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Autore: teabox    22/03/2015    10 recensioni
Dove qualcosa è successo a Molly e dove Sherlock reagisce a modo suo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: è una cosa strana quella che segue, saltata in testa mentre stavo scrivendo dell’altro. Un esperimento veloce e probabilmente con poco senso, ma spero comunque che a qualcuno possa interessare provare a leggerlo. Immaginata da qualche parte post terza stagione. 

Ovviamente si applicano i soliti avvertimenti: non mi appartiene nulla, se non le sciocchezze e le idee malsane.

Grazie mille.

 

 

 

 

La teoria dei legami spezzati


 

 

E’ nei momenti di calma confusione che lei gli torna in mente.

Al di là delle accuse di John, al di là delle rassicurazioni di Mary.

 

E’ il suo sorriso strano e quel tono di voce - il modo in cui pronuncia il suo nome, a volte. 

 

*

 

Non era andato all’ospedale a vederla perché era inutile. 

 

Aveva provato a spiegarlo a John ma le parole si erano spezzate e lui non aveva capito. Era stato quindi accusato di non interessarsi, gli era stata data la colpa di quello che era successo, gli era stato chiesto che razza di amico fosse. 

 

Sherlock sapeva che, in qualche misura, si meritava quelle recriminazioni.

 

Mary era stata più gentile e, in fondo, quasi più crudele. 

Era stato già troppo tardi, gli aveva detto. Lo aveva ripetuto, poi, come se avesse voluto convincerlo della validità delle sue parole. 

 

«Era già troppo tardi quando hai ricevuto quel messaggio, Sherlock. Non è davvero colpa tua se non hai capito subito.» 

 

Ma avevo capito, l’aveva corretta lui. Ho sottovalutato, però. 

 

(In fondo il riferimento era stato così palese.

“Non commettiamo lo stesso errore due volte”.

A chi se non a Molly avevano voluto riferirsi gli uomini di Moriarty.) 

 

Eppure aveva pensato di avere tempo. 

Non aveva saputo - non immediatamente - che quando aveva ricevuto il messaggio, Molly era già stata lasciata di fronte all’ospedale. 

(Il corpo, gli avevano detto, pieno di lividi ed escoriazioni. E il sangue, gli avevano detto, ma lui aveva smesso di ascoltare). 

 

*

 

Sa che John è convinto che sia tornato alle droghe. E’ nel modo aggressivo e irregolare con cui lavora, gli dice. 

Sherlock lo ignora. Non lo corregge.

Non capirebbe. 

Capirebbe la cosa sbagliata.

Non può dirgli che la verità è un punto lucido - la voce di Molly, il suo sorriso - e di come non gli sia possibile davvero operare normalmente senza di lei. 

 

*

 

Passa più tempo del solito con Lestrade. 

E’ l’unico che, come lui, pare non voglia parlare di Molly.

 

*

 

Entra nella sua stanza d’ospedale di notte, quando nessuno lo vede. 

E’ tutto sbagliato, si dice.

I ronzii e i suoni regolari dei macchinari - ritmici, lenti, calmi - non hanno niente a che fare con Molly. 

La persona che è in quel letto - una sfumatura rosacea e quasi azzurra contro il bianco delle lenzuola - non ha niente a che fare con Molly.

 

Le prende una mano e con il pollice le sfiora il dorso. Piano, con attenzione. 

«Torna indietro», le dice. Passa un istante. «Per favore.»

 

*

 

Non le ha lasciato un bacio sulla guancia prima di uscire.

Sembrerebbe codardo. O troppo sentimentale.

O forse - assurdamente - forse vuole solo che lei lo sappia. Che con gli occhi bene aperti Molly sappia di aver ricevuto uno dei suoi rari gesti d’affetto. 

Sherlock non lo comprende del tutto, ma sembrano importanti per lei.

 

(Si è fermato in passato ad analizzare il gesto. Il modo se non del tutto istintivo, quasi naturale - negli “scusa” e negli addii - con cui il suo corpo si piega sul suo.  

Si sorprende di come nessuno finora abbia notato come lei sia pressoché l’unica con cui si permette di fare una cosa del genere.)

 

*

 

Mary è la prima.

Lo chiama e Sherlock non ha nemmeno bisogno di ascoltare quello che lei dice. Il tono della voce dice già tutto.

John gli manda un messaggio.

Persino Lestrade.

Mrs. Hudson compare sulla soglia dell’appartamento, un mazzo di fiori in mano. 

 

«Vado all’ospedale a trovare Molly.»

Sherlock non alza nemmeno gli occhi dal computer. Muove una mano come se cercasse di allontanare qualcosa di fastidioso.

 

(Ma quando torna, Mrs. Hudson lo trova seduto sulla poltrona, il violino in grembo, un bicchiere di brandy in una mano, da una bottiglia che per quasi dieci anni ha atteso l’occasione giusta - un motivo eccellente - per essere aperta.)

 

Sherlock finge di dormire, Mrs. Hudson si allontana silenziosamente. 

Ma la sente sospirare un “oh, Sherlock” in cui in qualche modo riesce ad incastrare tenerezza, tristezza, frustrazione e compassione.

 

(Nessuno sembra capire.

Molly ha riaperto gli occhi.

Non ci sarebbe nulla che lui potrebbe aggiungere alla perfezione di quella notizia.)

 

*

 

Molly è da tutte le parti.

E’ nelle domande inespresse di Mary.

E’ negli sguardi sospesi di Mrs. Hudson.

E’ nei messaggi di Lestrade.

E’ nelle parole dirette di John.

 

«E’ da due settimane che è tornata in laboratorio e non solo tu non ti sei mai degnato di andarla a trovare prima, ma la stai volutamente ignorando ora

 

Che è una deduzione assolutamente corretta. 

 

*

 

Esce dall’appartamento perché non riesce a respirare.

Non riesce però ad andare oltre a due, tre passi dal 221B.

 

Londra è umida di una pioggia che deve arrivare quella notte e dai marciapiedi rimbalza sulle pareti delle abitazioni quel profumo bagnato delle cose che stanno per succedere. 

 

Rimane immobile e non si volta, anche quando sente i passi fermarsi dietro di lui - ad una certa quieta distanza, quasi come se fosse uno “scusami” fisico.

 

«Sherlock?», lo chiama Molly.

E come non può girarsi a quello.

 

E lei è lì (ed è quasi un sospiro nella mente di Sherlock) e sta sorridendo.

 

Sta sorridendo, sì, ma non è abbastanza per Sherlock per non notare gli aloni grigi sotto gli occhi che parlano di notti non dormite. Una magrezza che ha qualcosa di forzato. Il modo in cui è quasi diafana sotto la luce del lampione. Le maniche lunghe della camicia - nonostante il caldo umido di quella sera - che coprono i lividi che non se ne sono ancora andati del tutto e le fasce che deve ancora portare.

 

«Molly», risponde lui con un tono modulato sul nulla.

 

E Sherlock non capisce perché basti quello a lei. C’è un primo passo esitante - Molly Hooper, sempre insicura all’inizio di qualsiasi cosa - ma ne seguono altri, veloci e certi, e prima che lui possa davvero capire, lei lo abbraccia con uno tale slancio, una tale necessità da spingerlo un passo indietro.

 

(Istintive le braccia si chiudono per un attimo attorno a lei, raccogliendola e trascinandola in quel passo indietro, assicurandosi che non si faccia male.)

 

«Molly», ripete Sherlock. Lascia passare un attimo. «Non dovresti essere qui.»

 

Che non vuol necessariamente dire che lei dovrebbe essere a casa a riposarsi, ma piuttosto che non dovrebbe essere . Da lui.

 

«Ma volevo vederti. Volevo vedere come stai», risponde lei allontanandosi di un passo (prima che possa farlo Sherlock) e sorridendo (una fragile catena infinita di sorrisi).

 

Ed è quella, probabilmente, la ragione perché Molly non dovrebbe essere lì. 

Per quella sua continua, incessante capacità di perdonarlo - anche quando lei non lo capisce, anche quando lui la ferisce - e per quella testarda volontà di far parte della sua vita, dei suoi difetti, del suo egoismo e di tutte le sue complicazioni.

 

«Volevo essere sicura che andasse tutto bene», ritorna a parlare lei, quando lui non lo fa.

 

C’è un certo istinto, con Molly, che in Sherlock sa a volte prendere il sopravvento. Qualcosa che ha imparato a costo di molti errori. Quella nota a margine, da qualche parte nella sua mente, che gli ricorda che sono proprio quelle cose più complicate da fare e da dire per lui, quelle che deve lasciar vedere a Molly.

 

Le prende un polso delicatamente - le dita, sotto la stoffa della camicia, sfiorano la benda che ancora lo fascia - e cerca qualcosa da dire che metta senso a quello che sente.

«Le persone che ti hanno fatto questo. Non ci sono più. Mi sono preso cura di loro.»

 

Aspetta. 

Sa che lei ha capito quello che John (e probabilmente tutti gli altri) non hanno davvero compreso. 

 

L’inutilità di andare a trovarla all’ospedale, perché lei era già , quindi era già troppo tardi. E se non era riuscito a risparmiarle quello, allora non avrebbe perso un secondo nel cercare di ripagare con la stessa moneta chi le aveva fatto del male.

L’inutilità di andarla a trovare dopo - dopo che aveva riaperto gli occhi, dopo che era tornata a respirare senza l’aiuto di macchine - perché sapeva che era solo questione di tempo. Sapeva che gli ematomi sarebbero spariti e le ferite si sarebbero rimarginate e che Molly sarebbe tornata indietro. Da lui. Da loro. 

 

Ma c’è una deduzione su cui si è sbagliato e che ha capito solo quella sera, in quel momento, davanti a Molly. 

Non aveva ritenuto necessario rassicurarla. 

Aveva dato per scontato che lei sapesse che Sherlock non si sarebbe dato riposo fin quando le persone che l’avevano assalita (e le persone dietro quelle persone) non fossero state ridotte ad un nulla. 

Aveva dato per scontato che lei sapesse che Sherlock avrebbe fatto in modo di farla sentire sicura di nuovo. Protetta.

Aveva dato per scontato.

Errore.

 

E sta per aggiungere qualcos’altro - uno “scusa” che raccoglie probabilmente troppe mancanze - ma Molly lo ferma prima che sia possibile. 

Non è esattamente un tremore quello che la attraversa. E’ forse qualcosa di più vicino ad una piccola vibrazione. Sembra quasi - se fosse possibile - che vada fuori fuoco, per un istante.

Un istante prima che lo abbracci. Di nuovo. Eppure non come un attimo prima.

 

Sherlock non è capace di leggere bene quel genere di spontaneità, ma pensa di trovarci un “grazie” nelle braccia di Molly che lo circondano. E forse un “mi sei mancato”. E di sicuro quel genere di sentimento, quell’affetto - quell’amore - per lui che Molly sembra ancora incapace di calibrare e bilanciare.

 

Chiude le braccia attorno a lei. Probabilmente qualcuno direbbe “nel senso lato del termine”, dato che è appena un abbraccio - le punte delle dita di Sherlock, in fondo, si sfiorano soltanto sulla schiena di Molly. 

 

Ma la racchiude comunque e sa che lei capirà. 

Il suo “grazie” e il suo “mi sei mancata anche tu”.

E tutti quegli altri sentimenti - non calibrati e sbilanciati - a cui non è necessario dare un nome o un’etichetta. 

Molly capirà. 

 

Fin

 

 

 

  
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