correva terrorizzata. La situazione stava sfuggendo letteralmente dalle
mani. I
suoi compagni erano venuti in loro soccorso, quando seppero
dell’assalto al
piccolo villaggio di Lanark.
‹‹Devo
tornare al fienile. Devo tornare da
Bill.›› urlò ad un suo compagno,
mentre tagliava la gola di un altro soldato;
ma quando si voltò, notò che la porta del fienile
era completamente distrutta e
una decina di soldati vi erano entrati.
‹‹Noooo!!››
l’urlo di Tom venne coperto dalle
grida delle donne e dallo scoppiettare delle fiamme che si aizzavano
alte.
Corse in quella direzione, uccidendo tutti coloro che si paravano
dinnanzi al
suo cammino. Uno dopo l’altro, cadevano sulle ginocchia come
ramoscelli di quercia
spezzati. Dovette lottare contro un soldato più alto e
più grosso di lui, prima
di raggiungere quegli altri due che tentavano di violentare Wilhelm.
‹‹Toooom!››
urlò il minore, cercando di lottare
con tutte le proprie forze. ‹‹Aiutami, ti
prego!›› divincolandosi, riuscì a
tirare un forte calcio nello stomaco del soldato più esile,
mentre l’altro,
ricevette un graffio in pieno volto.
‹‹Aaaah.
Lurido schifoso.››
Coprendosi
con la mano destra l’occhio
graffiato, il soldato riuscì a sferrare improvvisamente un
forte schiaffo sul
viso del ragazzo, facendo arrossare immediatamente la pelle candida e
diafana.
‹‹Non
devi toccarlo, bastardo!›› e prima che
questi potesse capire ciò che stava accadendo attorno a lui,
l’ultima cosa che
vide, fu la lama della spada di Thomas trapassargli lo sterno. Cadde in
ginocchio, gemendo. Rivoli di sangue fuoriuscivano dalla sua bocca.
Thomas lo
fissò intensamente, fino a quando non vide spegnersi la luce
della vita nei
suoi occhi.
Posò
la spada in terra, precipitandosi
immediatamente dal suo amato. Bill gli cinse automaticamente le braccia
attorno
al collo, baciandolo.
‹‹Ti
hanno fatto del male? Ti hanno violentato?››
una mano di Thomas si posò sulla guancia arrossata,
l’accarezzò delicatamente.
Negli occhi di Bill, Tom poté leggere diverse emozioni:
paura, terrore,
speranza, gratitudine e…amore.
‹‹Non
lasciarmi mai più, Tom. Ti prego, non
farlo.›› andò a rifugiarsi nuovamente
fra le sue braccia, cercando protezione;
quella protezione che Tom era riuscito sempre a dargli.
‹‹Dobbiamo
andare via, amore mio. Dobbiamo
andarcene da questo posto.››
‹‹E
dove andremo?››
‹‹Qualsiasi
posto è meglio di questo.›› lo
fissò intensamente negli occhi. Dolcemente prese ad
accarezzargli i capelli.
‹‹…Non
smetterò mai di dirtelo, Bill. Ti
amo.››
‹‹Ti
amo anche io.››
*
Un
tonfo. Uno sguainare di spade. Un urlo
acuto. Il buio.
*
Quando
riprese conoscenza, istintivamente provò
a muovere le braccia ma, ben presto, si accorse che erano bloccate
dietro la
sua schiena da ciò che, molto probabilmente, doveva essere
una corda. Non
riusciva a muovere nemmeno le gambe. Bloccate anche quelle con una
corda
piuttosto stretta attorno le caviglie. Aveva gli occhi aperti, ma era
come se
non li avesse affatto. Era completamente buio. Dedusse di avere un
sacco sulla
testa.
Di
due cose era certo: era legato in ginocchio
con un sacco in testa, e si trovava fuori. Riusciva ad udire delle urla
provenire da una folla in delirio e il calore del sole battere sulla
propria
pelle. Per il resto, non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo.
Dov’è
Bill.
‹‹Abbiamo
catturato il nostro guerriero!›› si
sentì afferrare per i capelli e, improvvisamente,
un’abbagliante luce lo
stordì, costringendolo a tenere gli occhi chiusi per
svariati secondi. Non
riusciva a mettere a fuoco ciò che, la sua vista, gli stava
proponendo. Vedeva
migliaia di sagome davanti a sé che si muovevano ed
esultavano felici.
Dov’è
Bill.
‹‹Troppo
sangue inglese, ha versato su questa
terra. Troppe madri di famiglia, ha lasciato
vedove…›› altre esultazioni. Altre
urla. ‹‹…è arrivato il
momento di ripagare il sangue…con il
sangue.›› un altro
strattone, questa volta più forte. Il soldato inglese lo
costrinse a piegare la
testa all’indietro, mettendo in bella mostra la sua gola.
‹‹Questi
due scozzesi dovranno ripagare con il
loro sangue!››
La
gente era inferocita. Esultava e delirava ad
ogni parola che pronunciava il comandante dell’esercito
inglese. Solo quando
riacquistò appieno la propria vista, riuscì a
capire cosa stesse accadendo.
Stava per essere giustiziato.
Dov’è
Bill.
Deglutì
a fatica. Il suo collo era messo in una
posizione del tutto innaturale.
‹‹Giustiziamoli!››
sentì l’urlo del comandate e
nuovamente quello della folla. Solo allora il soldato lasciò
la presa,
permettendo a Thomas di tornare diritto. L’intera popolazione
inglese era
presente quel giorno.
Bill.
Istintivamente,
Thomas rivolse il proprio
sguardo alla sua sinistra. Bill era lì. In ginocchio, con le
mani legate dietro
la schiena e la corda attorno le caviglie. Nemmeno lui aveva
più il sacco. Il
suo capo era rivolto verso il basso. Respirava. Non era morto, ancora.
‹‹Wilheeeelm!››
il suo grido non riuscì a
sovrastare il frastuono delle migliaia di voci ma, come se
l’avesse sentito,
Bill alzò lentamente lo sguardo, rivolgendolo verso di lui.
I loro occhi si
incrociarono e, da quel momento in poi, non si persero più.
Vide il boia avvicinarsi
lentamente. Aveva la sua spada in mano. Quella spada con cui aveva
tolto la
vita a molti soldati inglesi; quella stessa spada, con cui avrebbero
posto fine
alla loro vita.
‹‹Uccideteli!››
ordinò il comandante. La folla
esultò, contenta di assistere a quel macabro momento. Il
respiro di Bill si
fece irregolare; Thomas lo poté notare dal suo petto. Andava
in avanti e
indietro molto rapidamente. Strizzò gli occhi e le lacrime
amare cominciarono a
rigargli il viso. Non distolse mai lo sguardo da lui.
‹‹Ti
amo…›› mimò Bill con le
labbra.
Un’espressione di dolore sul suo volto.
‹‹Ti
amo…›› ripeté Tom. Il suo
cuore batteva
all’impazzata ogni qual volta il boia faceva un passo verso
di lui. Era finita.
Era stato sconfitto. Non ce l’aveva fatta.
Il
boia lo raggiunse, piazzandosi dietro di
lui. Fece roteare la spada tre volte sopra la sua testa, prima che
questa si
schiantasse violentemente contro di lui. Tom riuscì in tempo
a chiudere gli
occhi, prima di vedere la decapitazione dell’amore della sua
vita. Capì che
l’esecuzione era appena avvenuta, solo quando
sentì la folla urlare più forte e
nonostante le grida gli martellassero le orecchie, riuscì a
percepire il corpo
di Bill che cadeva per terra, ormai privo di vita. Non ebbe il coraggio
di
guardare.
Volse
così la propria attenzione al sole.
Sentiva il calore battergli sul viso. Le lacrime continuavano a correre
lungo
le sue guance e, il cuore, chiedeva pietà.
‹‹Ultima
parola prima di morire, Thomas
Wallace?››
Tom
né rispose, né distolse lo sguardo dal
sole. Respirò profondamente e buttò tutto in un
colpo. Sentì i passi pesanti
del boia dietro di lui. Un forte spostamento d’aria sopra la
propria testa.
D’un tratto però, tra la folla, giurò
di aver visto Bill quando ancora aveva
appena quattordici anni, sorridergli tranquillo, che gli faceva cenno
con la
mano di venire da lui.
Ricambiò
il sorriso e, inconsciamente, gli
disse che stava arrivando.