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Autore: Cyber Witch    25/03/2015    8 recensioni
resilienza
[re-si-lièn-za] s.f.
•fis. Capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi: prova di r.
• sec. XVIII

*
Piegati senza spezzarti, per vincere e lottare.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'L'essenziale è invisibile agli occhi '
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Resilienza
[Dedicato a Clara]
 
 









resilienza
[re-si-lièn-za] s.f.
  •  fis. Capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi: prova di r.
  •  sec. XVIII
 





Mi stringo nel cappotto. Le dita magre ticchettano contro la mia coscia. Ho paura. È  paura? Penso di sì.
Non può essere nient’altro che paura. Una paura che non ho mai provato, questa è tangibile.
Questa è paura del vero. So già che accadrà.
Non ho la voce per gridare, più che altro è mancanza di coraggio.
Sembra mancarmi tutto in questo momento. Sembra che mi venga tolto tutto, in questo periodo.
Mi dicono “Dai, passa”.
Mi dicono “Non ci pensare”.
E nessuno mi dice come farlo. Non è mai successo, non... non. Semplicemente non.
Non sono capace.
Non sono in grado.
Non sono abbastanza brava.
Non sono abbastanza simpatica.
Non sono abbastanza e basta.
Non sono brava nell’allenare i Pokémon, non riesco a farmi rispettare. Inizio a lacrimare, senza nemmeno rendermene conto. Cerco di fermare i singhiozzi, ma non ce la faccio.
Debole, ecco.
« Cosa fai? » la voce mi arriva da dietro, non la conosco.
Mi volto di scatto, è una ragazza. Al suo fianco c’è un Luxray che, orgoglioso, mi osserva coi suoi occhi gialli.
Il mio piede scivola, il mio istinto di sopravvivenza mi dice di afferrare la ringhiera, ma non voglio.
È la morsa di Luxray che mi salva dalla caduta, la sua Allenatrice mi raggiunge, il volto sprofondato nella sciarpa azzurra.
Ha i capelli castani, gli occhi neri e le guance arrossate dal freddo. Non è molto alta, nonostante debba avere la mia stessa età io la supero di un paio di centimetri.
« Volevi fare cose strane? » la sua voce è infantile, sembra quella di una bambina col raffreddore.
Mi porge la mano, è piccola e paffuta. Ancora con il volto bagnato dalle lacrime l’afferro, il Luxray che mi teneva per il cappotto rosso ora è di nuovo vicino alla sua Allenatrice.
« È ok se non vuoi dirmelo. » continua.
Non voglio dirlo, vorrei solo esserci riuscita prima.
« Sono Aster. » si presenta. Sorride, le guance risaltano ancora. Gli zigomi sembrano fatti di ferro, tanto risaltano.
« Isabel. » riesco a sussurrare.
« Isabel, ti va se andiamo a bere qualcosa di caldo? »
Accetto, non sapendo niente di quella ragazza, ma fidandomi ciecamente delle sue dita morbide che stringono le mie ossute.
 

 
*
 


« In teoria avrei dovuto chiamarmi Ester. Una svista e la e è diventata una a. A mia mamma piaceva e quindi è rimasto Aster. » dice, girando il suo the al limone con troppo miele dentro.
I miei capelli biondi ricadono in avanti, probabilmente ho il trucco sbavato.
Aster mi ha portato in un bar vicino all’Università di Azzurropoli, dove a quanto pare sta studiando botanica. Nonostante anche io frequenti i corsi nella stessa sede non l’ho mai vista.
« E poi l’aster è un fiore, che c’è di meglio per me? » ridacchia, bevendo un sorso del suo the.
La mia tazza è ancora piena, mi son limitata ad avvolgere le mie mani attorno ad essa per riscaldarmi.
« Tu, Isabel, cosa studi? » mi chiede, sporgendo al suo Luxray una pasta alla crema. Il Pokémon la mangia goloso, strusciandosi al fianco dell’Allenatrice.
« Lettere classiche... » mormoro, la sua vitalità mi mette a disagio.
Vorrei semplicemente ringraziarla, avevo paura prima, paura di morire. Nonostante fosse quello il motivo per il quale mi trovavo sul tetto della palestra.
Aster fa una faccia strana, un po’ come se stesse capendo quello che significa dover studiare lingue morte. Forse era per quello che avevo accettato di seguirla, lei capiva.
Diversamente dagli altri sembrava capire, non si perdeva in discorsi su quanto fosse inutile deprimersi e non diceva nemmeno che “sarebbe passato”.
« Grazie, Aster. » dico, vergognosa.
Sorride di nuovo.
« Figurati, il the lo offro io. Avrai modo di ricambiare. » mi fa l’occhiolino, sorridendo di nuovo e finendo il suo the.
Per la prima volta, sorrido anche io.


 
*

 
 
Son rientrata in facoltà dopo una settimana di pausa, la solita routine è cominciata. Compagni di corso che chiedono appunti, compiti e io che mi vedo costretta ad aiutarli.
È stressante, ma non riesco a rifiutare, a dire di no. E pensare che lo dico così spesso a me stessa.
Una mano mi ferma per la spalla. È Aster.
Negli ultimi giorni ci siamo sentite spesso, lei delle volte viene a trovarmi durante le sue ore di buco – che capitano alquanto spesso, a quanto pare – e pranziamo assieme.
Harley, il suo Luxray, l’accompagna sempre. Non parlo quasi mai, Aster colma i nostri vuoti, ma sembra non dare peso al mio mutismo.
« Andiamo a mangiare? » sempre sorridente.
« Certo. »
Probabilmente senza di lei non mangerei nemmeno.
La mensa dell’università è grande ed ultimamente ci sono anche posti all’infuori.
Aster insiste sempre per sedersi fuori, dicendo che se si è belli bisogna mostrarlo.
Ancora non ho capito a chi delle due si riferisce.
« Come fai a farti rispettare da Harley? » mi scappa di chiedere, quando vedo il Pokémon Occhiluce sedersi tranquillo al fianco dell’Allenatrice, sembra totalmente a suo agio.
Aster scrolla le spalle.
« All’inizio mica era così semplice, sai? Harley mi mordeva sempre, scappava e si rifiutava di mangiare. » dice, versandosi dell’acqua.
« Mia madre aveva pure minacciato di cacciarlo di casa, se continuava così. » ride, osservando il Pokémon.
« Alla fine presi e gli dissi “Siamo tutti e due stanchi di morsi e pianti, che ne dici se collaboriamo?” E sai, dopo un po’ di insistenza, Harley ha capito. Ora non voglio dire sia uno stinco di santo, delle volte morde ancora, ma è decisamente migliorato, vero? » si rivolge al Luxray, che delicatamente annuisce, coricandosi poco distante da noi al sole, per dormicchiare un po’.
« Lo fai sembrare semplice. » dico, grattandomi una tempia.
« Se si vuole rispetto bisogna prima darlo. Harley è orgoglioso fino al midollo, ma proprio per questo capisce quando qualcuno merita il suo riguardo. Tu mi ricordi un po’ Harley. »
« Perché? »
« Non lo so, ma per capirti a fondo bisogna ascoltarti. »
« Io non ti ho detto niente di me... » dico vergognosa.
« Non serve, non si ascolta solo con le orecchie. Si ascolta anche con gli occhi e con le parole. So, per esempio, che apprezzi la gentilezza e che non ti piace il contatto fisico diretto con le altre persone. So che il caffè non lo sopporti e che invece adori i dolci. So anche che questo non è un bel periodo, ma cerco di aiutare. »
Ecco.
L’ha detto.
I suoi occhi neri son vergognosi, forse non si rende conto di quanto sia stata di aiuto in questo periodo. Forse non si rende conto di quanto io abbia apprezzato la sua compagnia, senza secondi fini.
« Gridare i propri turbamenti fa bene, le persone che ti fanno sentire male per ciò che provi non meritano la tua attenzione. Quelle che ti dicono che c’è gente che sta peggio non sanno niente. Semplicemente egoismo, dico. Se pensano ci sia gente che stia peggio, però, chissà perché non aiutano loro. » dice, la sua voce è calma, ma riesco a percepire una punta di disprezzo.
« Isabel, non c’è niente di male nel lamentarsi. Non c’è niente di male a dire “basta, non voglio più essere triste”. » mi guarda negli occhi. Son pungenti e profondi, forse me lo sto immaginando, ma mi sembra che siano anche umidi.
« Io... » bevo un sorso d’acqua.
« Io sono triste. » dico, e lei mi ascoltò.


 
*
 


« Prova a fare così: prendi un quaderno. Ogni giorni ci scrivi una cosa che vorresti fare, oppure qualcosa di bello che hai visto, anche se è solo una cosa. Hai visto dei bambini che giocavano a palla? Scrivilo. Hai visto un Pidgey cinguettare dal ciliegio davanti l’università? Scrivi anche quello. A fine settimana sfoglia il quaderno, rileggi ciò che hai scritto e rilassati, fai un bagno, pensa a te. » mi dice, seduta sulla gradinata della cattedrale, una tazza di caffè in mano, la solita sciarpa azzurra.
« Ogni giorno, a colazione, mangia qualcosa di dolce. Concediti una pausa durante lo studio e soprattutto – fa una pausa, osservandomi con i suoi occhi neri – adotta un Pokémon. »
Son seduta al suo fianco, fra le mani del the al limone. Me lo ha offerto lei, di nuovo, a nulla son servite le mie proteste. È più cocciuta di un Tauros.
« La fai semplice... non ho il tempo materiale... né le capacità. »
« Aaah, Isa! Un Pokémon non è di certo come un animale domestico, è un amico. Devi trattarlo da tuo pari. » mi dice, osservando Harley che sbuffa condensa dalla bocca.
« Lo so, ma... »
« Hai paura di cosa? »
« Di non essere all’altezza... » stringo il bicchiere di cartone che contiene il the, scaldandomi le mani come la prima volta che ci siamo conosciute.
« Isa, se non provi non scoprirai mai. » allunga le gambe, avvolte in una calzamaglia di lana, il vestito verde si intravede da sotto il cappotto nero.
Io, addosso, ho i soliti jeans e il solito cappotto rosso. Da quando ho incontrato Aster, però, mi è ritornata la voglia di trattarmi bene.
 


 
*

 
 
« Come sta Mimi? » mi chiede, sedendosi davanti a me. Ha una lattina di aranciata in mano, i capelli raccolti.
Con l’estate abbiamo iniziato ad uscire più spesso e mi ha costretto a mettere vestiti che avevo dimenticato persino di avere.
Ora indosso quello turchese, dice che sta bene coi miei occhi verdi, ma non mi intendo di colori.
Aster afferma che i colori salvano la vita, soprattutto quando si tratta di piante velenose.
« Bene, bene. » sorrido. Finalmente ci riesco di nuovo.
Mimi è una piccola Buneary, di appena tre anni. Era orfana di madre e nessuno sembrava volerla adottare.
In quel piccolo coniglio saltellante ho visto la vitalità che mi mancava. Eppure, nonostante tutti la rifiutassero, lei saltella ancora felice.
« Che ti dicevo? Sei fantastica! » ridacchia, sorseggiando dalla lattina.
Sorrido, imbarazzata. Sembra l’unica ad apprezzarlo.
« Sei l’unica che me lo dice... » sussurro, nascondendomi dietro i capelli biondi.
« Isabel. » la voce è seria.
« Sei forte. Son passati sei mesi e sei viva. Viva, ok? Viva con le tue forze, non con le mie, non con quelle di un tuo stupido compagno di corso. Le tue. Hai avuto la forza di ricominciare, hai avuto il coraggio di chiedere aiuto, Isabel, non sottovalutare questo. »
« Son debole... » stanno tornando le lacrime, come di notte.
« Sei stanca, Isa. Hai combattuto contro te stessa per sei mesi, sei un guerriero, un sopravvissuto. Isabel sei terribilmente forte. Io ti apprezzo per questo. Le persone che non lo fanno non ti meritano, scrollateli, non puoi portare sulle spalle zavorra inutile. » è seria. Aster seria è quasi spaventosa.
Ha una determinazione negli occhi che è temibile da qualsiasi essere vivente. Capisco perché lei ed Harley siano sulla stessa lunghezza d’onda: risoluti fino alla morte.
Eppure, nel suo sguardo, vedo la luce di qualcuno che capisce.
« Ci... »
« Ci son passata anche io? Sì. Non è stato semplice, non mi è piaciuto per niente e nessuno ha sembrato apprezzare i miei sforzi, ma son qua. » la sua voce diventa acida per un secondo, il suo sguardo contrito. Poi mi osserva di nuovo, le sopracciglia corrucciate.
« Isabel, sai cos’è la resilienza? »
« Eh? S-sì, sì so cos’è. È l’attitudine degli oggetti a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale. » dico.
« La ginestra è resiliente. Si piega, ma non si spezza. »
« Un essere vivente resiliente è qualcuno che, nonostante le difficoltà, torna a camminare a testa alta. » beve un sorso di aranciata.
« I Luxray combattono fra di loro per determinare il capo della famiglia. Quando uno di essi perde è costretto a lasciare il gruppo e a crearne uno nuovo o ad inserirsi in un altro. » inizia a spiegare, Harley appoggia il mento sul nostro tavolo.
« È inevitabile che, dopo lo scontro, il Luxray sconfitto abbia delle ferite. Le cicatrizza con l’elettricità e se ne fa vanto. Non importa che esse siano dovute ad una sconfitta o ad una vittoria, più cicatrici ha più chance ha di entrare a far parte di una famiglia. »
Harley mi guarda coi suoi occhi dorati, ha un piccolo taglio sul muso e parecchi sulla groppa.
« Isabel, lo stesso principio vale per noi umani. Non importa se sei stato sconfitto, o se ne sei uscito vincitore, il momento in cui smetti di farti vanto delle tue cicatrici e inizi a pensare che esse siano segno di debolezza, allora lì smetti di vivere. Le tue cicatrici sono tante, anche io ne ho parecchie, c’è gente che ne ha di meno, altri ne hanno di più, ma nell’esatto istante in cui inizi a darti una colpa per ciò che hai sulla pelle, allora non puoi più considerati un essere vivente. » la sua voce è dura, non mi sta rimproverando, ma mi sento come se lo stesse facendo.
« La resilienza è una caratteristica umana, da bambini se ci sbucciamo un ginocchio piangiamo per qualche minuto e poi torniamo a giocare. Quando cresciamo le ferite diventano più gravi, il trucco sta nel pensare che, una volta passato, potrò farmene vanto. Dire “Sì, io son sopravvissuta.” »
« Non c’è nulla di male nell’avere momenti nei quali ti senti disperata, è normale. Soprattutto se, come nel tuo caso, son giustificati. Hai fatto tantissimo Isa, ma devi continuare a combattere. Scrollati di dosso le persone cattive, non dare loro il tuo amore. » l’aranciata è finita, ma lei ancora stringe la lattina.
I suoi occhi ardono di determinazione e sento che anche i miei ora sono così.
Gli occhi di Aster son gli occhi di chi è sopravvissuto per raccontare e se lei ha aiutato me sopravvivendo, io posso fare lo stesso con chi ne ha bisogno.
« Io... io ti voglio davvero bene, Aster. » sorrido, alcune lacrime ancora scendono lungo le guance.
« Anche io Isabel. » ride, della sua risata infantile e trillante.
Sarò come la ginestra. Sarò forte. Per Mimi, per Aster, ma soprattutto per me.
« Io dovrò tornare ad Olivinopoli, per l’estate. Sicura di farcela? » mi chiede, posando i gomiti sul tavolo di ferro.
Annuisco, portandomi una ciocca bionda dietro l’orecchio.
« Certo. »
« Perfetto. Io devo andare, ora, ho lezione. Bye bye! » si alza dal tavolo, salutandomi con la mano.
« Aster! » grido, quando lei è già lontana.
Si gira.
« Ricorda che hai salvato una vita! » le mani a coppa attorno alla bocca.
Capisco che sorride, inclina la testa a destra, le braccia dietro la schiena.
Sarò come la ginestra. Per Aster, per Mimi, ma soprattutto per me, che mi son piegata senza spezzarmi.  



















 
.:.Cyber-spazio.:.

Non ho nulla da dire, riguardo a questa storia. È dedicata a Clara, lei sa chi è (wow frase davvero filosofica) e spero veramente che questo le possa far piacere.
A tutti gli altri: se avete lottato lo avete fatto bene e per questo meritate tutta la mia stima. Siete tutti bellissimi ( ノ͡° ͜ʖ ͡°)ノ

Un inchino,
Cy.

 
  
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