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Autore: Fannie Fiffi    08/04/2015    2 recensioni
[Bellamy Blake; 2x16]
«Ma ora, qui, mentre ti stringo e ti guardo andare via, e ti perdo, so che rimarrò ad aspettarti, e lo farò finché vivrò, e finché tu vivrai. »
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Hero of the Story'
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"E finché tu non verrai, io rimarrò alle soglie
dei voli, dei sogni, delle scie.

Immobile."


Pedro Salinas, La Voce A Te Dovuta.


 

Non so guardarti andare via.

Pensavo di averlo imparato la prima volta che ti ho vista voltarmi le spalle, quando una mappa e un “buona fortuna” erano tutto quello che potevi lasciarmi.

Pensavo di esserne in grado, ma la verità è che non ne ero capace prima almeno quanto non ne sono capace ora.

Non so guardarti andare via, Clarke.

E forse è per questo che non mi faccio sentire, quando ti dico: “Fa’ che possiamo incontrarci di nuovo.”

Perché non posso concederti anche quello, perché non posso accettare nemmeno di prendere in considerazione l’idea che potrei non rivederti più. Che te ne stai andando solo per non tornare e che non avrò mai l’occasione di dirti che è stato un privilegio combattere al tuo fianco, e sarà un privilegio aspettare il tuo ritorno.

Ti aspetterò.

Ti aspetterò con la pazienza che solo tu mi hai insegnato ad avere, con la forza che ti ho visto tirare fuori nel momento in cui credevi che non ce l’avresti fatta.

Ma tu ce l’hai fatta, Clarke, anche se ora non riesci a vederlo. Anche se ora ti senti crollare in pezzi, come se lo sguardo di tutti i nostri amici fosse il fantasma che ti impedisce di dormire e ti tortura i pensieri senza interruzione.

Sei stata forte, più forte di me, più forte di quanto avrei mai creduto che saresti stata e più forte di quanto tu riesca ad immaginare di poter essere.

Lo sei stata nella tua debolezza, nella fragilità che ti ho letto negli occhi mentre impugnavi la pistola e la puntavi contro l’emblema di tutti i nostri errori.

Hai ucciso Dante e tutto quello a cui riuscivo a pensare era che non avrei mai voluto insegnarti a sparare.

E non mi importava niente di niente mentre poggiavo la mano sulla tua e tentavo di darti quella forza che tu per prima mi hai donato.

Perché eravamo insieme. Lo siamo sempre stati, ancora prima di capire che non potevamo sopravvivere l’uno senza l’altra.

Lo siamo stati mentre ci urlavamo contro e piangevamo, e io piangevo con te, davanti a te, anche se ero Bellamy Blake, il maschio, il capo.

Lo siamo stati quando mi hai chiesto di tornare indietro e io non sapevo nemmeno come fare ad andare avanti.

E anche se ora non lo so più, chi sia Bellamy Blake o cosa ci si aspetti che faccia, e ci sono troppe cose che non so più, che non conosco più, una riesco a capirla: io senza di te non posso farcela.

Posso fingere, come ho imparato a fare da anni, davanti a tutti gli altri.

Posso perfino impegnarmi e far finta che vada tutto bene anche davanti ad Octavia, ma ora, qui, mentre ti stringo e ti guardo andare via, e ti perdo, so che rimarrò ad aspettarti, e lo farò finché vivrò, e finché tu vivrai, finché tu non deciderai che puoi tornare a casa, che va tutto bene e che noi non vogliamo altro che te.

Che io non voglio altro che te, e lo capisco ora che ti stringo e ora che scivoli via, un secondo dopo l’altro come un sogno che fa troppo rumore.

E lo so che le mie parole nemmeno le stai ascoltando, che pregarti di restare sarà come urlare nella foresta vuota, ma lo faccio lo stesso. È che non posso non chiedertelo, anche se conosco già la risposta.

Ti guardo piangere e vorrei fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche riportare indietro il tempo e uccidere tutti prima che lo faccia tu, prendermi sulle spalle quel peso che invece senti di dover sopportare solo tu e farti stare bene.

Mentre ci stringiamo per l’ultima volta, mentre ci permettiamo di avvicinarci solo ora che ci stiamo dicendo addio, mi tornano alla mente il tuo viso addormentato e illuminato dal fuoco e la melodia che hai canticchiato davanti al corpo di Atom.

Ripenso alla prima volta che ho sentito i tuoi capelli accarezzarmi il viso, il tuo sorriso posarsi gentile sul mio collo, e ora non posso fare a meno di aggrapparmi a quelle stesse ciocche bionde, di farmele scivolare fra le dita come la sabbia dell’oceano che forse un giorno raggiungeremo.

Sai di promesse e di un mondo nuovo. O forse è solo l’odore del sangue,che però su di te sta comunque bene.

Durante la frazione di secondo in cui respiriamo all’unisono la mia mente viaggia lontano, cerca di riacchiappare ricordi sfumati e sfocati, e con i miei vecchi occhi mi rivedo sorriderti e cercarti, come uno specchio che rifletta chi sono, ciò che sono, che sia lì a dirmi e ricordarmi quale sia il mio compito.

E finalmente capisco che non sarai più qui a farlo. Che non ti guarderò più e che non capirò più cosa farmene di questo cuore che sento battermi sotto la pelle e che sembra muoversi nella gabbia toracica ogni volta che ti penso.

Mentre ti osservo e ti prego per l’ultima volta, non sono più Bellamy Blake, non sono più figlio di nessuno, né fratello, non sono guerriero o leader.

Sono un uomo, un uomo che prova e vorrebbe non farlo, ma al tempo stesso ringrazia qualsiasi cosa su questa Terra di esserne ancora capace.

Perché la verità è che non voglio smettere. Non smetterò. Non voglio dimenticare niente, né il modo in cui ci siamo urlati contro né il modo in cui ci mancheremo, e faremo finta di non mancarci, di stare bene così, ma sentiremo comunque questo vuoto prendersi più spazio di quanto gli sia concesso.

E il vuoto non dovrebbe essere così pesante, non dovrebbe opprimere a tal punto da impedirci di respirare. Lo senti anche tu, vero?

Ripenso a come per un attimo ti ho odiata.

Ti ho odiata per i tuoi bei capelli, il tuo bel visino, la tua bella famigliola, la tua bella casetta. Ti ho odiata perché avevi tutto quello che a me avevano tolto ed eri tutto quello che volevo essere io.

Impavida e indifferente e coraggiosa e amata.

Eri amata, Clarke, e nemmeno te ne rendevi conto.

Sei amata, Clarke, e nemmeno te ne accorgi.

Nemmeno vedi che mi manchi ancora prima di andartene, mi manchi già mentre ti stringo, e mi mancavi ancora prima che io capissi e che tu capissi che solo insieme io e te possiamo funzionare.

Mi mancavi prima di sapere come fossi fatta, e mi mancherai ora che ti conosco e riconosco ad occhi chiusi.

Ti lascio il tuo tempo. Ti lascerò il tuo spazio. Ti aspetterò senza fartene pesare nemmeno un giorno, e se passeranno settimane, mesi o anni, io li conterò. E li aspetterò. E amerò ogni giorno, perché sarà un giorno più vicino al momento in cui ti rivedrò di nuovo.

Sarò forte. Sarò forte per me, perché so cosa voglio essere.

Sarò forte per la nostra gente, e li guiderò, li accompagnerò, gli stringerò la mano e gli darò pacche sulle spalle quando ne avranno bisogno.

E sarò forte per te, per quando tornerai e avrai bisogno di braccia che ti terranno al caldo dalle notte che avrai passato lontana da casa, a rafforzarti la pelle e le ossa.

Ma tu torna, Clarke.

Fai passare il tempo che ti servirà, perché sarà tutto il tempo che ti darò, ma tu torna.

E io sarò qui.
  
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