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Autore: thyandra    28/03/2015    3 recensioni
[Spoiler warning sul finale del manga]
"Hide è abituato ai silenzi di Kaneki, ma se, sei mesi prima, avesse saputo che l'amico avrebbe optato per un conforto fittizio, la propria scomparsa senza una parola, lo avrebbe preso a parte e costretto a sputare il rospo quando ne aveva ancora la possibilità, sfondando dalle fondamenta quel muro impenetrabile costruito mattone su mattone dalla sua insicurezza.
[...]Tutti hanno bisogno di un'ancora, quando il mare si agita fuori controllo.
Kaneki è la sua.
"
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Ovvero quella fic che riprende tutta la storia di Kaneki dal punto di vista di Hide, mischiandola ad allusioni e citazioni mal piazzate della celebre opera di Carrol. Angst ensues. Arancione per alcune descrizioni un po' cruente verso le ultime righe (ma se avete letto TG avete visto di molto peggio, tranquilli)
[Mangaverse] [HideKane friendship perché mi voglio molto male]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kaneki Ken, Nagachika Hideyoshi
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Down the rabbit hole




 
 
Quando la notte cala, le ombre s'allungano, si mischiano fino a fondersi in nuova oscurità e diventa più difficile stabilire la loro fonte. Hide questo l'ha imparato da tempo, eppure il buio non lo ha mai spaventato. Non è assenza di luce, solo sua immagine speculare.
Come faccia un bambino a comprendere un concetto così complicato non si sa, ma Hide sorride, quando la mamma lascia la lampada accesa accanto al futon e le ricambia la buonanotte con animo sereno, perché il buio non può fargli paura allo stesso modo in cui non può fargliene la luce. Non si sente un bambino coraggioso, per questo, ma non c'è motivo di doverlo spiegare alla mamma, se lei con questa scusa gli stampa un bel bacione in fronte, ogni sera.
Hide è un bravo bambino.
È notte anche adesso e anche questa volta la mamma ha lasciato la lampada accesa, ma oggi anche Kaneki ha ricevuto un bacio in fronte, sdraiato nel futun accanto al proprio nell'ennesimo sleepover senza preavviso, solo gli occhi e i capelli scuri come la notte che emergono dal mare di coperte soffici.
"Buonanotte, Kaneki."
La mamma chiude dolcemente la porta e i due aspettano che il rumore dei suoi passi lungo il corridoio s'affievolisca, prima di cominciare a parlottare sommessamente tra loro. La mamma non vorrebbe che stessero in piedi fino a tardi, ma un pochino non farà male, e Hide sa che dopo al massimo dieci minuti l'amico s'addormenterà come un sasso, sfinito dal carico di stress che non ammetterà mai di soffrire in quella che il biondo rifiuta di chiamare casa sua. Si volta su un fianco a guardarlo, sussurrando con voce complice e birbona: "Hey, Kaneki, sei ancora sveglio?" Meglio ritardare il più possibile il momento in cui quei brutti sogni lo raggiungeranno.
Il moro apre gli occhi all'istante e anche se Hide non può vedergli gran parte del viso, sa che sta sorridendo. Annuisce.
"Se tua mamma ci scopre, siamo nei guai" commenta, ma tiene gli occhi ben aperti anche lui.
Hide allarga il suo sorriso, di rimando. "Non facciamoci scoprire, allora."
E spegne la lampada, sempre con quell'espressione birbante. Anche al buio, vede chiaramente quello di Kaneki morire all'istante.
È quella la prima volta che realizza che ciò che non fa paura a lui è comunque in grado di spaventare qualcun altro.
 
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Kaneki, apprende Hide quella notte, dopo molte preghiere e una minaccia di solletico sotto ai piedi, ha paura del buio.
Kaneki, Hide apprende anche quella stessa notte, non ama sentirsi un peso per gli altri, quindi non voleva ammetterlo.
(Ma soffre tantissimo anche il solletico sotto ai piedi.)
Hide, scopre poi Kaneki di rimando, non ha paura del buio, ma la sua mamma pensa di sì, quindi lui lascia la lucetta accesa per lei, per non farla preoccupare.
Kaneki pensa che sia un gesto molto bello.
Però i mostri fanno più paura quando li si affronta da soli, gli fa notare poi il biondo, ed è con una riluttante promessa a condividere le proprie paure che la luce viene riaccesa, quella notte, e l'amicizia resa più stretta di prima.
 
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È di nuovo al buio, quasi dieci anni dopo, che Hide si chiede ancora il valore della propria amicizia con Kaneki. La lampada è spenta anche questa volta, dimenticata in un angolo della stanza, mentre la sola luce cui si aggrappa con tutte le sue forze è quella proveniente dallo schermo del suo cellulare acceso.
"0 nuovi messaggi" c'è scritto sul display, e Hide osserva la rotondità perfetta di quel numero come se non ne capisse il significato.
La luce bianca gli illumina il viso segnato dalla preoccupazione, fingendo d'allontanare le ombre sotto i suoi occhi, ma la verità è scritta a lettere chiare su uno schermo virtuale e impersonale, e Hide si chiede se anche lui, in questo momento, stia fissando la casella dei messaggi senza sapere bene quali parole scegliere, dalla marea che si affolla nella propria mente.
Le sue dita si muovono comunque sul display, tracciando una nuova sequenza di parole che spera essere sufficienti a mostrare la sua comprensione e il suo supporto, all'altro capo di quella linea telefonica spezzata a metà. Le sue dita sfiorano il tasto invia con la delicatezza con cui, se Kaneki glielo avesse permesso, gli avrebbe dedicato un sorriso; il messaggio viene inoltrato senza ulteriore esitazione, prima che la mente possa stare dietro alla propria preoccupazione e accettare che forse Kaneki ha solo bisogno di spazio, perché mai, nella loro vita, ne ha mai avuto bisogno da lui.
Ma Hide lo conosce bene, adesso, e sa che i suoi silenzi sono molto più eloquenti delle parole virtuali, di circostanza, che potrebbe mandargli indietro. Gli è grato, per questo, e sorride; i suoi occhi si riempiono d'affetto, rivolti a uno schermo ancora senza vita, perché adesso sa cosa deve fare.
Kaneki ha di nuovo paura e si sente ancora un peso per gli altri. Anche stavolta, Hide capirà perché.
 
 
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Hide è abituato ai silenzi di Kaneki, ma se, sei mesi prima, avesse saputo che l'amico avrebbe optato per un conforto fittizio, la propria scomparsa senza una parola, lo avrebbe preso a parte e costretto a sputare il rospo quando ne aveva ancora la possibilità, sfondando dalle fondamenta quel muro impenetrabile costruito mattone su mattone dalla sua insicurezza.
Si pente di non averlo fatto.
Rigira con movimenti oziosi la cannuccia tra il ghiaccio semisciolto del suo succo, lo sguardo perso in un'altra dimensione temporale, le orecchie ben aperte su quella presente. L'impianto di ventilazione fa le fusa, in lontananza, unico suono a disturbare l'immanenza e la staticità del bar, e Hide si perde ancora nell'onda dei propri pensieri, indugiandovi ancora in preda a una nostalgia che puzza già di sconforto e senso di colpa. Il profumo di caffè aleggia nell'aria, sbeffeggiandolo, ma il suo aroma non è delicato quanto quello cui ormai è abituato, a ricordargli della sua assenza. Neanche Kaneki è più tornato ad Anteiku. La sua ancora è ormai levata. Per dove, Hide ancora non lo sa.
I campanelli all'ingresso del bar lo riportano alla realtà, spezzando il silenzio inesorabile che da mesi sembra attenderlo all'altro capo del ricevitore. Rumore di statico, nelle sue orecchie, quando origlia una conversazione che accende una scintilla da qualche parte nel buio della sua coscienza. Consumano caffè dozzinale, i due nuovi clienti al tavolo più in fondo alla sala, parlottando tra loro a bassa voce. Niente cibo, sul tavolo. Magari sarà l'ennesimo buco nell'acqua, ma Hide non ha intenzione di mollare.
Aspetta il momento giusto per agire, prendendo qualche spicciolo e la piccola ricetrasmittente dal portafogli.
 
 
 
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(Se Hide avesse saputo verso quale tempesta stava per addentrarsi, avrebbe forse avuto paura del buio.)
(Ma Hide non lo sa, perché è al buio che Kaneki s'è perso, quindi lui non può averne.)
 
 
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Il vecchio televisore analogico, riesumato da una cantina polverosa, trova nuova gloria sul piano cucina, ultima risorsa d'una guerra combattuta con la volontà, prima di tutto. Acceso su un canale d'informazione 24/7, l'audio disattivato, rimanda in onda le notizie dell'ultima ora, seguite con attenzione da uno sguardo che non si lascia sfuggire il minimo dettaglio, la più piccola didascalia.
L'informazione è l'arma migliore dell'era moderna, pensa. Se l'unica arma del nemico è un kagune, la mia è più affilata.
Il notiziario passa alle notizie sulla cultura, e Hide sposta il peso del capo sull'altra mano, gli occhi che solo adesso mostrano i segni di una incipiente insonnia, ondeggiando pericolosamente vicini al sonno, senza mai concedergli quella grazia.
(O dannazione, perché i suoi sogni sono adesso colorati di rosso e di grida fin troppo familiari.)
Se l'unica arma del nemico è un kagune, si ripete Hide, sovrappensiero; se. La sua mente gli rimanda l'immagine delle proprie interiora trafitte da uno di quegli arnesi, e non può fare a meno di scorgere i tratti di Kaneki, in quel ghoul senza volto che s'annida nella mente di tutti.
No, riflette, realizzando il conflitto. L'arma del nemico non è il kagune, pensa, memore delle suppliche disperate che ancora sente nelle orecchie, i numeri alla rovescia che s'impongono su qualunque altro pensiero, qualunque altro suono, che gli hanno fatto abbandonare le cuffie in un angolo, inutilizzabili.
L'arma del nemico non è il kagune, ma la crudeltà, e Kaneki che non ne ha mai posseduta non può ricadere sotto quell'etichetta superficiale e errata, non ai suoi occhi, mai.
La mano che non è impegnata a tenerlo d'un pezzo, sostenendo una testa appesantita da pensieri viziosi, s'allunga sul tavolo, tastando alla cieca fino a giungere al bicchiere di caffè comprato in quell'altro coffee shop all'angolo del Kamii, gli occhi ancora al televisore; anche quello ha un sapore orribile, privo del retrogusto che solo le abili dita dell'amico sapevano sprigionare.
La ricetrasmittente gracchia un rumore indefinito, riprendendo vita, e all'istante Hide si mette sull'attenti, ogni traccia di sonno dimenticata. Ascolta attentamente ogni parola, tentando di decifrare stralci di discorsi che continuano a suonare distorti e intramezzati da statico ed elettricità.
La penna si muove rapida sul block notes aperto su una pagina bianca, pronta all'uso, mentre l'inchiostro traccia la dichiarazione di colpa proferita da labbra folli e disumane nel vero senso del termine. La ricetrasmittente tace, non prima d'aver rimandato l'eco di quelle grida che Hide sente essere ormai scolpite come cicatrici sulla sua pelle nuda e sanguinante.
È colpa tua, dice ogni urlo di dolore caduto dalle labbra di Kaneki.
Lo so, risponde ogni singulto che Hide trattiene, mentre si precipita fuori di casa alla ricerca della più vicina cabina telefonica. Lo sa, sa di non aver letto i suoi occhi in tempo, questa volta. La verità è sempre stata lì, nell'iride non coperta dalla benda, quella silenziosa richiesta d'aiuto, d'attenzione, quello specchio sulla sua anima mai camuffato.
Kaneki non ha mai spezzato la loro promessa di bambini. Ma Hide avrebbe dovuto sapere, ormai, che quando Kaneki ha paura, si fa carico di tutto da solo, per non gravare sulle spalle degli altri. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto saperlo... È tardi, è tardi! rimprovera il Bianconiglio che fugge via nella sua coscienza.
La soffiata al CCG non fa nulla per diminuire la colpa e il dolore che gli gravano sul petto, e mentre riaggancia le sue gambe cedono sotto al proprio peso, le sue spalle che urtano il vetro della cabina, scivolando giù, giù, giù nella tana del Banconiglio, dov'è buio, dov'è Kaneki, e le lacrime che spuntano ai suoi occhi gli ricordano la propria impotenza, ma suggellano una rinata determinazione.
Lascia fare a me, stavolta.
 
 
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(Tutti hanno bisogno di un'ancora, quando il mare si agita fuori controllo.)
(Kaneki è la sua.)
 
 
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Kaneki non è mai stato solo, prima d'ora, ma senza di lui a sentirsi soli sono coloro che si è lasciato dietro.
Il poster col suo viso che ha staccato dalla bacheca universitaria giace ancora, arrotolato, nel suo zaino, a ricordargli la sua assenza. È vuoto anche negli occhi di Kirishima-san, e Hide si chiede come abbia fatto a non notarlo prima, come possa essere stato talmente egoista da non accorgersi che non era l'unico a dover affrontare quella solitudine che divora l'anima.
E Kaneki, le avrà notate, lui, quelle labbra segnate dal nervosismo di Kirishima-san? Tracce di sangue ancora visibili contrastano con quell'incarnato che ha perso gran parte del proprio calore; un'immagine speculare alla propria, come la luce del giorno e quella della notte. Lo vede, adesso, chiaro come il sole, quel sentimento, negli occhi scuri della ragazza che si fissano altrove, distanti dal proprio caffè.
Caffè, eh.
Era tutto così ovvio, sin da principio. Hide accenna un sorriso, suo malgrado. Perlomeno Kaneki ha avuto qualcuno dalla sua parte, quando non era lì per lui, e quel pensiero gli da una sorta di amaro conforto. Perlomeno, qualcuno di noi due non era solo.
Tornerà, ha detto Kirishima-san; una genuina certezza.
Tornerà, ma probabilmente col favore della notte, pensa Hide.
La gola gli si serra un poco nel constatare quanto, ancora una volta, per quanto possa essersi sforzato, non può raggiungere il luogo in cui Kaneki sta aspettando di essere trovato, come Alice non può passare da quella porta ora troppo grande, ora troppo piccina. Ma, nonostante tutto, un sorriso adesso sincero s'allunga agli angoli delle proprie labbra dopo molto, troppo tempo.
"Lo sapevi? Kaneki ha l'abitudine di toccarsi il mento così, quando nasconde qualcosa" le confida d'un tratto, mostrandole il gesto, colto da quell'istinto improvviso che non l'ha mai tradito. È sempre stato bravo a leggere le persone e Kirishima-san non è un'eccezione, nonostante i suoi tentativi di dissimulare il proprio coinvolgimento diretto. Lei annuisce, un po' perplessa a fronte di quella dichiarazione slegata da ogni contesto, ma a lui non importa.
Kaneki tornerà, pensa, perché anche lui non ha mai sopportato la solitudine.
 
 
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(Lavorare part-time al CCG si è rivelata una mossa utile.)
(Quando Hide origlia stralci di discussioni riguardanti il raid di Anteiku, sa che il tempo a disposizione di Kaneki per tornare a casa sta rapidamente diminuendo.)
 
 
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Hide non ha ancora smesso d'inseguire il suo Bianconiglio, ma comincia ad essere stanco di girare a vuoto. Vorrebbe solo poter tornare a casa.
Prosegue alla cieca nei cunicoli scarsamente illuminati delle fogne, ignorando il puzzo di morte che si mischia a quello dei liquami in cui sguazza fino alle ginocchia, perché sa che in parte è solo la sua mente che gioca con la sua ansia. L'odore di decomposizione pizzica prepotente le sue narici come un avvertimento crudele, ma lui non osa guardare verso il basso e verificare se l'onnipresente odore metallico che sente sia davvero sangue o solo, appunto, l'ennesimo giochetto della sua mente di fronte a un qualcosa più grande di lui.
Hide non è stupido; sa di non essere solo, lì sotto, ma avanza con una sicurezza che non gli appartiene, forte della certezza di dover essere lì con lui, per lui, e imbocca svolte a casaccio, fregandosene del fatto che da un momento all'altro un qualsiasi ghoul che non sia lui potrebbe balzare fuori dal suo nascondiglio nelle ombre e piantare i suoi denti nella propria carne, o peggio, in quella di lui; il pensiero gli farebbe fare qualcosa di stupido, e lui non può permetterselo, non mentre deve essere forte per Kaneki.
Squish, squish, squash, squish, squish, squash.
La paura che gli serra il cuore, sempre più stretto, sempre più irrazionale, non è il solo istinto di sopravvivenza.
Hide lo ha visto, nelle telecamere.
Il suo passo si fa sicuro, cadenzato dallo sciabordio dell'acqua sudicia che suona troppo regolare alle sue orecchie ancora segnate dal rumore della follia, dai numeri che ancora una volta si susseguono alla rovescia ma cui si aggrappa con ogni forza, numeri che questa volta contano i passi che lo separano da lui, sempre meno, sempre meno...
Hide si concentra su quel pensiero al limite della pazzia, isolandolo, per evitare che la paura lo trascini nella follia vera, quella che separa, invece di unire.
Sa che dev'essere anche lui qui sotto, da qualche parte, a leccarsi le ferite. Sa che Kaneki è ancora quel bambino che aveva paura del buio, ed è per questo che deve trovarlo in fretta, prima che il mostro trovi lui.
Ma la paura si spande agli angoli remoti della sua coscienza, scura come quei liquami pregni di morte, rimandandogli presentimenti cupi peggiori della morte stessa. E se non arrivasse in tempo neanche questa volta? La mano gelida del dubbio gli carezza la pelle, beffarda, ma Hide sopprime un tremito. E se Kaneki non avesse davvero più bisogno di lui, se in questa nuova vita avesse deciso consapevolmente di lasciarselo alle spalle? La follia ride, nera, allungandosi verso il suo petto.
Un pianto remoto e lacerante strappa il denso manto della sua coscienza, rompendo il silenzio e facendolo vacillare. Familiare, seppur distorta dal terrore, la voce che implora pietà verso la propria carne, divorata dalla propria mente. Kaneki.
Il battito di Hide accelera senza preavviso, mentre le gambe cominciano a correre il più velocemente possibile, prima che possa pensare, prima che possa realizzare il significato di quelle urla e soffrire, soffrire insieme a lui-- Corre, in fretta, più in fretta, ma è rallentato dalla massa d'acqua che ostacola ogni suo movimento, acqua densa di sangue, sangue che adesso spera solo non essere il suo-- Alice è stanca di girovagare, vuole solo poter tornare a casa, solo tornare a casa... a casa da...
Il buio s'interrompe all'improvviso, quando allo svoltare d'un condotto secondario si ritrova nel canale di scolo principale, illuminato dalle luci al neon ingiallite dal tempo e dalla lordura, e Kaneki giace lì, al centro di quella desolazione. Circondato di morte, curvo sotto il peso di se stesso e della propria mente che regge con mani tremanti, per impedirsi di andare in pezzi.
Aria trova strada nei polmoni provati del biondo per quella che da settimane e settimane gli sembra una corsa contro il tempo.
"Yo, Kaneki." respira Hide, il suo nome un sapore di pace e serenità, su quelle labbra che avevano disimparato a pronunciarlo in soli sei mesi di separazione, mesi che avevano rimpiazzato anni di felicità, anni di quel nome che significa casa e amicizia. È tempo di svegliarsi, Alice, pensa Hide, il cuore adesso più leggero, incapace di registrare lo sguardo di shock che l'amico gli sta indirizzando, no, testardamente determinato a ignorarlo, ad essere forte, a salvare Kaneki e uscire finalmente dalla tana del Bianconiglio.
"E quei vestiti? Vanno di moda, di 'sti tempi?" s'aggrappa Hide con tutto se stesso allo scherzo, sforzandosi di non far spezzare la voce sotto il peso di quella tensione che gli serra la gola. “Whoa, se non è make-up speciale che shockerebbe persino Hollywood, quello...”
Si sente sciocco, al pensiero di doversi mettere d'impegno per dire la cosa giusta, intorno a lui, il ragazzino insieme al quale è cresciuto, il suo migliore amico, per il quale non ha più segreti, anche se lui continua a tenersi stretti i suoi. È sempre stata così, la loro amicizia; è sempre toccato a lui, scoprirli, col sorriso sulle labbra, una battuta triviale in più e un peso in meno sulle spalle dell'altro, quindi Hide ingoia adesso a vuoto, testardamente in attesa di quell'imminente segnale d'aver detto qualcosa di troppo, perché sa che è il suo ruolo, parlare per due, per sopperire ai ritrosi silenzi dell'altro. È la loro normalità, e se suona triviale anche quella, è la prova che il peso di quel segreto è troppo per un solo paio di spalle.
La mano del dubbio è fredda e impietosa, accanto al suo cuore.
Il silenzio giudica ancora una volta le colpe del biondo, una ad una, minacciando di stendersi ancora tra loro, come il velo denso e impenetrabile dell'incomprensione. Lo vede, nell'esitazione di Kaneki; lo sente, nel tremore della sua voce quando lui si tuffa nel vuoto, a strappare quell'ennesimo cielo di carta con una sola parola.
 
 
"Hi... de."
 
La voce di Kaneki suona roca per le troppe grida inascoltate, e pronunciare quelle due semplici sillabe sembra costargli una gran difficoltà, quasi fosse uno dei tanti kanji complessi che da bambino incontrava nelle pagine dei libri da grandi che sopperivano all'assenza prima di un genitore, poi d'entrambi.
(Ma mai d'un amico.)
È solo al suono del proprio nome sulle sue labbra bianche e tremanti, che trova la decisione per fare un altro passo avanti. Respira ancora, realizzando di aver trattenuto il fiato in attesa di quella risposta, una spada di Damocle pendente sulla sua testa, in equilibrio precario.
Solo adesso riflette su quanto sia stato sciocco il proprio nervosismo, perché quel che ha di fronte, per quanto possa sembrare diverso, è sempre Kaneki, il ragazzo timido e impacciato che leggeva troppi libri e si presentava sempre alla sua porta quando non aveva una casa in cui tornare. Kaneki che adesso ha paura persino di pronunciare il mio nome.
È solo sua la colpa del fatto che lui non sa più se fidarsi o meno, pensa con amarezza. E gli si avvicina lentamente, come di fronte ad un animale ferito e diffidente, per riabituarlo alla sua presenza, registrando mentalmente ogni millimetro in più di quello sgranarsi d'occhi che lo colpisce come un pugno nello stomaco. Ma non proferisce quel pensiero a voce alta, no, per paura di spezzarlo ancora.
Non può fare a meno di far correre i propri occhi ad ogni centimetro di pelle dell'amico, però, registrando ogni piccolo cambiamento come testimonianza di un giorno di più della propria assenza nella sua vita, reimparandone l'identità, pur di poter essere di nuovo al suo fianco.
Unghie annerite da torture il cui suono straziante ancora inciampava nei propri incubi, nelle notti in cui si sentiva meno propenso alla speranza. Capelli completamente sbiancati da responsabilità precoci. Colorito reso pallido dal solo camminare alla luce della luna. Occhi parzialmente celati da quella maschera di carne, che Hide sa essere l'unica prova visiva del suo cambiamento; ma nonostante tutto occhi in cui adesso si vede specchiato, come sempre.
“Per tutto questo tempo... Hai dovuto soffrire in questo modo...”
Sotto quella pelle c'è solo il suo migliore amico, e questo non è cambiato. Non permetterà alle cellule RC di mascherargli ancora il viso, quasi avesse motivo di vergognarsene. Lui potrà anche rifuggire il proprio riflesso, ma Alice ha già attraversato lo specchio. Non gli permetterà di negare se stesso, non di nuovo, non fino a quando può impedirglielo.
"Non ti servirà più, la maschera" dice, perché a lui non importa se sia un ghoul o un umano, ma solo che resti quell'amico che gli è mancato tantissimo durante la loro separazione, e tenta ancora una volta un sorriso, tenta di spezzare quella tensione che percepisce irradiarsi dal compagno nell'istante in cui quelle parole vengono pronunciate.
Dalla sua postura rigida e curva in se stessa Hide capisce che s'aspettava un rifiuto o forse peggio, disgusto. Ma non è disposto a concederglielo, perché anche se adesso sa di cosa è fatto il buio, non gli permetterà di attribuirsi la parte del mostro. E il cuore gli si stringe ancora, quando lui abbassa comunque il capo, come tentando di nascondersi ancora, di celargli ancora la parte di sé che reputa un peso per lui, perché Kaneki è sempre stato una persona leale, ma mai nei confronti di se stesso. Curioso come non voglia che Hide venga a sapere del lato più umano della sua personalità, pensa, e la mano nera del dubbio viene scottata dal nuovo calore che s'espande nel suo petto.
"Lo sapevo già, amico. Chi se ne frega di cose come quella, andiamocene a casa e basta."
E sorride, esitante, perché le emozioni del suo migliore amico sono tutte lì, in piena evidenza, quell'unica volta che è spezzato abbastanza da non curarsi di nasconderle, e Hide è certo di non averlo mai visto così vulnerabile, non dopo la morte di sua madre, non dopo gli abusi della zia, non dopo l'isolamento dai propri compagni di scuola alle elementari; la sua mano trova da sola la strada verso la spalla di Kaneki, prima che il biondo se ne accorga, stringendola in una presa salda, prima che la mente gli suggerisca prudenza e tatto di fronte alla fragilità appena dimostratagli, perché Hide vuol mostrargli la sua lealtà, visto che lui non ne ha abbastanza da sé. Vuole essere la sua ancora.
Ma Kaneki è ancora troppo fragile, e le urla in cui esplode prima di riuscire a fermarsi gridano ancora follia, la follia di credere nelle parole dell'altro, nelle parole del suo migliore amico, colui che credeva di aver perso, abbandonandolo. Le sue urla sono uno sfogo, un lutto mai pianto abbastanza, quello nei confronti del vero se stesso. Ma non fanno meno male, per questo. Hide si ritrova a corto di parole di conforto, perché non esiste conforto al lutto, se non il proseguimento stesso della vita, per chi rimane. E lui vuole che Kaneki viva.
“Io... voglio aiutarti.” dice d'impulso, perché quel pianto che suona troppo vicino alla disperazione lo spaventa più di quanto non può permettersi di mostrargli.
Distoglie appena lo sguardo, colpevole, quando realizza che c'è solo quel modo, adesso, per uscire da quella situazione, per quanto non gli piaccia fidarsi del buio, e deglutisce a vuoto.
Humpty-Dumpty sul muro sedeva...
Un solo modo per bloccare i tremiti convulsi del suo migliore amico, la persona, prima che il ghoul, più cara che possiede. E quell'unico modo è consentirgli di comportarsi da ghoul per l'ultima volta.
Humpty-Dumpty dal muro cadeva...
“A giudicare dal modo in cui hanno bloccato le strade... Non ci sono quasi possibilità, per un ghoul, di uscirne fuori...” Comincia, ma s'interrompe.
Non riesce più a guardarlo negli occhi, sapendo che quel che sta per chiedergli è troppo, ma Hide è impotente ed egoista, umano, troppo umano per proteggerlo davvero.
“Hide... Io sento queste voci... Scappa oppure io ti-”
“È una brutta ferita, quella...” lo interrompe, perché non è disposto a lasciarlo andare, i suoi occhi posati su quella chiazza scarlatta che la posizione ricurva in se stesso aveva tentato di nascondergli, e Hide si chiede quante ferite i propri occhi abbiano mancato di vedere, fino a questo momento.
Gliela legge negli occhi eterocromi, quella disperazione, la consapevolezza che per salvarsi entrambi devono separarsi ancora. Hide vorrebbe trovare un'alternativa, ma sapeva prima ancora di avventurarsi lì sotto che non ce ne sarebbe stata una, ma caccia quel pensiero dalla sua mente, prima che Kaneki possa smascherarlo a sua volta.
“Mi dispiace...” comincia, perché non c'è modo di iniziare quel discorso se non con una scusa, perché quel che sta per chiedergli è vile. Il suo sguardo è testardamente posato altrove, mentre la mano lo tradisce, andando a grattarsi una guancia in quel che Kaneki conosce essere un gesto nervoso, una dichiarazione d'omissione di verità, prima di riuscire a trattenersi. “Potresti combattere con tutto te stesso per un'ultima volta?"
Nel dire quelle parole, Hide sorride con ogni sua forza, prima di scoprire la bianca pelle delle sue spalle allo sguardo vorace e terrorizzato di Kaneki, perché non può permettere alla Morte di odorare il sangue di lui.
Anche con la coda dell'occhio, percepisce chiaramente lo sgomento di quelle pupille su di sé. E sa benissimo di meritarselo, ma non affiderebbe la sua vita ne quella di Kaneki nelle mani di nessun altro.
 
 
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(Il vero mostro si nasconde in fondo al buio di quel tunnel, e Hide glielo sta mandando proprio incontro.)
(È tempo di affrontare l'oscurità.)
 
 
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Hide non può avere paura della notte come non può averne del giorno, ricorda con spasmo nervoso, è una lezione che ha imparato e accettato già da bambino.
Per questo quando i denti di Kaneki affondano nella carne sensibile della sua spalla, dilaniando muscoli e tessuti in un unico, sanguinolento boccone, Hide morde a sua volta un pugno serrato, per impedirsi di urlare e rendergli tutto più difficile di quanto non sia già, per impedirsi di cedere al terrore. Mastica la propria carne, Kaneki, rigagnoli di sangue che sfuggono alle sue labbra ancora tremanti, quelle labbra da ghoul eppure così fragili, piegate all'ingiù, e l'ultima cosa che Hide vede, distogliendo lo sguardo da quel sangue denso che mai avrebbe voluto vedere su di lui, sono le lacrime incastrate agli angoli dei suoi occhi, che non cadono giù, lacrime che battono la frenesia obnubilante della fame. Goccioline amare che riflettono le proprie. Hide non può fare a meno di essere orgoglioso di lui e del suo coraggio, e le lacrime sfuggono i confini delle proprie ciglia.
La sua visione viene avviluppata dall'oscurità più nera, quando Hide perde conoscenza.
...Tutti i fanti che accorsero tosto
Non seppero alzarlo e rimetterlo a posto.
 
 
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Questa volta non c'è nessun sorriso che possa morire dalle labbra di Kaneki, quando la sua luce viene spenta.
 
 
 















L'angolino di thyandra: ok, prima che chiunque tra voi impavidi che è arrivato fin quaggiù mi uccida, metto le mani avanti: il finale è volutamente oscuro (e daje co st'oscurità, cervello!) perché, anche se ho diverse teorie su quel che è accaduto a Hide dopo il tragico incontro, ci sono ancora alcuni punti che non mi quadrano e non volevo rovinare la fic con le mie speculazioni molto probabilmente errate. Quel di cui sono sicura, però, è che Hide non sia morto alla faccia di Root A, perché da quando è necessario mangiare un intero essere umano per rigenerare una ferita? Se poi pensate che quell'umano era Hide... beh, le possibilità si riducono all'osso, Kaneki non avrebbe mai permesso alla fame di uccidere l'ultimo pezzo della propria umanità, per quanto il suo blackout possa avergli fatto credere il contrario, vi pare? :)
Btw, fatemi sapere cosa ne avete pensato (critiche costruttive sull'IC in particolare sono molto bene accette). Questa è ufficialmente la oneshot più lunga che abbia mai pubblicato su efp e in varie parti è stato un vero e proprio parto, quindi ci terrei davvero ad avere feedback, sia positivo che negativo ^.^

  
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